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N. 82 - Ottobre 2014 (CXIII)

Cecilia o la Dama con l’ermellino
abbigliamento e iconografiA, Nuove scoperte - Parte II

di Elisabetta Gnignera

 

La seconda lettura, meno immediata e di fatto ambivalente, è a mio avviso invece, quella secondo cui Cecilia Gallerani, (ossia la mitica Galinthia-Galanthis) distraendo cioè attirando a sé originariamente (prima dell’arrivo di Beatrice d’Este) l’attenzione del Moro (evocato forse dalle “Moire” del mito), sia stata punita, ovvero allontanata poi dalla corte, (non prima del febbraio 1492, stando ad una lettera di Bernardo Bellincioni a Ludovico il Moro), e grazie a tale allontanamento non solo fisico ma anche, e soprattutto “affettivo”, Beatrice d’Este abbia potuto concepire l’erede regale, Ercole Massimiliano (nato il 25 gennaio 1493).

 

Avendo suscitato le ire della dea (Beatrice d’Este) quindi, Cecilia è stata punita con l’allontanamento dal Moro e dalla corte e, per traslato, nella fase ancora in progress del ritratto, ovvero nella versione del dipinto appena precedente a quella definitiva che ci è dato di conoscere, Leonardo ritrae forse Cecilia con una donnola (?) ossia con l’emblema della punizione riservata nel mito a Galinthia, la quale, per aver suscitato le ire della dea, fu trasformata appunto in donnola.

 

Stando a tali ipotesi, potrebbe essersi verificata la seguente successione di eventi: Leonardo potrebbe avere iniziato il ritratto di Cecilia, sin da prima della gravidanza di Cecilia, quando cioè, non era ancora prevista la presenza di una donnola o di un ermellino [Figura 1, Parte I]: come possono dimostrare le scoperte di Pascal Cotte (Cotte, 2014, pp. 200-207).

 

In questo caso, potremmo forse pensare che il poeta Bernardo Bellincioni abbia visto in realtà questa prima versione sprovvista di ermellino in quanto egli non nomina alcun animale.

 

Poiché il Bellincioni, in almeno due sonetti coevi a quello, celeberrimo, composto per celebrare Cecilia attraverso il ritratto fattone da Leonardo, allude al Moro come ad un ermellino per la sua lealtà e schiettezza: « Tutto ermellino è ben, se un nome ha nero» (Bellincioni, 1876, I, sonetto, XXVII, p. 56); ed ancora, «L’ Italico Morel bianco Ermellino», (Bellincioni, 1876, I, sonetto CXXVIII, p. 178); la eventuale presenza dell’animale, così fortemente simbolica nel ritratto, sarebbe stata con ogni probabilità non soltanto registrata, ma anche descritta doviziosamente dal poeta, proprio in virtù

dei significati politico-allegorici che l’animale veicolava ed i quali erano ben noti e già utilizzati dal Bellincioni appunto, per alludere a Ludovico (Solmi, 1912, pp. 491-509).

 

Sempre sulla scia delle scoperte di Cotte, possiamo anche ipotizzare che il ritratto sia stato ripensato entro i primi mesi di gestazione del figlio Cesare ‒ forse già intorno all’ ottobre 1490, quando la silhouette di Cecilia non era ancora appesantita ‒ il che spiegherebbe l’allusione, nella postura, alla Annunciazione della Vergine evocata attraverso il possibile inserimento di una donnola.

 

Questo animale che le antiche credenze ritenevano essere solito concepire attraverso l’orecchio e partorire attraverso la bocca (vedere Parte I), era legato per antonomasia, alla simbologia della nascita imminente in relazione al Mito della Nascita di Ercole che Leonardo poteva conoscere dalla lettura delle Metamorfoseos di Ovidio, presenti nella propria biblioteca personale (vedere Parte I).

 

Seguendo sempre le evidenze di Cotte circa il presunto inserimento e rifacimento dell’ermellino (Cotte, 2014,pp. 147-154, 208-216), quale lo conosciamo nella versione definitiva, ritengo pertanto che l’opera potrebbe essere stata rimaneggiata in corso d’opera in almeno due successivi momenti. Un primo momento, dopo la nascita di Cesare, paragonato forse al novello Ercole e dunque, la presunta donnola preesistente all’ermellino, poteva essere un’allusione di stampo celebrativo, a tale vicenda mitologica (esistono già in questo senso, delle ipotesi secondo le quali, questo ritratto sarebbe stato commissionato dal Moro come regalo per le nozze di Cecilia Gallerani con il Conte Ludovico Carminati, noto come “il Bergamino”, avvenuto nel luglio del 1492, e dunque dopo la nascita di Cesare Sforza Visconti). Successivamente ( forse dopo la nascita di Ercole Massimiliano, figlio legittimo del Moro?), il cambiamento in corso d’opera, evidenziato da Pascal Cotte, avrebbe a mio avviso trasformato la donnola iniziale in un candido ermellino; tale modifica apparirebbe pienamente giustificata, sempre secondo chi scrive, dall’esigenza di camuffare allusioni politicamente “incaute ” ad eventi nei quali, a contrapporsi, sarebbero stati, come nel mito, i due eredi, quello naturale Cesare (Eracle-Ercole?) e quello legittimo, Ercole Massimiliano (Euristeo, figlio di Stenelo?), e le due donne di cui l’una: Beatrice (Hera-Giunone?) molto più potente dell’altra, ossia la bella Cecilia (Almèna, amante di Zeus? aiutata dalla mitica Galinthia, la donnola ?).

 

Oltretutto l’ermellino poteva assommare in sé alcune simbologie e rimandi che i contemporanei associavano di già a Ludovico e – secondariamente – alla stessa Cecilia.

 

In primis, occorre rammentare che Ludovico Sforza aveva ricevuto l’investitura onorifica dell’ordine dell’Armellino dal re di Napoli, forse già dal novembre 1486, (Rona, 1977, pp.346-358 ) ma sicuramente entro il 1488: tale massima onorificenza, seppure ambita in sommo grado da Ludovico, fu declinata per motivi politici dallo stesso Ludovico nel 1490 in seguito all’insorgere di contrasti con gli Aragonesi (Pescio, 2000, p. 64) a seguito del matrimonio di Isabella d’Aragona con il nipote Gian Galeazzo Sforza che il Moro di fatto esautorò.

 

Il fatto che Ludovico avesse declinato l’ambita onorificenza intorno al 1490, è stato ritenuto da alcuni un elemento portante per una possibile datazione dell’ opera entro tale data. La correlazione non è però, a mio avviso fondante in quanto il poeta Bernardo Bellincioni nelle sue Rime composte evidentemente entro il 12 settembre 1492, data della sua morte , allude ancora al Moro come a: «L’italico Morel bianco Ermellino» per la sua lealtà e schiettezza, nel sonetto Della prudenzia del Signor Ludovico.

 

Sempre a Ludovico e alla propria “moderazione” era associata, encomiasticamente, la proverbiale moderanzia dell’ermellino di cui lo stesso Leonardo da Vinci così scriveva nel cosiddetto “bestiario”, ovvero un insieme di tre quadernetti databili al 1494 e contenuti nel cosiddetto “codice H”: «L’ermellino, per sua moderanzia, non mangia se n[on] una sola volta al dì, e prima si lascia pigliare a’ cacciatori che volere fuggire nella infangata tana. Per non maculare sua gentilezza. (manoscritto H f12 r, Paris, Institut de France)». E ancora: «Moderanza raffina tutti i vizi. L’ermellino prima vol morire che’ mbrattarsi» (manoscritto H f 48v, Paris, Institut de France).

 

-Ancora come encomiastica prerogativa di Cecilia Gallerani, sembra poter essere stata considerata dai contemporanei, proprio quella onestà e lealtà evocata dall’ermellino, della cui simbologia ci dà conto Marco Versiero, dandone una interpretazione “allusivamente rovesciata” e molto pertinente, a mio avviso, esprimendosi in questi termini: «Nonostante sia stato spesso interpretato come allusione alla virtù muliebre dell’effigiata, l’animale [l’ermellino] serve in realtà a presentare Ludovico sotto mentite spoglie, non tanto per evitare un riferimento diretto alla relazione con una donna diversa dalla promessa sposa (la nipote del re di Napoli, Beatrice d’Este), quanto, al contrario, per esibire tale liaison come rappresentativa del genere di rapporti ufficiosi orditi dallo Sforza a latere della rete di potere ufficiale, intessuta dal nipote Gian Galeazzo e dai suoi sodali. Siamo, cioè, di fronte alla presentazione dissimulata della coppia primaria di un’unione laterale (il non-duca Ludovico e la non-duchessa Cecilia), che è all’origine di quel demi-monde filo-ludoviciano, la necessità del cui radicamento deve essere sentita, al momento storico-politico di cui si discute (cioè prima della morte del legittimo duca), come l’unica possibile via di affermazione personale e politica. Si spiegano in questo senso anche il riconoscimento del figlio naturale avuto da Cecilia nel 1491 e l’assunzione da parte di quest’ ultima di uno status di primo rilievo a corte, come duchessa in pectore, di fatto superiore alla prima donna ufficiale, Isabella d’Aragona, moglie di Gian Galeazzo in una misura che coincide esattamente a quella in cui Ludovico prevaleva su quest’ultimo nella guida effettiva del ducato» (Versiero, 2006, pp.13-14).

 

Pertanto, in base a quanto premesso supra, la scelta d Leonardo di dirottare l’attenzione verso il più “innocuo” ermellino quale animale simbolico e allusivo sia del cognome di Cecilia (?), sia dell’ investitura onorifica dell’ordine dell’Armellino (ottenuta da Ludovico Sforza dal re di Napoli tra il 1486 e il 1488), sia della moderazione di Ludovico, sia, infine, di quella onestà e lealtà (ascritta encomiasticamente a Cecilia Gallerani, così come a Ludovico Sforza...) che finanche Bernardo Bellincioni, poeta di corte, attribuiva senza indugio a «L’ Italico Morel bianco Ermellino» (Bellincioni, 1876, I, sonetto CXXVIII, p.178), ovvero al Moro, apparirebbe dunque ben più ponderata e meno rischiosa per l’artista il quale di fatto necessitava della protezione non solo di Ludovico, evidentemente , ma anche della influente Beatrice.

 

Del resto lo stesso Ludovico, appena informato della nascita del figlio Cesare, quando i rapporti con Cecilia si erano in parte già raffreddati, il 9 maggio 1491 così si premurava di informare Beatrice dell’ evento, con il maggior tatto possibile, secondo quanto scrive l’ambasciatore estense Giacomo Trotti: «Avanti la sua partita da Viglevano, cum grande humanitate et dolzeza sua Signoria [Ludovico] dixit a la Ill.ma Duchessa vostra figlia de la nativitate del puto, dicendole che gli era nassuto un ragazzo et un servidore, il quale, come fusse un pocheto grandeto, ge’l voleva dare, acciò che la se’l servisse d’epso, come fanno li signori et signore de li servidori, jurandoli che non haveva tochato la mater [Cecilia] dal secondo giorno di carnovale in qua, et che haveva deliberato mai più non la tochare, cum altre parole molto humane. La quale Madama Duchessa molto allegramente et cum parole convenienti et satisfactorie li rispose per modo ch’el non se poterìa dire meglio, de la quale il signor Ludovico ristette molto satisfacto et contento, mettendola sopra li nove cieli».

 

Da tale testimonianza, il cui testo è stato ricavato da chi scrive, comparando le versioni del medesimo documento contenute in varie pubblicazioni (Covini, 2009, p. 97; Pizzagalli, 2008, p. 129; Lopez, 2009, pp.122-123), sembrerebbe proprio che i rapporti tra il Moro e Cecilia così come lo status della donna e del figlio, fossero, già radicalmente mutati dopo la nascita di Cesare: da novello Ercole, Cesare diviene addirittura “servitore” di Beatrice, nelle parole di Ludovico...

 

Tale lettura dei fatti insieme all’inserimento dell’ermellino nel ritratto, sposterebbero le successive revisioni e la versione definitiva de La Dama con l’ermellino almeno agli anni 1491-93.

 

Proprio negli anni 1493-1494, Leonardo traccia il motivo di una nuova allegoria politica riferita al Moro ovvero la progettata allegoria de L’ermellino col fango: Galeazzo tra tempo tranquillo e fuggita di fortuna, inclusa nel Ms.H, al folio 98 recto e datata al 1494 ca.

 

In anni appena precedenti, Leonardo aveva già trattato, attraverso altre allegorie politiche, i temi della moderazione e prudenza quali attributi distintivi del Moro; tra gli esempi - studiati attentamente da Marco Versiero, in un suo recente contributo citato a seguire – ritengo opportuno menzionare: l’ Allegoria dello Stato di Milano ( 1485-1488 ca), (alias Allegoria del governo del ducato milanese) disegno con penna e inchiostro bruno su carta ingiallita incluso nella Oxford, Christ Church Collection inv. JBS 18 (0037); l’ Allegoria del Moro cogl’ occhiali e la ‘nvidia colla falsa infamia dipinta e la giustizia nera pel Moro (1494 ca.), disegno a sanguigna ripassata a penna e inchiostro su carta bianca conservato al Musée Bonnat di Bayonne, inv.656 recto.

 

Che Leonardo fosse stato sollecitato da Ludovico, attraverso la sua opera, ad imprimere progressivamente, nell’immaginario collettivo, una inequivocabile corrispondenza tra la Virtù politica della moderazione e la figura e l’operato stesso del Moro, appare evidente, secondo Versiero anche dagli Schizzi per vestizione scenica (1491 ca.): disegno a matita rossa, penna e inchiostro, incluso nel Ms. Arundel 263 al f.P1 (già 250) e corredato da appunti per la vestizione scenica di uno dei cavalieri partecipanti alla giostra indetta da Galeazzo di Sanseverino (capitano delle milizie milanesi) in occasione delle nozze di Ludovico il Moro con Beatrice d’ Este (1491). Scrive in proposito Versiero «Siccome questo studio di dettaglio si riferisce sicuramente alla figura della Prudenza assisa in trono, […] se ne potrebbe inferire di essere in presenza di una prima figurazione in costume “faraonico” della prudenza del Moro, poi codificata, secondo un dispositivo allegorico più complesso, dal foglio di Bayonne. Le annotazioni che corredano i disegni, infatti, documentano l’ intenzione di Leonardo di dipingere su “una rota , il centro della quale fia collocato al centro della coscia dirieto del cavallo”, una figura di “prudenzia”, vestita di rosso per la carità sedente in focosa cadrega [scil. cattedra, cioè scranno], [con] carta e un ramicello di lauro in man a significazione della speranza che nasce dal ben servire”» (Versiero, 2010, p.110).

 

In questo caso, la declinazione politica dell’allegoria de L ’Ermellino col fango – coeva del disegno leonardesco su tondo (91mm diametro) datato al 1494 e noto come la Favola o Allegoria dell’ermellino, a penna, inchiostro bruno e gesso nero su carta, conservato presso il Fitzwilliam Museum di Cambridge (Accession number PD.120-1961, e ritenuto lo schizzo preparatorio di una medaglia allegorica [Figura 4] – è da leggersi forse in maniera duplice: da un lato come riposta emblematica alle accuse (ovvero al fango gettato sull’ermellino...) che venivano rivolte al Moro in quegli anni, colpevole tra l’altro di essersi sbarazzato imprigionandoli, tra l’estate ed il settembre del 1489, di uomini fedeli al nipote Gian Galeazzo: ossia il nobile ghibellino Pallavicino Pallavicini, Aloisio Terzago ( altrove Luigi Terzaghi), e suo cognato Filippo Eustachi; ed in generale reo, agli occhi di molti, di voler usurpare con l’inganno il potere al nipote e duca legittimo, Gian Galeazzo (il quale morirà di malattia (?avvelenamento) il 22 ottobre 1494.

 

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Figura 4

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Leonardo da Vinci, la Favola o Allegoria dell’ermellino, 1494 ca., disegno su tondo ( 91 mm) a penna, inchiostro bruno e gesso nero su carta, ritenuto lo schizzo preparatorio di una medaglia allegorica. Cambridge, Fitzwilliam Museum ( Accession number PD.120-1961)

 

Dall’altro, come una denuncia velata dell’artista circa l’ambiguo comportamento di Ludovico personificato dall’ermellino infangato: a questo proposito desidero riproporre qui a seguire le annotazioni espresse sempre da Marco Versiero in proposito della suddetta allegoria: «Una enigmatica annotazione di Leonardo l’ermellino col fango. Galeazzo tra tempo tranquillo e fuggita di Fortuna, fornisce la probabile traccia di un’allegoria politica, in cui la virtù della “moderanzia”, di cui l’ermellino (cioè Ludovico) è dotato, gli consente di assistere all’avvicendarsi della cattiva e della buona “fortuna” nella vita del nipote: ma l’espressione “ermellino col fango”, nel senso di un ermellino che ha rinunciato alla sua purezza e si è sporcato nel fango, potrebbe anche volersi riferire alla improvvisa scelta di Ludovico di abbandonare un atteggiamento politico moderato per compiere un audace colpo di mano, mentre l’allegoria del “tempo nimboso”, cui la seconda parte dell’appunto allude, potrebbe leggersi nel senso che Galeazzo precipita da un “tempo tranquillo” a una situazione in cui la fortuna benigna lo ha abbandonato (“fuggita di fortuna”), con significato inverso, dunque, a quello (più convenzionale) sin qui preferito dagli studiosi (Galeazzo che passa dalla tempesta alla quiete grazie all’opera di protezione e guida dello zio), a ulteriore conferma dell’attenzione riservata da Leonardo agli aspetti spesso privi di scrupolo della politica ludoviciana» (Versiero, 2004, pp.111-112).

 

Similmente, dietro ad una simbologia “di facciata” alludente alle virtù del Moro e della Gallerani, potrebbe in realtà nascondersi a mio avviso ne La Dama con l’ermellino, una denuncia “cifrata” delle lotte di potere, ai danni della Gallerani, a cui si attaglia perfettamente il Mito della Nascita di Ercole.

 

A suffragio di tale ipotesi circa un costante modus operandi di Leonardo, cito ancora una volta Marco Versiero, in quanto fine interprete – a mio avviso – degli scenari politico-allegorici nei quali si muove Leonardo: «In effetti Leonardo è paragonabile a qualsiasi altro inventore di allegorie per quel che concerne la scelta dei temi ( che non è escluso fosse spesso determinata dal committente, o direttamente, con la mediazione di qualche colto letterato) e per l’impiego di due specie di simboli: quello di tipo araldico (rinvianti alle origini familiari e al lignaggio del mecenate) e quello a carattere propagandistico (ispirati alla sua condotta politica contingente e alla trama di alleanze ordita con altri potentati). Tuttavia come Martin Kemp ha correttamente evidenziato, la difficoltà di decifrare compiutamente le allegorie leonardesche sta nel fatto che gli animali e le piante codificati dall’emblematica (anche attraverso la glittica) restano per il Vinciano elementi della natura, conservandone la vitalità e mutevolezza e perciò presentando significati ambigui o per lo meno polivalenti» (Versiero, 2006, p.9).

 

In merito alle eventuali modifiche operate da Leonardo sulla taglia dell’animale raffigurato, è bene invece rammentare come, del resto, la differenza tra una donnola ed un ermellino, dovesse essere ben chiara ai contemporanei di Leonardo se anche il sopracitato poeta Bernardo Bellincioni, si vantava nei suoi versi di non essere così sciocco e sprovveduto da non saper distinguere la donnola (el donel) dall’ermellino:

 

Non son sì grosso e soro

Che comperi el donel per ermellino:

Di presente se' tu del novarino

 

(Bellincioni, I, 1876, sonetto C.I., p. 147)

 

Per quanto affascinanti, le ipotesi suddette, devono essere però vagliate alla luce di rigorosi riscontri cronologici e temporali: dal momento che Bernardo Bellincioni compone il sonetto Sopra il ritratto di Madonna Cecilia, qual fece Leonardo entro la data della propria morte avvenuta il 12 settembre 1492, si deduce che entro tale data, il ritratto di Cecilia fosse stato all’incirca compiuto (?) senza escludere che Leonardo possa aver apportato, magari successivamente a questa data, delle modifiche - messe in luce del resto dagli studi di Pascal Cotte - che avrebbero modificato parzialmente la versione iniziale del ritratto.

 

I ripensamenti circa l’inserimento e le proporzioni dell’ermellino, riconsiderati in relazione ai simbolismi veicolati dal mito greco della Nascita di Ercole, potrebbero dare adito ad almeno due possibili scenari entro i quali Leonardo sembra attuare il proprio processo creativo: un primo possibile scenario, sarebbe a mio avviso quello secondo cui il ritratto sia stato iniziato forse prima della nascita di Cesare Sforza Visconti (3 maggio 1491) per poi essere stato rielaborato dopo la stessa, quando è ormai certo il sesso del neonato e la silhouette di Cecilia non è più appesantita da un inoltrato stato di gravidanza ma, allo stesso tempo, Cecilia si trova in uno status propizio per consentire all’artista di istituire un colto riferimento al mito della nascita di Ercole, paragonando forse Cecilia ad Alcmèna, amante inconsapevole e madre del figlio naturale di Zeus o a Galanthis, la donna trasformata in donnola in virtù del vezzo – tipico di Leonardo – di alludere all’identità della dama ritratta con l’ausilio di colti rebus figurativi.

 

Tale scenario, che suffragherebbe l’ipotesi di un originario intento dell’artista di “elevare, mitizzandolo”, il concepimento di Cesare, figlio naturale del Moro, deve essere a mio avviso considerato però anche retroattivamente in relazione ad una straordinaria e successiva concomitanza di eventi, che materializzò in un preciso e breve lasso di tempo, una reale “coincidenza” tra i nomi dei protagonisti delle vicende che andiamo qui a descrivere e una delle versioni più note del mito greco della Nascita di Ercole.

 

Un secondo scenario, invece, posticiperebbe l’introduzione della presunta donnola nella raffigurazione, con lo scopo di alludere alla mitica Nascita di Ercole, forse durante la gestazione, nel 1492, del primogenito di Ludovico, Ercole Massimiliano.

 

Durante la gravidanza di Beatrice, poteva forse essere già nota a Leonardo l’intenzione dei coniugi, di chiamare l’eventuale primogenito “Ercole” come il nonno materno, (qualora si fosse rivelato tale e non di sesso femminile). Tale spunto può aver fornito inizialmente all’artista l’idea di rifarsi al mito della Nascita di Ercole, di cui parte attiva era stata sia Galanthis (la fantesca), sia la donnola, a seconda delle varie versioni del mito, e dunque, si sarebbe trattato, per traslato, di alludere alla Gallerani quale artefice, essendosi allontanata dalla Corte, del concepimento di Ercole Massimiliano da parte di Beatrice...

 

Tale motivo ispiratore, potrebbe poi essere stato forse rivisto dall’artista, per evitare di incorrere in “ pericolose implicazioni politicamente contaminate e contaminanti” del Mito, all’origine della scelta figurativa. Si volle forse evitare il rischio di indispettire Beatrice d’Este (Hera, ?) rispetto alla scelta di alludere a Cecilia l’amante o la donnola?), quale novella Alcmèna la quale, dopo aver dato alla luce Cesare, figlio adulterino del Moro (proprio come nel Mito), allontanandosi da Ludovico ha consentito a Beatrice di concepire l’erede legittimo, poi venuto alla luce: Ercole Massimiliano Sforza?

 

Ercole Massimiliano, il primogenito del Moro, nato il 25 gennaio del 1493, fu infatti battezzato con il nome di Ercole, in onore del nonno materno, ma poi fu chiamato Massimiliano per compiacere l’ imperatore omonimo Massimiliano I d'Asburgo (Vienna, 22 marzo 1459 – Wels, 12 gennaio 1519) il quale, nel 1494, sposò Bianca Maria Sforza, nipote di Ludovico il Moro.

 

Date le ipotesi enunciate, occorre infine incrociare i dati biografici dei possibili protagonisti di questa Vicenda, immortalati nella cosiddetta Pala Sforzesca, quasi al completo, qualora si metta prudentemente in dubbio l’identificazione del bambino, appaiato a Ludovico il Moro, con Cesare Sforza Visconti… (si tratta invece – e più plausibilmente a mio avviso – di Francesco Maria Sforza, unico figlio di Gian Galeazzo, nato il 30 gennaio 1491 e detto “il duchetto”?) [Figure 5-6].

 

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Figura 5

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Maestro della Pala Sforzesca, Sacra conversazione con Madonna e Bambino in trono e Dottori della Chiesa: Sant'Ambrogio, San Gregorio Magno, Sant'Agostino e San Girolamo, 1494-95. Milano, Pinacoteca di Brera

 

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Figura 6

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Pala Sforzesca: dettaglio dei committenti: Ludovico Sforza e Beatrice d’Este con il primogenito Ercole Massimiliano ( appaiato a Beatrice) ed il presunto Cesare Sforza Visconti (?) figlio naturale di Ludovico, appaiato forse, in questo caso, al padre (?)

 

Considerando che la nascita di Cesare Sforza Visconti avvenne il 3 maggio 1491 e che Beatrice d’ Este darà alla luce il primogenito Ercole Massimiliano il 25 gennaio 1493, le modifiche relative all’ermellino portate alla luce da Pascal Cotte, potrebbero anche collocarsi in un lasso di tempo intermedio tra i due eventi, cioè in una avanzata fase della gravidanza di Beatrice d’Este, forse entro il 12 settembre del 1492 (?), data della morte del poeta Bernardo Bellincioni il quale vide il dipinto e lo descrisse – ma omettendo qualsiasi riferimento all’ermellino – nel noto sonetto la cui composizione rappresenta il nostro terminus ad quem per una possibile datazione intermedia dell’opera, ovvero qualche mese prima della nascita di Ercole Massimiliano: in questa fase tarda della gravidanza di Beatrice d’Este, non si può escludere che Leonardo fosse a conoscenza della intenzione di dare al nascituro – nel caso si fosse trattato di un maschio – il nome di Ercole, proprio come l’eroe mitico di nostra pertinenza, ed in onore del nonno materno. Tale concomitanza di eventi, potrebbe aver ispirato, all’ artista, la necessità di modificare l’iconografia dell’opera attraverso l’ingrandimento dell’animale che da donnola sarebbe diventato ermellino, in omaggio sia alla figura di Ludovico e alle sue virtù morali e politiche simboleggiate dal mitico animale, sia a Cecilia Gallerani, di cui si evocava il cognome.

 

Questo “ripensamento” dell’iconografia dell’opera, avrebbe evitato forse una pericolosa situazione di impasse in un momento in cui sarebbe stato ormai inopportuno, rappresentare Cecilia come novella Alcmena, madre di Eracle, dal momento che Beatrice stava dando alla luce il legittimo erede, novello Ercole, di nome e di fatto , se di sesso maschile… Pertanto, considerando i dettagli di costume ed i possibili simbolismi veicolati sia dalla iniziale scelta iconografica di rappresentare forse una donnola, sia da quella successiva di sostituire la donnola con l’attuale ermellino, a mio avviso, la ipotesi più probabile, è che il ritratto possa essere stato iniziato forse anche prima del concepimento di Cesare Sforza Visconti ( entro maggio-giugno 1490) ma ritengo in ultima analisi che il dipinto sia un’opera in progress modificata in corrispondenza di alcuni eventi decisivi: durante la gestazione e dopo nascita di Cesare Sforza Visconti (3 maggio 1491); durante la gestazione e dopo la nascita di Ercole Massimiliano (25 gennaio 1493).

 

Tali ipotesi, conducono a supporre che Leonardo si sia spinto oltre la data di morte di Bernardo Bellincioni, magari addirittura dopo la nascita di Ercole Massimiliano nel rimaneggiare, portandolo a termine, il ritratto che il Bellincioni poté forse vedere e descrivere nel noto sonetto composto entro la data della propria morte avvenuta il 12 settembre 1492.

 

Forse il Bellincioni ebbe accesso all’opera che si trovava allora già compiuta ma nella versione iniziale priva di ermellino e antecedente ( forse di qualche anno…) a quella definitiva giunta sino a noi. Del resto, nel sonetto del Bellincioni non viene nominata né la presenza di una donnola, né la presenza di un ermellino, la quale, sarebbe stata con ogni probabilità descritta dal poeta in virtù delle forti implicazioni simboliche di tale animale ritenuto dai contemporanei (incluso lo stesso poeta), come emblematico di Ludovico il Moro.

 

A scanso di equivoci, desidero sottolineare ancora una volta, che le presenti mie ipotesi di datazione scaturiscono dall’ analisi congiunta dei dettagli vestimentari, debitamente evidenziati da chi scrive, nel volume di Pascal Cotte Lumière on the Lady with an Ermine/Lumière sur la Dame à l’Hermine (Cotte, 2014, pp. 21-23, 78 -87, 171, 178, 182, 217), e ad introduzione del presente contributo, unitamente ad alcune delle principali scoperte – finora inedite– dei rifacimenti operati da Leonardo da Vinci e messi in luce da Pascal Cotte, le quali mi hanno suggerito possibili e deliberate connessioni con la vicenda mitologica della Nascita di Ercole. Tale vicenda mitologica, se traslata negli avvenimenti in corso presso la corte sforzesca, costituirebbe di per sé una sorta di rimando cronologico interno all’opera ovvero ai mesi che vanno da maggio/giugno 1491, appena dopo la nascita di Cesare Sforza Visconti, sino alla avanzata gravidanza di Beatrice d’Este, entro il 12 settembre 1492: terminus ad quem costituito dalla morte di Bernardo Bellincioni il quale vide e descrisse il ritratto ma forse in una fase non ancora definitiva in quanto l’opera potrebbe essere stata rimaneggiata e terminata addirittura dopo la nascita di Ercole Massimiliano Sforza avvenuta il 25 gennaio 1493.

 

Elisabetta Gnignera (specialista di Storia del Costume e delle Acconciature dei secoli XIII-XVI) tutti i diritti riservati ©

 

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