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N. 78 - Giugno 2014 (CIX)

La Polonia e la Guerra fredda
è morto Jaruzelski, l’uomo della soluzione interna

di Vincenzo Grienti

 

A 25 anni degli Accordi della “Tavola Rotonda” firmati il 4 giugno 1989. Il generale Wojciech Jaruzelski ha perso la sua battaglia contro il cancro. Dopo la “tavola rotonda” alla quale parteciparono generali ed esponenti democratici concordò elezioni semilibere e Solidarnosc, il sindacato unitario polacco guidato da Lech Walesa stravinse.

 

Si raggiunse così quello che nella storia della Polonia viene visto come “compromesso storico” per la transizione dal comunismo alla libertà. Una svolta che aprì la strada alla caduta del Muro di Berlino nel novembre proprio di quell’anno. Una svolta alla quale Jaruzelski aveva contribuito a dare un sferzata. Da primo dittatore della Polonia sovietizzata divenne primo presidente della Repubblica polacca. Restò comunque un personaggio molto discusso.

 

Fu lui il 13 dicembre 1981 a proclamare lo “stato di guerra” e a formare un Consiglio militare di salvezza nazionale sancendo la sospensione di ogni diritto costituzionale e dichiarando il coprifuoco con l’arresto di migliaia di persone. Nel 1981 la notizia fece il giro del mondo e occupò le prime pagine dei giornali, delle radio e dei telegiornali dell’epoca. In un giorno la Polonia fu isolata da se stessa. La reazione della Santa Sede non si fece attendere.

 

Giovanni Paolo II il 14 dicembre del 1981 si affacciò dallo studio privato, come ogni domenica all’Angelus, con voce carica di determinazione disse: "Gli avvenimenti delle ultime ore mi chiedono di rivolgermi ancora una volta a tutti per la causa della nostra patria. Ricordo quello che ho detto in settembre: non può essere versato sangue polacco perché già troppo ne è stato versato, specialmente durante l’ultima guerra. Si deve fare tutto per costruire pacificamente l’avvenire. In vista del prossimo giubileo dei seicento anni della Madonna di Czestochowa, raccomando la Polonia e tutti i miei connazionali a Colei che e stata data alla nazione come sua difesa".

 

La reazione a livello internazionale alle leggi marziali e al conseguente “stato di guerra” decretate dal governo polacco furono le più diverse, ma tutte caratterizzate da un unico denominatore comune: la sorpresa, a partire dagli analisti politici americani nonostante la possibilità della Cia di poter contare sulla presenza di spie all’interno del ministero della difesa polacco.

 

Ma come si era arrivati a tutto questo? In che modo Jaruzelski, questo piccolo uomo dagli occhiali scuri (la deportazione in Siberia con la famiglia durante l’occupazione congiunta della Polonia da parte di Germania e Urss tornò senza genitori e “sovietizzato”. I suoi occhi erano malati per via del riflesso del sole sulla neve. Ciò lo costrinse a portare gli occhiali scuri per tutta la vita, N.d.A), diventò l’ago della bilancia delle sorti europee?

 

Nel febbraio del 1981, il generale Jaruzelski fu nominato primo segretario del Pzpr, il Partito comunista polacco, al posto dell’uscente Stanislao Kania e primo ministro. Il 19 marzo alcuni operai erano stati percossi brutalmente dalla Polizia politica dopo un’occupazione di protesta di un edificio pubblico.

 

Fu la scintilla che fece reagire Solidarnosc, il sindacato polacco guidato da Lech Walesa nato nell’agosto del 1980 a seguito dei così detti “fatti di Danzica”. La situazione fu propizia per Kania e Jaruzelski che mostrarono, soprattutto ai sovietici, di saper mantenere la situazione sotto controllo. Era un segnale che i due diedero soprattutto attraverso i media nazionali e non solo. Tutto avvenne in tre giorni a partire dal 27 marzo, cioè da quando due delegazioni sovietiche, la prima militare, guidata dal maresciallo Kulikov e dal generale Gribkov, e la seconda del Kgb, guidata dal suo vice-capo, Vladimir Krjuckov, si incontrarono con Kania e il generale Jaruzelski per discutere sui preparativi di documenti che sarebbero serviti per imporre lo “stato di guerra” in Polonia.

 

Dopo quell’incontro, Kania e Jaruzelski usarono sempre indirettamente i media per inviare un messaggio ai sovietici: quello di saper tenere a bada i polacchi e il sindacato indipendente e autonomo capeggiato da Lech Walesa.

 

Il 30 marzo fu scongiurato uno sciopero generale dopo sette ore di trattative tra Mieczyslaw Rakowski, vice primo ministro del governo polacco e il capo di Solidarnosc Lech Walesa. Lo stesso Rakowski aveva detto che lo sciopero sarebbe stato “catastrofico” per la Polonia. L’esito della trattative tenne con il fiato sospeso la nazione. La gente il giorno prima si affollava ai supermercati per via dell’annuncio dello sciopero ad oltranza.

 

All’interno del Partito comunista polacco non mancarono scontri tra interventisti e moderati, ma alla fine il generale Jaruzelski ne uscì rafforzato e non perse la fiducia di Mosca. Lo «stato di guerra» fu proclamato il 13 dicembre 1981 e fu una svolta drammatica della crisi polacca. Un periodo che i polacchi ricorderanno per sempre a causa di un’accelerazione imprevista della repressione politica dopo le parziali aperture dei mesi precedenti e il riconoscimento di Solidarnosc.

 

L’introduzione dello «stato di guerra» si configurò come un colpo di Stato che portò al fulmineo arresto di quasi tutti i capi del sindacato e dell’opposizione e all’emanazione di una lunga serie di restrizioni: dall’introduzione del coprifuoco all’interruzione delle comunicazioni telefoniche; dalla messa fuori legge dei sindacati, delle associazioni e delle organizzazioni sociali alla militarizzazione delle fabbriche; dalla proibizione di viaggi all’estero alle restrizioni degli spostamenti all’interno della Polonia; dall’istituzione di una rigida censura fino al divieto di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione, a partire dal telex.

 

La mattina del 12 dicembre l’agenzia di stampa sovietica Tass aveva accusato Solidarnosc di preparare un tentativo di colpo di Stato: “Le forze patriottiche della società polacca chiedono con crescente convinzione che i nemici del socialismo siano respinti come meritano per le loro attività criminali” (A. Possieri, Lo spartiacque del Novecento in Osservatore Romano del 12-13 dicembre 2011, p. 5).

 

Furono gli eventi a costringere il generale Jaruzelski a prendere una decisione in tal senso. E non fu certo un caso che Trybuna Ludu, l’unico periodico polacco ancora in circolazione rispolverò una retorica nazional-militarista, che mal si coniugava con l’ideologia ufficiale, per giustificare il colpo di Stato.

 

“Nel nome della salvezza nazionale” fu il titolo del giornale del Partito comunista unitario polacco in cui si cercava di spiegare che le forze armate polacche avevano dovuto reagire per porre un argine all’azione di alcune forze distruttive che avrebbero potuto sovvertire il sistema socialista.

 

Il colpo di Stato non fu un momento facile soprattutto per i capi del Governo comunista polacco. Infatti, all’instaurazione delle leggi marziali si arrivò a seguito della decisione dei dirigenti sovietici, dopo mesi di pressioni su una possibile invasione, di fare un passo indietro e optare non per una occupazione militare russa, ma per un intervento interno.

 

La paura di quei giorni riportava tutti alle invasioni dell’Ungheria del 1956 e della Cecoslovacchia del 1968. Jaruzelski entrò in crisi e cominciò a chiedere a Mosca di mandare truppe in Polonia per aiutarlo anche per via di una incognita: la reazione di Solidarnosc ed eventuali ricadute a livello internazionale. La prima richiesta di aiuto in tal senso fu fatta l’8 dicembre e nei giorni seguenti egli ripete il suo appello numerose volte. A questo punto, però, i leader sovietici non mostrarono più intenzione di offrirgli questo tipo di aiuto, anche perché temevano che Jaruzelski l’avrebbe usato per rifiutarsi di agire in prima persona con la determinazione necessaria.

 

La risposta fu quindi un netto niet in una drammatica conversazione telefonica del 12 dicembre. Nessun contingente sovietico sarebbe ormai intervenuto e il Politburo russo confidava nel successo del colpo di stato militare. A questo punto è doverosa una riflessione: il rifiuto di Jaruzelski di imporre la legge marziale avrebbe molto probabilmente condotto l’Urss alla sostituzione del generale con qualcuno disposto a fare quanto stabilito.

 

È qui che la tanto discussa “tesi della soluzione interna” si fa strada così come il concetto del “male minore” successivamente adottato da storici, analisti e giornalisti.

 

L’intelligence fu sempre concentrata sulla tesi di una invasione sovietica della Polonia, non immaginava la realizzazione di una “soluzione” dall’interno (A. Paczkowski - M. Byrne, From Solidarity to Marzial Law, National Security Archive, Ceu Press, Washington 2006, p. 8). Di fatto questa “soluzione interna” di Jaruzelski risparmiò ai leader sovietici decisioni relative all’inviò di truppe sovietiche in Polonia. Sulla tesi sostenuta da alcuni commentatori che i russi non avrebbero invaso la Polonia perché Wojtyla era Papa, rimane a oggi un grande interrogativo.

 

Don Mariusz Frukacz, sacerdote dell’arcidiocesi di Czestochowa, redattore del settimanale cattolico Niedziela e corrispondente della Agenzia cattolica d’informazione polacca sottolineò in una intervista che a questa domanda non poteva essere data una risposta semplice in quanto non tutti i documenti del regime comunista sono pubblici. Per il giornalista e sacerdote polacco “i russi non invasero la Polonia perché non volevano ripetere la situazione del 1968, quando invasero la Cecoslovacchia (A. Gaspari, Il Papa che liberò l’Europa dal comunismo, Agenzia Zenit dell’8 febbraio 2001, ore 14.37)

 

Il generale Wojciech Jaruzelski da sempre e in tutte le interviste rilasciate, ha sostenuto che il 13 dicembre 1981 dovette instaurare lo “stato di guerra” in Polonia altrimenti i russi avrebbero invaso la Polonia. Dunque la “soluzione interna” fu, come disse lo stesso Jaruzelski anni dopo “il male minore”.

 

Certo, chi visse il nascere e il crescere di Solidarnosc dall’agosto 1980 in poi non potrà dimenticare la rabbia e la tristezza imposta da quella cappa che furono le leggi marziali (V.Grienti, Operazione Solidarnosc. Dalla guerra fredda al nuovo ordine mondiale, Sciascia 2014).

 

Alla luce del comportamento di Jaruzelski negli ultimi anni si tende ad accettare la sua tesi del male minore. Il generale, come più volte ribadito da analisti politici, giornalisti e storici, si comportò cosi per evitare la guerra civile e l’invasione sovietica: “Se non l’avessi fatto oggi porterei la responsabilità per quello che sarebbe successo: una tragedia che avrebbe tra l’altro ritardato l’emergere di Gorbaciov e la distensione” (J. Gawroski, Quella notte sul treno con Andropov, La Stampa del 2 dicembre 1990).

 

Gazeta Wyborcza, il più importante quotidiano dell'est, fondato dall'eroe del dissenso Adam Michnik nei momenti della transizione del 1989, appresa la notizia della morte di Jaruzelski a 90 anni lo ha ricordato con questo titolo aprendo il suo sito online: "È morto il generale, l'ultimo dittatore e il primo presidente della Polonia tornata libera".



 

 

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