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N. 36 - Dicembre 2010 (LXVII)

Il giro del mondo in 84 giorni
Storia della Vendée Globe e delle altre grandi regate veliche

di Simone Valtieri

 

84 giorni, 3 ore, 9 minuti e 8 secondi.

È questo il tempo impiegato dallo skipper francese Michel Desjoyeaux nel 2008-09 per portare a termine la sesta edizione del giro del mondo a vela in solitaria e senza scalo. Sfruttando il vento e le correnti, il coraggioso marinaio transalpino ha fissato un nuovo record, migliorando di oltre tre giorni il precedente primato, stabilito nel 2005 dal compatriota Vincent Riou. Sono invece solo quattro i giorni di ritardo sulla celeberrima impresa letteraria di Phileas Fogg che aveva però il “vantaggio” di sorvolare i mari in tempesta con la sua mongolfiera e di contare sulla compagnia del fido cameriere Passepartout.

 

Il nome della giovane competizione, Vendée Globe, viene dalla regione di partenza della prova, idealmente un’andata-ritorno da Les Sables d’Olonne, nel dipartimento della Vandea in Francia. La rotta è tanto semplice da descrivere quanto incredibilmente difficoltosa da compiere. Si chiama Clipper route, dal nome dei velieri del XIX secolo che la seguivano, naturalmente con scalo. Si parte da nord, in questo caso da Les Sables nella baia di Biscay, puntando a sud attraverso l’Oceano Atlantico fino a doppiare Capo di Buona Speranza, poi si prosegue verso est nei gelidi mari antartici passando a sud di Cape Leewey e di Capo Horn, prima di risalire l’Atlantico e tornare al porto di partenza.

 

Per andare alle radici di questa epica competizione bisogna però saltare a ritroso nel tempo in tre tappe: la prima è il 1989, quando Philippe Jeantot, navigatore in solitaria francese, si inventa la Vendée Globe. Gli viene in mente in quanto aveva già preso parte, vincendole, a due edizioni della Around Alone, una regata in solitaria a tappe, inaugurata nel 1982, che oggi sopravvive con il nome di 5 Oceans Race, la gara dei cinque oceani. A sua volta la Around Alone mette le radici, o meglio, affonda l’ancora, nella Golden Globe Race, la madre di tutte le imprese veliche dell’ultimo mezzo secolo. Siamo nel 1968 e in un periodo storico di rivoluzioni sono nove i coraggiosi marinai che partono, tra il giugno e l’ottobre di quell’anno per sconvolgere la storia della vela tentando l’impresa in solitaria, senza assistenza e senza scalo. In molti avevano già attraversato l’Atlantico da soli; uno, l’inglese Sir Francis Chichester, aveva anche già compiuto il giro del mondo sulla Clipper route appena due anni prima, ma con uno scalo a Sydney. Il padre e predecessore di tutti era stato però Joshua Slocum, canadese cresciuto in America che nel 1900 aveva narrato nel libro Sailing Alone Around the World il suo viaggio, compiuto con numerose soste tra il 1895 e il 1898.

 

Dei nove temerari navigatori che si cimentarono nell’impresa ben quattro, tra cui l’italiano Alex Carozzo, furono costretti al ritiro già nell’Atlantico, mentre l’inglese Chay Bluth, partito senza alcuna esperienza velica, si ritirò poco dopo Città del Capo. Si veleggiava per il gusto dell’avventura e per la gloria; non a tutti interessava il premio di 5.000 sterline messo in palio dal British Sunday Times, finanziatore dell’evento. A testimoniare ciò l’esempio portato in gara dal francese Bernard Moitissier, contrario alla filosofia di una competizione subordinata agli interessi degli sponsor. Una volta doppiato Capo Horn in buona posizione, invece di tornare verso la Gran Bretagna, Moitessier decise di proseguire fino a passare una seconda volta a sud di Capo di Buona Speranza e del continente Australe e di fermarsi a vivere a Tahiti, nel Pacifico, dopo aver compiuto in pratica un giro e mezzo del mondo senza scalo. Gli altri tre in gara, tutti britannici, erano Robin Knox-Johnston, Nigel Tetley e Donald Crowhurst. Quest’ultimo era un ingegnere elettronico che decise di partire per pubblicizzare la sua attività e le sue invenzioni tra cui una potente radio e un rivoluzionario sistema auto-raddrizzante per imbarcazioni basato su palloni gonfiabili. Pensava di risolvere con la fama derivante dal viaggio i suoi guai economici, per partire era stato costretto ad ipotecare la casa e la stessa imbarcazione, ma la vicenda non si concluse nel modo auspicato.

 

Il primo a giungere all’arrivo fu Robin Knox-Johnston su Suhaili, un ketch a due alberi, partito il 14 giugno 1968 da Falmouth e ritornato al punto di partenza il 22 aprile 1969, 313 giorni più tardi. Il 16 settembre era salpato Nigel Tetley su Victress, un trimarano di 12 metri, costretto al ritiro il 21 maggio 1969 nei pressi delle Azzorre, quando, a poche miglia dall’arrivo, fu sorpreso da una tremenda tempesta. A contrastare Knox-Johnston restava in gara solo Crowhurst, partito il 31 ottobre 1968 e in piena corsa, secondo quanto appuntato nei suoi registri, per vincere la prova. In effetti i dati registrati durante tutta la circumnavigazione da Crowhurst apparivano a dir poco sospetti, visto che in alcune trasmissioni dichiarava di aver compiuto oltre 200 miglia nautiche (370 km) in un solo giorno viaggiando su ritmi ai limiti dell’impossibile. La spasmodica attesa del previsto arrivo di Crowhurst sul suo trimarano Teignmouth Electron pian piano scemò. Saputo del ritiro di Tetley, poco prima della rottura della radio di bordo, Crowhurst comunicò di aver rallentato l’andatura. Dopo alcune settimane arrivarono dalla sua imbarcazioni delle trasmissioni in Morse ma ormai la solitudine, la estenuante durata della prova e forse le bugie raccontate, avevano segnato duramente l’animo dell’ingegnere britannico.

 

Quando la Teignmouth Electron fu ritrovata, il 10 luglio, sul registro di bordo si lesse una nota con la sua decisione di suicidarsi datata 1 luglio 1969, come conclusione di un lungo saggio prosastico, vagamente ispirato alla Relatività di Einstein, scritto da Crowhurst nei suoi ultimi schizofrenici giorni di vita. Il vincitore e unico a completare la prova, Robin Knox-Johnston, ottenne il Golden Globe Trophy e devolvette l’intero premio alla famiglia dello scomparso Crowhurst, che beneficiò anche degli aiuti di molti degli sponsor della manifestazione.

 

Sulla base di questa epica esperienza nel decennio successivo si svolsero numerose circumnavigazioni in solitaria del globo; lo stesso Knox-Johnston fu autore di altri tre viaggi, ma fino al decennio dopo non furono più pianificate competizioni ufficiali. Nel 1982 fu organizzata una regata in solitaria divisa in quattro tappe, con partenza da Newport e scalo a Città del Capo, Sydney e Rio de Janeiro. Si chiamava BOC Challenge, dal nome della compagnia industriale che la sponsorizzava, ma prese ben presto il nome di Around Alone. Girare “Intorno” al mondo “da soli” era quello che gli iscritti alla regata dovevano fare. Due erano le classi originariamente previste, la Class 1 con imbarcazioni dai 45 ai 56 piedi ed la Class 2 per scafi più piccoli (32-44 piedi). A vincere la prima edizione conquistando il primato in tutte le tappe nella Class 1 fu il navigatore africano di nascita (Antananarivo, Madagascar) ma francese di nazionalità Philippe Jeantot. Il giovane Philippe si appassionò alla vela dopo aver letto il libro di Bernard Moitessier, The Long Way, in cui il navigatore raccontava il suo viaggio soprattutto spirituale e metafisico che lo aveva portato a Tahiti. Terminò la gara in 159 giorni e due ore, ben 11 giorni prima del sud africano Bertie Reed, secondo. Nell’edizione del 1986-87 Jeantot bissò il successo di quattro anni prima migliorando il record di quasi un mese (134 giorni il totale) e precedendo il connazionale Titouan Lamazou di circa 3 giorni.

 

Il tempo era maturo per una riedizione della Golden Globe Race, un’idea che Jeantot meditava ormai da anni. Trovati i finanziatori fu egli stesso in prima persona il promotore e organizzatore di una nuova regata: e siamo alla Vendée Globe. La gara in solitario ricalca per lunghi tratti la Golden Globe, ma non manda in pensione la Around Alone, anzi. Le due competizioni diventeranno il punto di riferimento per i navigatori in solitario e continueranno a crescere in parallelo. Saranno spesso frequentate dagli stessi concorrenti: lupi di mare solitari tra cui l’italiano Giovanni Soldini, vincitore dell’edizione 1998-99 ma noto al mondo più per il salvataggio eroico dell’amica e collega francese Isabelle Autissier, compiuto in quell’edizione, che per il notevole risultato finale. Il doppio successo di Jeantot nella Around Alone sarà eguagliato anche dal connazionale Christophe Auguin (1990-91 e 1994-95) e dallo svizzero Bernard Stamm. L’edizione inaugurale della Vendée Globe parte con il successo di Titouan Lamazou, complici i guai allo scafo di Jeantot che terminerà quarto. Un altro francese, Loïck Peyron, giunto secondo a circa 16 ore dal vincitore, avrebbe probabilmente vinto la corsa se non si fosse attardato nei mari del sud per prestare soccorso al ketch del connazionale Philippe Poupon.

 

L’Everest del mare, così è oggi conosciuta tale competizione transoceanica, si corre dal 1992 a cadenza quadriennale come la sorella Around Alone, è riassumibile in poche ma significative norme: la gara è aperta ad ogni imbarcazione che rientra nei parametri della classe 60 piedi (prima del 2004 si gareggiava anche con la classe 50) con caratteristiche stabilite per quanto riguarda il pescaggio, la stabilità, le appendici e la sicurezza, lasciando il resto alle preferenze del marinaio; non si può avere assistenza esterna durante la regata, né per quanto riguarda le informazioni meteo né per la rotta, pena la squalifica; si può sostare all’ancora, ma non accostarsi a banchina o ad altre imbarcazioni; per problemi in partenza si può tornare a Les Sables a patto di salpare nuovamente entro dieci giorni dalla data in cui è partito il primo concorrente. I requisiti per l’iscrizione sono semplici: aver partecipato ad un’altra gara simile avendola portata a termine, sottoponendosi in alternativa ad un passaggio transoceanico di osservazione di almeno 2.500 miglia e con una media superiore ai 7 nodi all’ora.

 

Tali norme vennero inasprite a seguito ad alcuni eventi tragici. Nel 1992 Mike Plant fu dato per disperso nei pressi delle Azzorre mentre si recava alla partenza e Nigel Burgess fu ritrovato annegato dopo appena quattro giorni di navigazione. Nel 1996-97 ci fu poi la scomparsa nei mari del sud del canadese Gerry Roufs. In competizioni così estreme patenti e brevetti sono requisiti indispensabili ma c’è sempre una piccola percentuale di incertezza legata alla fortuna che contro gli imprevisti che possono capitare in mare aperto deve necessariamente essere valida alleata. Per ridurre al minimo i rischi in alcuni casi è stato deciso, come avvenuto nel 2004, di inserire punti di navigazione obbligatori per spostare le rotte della flotta più a nord in acque meno burrascose e fredde. Inoltre la traversata parte sempre a novembre per poter affrontare i mari antartici durante l’estate australe, con l’inevitabile conseguenza di trovare spesso situazioni impervie proprio in partenza. Il fatto di partire con l’inverno boreale ha creato disagi in quasi tutte le edizioni, come nel 1992 e nel 1996 quando molte imbarcazioni furono costrette a rientrare al porto poco dopo il via.

 

I media, soprattutto quelli francesi, si interessano all’evento nei primi anni ’90, con la competizione che rimane sempre appannaggio degli esperti marinai transalpini. Dopo Lamazou su Ecureuil d’Aquitaine II, iscrivono il loro nome nell’albo d’oro anche Alain Gautier su Bagages Superior, che termina in 110 giorni nel 1992-93 e Christophe Auguin su Geodis, già vincitore di due Around Alone, che con 105 giorni di navigazione riporta il successo davanti a Marc Thiercelin. Nel 1992 la gara fu molto tirata tra Gautier e lo sfortunato Poupon, costretto ancora a ritirarsi per un disalberamento quando navigava a poche miglia dal leader; mentre nel 1996, edizione tragica e avvincente ben descritta dal libro di Derek Lundy, il mare dimenticato, è da registrare anche l’arrivo al sesto posto di Catherine Chabaud, prima donna a concludere il giro del mondo in solitaria.

 

Meglio di lei farà la giovanissima Ellen MacArthur nell’edizione del 2000-2001, la prima dopo l’inasprimento delle regole per la sicurezza. I provvedimenti intrapresi funzioneranno bene, visto che da questa edizione in poi verrà invertita la tendenza che vedeva sempre più imbarcazioni ritirate rispetto a quelle arrivate al traguardo. Tornando alla gara, oltre ad un notevole abbassamento dei tempi di percorrenza si registra un avvincente scontro a tre tra i francesi Michel Desjoyeaux, Roland Jourdain e la ventiquattrenne britannica da Whatstandwell, MacArthur. Il primo a scappare fu il quarto incomodo Yves Parlier, che però abbandonerà la prova rompendo l’albero e perdendo la bussola. La MacArthur deviò per portargli assistenza ma fu invitata dalla giuria a riprendere la rotta una volta ristabiliti i contatti con lo skipper francese. Scesa in quarta posizione la giovanissima inglese non si perse d’animo recuperando fino addirittura a superare Desjoyeaux. Sfortuna volle che un container semisommerso danneggiò la sua chiglia e, costretta a fermarsi per le riparazioni, perse tempo prezioso. Arriverà seconda con un giorno di ritardo sul vincitore e due di vantaggio su Jourdain ma sarà accolta a Les Sables con un clamore ancora superiore. Bella ed esemplare è anche la conclusione della vicenda di Parlier. Fermatosi all’ancora a largo della Nuova Zelanda, stette giorni fermo per fabbricare un nuovo timone in fibra di carbonio con i pezzi di quello rotto precedentemente. Ripartì arrivando ufficialmente tredicesimo.

 

Il successo eccezionale ormai raggiunto da questa avvincente ed estenuante competizione verrà testimoniato dai trecentomila spettatori che nel 2004 assisteranno assiepati sulle spiagge della baia di Biscay alla partenza della quinta edizione. Dopo 10 giorni di gara, cosa mai successa prima, tutti i concorrenti sono ancora in gara e dopo 87 giorni e 10 ore sarà il francese Vincent Riou ad entrare per primo nel porto di Les Sables, sole sette ore davanti al connazionale Jean Le Cam e ventinove sul britannico Mike Golding. La Vendée Globe ha raggiunto in pochissimi anni lo status di regata mitica, destando interesse e passione intorno ad una disciplina come la vela, da sempre ancorata nell’immaginario collettivo alla sola Coppa America. Non solo: per i nuovi sconvolgimenti con cui la secolare America’s Cup si vedrà alle prese dal 2013 (Catamarani al posto della barche di classe YACC col rischio di un divario ampio tra i contendenti e di regate già decise dopo la prima bolina) non è da escludere che una competizione così semplice e genuina nella formula quanto difficile ed eroica nella sostanza, possa riscuotere ancora più successo.

 

In una ideale panoramica di competizioni veliche così avventurose non si possono non menzionare altre due prove estremamente significative: la Route du Rhum e la Ocean Race. La Rotta del Rhum è una traversata dell’oceano Atlantico in solitaria che si svolge con cadenza quadriennale dall’autunno del 1978. Nasce, grazie a Bernard Hass, segretario generale del CODERUM (il sindacato dei produttori di zucchero e rhum nelle Antille) ed a Florent de Kersauson, uomo d’affari francese, che inventano la regata per pubblicizzare i prodotti locali e la filiera del Rhum. Da Saint-Malo in Francia fino a Pointe-à-Pitre nelle Guadalupe, lungo circa 3.510 miglia di navigazione, attualmente in meno di una decina di giorni (7 giorni e 17 ore il record di Lionel Lemonchois). Il successo è immediato, grazie anche all’avvincente arrivo della prima edizione che vede il canadese Mike Birch trionfare con meno di due minuti di scarto dopo oltre 23 giorni di gara sul francese Michel Malinovsky. Molti i velisti che si sono fatti le ossa in questa gara prima di approdare con successo alle grandi corse planetarie in solitario, tra cui i già citati Ellen MacArthur, Michel Desjoyeaux, Philippe Poupon, Alain Gautier e Roland Jourdain.

 

La Ocean Race, da non confondere con la 5 Oceans Race, nome odierno dell’Around Alone, è invece una prova con equipaggio a tappe intorno al mondo riservata perlopiù a yacht di 60 piedi. Inizialmente si chiamava Whitbred - Round The World Race ed era organizzata dalla Royal Naval Sailing Association. Nella prova si cimentano dal 1973 nomi noti della vela olimpica e della Coppa America, tra cui spiccano la leggenda neozelandese Sir Peter Blake, il connazionale e skipper di lungo corso Grant Dalton, il “baffo” indimenticato timoniere del Moro di Venezia Paul Cayard, e il brasiliano, tattico di Luna Rossa e pluricampione olimpico, Torben Grael. L’unico a bissare il successo è però ad oggi l’olandese Conny van Rietschoten, vincitore nelle edizioni del 1977-78 e del 1981-82. Giunta alla settima edizione, la Volvo - Ocean Race (dal nome dello sponsor, come Velux - 5 Oceans Race è il nome ufficiale della Around Alone n.d.r.) la formula prevede 10 tappe oltre ad alcune regate di flotta altamente spettacolari.

 

In calce merita un piccolo approfondimento l’esemplare vicenda Soldini - Autissier accennata precedentemente. Durante la terza tappa della Around Alone 1998-99 da Auckland a Punta del Este, l’imbarcazione della francese Isabelle Autissier ha un incidente dovuto ad un’errata manovra del pilota automatico e si ribalta in pieno pacifico del sud proprio nelle acque in cui pochi anni prima era scomparso Gerry Roufs impegnato nella Vendée Globe. Per la Autissier, irraggiungibile a qualsiasi mezzo di soccorso da terra, le uniche speranze sono riposte in altri due concorrenti: Marc Thiercelin su Somewhere, distante 70 miglia e Giovanni Soldini, su Fila, a 150. C’è anche la flotta dei “50 piedi” in arrivo, ma sono distanti giorni di navigazione e senza sistemi di posizionamento Gps il suo scafo, PRB, potrebbe andare alla deriva e la sua chiglia rovesciata diventare un minuscolo ago in un gigantesco pagliaio ghiacciato. Conscio di questo Soldini devia prontamente la rotta e, con l’aiuto delle carte nautiche e di quelle meteorologiche, ipotizza il posizionamento della barca rovesciata scorgendone qualche ora dopo l’estremità galleggiante. La storia troverà ampia eco sulla stampa di tutto il mondo, scatenando ancora una volta il dibattito sul senso di queste imprese.

 

Citando un mirabile editoriale dell’epoca dello storico sportivo Elio Trifari sulla Gazzetta dello Sport – Magazine che si interrogava in proposito: “Va detto che dall’epoca delle colonne d’Ercole in avanti, l’uomo ha sentito e subìto il fascino dell’esplorazione del pianeta come un modo per esserne sempre più compiutamente coinvolto. In questo quadro anche le imprese in solitario conservano un significato e uno scopo: e il clamore che suscitano ha il sapore di una partecipazione collettiva a una sfida che, in definitiva, investe tutti noi”.


 

 

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