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N. 87 - Marzo 2015 (CXVIII)

Vassallo e signore

storia di una dialettica medievale - PARTE I
di Francesco Carbonaro

 

Tra i vari luoghi comuni che contraddistinguono l’epoca che il Cellario definì come Medium Aevum vi è quello dell’identificazione di tale periodo con il più particolare ma anche più sfaccettato feudalesimo.

 

Spesso si compie una vera e propria commistione che porta, erroneamente, ad antidatare un fenomeno che si verificò, nella sua compiutezza solo tra l’XI e il XII secolo, ovvero in quel periodo definito basso Medioevo.

 

Gli studi più recenti tendono infatti a ridimensionare un fenomeno che per lungo tempo è stato legato e indicato come “simbolo” dell’alto Medioevo. A convalidare una tesi ormai del tutto accettata interviene una prova che, se può apparire parziale, è inconfutabile.

 

Il termine “feudalesimo” compare, non a caso, in quei secoli indicati sopra, ovvero all’alba del nuovo millennio che ha portato a compimento processi già avviatesi nei secoli precedenti. Non bisogna, infatti, commettere l’errore opposto di considerare il feudalesimo come un prodotto che non abbia radici e che sia nato solo per una congiuntura storica. Dobbiamo ragionare di storia secondo i termini cari a Braudel e, dunque, prendere in considerazione fenomeni che si sviluppano in maniera differente lungo il tempo della storia.

 

Se volessimo individuare il nucleo che contiene in nuce quello che poi si svilupperà in quella fitta trama di rapporti feudali con la famosa piramide che ne consegue (sulla quale grava il peso di un’eccessiva semplificazione), dovremmo risalire al periodo della tarda romanità durante la quale il popolo mediterraneo, ovvero quello romano, entra in collisione con le popolazioni germaniche portatrici di nuovi usi e costumi.

 

Di questo incontro – scontro ci parla Tacito che, nella sua opera etnografica “Germania”, descrive con lucidità quella che era l’usanza invalsa tra i germani di circondarsi di uomini fidati i quali si ponevano sotto la tutela di un “signore” più potente, al fine di ricevere protezione ma soprattutto per raggiungere il riconoscimento (tema fondamentale per qualsiasi popolo) all’interno della società.

 

L’autore latino descrive il meccanismo della trustis che racchiude in sé il termine che indica fiducia (o fideltas) componente essenziale che caratterizzava il processo di avvicinamento tra un guerriero e il suo capo. Si offrivano le proprie armi, insieme alla propria lealtà, al re il quale non mancava di fare avere “benefici” agli antitrustiores.

 

Vi era, dunque, un meccanismo di reciproco guadagno che permetteva al re o capo di avere una cerchia di uomini armati, cosa che assicurava una certa rilevanza all’interno della componente sociale; il guerriero da parte sua guadagnava l’entrata nel mondo delle armi dato che queste, molte volte, erano assicurate proprio dal capo e dunque, a sua volta, acquisiva prestigio sociale.

 

Questo meccanismo permetteva la creazione di una società fortemente parcellizzata intorno a gruppi di uomini in armi che attorniavano il dux, così è definito dalle fonti colui che concede proprio tale honor. La trustis trovò, dunque, ampia diffusione in quella che è definita la tarda antichità, ovvero quei secoli che stanno a cavallo della convenzionale data di fine romanità e inizio Medioevo.

 

La dissoluzione dell’impero romano portò un nuovo equilibrio che andò a intaccare quelle che erano state le simmetrie latine in seno alla società e non solo. In area franca, si venne a formare un’entità statale forte sotto i merovingi i cui successi furono largamente attribuibili a una politica di consolidamento politico come testimonia la promulgazione della legge salica (510 d. C.).

 

Tuttavia tale organismo aveva, al contempo, forti elementi di debolezza che, principalmente risiedevano nello sviluppo che avevano avuto quei rapporti di cui ci parla Tacito ma che avevano assunto una fisionomia peculiare e capillare. Anche i longobardi avevano invaso nel 568 l’Italia non sotto una comune egida ma divisi in fare che, sostanzialmente, erano traslati di quei gruppi di giovani guerrieri che si riunivano attorno un unico signore.

 

Fu in Austrasia che tale meccanismo diede grandi frutti. In quella regione bagnata dal Reno, Pipino di Heristal era detentore di grandi possedimenti i quali erano compenso dei servigi che i milites al suo servizio prestavano. Carlo Martello, il celebre vincitore di Potiers (752 d. C.) e i successori fecero leva su tale rapporto “vassallatico”, aumentandone le proporzioni e in particolare Pipino il breve fu il primo che lo sfruttò a proprio diretto vantaggio.

 

Se, infatti, Carlo Martello aveva vinto gli arabi per il re franco, Pipino il breve, grazie al rapporto clientelare che gli assicurava una strenua fedeltà da parte dei suoi milites, riuscì laddove nessuno era mai arrivato: spodestò il sovrano Childerico III, dopo essersi fatto maggiordomo, che, in principio, indicava una sorta di primo ministro.

 

Senza la clientela alle sue spalle non si può comprendere come egli abbia potuto rinchiudere il sovrano in un monastero senza che alcuno gli si opponesse. La cerchia clientelare che lo supportava rendeva vano qualsiasi tentativo da parte di qualsivoglia altro pretendente o difensore della corona, di frapporsi tra Pipino e il raggiungimento del suo obiettivo.

 

Pipino, la cui casata non aveva avuto alcun retaggio regale (elemento a svantaggio da non sottovalutare), raggiunse, dunque, il dominio grazie a una fitta trama di rapporti clientelari che possiamo, a ragione, definire “vassallatico - beneficiari”. Tale struttura ereditata dal figlio Carlo Magno è considerata, da molti studiosi, l’elemento di debolezza che portò il Sacro Romano Impero alla divisione; in realtà furono una serie di cause che condussero a questo esito.

 

Ciò che più interessa qui indagare sono le modalità con le quali i rapporti    vassallatico – beneficiari trovarono diffusione nel territorio imperiale. Gli anni dei pipinidi sono, infatti, quelli che regolarono e perfezionarono un meccanismo già esistente. Innanzi tutto si andò a regolarizzare o, per meglio dire, ufficializzare la cerimonia attraverso la quale si diveniva “uomo di un altro uomo”; non è un caso che si adoperava il termine homage che include la parola homo.

 

Venne instaurato un rituale durante il quale il miles vassallo metteva le proprie mani in quelle del proprio signore con il quale si scambiava un bacio; vi sono argomenti a favore del fatto che le mani giunte, adoperata dagli oranti, derivi proprio da tale cerimonia visto l’immediato slittamento di significato di cui fu oggetto, come testimonia tanta parta della poesia provenzale nella quale è la donna il midons, signore. Si può facilmente vedere come tale rapporto permeò tutta la società divenendone il mattone fondamentale; esso fu alla base di una serie di dinamiche non solo sociali ma anche culturali come testimonia il rapido accenno alla poesia provenzale.

 

Il signore dunque garantiva la propria protezione sul miles che gli avesse assicurato i propri servitia e dunque la propria fidelitas. Sostanzialmente il processo era analogo a quello presente nel sistema curtense; la differenza, non di poco conto, risiedeva nella natura del servitium; di carattere agricolo e dunque più umile per i praebendari, di natura militare e dunque più prestigioso per i milites.

 

Sotto Carlo Magno l’estensione dei territori assoggettati crebbe e con essi la necessità di controllo; per far si che nessun territorio rimanesse fuori dal controllo imperiale, si venne sempre più diffondendo l’usanza di donare l’honor comitale a uno dei milites, accompagnando tale carica con un terreno compreso nel territorio destinato a essere controllato. Illuminante al fine di comprendere la reale natura dell’organismo statuale franco è lo studio di Giovanni Tabacco che usa l’espressione “sperimentazione dei poteri” per indicare i tentativi fatti da Carlo al fine di trovare il giusto equilibrio.

 

Il possedimento, infatti, era correlato alla carica che si ricopriva e, dunque, almeno nominalmente, appartenete alla corona; tuttavia, soprattutto dopo la morte di Carlo Magno, la cui forte personalità aveva celato quelli che erano elementi di debolezza, e in seguito alla progressiva riduzione di controllo da parte dei successori, si assisté a un’appropriazione di questi territori tanto che molti di essi divennero ereditari e dunque beni allodiali.

 

Con la mancanza di un potere centrale forte si vennero a formare le signorie di banno sulle quali la discussione storica è ancora in atto. Con “banno” (dal germanico ban) si intende il potere che molti di questi signori vennero a esercitare sui propri territori; un potere che, molte volte, travalicava le deleghe che erano state date dall’alto. In altre parole, di fronte alla quasi assenza di un potere centrale, essi si arrogarono prerogative, come quelle giudiziarie, che, in un primo momento, erano in esclusiva del sovrano.

 

Tra il 778 – 779 Carlo Magno aveva promulgato un capitolare che proibiva ai signori di circondarsi di seguiti armati, forse il sovrano franco temeva quello che poi successe; il fatto che questo capitolare passò quasi del tutto inosservato ci porta a pensare che proprio i rapporti vassallatico – beneficiari giocarono un ruolo determinante nella dissoluzione dell’ordine pubblico.

 

L’assenza di una personalità forte come lo era stato Carlo condusse ineluttabilmente a una frammentazione del regno franco; le fonti del periodo, non a caso, parlano di regna a indicare la parcellizzazione nella quale incorse il regno franco sotto Ludovico, figlio di Carlo, ma soprattutto in seguito alle lotte che condussero a una suddivisione del territorio. Si registrò un’assimilazione della res de comitatu, ovvero la carica e i benefici a essa connessi, con i beni di famiglia.

 

Si assisté a quella che Tabacco ha definito “allodializzazione del potere”, formula che accentua la personalizzazione delle prerogative non solo politiche, o latamente istituzionali, ma soprattutto giudiziarie dato che i signori erano divenuti re nei propri territori.



 

 

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