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N. 47 - Novembre 2011 (LXXVIII)

La valle dell’Arno

tra storia e geografia
di Salvina Pizzuoli

 

Molte delle antiche civiltà sono nate lungo un corso d’acqua, invogliate all’insediamento proprio dalla presenza di un fiume, ma con il quale hanno dovuto rapportarsi, costruendo la loro storia in sintonia con i suoi elementi.

 

A volte il fiume ha unito le popolazioni, a volte le ha divise; altre volte il fiume ha elargito prosperità per poi riprendersela, affogandola nella forza del suo impeto. In ogni caso esso ha sempre costituito un fattore determinante nella vita associata che si è sviluppata lungo il suo corso, influenzandone ogni aspetto del vivere nelle attività che al fiume sono connesse, nei legami con il territorio, nel rispetto che si stabilisce tra l’elemento naturale e le società che con esso convivono.

 

Nella sua storia l’Arno non ha avuto vita facile e ha dovuto adoperarsi per costruire il proprio percorso, soprattutto quando, dopo il Pratomagno, si snodava dentro una valle stretta e piena di strozzature, come sottolineano i toponimi Valle dell’Imbuto e Stretta o Gola dell’Incisa mentre il masso della Gonfolina o Golfolina, un blocco di roccia arenaria conosciuto anche con il nome di Masso delle fate, occupava le due rive del fiume bloccandone il corso verso il mare, allora molto vicino tanto che il nostro piano di Firenze suoleva essere quasi tutto pantano fino presso a Firenze per 1' altezza della pietra Gonfolina presso Signa, la quale fu poi per opera di maestri tagliata e abbassata, e sgorgarono 1' acque, e diventò piano fruttifero e sano.

Lo studioso ottocentesco Repetti, nel Dizionario geografico fisico storico della Toscana, affidava invece la rasura nel seno della Golfolina all’opera tutta o quasi tutta della natura, piuttosto che tagliata dall’arte, siccome fu creduto da molti storici a partire dal buon Villani.

 

Il paesaggio dopo Signa offre invece al visitatore scorci pittoreschi che si aprono in scenari più ampi e arrotondati per allargarsi poi nella piana dominata dalla catena del monte Pisano; dopo averlo costeggiato, il fiume sfocia nel mar Tirreno, ma in tempi remoti un braccio di mare lo isolava e una serie di acquitrini e lagune occupava i territori lungo il suo corso verso est fino al monte Albano. La foce era molto più arretrata rispetto a oggi e articolava in più rami l’ampio delta e tutta la linea di costa era meno protratta rispetto all’attuale, tanto che il mare lambiva le pendici delle Alpi Apuane.

 

Il delta di un fiume è il risultato di un processo di sedimentazione che si determina alla foce quando la corrente non ha energia sufficiente; i frammenti più grossolani si depositano alla base e quelli più fini in livelli più prossimi alla superficie dando vita a lingue sabbiose che corrono parallele alla costa, formando lidi, tumuli e tomboli.

 

Intorno all’ottavo-quinto secolo a.C. le lingue di terra che si erano formate, con le loro propaggini chiudevano il mare dando vita a lagune riparate e pertanto adatte alla nascita di piccoli attracchi; probabilmente, nella sponda più interna della laguna, la più protetta, gli Etruschi avevano già creato una serie di moli e piccoli approdi, nello stesso luogo dove poi nacque Pisa.

 

Al tempo degli Etruschi tutta la foce pullulava di ampie zone acquitrinose e di conche lacustri.

 

L’ambiente non era certo salubre a causa delle nebbie persistenti e la presenza dell’acqua stagnate; migliore quello delle colline, dove gli Etruschi infatti si insediarono in città-stato fortificate. Per i loro scambi commerciali cercarono poi la via per raggiungere il porto di Spina sull’Adriatico, un importante emporio marittimo nel quale avvenivano gli scambi tra le merci provenienti dalla Grecia e dall’oriente con quelle del nord dell’Europa con i loro carichi di pellicce e di ambra; cercarono pertanto un guado lungo l’Arno per arrivare ad un valico appenninico che mettesse in relazione le loro città stato, soprattutto Volterra, con la Pianura Padana. Trovarono il guado sull’Arno spingendosi sempre più a est e lo controllarono poi dall’alto della collina dove fondarono Fiesole. Da qui, seguendo le valli del Mugnone e della Sieve, attraverso il passo della Futa, raggiungevano la Pianura Padana. Il percorso era contrassegnato dalla presenza di tre città da loro fondate a tutelarne la conquista: Fiesole, Marzabotto e Felsina, l’antica Bologna.

 

Con i Romani la situazione cambia; grazie al grosso potenziale di braccia di cui disponevano, erano riusciti a condurre ampie opere di bonifica ottimizzando il territorio delle pianure. La centuriazione romana che veniva tracciata per bonificare i terreni acquitrinosi delle pianure, aveva lasciato una traccia profonda nella riduzione degli stessi; le paludi a nord dell’Arno erano diminuite riducendosi a piccoli laghi, quello di Fucecchio e di Bientina. Il delta dell’Arno era ormai costituito di tre rami principali e lungo la costa si era formato un sistema lagunare. Inoltre i Romani avevano unificato i due territori della vallata a nord e a sud del fiume che ora fungeva da via di collegamento tra il mare e l’entroterra. Un impianto viario inoltre si stendeva lungo le pianure bonificate, un articolato sistema di ponti sui fiumi e di strade lastricate che consentiva collegamenti più veloci e agevoli di quelli etruschi.

 

La via Clodia, la via Aurelia e la via Cassia sono le direttrici importanti nella valle dell’Arno a sud; l’Arno stesso è una via importante perché navigabile dalla foce fino a Firenze, l’ultima delle colonie romane, sorta all’altezza dell’antico guado etrusco, centro importante di collegamento con il mare Tirreno a ovest e l’Adriatico a est, attraverso antichi valichi appenninici.

 

Alla foce dell’Arno, sugli antichi centri di approdo etruschi, i Romani fondarono Pisa e la resero un importante nodo di comunicazione marittimo, e non solo; rappresentava infatti un crocevia tra il Tirreno e l’entroterra e, lungo la via Aurelia, verso Roma.

Pisa romana era un centro commerciale di notevole importanza e constava di diversi ancoraggi.

 

Nel tempo, alle trasformazioni geografiche a opera dei fiumi e delle acque marine, si aggiunsero quelle storiche legate alla crisi e alla successiva caduta dell’impero romano d’occidente: le pianure furono abbandonate perché meno protette; i terreni non più coltivati permisero alle acque di riprendere il loro percorso primitivo; lungo le coste e nelle depressioni della vallata a nord le paludi si erano nuovamente ampliate mentre il delta del fiume si era protratto per cui le lagune che circondavano Pisa erano in gran parte interrate insieme agli antichi scali.

 

Con il Mille e la ripresa degli scambi le città torneranno a nuova vita attraverso le attività manifatturiere e i commerci. L’Arno e i percorsi della via Francigena diventano infrastrutture viarie importanti in quanto le paludi avevano reso impraticabile la via Aurelia che correva lungo la costa e l’impaludamento della Val di Chiana rendeva difficoltoso il transito della via Cassia a sud di Arezzo. In questo periodo la valle, dopo l’abbandono determinato dalla caduta dell’impero romano, conosce una nuova fioritura urbana: Firenze ha la prima rinascita nel periodo comunale e Pisa tra il XII e il XIII secolo diventa una delle maggiori potenze marinare con la sua posizione strategica a cavallo tra il mar Ligure e il Tirreno.

 

Tutta la valle, estremamente antropizzata, è un brulichio di floride contrade spesso in guerra tra loro per la conquista e l’egemonia su territori sempre più ampi; se le popolazioni della valle seminano morte e distruzione nel contendersi i confini territoriali, l’Arno dall’altra per il suo regime torrentizio spesso tracima portando altri tipi di strage, disastrando la valle che ha contribuito a formare e a rendere florida e popolosa. Nel racconto dello storico Inghirami in Storia della Toscana del 1842 troviamo traccia di una delle alluvioni del fiume che coinvolsero pesantemente tutta la valle a causa delle piogge torrenziali che riempirono a dismisura il suo letto nell’anno 1333.

 

Questa perversa pioggia continuò sempre per quattro giorni e per quattro notti. Il fiume d'Arno crebbe per questo gran diluvio in tant' abbondanza d’ acqua, che prima onde si muove, scendendo dalle Alpi straripò con grandi mine e forte impeto, che sommerse molto del piano del Casentino; e poi tutto il piano d’Arezzo e del Valdarno di sopra per modo,che tutto il coperse d'acqua. La Sieve soverchiò le sponde con non minor violenza ed allagò tutto il Mugello. Ogni piccol ruscello che metteva dell' Arno sembrava un gran fiume. Fuggivano le genti di casa in casa, e di tetto in tetto facendo ponti da una casa all'altra. Tutti i mulini , tutte le case fabbricate lungo i fiumi , tutti gli alberi piantati sulle loro rive, furon divelti e strascinati dall' impeto delle acque. Quelle che già sollevavansi otto in dieci braccia al di sopra dei piani , urtavano con istraordinaria forza contro le mura di Firenze. Finalmente il quarto giorno atterrarono il muro ed entrarono in città pel Corso de'tintori, dopo avervi fatta un'apertura larga 100 braccia. In pari tempo caddero tre dei quattro ponti che attraversavano l'Arno: l'acqua inondava tutta la città, e molte case scosse dall'impeto delle acque caddero seppellendo gli abitanti sotto le loro rovine, e quelle che rimanevano in piedi erano ripiene d'una fetida melma. I fondachi di questa ricca città così trafficanti furono quasi tutti distrutti dalle acque. Incalcolabile fu il danno dei privali, e quel che toccò al comune fu più che a 5o,ooo fiorini . Finalmente le acque alzandosi sempre più in città , le mura non ne sostennero il peso, e nella notte dal 5 al 6 novembre cadde la muraglia d’Ognissanti, e per la fatta apertura di 4 braccia, l'acqua scolò verso pian d’Arno di sotto. Tutta la Toscana fu devastata da così orribile allagamento} i piani venner coperti dalle acque, le colline e le montagne rase del loro terriccio. Molti villaggi furono affatto distrutti dalla violenza dei torrenti, e tutti i seminati andaron perduti. Pisa situata in più basso luogo di Firenze,non si sottrasse a sì grande infortunio, che per la nuova strada che le acque si aprirono al di sotto della città, rovesciandosi per metà ne l’Arnaccio, e per l'altra nel letto del Serchio. La successiva sciagura di Pisa fu cagionata da una tempesta di venti e piogge accompagnati da spessi e focosi lampi…. Empoli pure fu mezzo distrutto con molte altre terre.

 

Con maggiore precisione Giovanni Villani nelle Istorie fiorentine racconta delle altre terre che lungo il corso del fiume ebbero a soffrire della sua furia seguendo il detto diluvio apresso la città verso ponente, tutto il piano di Legnaia, e d'Ertignano, e di Settimo, d'Ormannoro, Campi, Brozzi, Sammoro, Peretola, e Micciole infino a Signa, e del contado di Prato, coperse l'Arno diversamente in grande altezza, guastando i campi,vigne, menandone masserizie, e le case e molina e molte genti e quasi tutte le bestie; e poi passato Montelupo e Capraia, e per la giunta di più fiumi che di sotto a Firenze mettono in Arno, i quali ciascuno venne rabbiosamente rovinando tutti i loro ponti. Per simile modo e maggiormente coperse l'Arno e guastò il Valdarno di sotto, e Pontormo e Empoli e Santa Croce e Castelfranco, e gran parte de le mura di quelle terre rovinaro, e tutto il piano di San Miniato e di Fucecchio e Monte Topoli e di Marti al Ponte ad Era. E giugnendo a Pisa sarebbe tutta sommersa, se non che l'Arno sboccò dal fosso Arnonico e dal borgo a le Capanne nello stagno; il quale stagno poi fece un grande e profondo canale infino in mare, che prima non v'era; e da l'altro lato di Pisa isgorgò ne li Osori e mise nel fiume del Serchio; ma con tutto ciò molto allagò di Pisa, e fecevi gran danno, e guastò tutto 'l piano di Valdiserchio e intorno a Pisa, ma poi vi lasciò tanto terreno, che alzò in più parti due braccia con grande utile del paese.



 

 

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