.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

.

filosofia & religione


N. 85 - Gennaio 2015 (CXVI)

Sull’elezione di Papa Francesco
in risposta a chi parla di invalidità

di Claudio Gentile

 

Nelle scorse settimane ha avuto una imponente eco mediatica, destando notevoli perplessità, la tesi esposta da Antonio Socci in una sua recente pubblicazione, nella quale sostiene, avvalendosi della ricostruzione della giornalista Elisabetta Piquè, che, il 13 marzo 2013, siano state violate almeno tre (pag. 110) disposizioni della Costituzione Apostolica Universi Dominici gregis (UDG).

 

Di conseguenza, ai sensi dell’art. 76 («Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritto nella presente Costituzione o non fossero state osservate le condizioni qui stabilite, l’elezione è per ciò stesso nulla e invalida, senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito e, quindi, essa non conferisce alcun diritto alla persona eletta»), il giornalista italiano asserisce l’invalidità e la nullità dell’elezione di Papa Francesco.

 

Socci racconta che un cardinale ha involontariamente deposto nell’urna due schede attaccate, di cui una con il nome del suo prescelto ed una bianca, e per questo motivo, al momento dello spoglio, in fase di conteggio delle schede, trovandosi una scheda in più rispetto agli elettori, si è invalidata l’intera votazione.

 

La prima violazione riguarda proprio l’annullamento di una votazione che doveva invece essere ritenuta valida.

 

Per sostenere la sua tesi il giornalista italiano cita l’art. 69 del testo pontificio che recita: «Qualora nello spoglio dei voti gli Scrutatori trovassero due schede piegate in modo da sembrare compilate da un solo elettore, se esse portano lo stesso nome vanno conteggiate per un solo voto, se invece portano due nomi diversi, nessuno dei due voti sarà valido; tuttavia, in nessuno dei due casi viene annullata la votazione».

Annullata indebitamente la votazione, già la quarta della giornata, si è proceduto direttamente - questa la seconda irregolarità denunciata dal Socci – ad un nuovo voto, nonostante quanto prescritto dall’art. 72 della UDG che prevede solo quattro scrutini al giorno, due al mattino e due al pomeriggio («Confermando le disposizioni dei miei predecessori, San Pio X, Pio XII e Paolo VI, prescrivo che - eccettuato il pomeriggio dell’ingresso in Conclave -, sia al mattino, sia nel pomeriggio, subito dopo una votazione in cui non abbia avuto luogo l’elezione, i Cardinali elettori procedano immediatamente ad una seconda, in cui esprimano nuovamente il loro voto. In questo secondo scrutinio devono essere osservate tutte le modalità del primo, con la differenza che gli elettori non sono tenuti ad emettere un nuovo giuramento, né ad eleggere nuovi Scrutatori, Infirmarii e Revisori, valendo a tale scopo anche per il secondo scrutinio ciò che è stato fatto nel primo, senza alcuna ripetizione»).

 

In aggiunta alla violazione delle norme sull’elezione di Bergoglio, Socci ritiene che Benedetto XVI non abbia mai rinunciato al munus petrino, ma solo al ministero, cioè all’esercizio attivo, all’esecuzione concreta, del potere di governo sulla Chiesa universale, e ciò renderebbe non vacante la Sede Apostolica.

 

Una terza violazione (pag. 121) riguarderebbe, infine, l’apertura delle schede in fase di conteggio. Ciò, infatti, è possibile solo nella fase successiva e cioè quella di spoglio vero e proprio.

 

Orbene dinanzi a tali doglianze, il giurista non può che rifarsi ai testi normativi e, alla luce di questi, ritenere assolutamente infondate le asserzioni del saggista.

 

Preliminarmente è da sciogliere il dubbio riguardante la rinuncia all’incarico effettuata da Papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2013 (cfr. Benedetto XVI, declaratio De muneris Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri abdicatione, 11 febbraio 2013, in Acta Apostolicae Sedis, 105 (2013), 239-240) e, quindi, sulla vacanza o meno della Sede Apostolica.

 

La vacanza si ha in caso di cessazione dall’ufficio per quattro ragioni: morte, certa e perpetua pazzia o totale infermità mentale, notoria apostasia, eresia e scisma, rinuncia.

 

Per aversi valida rinuncia, ai sensi del 332, §2, del Codice di Diritto Canonico, si richiede che essa «sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti».

 

Le condizioni per la rinuncia, pertanto, sono due: deve essere libera e debitamente manifestata.

 

Riguardo alla prima condizione una rinuncia viziata da timore grave, dolo, errore sostanziale o simonia, sarebbe ipso iure invalida (cfr. can. 188). Ad oggi nulla ci potrebbe far dire che il gesto, forte ed umile, di Ratzinger non sia stato libero, né - seconda condizione - debitamente manifestato.

 

Infatti, essa è avvenuta pubblicamente e davanti a molti testimoni (il can. 189, prevede che sia fatta «per iscritto oppure oralmente di fronte a due testimoni»), anzi addirittura durante la celebrazione di Concistoro ordinario pubblico, giuridicamente disciplinato (cfr. can. 353).

 

È evidente, allora, che Benedetto XVI, utilizzando un’antica possibilità offertagli dal diritto (can. 332: «§2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti»), dimettendosi non è più Sommo Pontefice della Chiesa Universale e, pertanto, anche in analogia con quanto prescritto per gli altri uffici ecclesiastici, non ha alcuna potestà e non può più intromettersi in alcun affare di governo.

 

Infatti, la tesi di Socci (che riprende S. Violi, La rinuncia di Benedetto XVI. Tra storia, diritto e coscienza, in Rivista Teologica di Lugano, 18 (2013), 155-166), di dividere il munus dal ministero “attivo”, se può essere discusso da un punto di vista teologico, è privo di fondamento giuridico, in quanto canonisticamente la rinuncia ad un qualsiasi ufficio implica la cessazione volontaria dall’esercizio dell’ufficio stesso.

 

Ammettendo per assurdo che una volta eletti Papa lo si è per sempre da un punto di vista ontologico (similmente cessa giuridicamente dall’ufficio anche un Papa pazzo o eretico e può essere eletto legittimamente un nuovo Papa; altrimenti si avrebbe una vacanza fino alla morte del Papa dichiarato pazzo o eretico), è comunque nella piena libertà del Pontefice regnante, massima espressione della sua potestas, rinunciare all’esercizio del munus petrino.

 

Cosa diversa è la rinuncia dei Vescovi ad un ufficio: essi lasciano l’esercizio dell’incarico che prima detenevano restando Vescovi. L’episcopato, infatti, è un Sacramento che imprime un carattere. Il Papa, invece, non è un “supervescovo”, non è un ulteriore grado dell’Ordine sacro, ma sacramentalmente un vescovo come gli altri, anche se con funzioni e compiti differenti iure divino.

 

Va quindi distinto l’aspetto sacramentale da quello giuridico. Se così non fosse, se l’elezione a Papa creasse un qualcosa di irrinunciabile, non si potrebbe neanche procedere a sostituire un Papa pazzo o eretico, così come giuridicamente possibile oggi.

 

Tralasciamo comunque quanto viene discusso da teologi, canonisti e liturgisti sulla sacramentalità o meno del munus petrino e sullo status del Pontefice rinunciatario.

           

Assodata la validità della rinuncia di Benedetto XVI, che è stata - lo ripetiamo - libera e debitamente manifestata, e, di conseguenza, la vacanza della Sede Apostolica, passiamo ora a verificare le altre affermazioni del Socci, presupponendo che quanto raccontato da lui e dalla Piquè fosse vero.

 

Egli stesso, infatti, rammenta che nella Cappella Sistina entrano solo ed esclusivamente i Cardinali, i quali, in forza delle norme (cfr. artt. 59 e 60) e del giuramento effettuato (cfr. artt. 52 e 53), hanno l’obbligo di mantenere il segreto su tutto ciò che in qualsiasi modo riguarda l’elezione e su ciò che avviene nel luogo dell’elezione, concernete direttamente o indirettamente lo scrutinio, così come tutti «coloro che, - pena la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica - in qualsiasi modo … prestano la loro opera di servizio per le incombenze inerenti all’elezione, e che direttamente o indirettamente potrebbero comunque violare il segreto - riguardi esso parole o scritti, o segni, o qualsiasi altra cosa - dovranno assolutamente evitarlo» (art. 58. Cfr. anche artt. 46, 47 e 48).

 

L’Autore, credendo assurdo che qualche Cardinale o ecclesiastico presente durante lo svolgimento dell’elezione ha violato il segreto sui fatti accaduti in Conclave, oltraggiando il giuramento prestato toccando i Vangeli, insinua che l’andamento degli scrutini, l’annullamento di una votazione e la successiva elezione del Card. Jorge Mario Bergoglio al Sommo Pontificato siano stati riferiti alla giornalista argentina dallo stesso Papa, il quale è l’unico che può divulgare i fatti del Conclave.

 

Ci sembra risibile, però, quanto afferma l’Autore per ritenere vera la ricostruzione dei fatti raccontati dalla Pique alle pagg. 39-40 del suo volume, che «ha avuto solo conferme e nessuna smentita» (pag. 123). Infatti, chi mai potrebbe confermare o smentire quanto svoltosi in Conclave se non i Cardinali presenti, i quali, però, sono vincolati al segreto? Il giornalista Tornielli o L’Osservatore Romano o la Radio Vaticana, per il solo fatto che hanno lodato la biografia del Pontefice scritta dalla giornalista, non sono certo “istituzioni” che posso confermare o smentire i fatti.

 

Detto ciò, analiziamo le violazioni della Costituzione Apostolica riferite da Socci.

 

Lo stesso Autore ci dice che la scoperta di una scheda in più è avvenuta «in fase di conteggio e non di scrutinio» (pag. 117) delle schede.

 

Pertanto, non deve essere preso in considerazione l’art. 69 della UDG, come fa l’Autore, che disciplina lo scrutinio delle schede, ma l’art. 68 («… l’ultimo Scrutatore procede al conteggio di esse, prendendole in maniera visibile una ad una dall’urna e riponendole in un altro recipiente vuoto, già preparato a tale scopo. Se il numero delle schede non corrisponde al numero degli elettori, bisogna bruciarle tutte e procedere subito ad una seconda votazione; se invece corrisponde al numero degli elettori, segue lo spoglio …»), che, invece, detta disposizioni per la fase precedente e cioè quello del conteggio delle schede, la stessa fase in cui l’Autore conferma si era.

 

Di conseguenza, se dal conteggio sono risultate esservi 116 schede, anziché 115 quanti cioè erano i cardinali partecipanti al Conclave, non vi è stata violazione, ma anzi rispetto totale del dettato normativo e quindi bene è stato fatto nell’annullare la votazione e procedere subito ad un’altra.

 

La norma in questione, infatti, mira proprio a verificare, per la validità dell’elezione, che il numero delle schede coincida con gli elettori.

 

Quanto disposto dall’art. 68 della UDG lo ritroviamo anche nel can. 173 § 3 del CIC, il quale afferma: «Se il numero dei voti supera il numero degli elettori, nulla si è realizzato».

 

E non c’è contraddizione tra le soluzioni offerte dagli articoli 68 e 69 ad un medesimo problema, come affermato dal Socci (pag. 117), cioè annullamento totale della votazione o solo del voto, perché ci troviamo in due momenti temporali differenti, il conteggio (art. 68) e lo spoglio (art. 69), e non si potrebbe avere il secondo se non eseguito e concluso il primo.

 

Nel primo caso, già nel conteggio delle schede se ne ha una in più (quindi sono “distaccate” tra loro) e non potendo individuare come ha votato il cardinale “distratto”, si annulla tutta la votazione; nel secondo caso, invece, già controllato il numero delle schede, che risultavano essere di numero pari agli elettori, è più facile capire la presenza di un errore (perché veramente le schede sono «piegate in modo da sembrare compilate da un solo elettore») e quindi decidere se mantenere o annullare le singole schede, dando una via d’uscita agli Scrutatori.

 

Se non si ragionasse per fasi, allora sì che ci sarebbe contraddizione tra le norme. Quale articolo si dovrebbe utilizzare, il 68 o il 69? E perché uno anziché l’altro?

 

L’Autore (pag. 118), per ovviare alla non applicazione dell’art. 68, ritiene che non importa il “quando” siano state ritrovate le schede, cioè se in fase di conteggio o di spoglio, ma il “come” (“attaccate” una all’altra) e, quindi andrebbe applicato direttamente l’art. 69 (sarebbe interessante capire come due schede da 20 cm x 14 si “attacchino” e non si stacchino dopo averle deposte nell’urna, smosse e prese per il conteggio. Al massimo possano essere piegate una dentro l’altra. Invero anche la Costituzione Apostolica non utilizza il termine “attaccate”, ma «duas schedulas ita complicatas, ut ab uno tantum datas esse appareat, …»).

 

Tale tesi non può essere accolta. Infatti se nella fase preliminare dello scrutinio, quello cioè del conteggio delle schede, non è stata riscontrata la coincidenza tra elettori e votanti, non è possibile passare alla fase successiva dello scrutinio. E ciò spiega non solo la presenza di due articoli con due soluzioni differenti, ma anche quale articolo utilizzare, se il 68 o il 69, a seconda del momento dello scrutinio in cui ci troviamo.

 

Pertanto, premesso che si era in fase di conteggio e che il numero delle schede era superiore a quello dei votanti, secondo quanto riferisce lo stesso Socci, non si può non applicare l’art. 68 che impone l’annullamento della votazione e la sua ripetizione.

 

L’Autore ritiene che applicando in questi casi l’art. 68 uno o più Cardinali potrebbero attuare azioni di sabotaggio del Conclave nel caso cui non volessero far eleggere qualche candidato a loro avverso inserendo una scheda in più nell’urna.

 

Anche se tecnicamente possibile, ritengo inverosimile avanzare dubbi così rilevanti sulla buona fede dei Cardinali sia perché non si tiene conto dell’alto compito a cui sono chiamati in quel preciso momento degli uomini di Chiesa, sia perché in tal caso gli Scrutatori potrebbero verificare più attentamente a) che gli elettori tengano in alto, prima del voto, una sola scheda e b) che ciascuno inserisca una sola scheda, così come in tutte le elezioni che si svolgono nel mondo (L’art. 66 prevede che «ciascun Cardinale elettore, in ordine di precedenza, dopo aver scritto e piegato la scheda, tenendola sollevata in modo che sia visibile la porta all’altare, presso il quale stanno gli Scrutatori e sul quale è posto un recipiente coperto da un piatto per raccogliere le schede. Giunto colà, il Cardinale elettore pronuncia ad alta voce la seguente formula di giuramento …. Depone, quindi, la scheda nel piatto e con questo la introduce nel recipiente. Eseguito ciò, fa inchino all’altare e torna al suo posto»).

 

L’errore sull’inserimento di due schede, quindi, può avvenire una volta, al massimo due, non oltre.

           

Veniamo ora alla seconda presunta violazione riferita dal Socci e cioè il divieto di un’ulteriore votazione nella giornata del 13 marzo, essendo quella annullata già la quarta ed ultima.

 

È vero che l’art. 72 della UDG prevede, ad eccezione del pomeriggio d’inizio del Conclave, un massimo di quattro votazioni al giorno, due al mattino e due al pomeriggio, tuttavia anche in questo caso i Padri Cardinali riuniti in Conclave non hanno violato alcunché.

 

Infatti, avendo proceduto ad annullare la quarta votazione per i motivi di cui sopra è stato rispettato in pieno il testo legislativo pontificio che prevede che si proceda, dopo l’annullamento ex art. 68, ad una nuova votazione.

 

Questa nuova, valida, votazione è da ritenersi a tutti gli effetti la quarta ed ultima della giornata. Quella annullata, per il diritto, è come non fosse mai esistita: tamquam non esset o «nihil est actum» per riprendere il can. 173, § 3.

 

Infine è necessario chiarire un’ultima violazione, la terza, riferita dal Socci e cioè l’apertura delle schede in fase di conteggio.

 

Infatti, l’Autore ci dice che le due schede attaccate erano una segnata con il nome del prescelto ed un’altra bianca.

 

Ora, non sappiamo esattamente se ciò fosse stato scoperto in fase di conteggio delle schede e come siano andate effettivamente le cose o se, comunque, lo si è venuto a sapere dopo, magari dallo stesso Cardinale “distratto”, tuttavia l’aver trovato una scheda in più in fase di conteggio e annullata la votazione assorbe qualsiasi eventuale errore commesso dagli scrutatori e, comunque, non sarebbe un errore nella procedura invalidante dell’intera votazione.

 

L’Autore conclude il capitolo del suo volume ritenendo utile convocare un nuovo Conclave per sanare la questione e per non creare una prassi materiale differente a quanto previsto dalla UDG, anche perché, citando autorevole dottrina canonistica (cfr. S. C. Corral - V. De Paolis - G. Ghirlanda (a cura di), Nuovo dizionario di diritto canonico, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, 937), ritiene che in dubio il Papa non è Papa.

 

È da notare, però, che non è il dubbio di uno o di pochi a rendere vana l’elezione di un Pontefice, a maggior ragione se nessun Cardinale, da quanto risulta, né durante, e neanche dopo il Conclave, ha ritenuto invalida l’elezione e quindi “inabile” al ministero petrino Papa Francesco.

 

Sarebbe, pertanto, assolutamente fuori luogo, oltre che assolutamente un pericoloso precedente, convocare un nuovo Conclave (convocare un Conclave vivente Pontifice, inoltre, porrebbe non pochi problemi “organizzativi”. P.es.: chi lo convocherebbe? Chi dichiarerebbe “deposto” l’attuale Pontefice? Etc.).

 

Per i motivi sopra esposti, pertanto, l’elezione del Card. Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio è legittima e valida a tutti gli effetti e «dal momento dell’accettazione» ha ottenuto «la potestà piena e suprema sulla Chiesa» (can. 332, § 1).

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Socci, Non è Francesco. La chiesa nella grande tempesta, Mondadori, Milano 2014.

E. Piquè, Francesco. Vita e rivoluzione, Lindau, Torino 2014.

Giovanni Paolo II, Costituzione Apostolica Universi Dominici gregis, 22 febbraio 1996, in Acta Apostolicae Sedis, 88 (1996), 305-343.

Giovanni Paolo II, Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983, in Acta Apostolicae Sedis, 75 (1983), Pars II.

G. Ghirlanda, Cessazione dall’ufficio di Romano Pontefice, in Civiltà Cattolica, 2013, I, 445-462.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.