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N. 30 - Giugno 2010 (LXI)

ASIA, BUDDHA E UN REPORTER SENZA LAVORO
PARTE XIV – FRAMMENTI DI VIAGGI PASSATI

di Gianrigo Marletta

 

Rishikesh, India
Sei o sette giorni sono passati, ma qui a Rishikesh già dal secondo la mia vita si era stabilizzata in una schematica e tranquilla monotonia giornaliera.

Se non fosse stato per gli omini arancioni a quest’ora la pace in me sarebbe stata alle stelle.

Gli omini arancioni stanno rovinando gran parte di questa mia vacanza spirituale, la mia ira nei loro confronti mi sta mettendo duramente alla prova e le pratiche spirituali che proprio in questi giorni sto imparando per la prima volta sono continuamente sotto esame.

Gli omini arancioni appartengono a quel trancio di fedeli induisti, provenienti da ogni parte dell’India del nord, che venerano in particolar modo il dio Shiva. Ahimè Rishikesh è la città del dio Shiva e, ogni anno, nei giorni tra il 4 ed il 14 Luglio, si celebra la festa dedicata proprio a lui ed al suo tempio.

Tali “fedeli”, completamente vestiti di arancione, spaziano tra un’età di dodici e trent’anni, con qualche eccezione. In quei dieci giorni invadono l’intera cittadina urlando a squarciagola ad ogni ora del giorno e della notte. Preferiscono un particolare mantra che ripetono e ripetono a non finire: “Bam Bam Bambulè!”.

Vanno in giro notte e giorno in gruppo e diventano violenti, non amano molto gli stranieri e si comportano, più che da fedeli, da veri e propri hooligan, disincantando così il sublime shanti che governa su questo paesino. Un gruppo di loro la settimana scorsa è arrivato addirittura ad uccidere, stuprando una turista giapponese gettandola poi nel Gange.

Le mie giornate così cariche di faccende iniziano sempre presto. La prima parte della mattinata è dedicata alle lezioni di respirazione e meditazione.

Respirazione. Un’azione normale, automatica, scontata eppure anche così sottovalutata. Respirare è importante, questo lo si sa appena.

Dal grado di ossigenazione del cervello dipendono moltissimi fattori fisici ed emotivi. Una cattiva respirazione porta a malattie dovute all’ovvia mancanza di ossigeno nei vari organi e dal sovraccarico di anidride carbonica. Il primo va inalato correttamente, in abbondanza.

Il secondo va esalato, eliminato da ogni cellula del corpo. In India insegnano una pratica ben precisa chiamata Pranayama, una pratica semplice dai benefici molteplici.

In ogni Ashram di questo paese vengono dedicate ore al Pranayama, più che allo Yoga.

Alle dieci iniziano le prediche di Swami Dharmananda, un simpatico Saddhu sulla sessantina dalla barba ed i capelli neri e lunghissimi. Nelle due ore di sermone, Swami Dharmananda parla di tutto, spiega la visone indiana della vita, la risposta induista alle mille domande dell’uomo, illustra i sacri testi e lo fa in maniera incredibilmente interessante.

Le persone, solitamente viaggiatori sui vent’anni che riempiono la stanza a dieci, quindici alla volta, ad ogni lezione rimangono puntualmente di stucco. Ascoltano, imparano, con bocca aperta e senza quasi mai cambiare posizione.

Moltissimo ho imparato nelle due ore quotidiane passate ad ascoltare Swami Dharmananda e altro non faccio che consigliare alle persone dirette da quelle parti di passare al suo Ashram, il Sri Ven Nikketan Ashram, per provare l’esperienza delle sue omelie.
Il pomeriggio è dedicato allo yoga con il maestro Krishna. Un’ora e mezza a stirare i muscoli, a stendere i legamenti, a ossigenare il cervello, regalando benessere a corpo e mente. Un’ora e mezza di piacere; una sensazione che poi rimane per il resto della giornata.

La spiritualità di questa città mi ha ormai penetrato fino alle ossa. Stasera ho meditato e cantato mantra al Gange seduto su una roccia posata sulla sponda del fiume, era quasi buio: “Om Ganganamaha”.

Ora mi sento in silenzio, non ho voglia di dire niente, né di parlare con nessuno.

Mi sento svuotato delle stronzate e riempito di santo spirito. In un mese ho solo e già raggiunto questo.

Un anno in questo posto e sfido chiunque a tornare in quel frenetico correre in nessuna direzione.

Plastica, plastica, plastica!
Seduto sulla riva occidentale del Gange nel punto in cui si presenta non ancora nelle sue maestose dimensioni, chiudo gli occhi e odo l’opera. La voce melodiosa dello scorrere dell’acqua.

Mi piace immaginarne la purezza e la freschezza. Vorrei non sapere di tutto quello che c’è dentro, di ciò che i milioni di abitanti ci buttano dentro, della quantità infinita di plastica e spazzatura che in ogni istante viene così semplicemente e spensieratamente regalata a questo fiume così sacro.

I sacchetti di plastica, mi disse una volta un geologo in Tailandia, sono gli assassini principali dei delfini e delle tartarughe marine che, scambiandoli per meduse, li inghiottono soffocando lentamente.

E qui di sacchetti di plastica ne vengono gettati davvero tanti.

Questa putrida sporcizia in tanto splendore naturale e spirituale mi fa rabbia e schifo.

Ma chiudendo gli occhi ed ascoltando soltanto, sento la bellezza e vedo lo splendore.

Vorrei aiutare il fiume e i delfini, le persone a capire.

Vorrei che questo smettesse, che le industrie finissero, almeno qui, di distribuire tanta plastica, in gran parte totalmente inutile.

Vorrei sensibilizzare la gente e i piccoli venditori di prodotti di plastica. Tra non molto saremo ricoperti di bottiglie di shampoo, acqua e coca cola, saremo invasi da sacchetti e sacchettini, soffocheremo in stupidi involucri.

Se li sperdiamo nell’ambiente non si bio-degradano se li bruciamo i loro fumi ci tolgono l’ossigeno. La plastica viene prodotta e non smaltita, in pochi paesi riciclata in moltissimi sparsa nell’ambiente.

In India come in altri paesi si possono fare delle piccole cose per, non dico salvare, ma cercar di ridurre il disperato disperdere della plastica nei fiumi, nei mari e nelle foreste.

Basta davvero poco per cercar di ridurre l'inevitabile danno che ogni turista reca all'ambiente che visita.

Purtroppo, a meno che avvenga un miracolo, la direzione che questo mondo sta prendendo sembra essere puntata verso una rapida distruzione. Il massiccio inquinamento dei fiumi e dell'aria, il disboscamento delle poche aree verdi rimaste, la creazione illimitata di plastica e tanti altri materiali distruttivi e corrosivi fanno pensare ad un rapido, ovvio e idiota suicidio/omicidio.

Almeno per la propria coscienza però, qualcosa si può fare, qualche accorgimento lo si può prendere, una busta di plastica al fiume la si può risparmiare.

Ecco alcuni pratici consigli che ho da dare ai viaggiatori che soprattutto si recano in quei paesi del Terzo Mondo i quali non dispongono di nessun sistema di riciclo o di smistamento dei rifiuti.

Molto spesso negli alberghi o guest house troviamo un cestino per la spazzatura, ma questo non significa che ciò che ci buttiamo dentro andrà a finire in una discarica, anzi!

Novantanove volte su cento quello finisce in qualche bosco, sulla riva di qualche fiume oppure su qualche spiaggia non occupata dai turisti. Consiglio quindi di evitare di gettare rifiuti di plastica.

Le cose piccole (spazzolino usato, dentifricio finito, bottiglia di shampoo, contenitori, batterie, ecc..) se il viaggio non dura tantissimo, si possono mettere all'interno di un sacchetto, infilarli in qualche tasca del bagaglio e riportarli nel proprio paese. Evitare di comprare cose che creano rifiuti, o scegliere tra le varie possibilità quella che inquina di meno.

Molti paesi finalmente stanno iniziando ad adottare l’utilissimo sistema di riempire le bottiglie d'acqua dei turisti con acqua che loro stessi bollono e filtrano. Quindi comprando una sola bottiglia, la si può riempire in continuazione presso questi luoghi che, molto spesso, sono ostelli, ristoranti, negozietti di alimenti o di souvenir. Quando si compra, questi paesi come si sa sono molto famosi per il loro irresistibile shopping, basta dire al negoziante che non vogliamo la busta di plastica. Procurarsi una borsa di cotone, che vendono in ogni angolo della strada di ogni paese turistico del mondo, e riempire quella di souvenir.

L'acqua per molti paesi è un bene tanto sacro quanto raro. E visto che piove sempre sul bagnato, la stragrande maggioranza di essa viene utilizzata per i grandi alberghi e le strutture turistiche.

Un piccolo e semplice gesto, tipo chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti o ci si fa la barba, oppure ridurre la durata di una doccia, conserva davvero tanti, tanti litri di questo prezioso liquido.

Uttarkashi
Un incantevole suono ed è il piccolo ma fortissimo puro Ganga.

Uno, due, cinque maestosi verdi monti vellutati ed è Himalaya.

Quella casetta di pietra la su, che mi attira così tanto, accende in me tutte le più belle fantasie.

Gli alberi di pino sembrano spilli conficcati nel morbido velluto che ricopre le montagne.

Gli uccelli amano molto questo spettacolo perché lo festeggiano con teneri balli e canti riempiendo l’atmosfera già satura di purezza e romanticismo.

Ma gli uomini no! Perché lì, sulla destra, ad un solo chilometro da qui con il loro cemento, plastica, alluminio, polistirolo, pvc e grezzo metallo hanno rovinato questa fetta di mondo con la loro baraccopoli.

Ma se riporto lo sguardo a sinistra mi rallegro e vedo i monti crescere e lentamente innalzarsi verso il loro bianco impero. Himalaya.

Himalaya
Sono verdi le Himalaya a luglio, caspita se son verdi.

Dopo due giorni di dura e sudata scalata mi trovo su una vetta alta circa 3500 metri. Fa molto freddo e ci sono nuvole dappertutto, sopra, sotto, destra, sinistra.

Proprio in questo istante si sono avvicinati due muli curiosi con dei collari coloratissimi e i multipli campanellini suonano ad ogni movimento. Nulla sembra reale.

Ora una nuvola che come mille spiriti sta scappando dal sole, strusciandosi sulla montagna, investendoci, rendendo la vista sfocata ed i vestiti umidi. In lontananza si odono due o più ruscelli e intorno a me il folto prato è macchiato qua e là da coloratissimi fiori gialli, azzurri, viola e bianchi. Krishna ed io stiamo aspettando le nostre guide che sono andate a “caccia” di cibo in un vicino villaggio di capanne.

Ieri, nel bel mezzo della nostra scalata, ci siamo imbattuti in uno di questi villaggi. Le case, così come i loro recinti, erano semplicemente dei cumuli di legna. Da ogni abitazione usciva un filo di fumo.

I visi degli abitanti erano così marcati e pieni di minuziosi particolari che sembravano scolpiti da un’artista rinascimentale. Le loro vesti, coloratissime. Ad un tratto, mentre barattavamo per un po’ di riso e qualche patata, ci venne incontro una ragazzina. Avrà avuto diciassette anni, i lineamenti bellissimi.

Appoggiato sulla testa teneva in bilico un vassoio con quattro bicchieri di metallo pieni. Me ne fu offerto uno ed io dovetti berne il contenuto: latte pieno di palline condensate che odorava di piedi.

Stanotte a dormire nella tenda da due eravamo in quattro. Faceva troppo freddo ed impietositi, Krishna ed io, abbiamo invitato le guide a dormire dentro con noi. Il loro ringraziamento ci è stato mostrato a modo tutto loro, con rumorosi e puzzolenti scorreggioni durati, ad intermittenza, tutta la notte.

Arrivati sul punto dove piazzarci dovevamo fare in fretta perché il sole si era già tuffato dietro le montagne.

Montata la tenda toccava immediatamente la preparazione della cena. Dieci tipi di verdura, un po’ d’acqua, sale e una pentola a pressione sono stati i giusti ingredienti da mettere sul fuoco. Impastati poi acqua e farina sono usciti fuori degli ottimi chapati che, oltre da carboidrati, fungevano anche da posate.

Nel bel mentre delle mie faccende in cucina il mio stomaco ha deciso di espellere tutto quello che fin dal primo momento non lo aveva convinto... le dannate palline condensate galleggianti in quel latte di piedi offertomi da quella ragazzina dai lineamenti bellissimi. Usai le foglie al posto della carta igienica.

30 Luglio, da qualche parte.
Boeing 747-300 dell’Air India. Di ritorno, questa volta da solo.

Ho dormito quasi tutto il volo avendo passato la notte in piedi per cercar di cambiare il biglietto.

Ho finito i soldi e devo rientrare prima.

Vivere bene, in pace e con amore sono i tre concetti principali che ho imparato in questo viaggio. Solo pochi anni fa mi sarei preso in giro per questa affermazione, dandomi del “fricchettone”, ora invece lo credo fermamente.

So che se uno imparasse ad analizzare e poi ad interiorizzare questi concetti diventerebbe una persona solida e felice.

Vivere Bene, in Pace e con Amore.

In effetti questi sono solo la meta finale di un percorso verso la ricerca di essi. Ma basta semplicemente capire che quella È una meta che il primo passo verso di loro già è stato fatto. In India miliardi di persone da migliaia di anni si sono dedicati interamente alla filosofia del lieto vivere e dell’alta spiritualità. L’estrema povertà materiale ne è la conferma.

Viaggiando in questo paese si ha la possibilità di incontrare, di assorbire con corpo e anima, l’immensa ricchezza che, sottoforma di sapere ed energia, aleggia nell’aria penetrandosi in ogni ricercatore intento a captarla.

Vi sono uomini e donne semplici e felici. Vi sono maestri che si chiamano tali solo perché sanno contagiare, senza prediche e senza fedi, il sorriso ad altri. Nel mio caso anche solo uno o due incontri con una di queste persone mi hanno dato molto di più di lunghissimi anni di scuola.

Tornare per smaltire le informazioni catturate, per interiorizzare le cento e una filosofia apprese, per continuare a praticare i Sadana (gli esercizi spirituali) e la meditazione, è ciò che va fatto.

Devo digerire il tutto e proprio come in un processo di digestione devo elaborare, filtrare, tenere, suddividere ed eliminare, infine, le scorie.

È un lavoro che non vedo l’ora di fare, è un passo verso una direzione che nemmeno mi immaginavo esistesse.

Non credere in Dio è legittimo per coloro che, come me, non sanno che nello spirito non si può solo credere. Bisogna conoscerlo.

È giusto non credere in qualcosa che non si conosce, è nella natura dell’uomo.

Rispetto di più le persone che, anche senza aver tentato minimamente di conoscere, affermano di “non credere”, di quella massa umana che va avanti credendo in qualcosa senza sapere di cosa si tratti.

In India, come in altri paesi, non si sono fermati alla “fede”, bensì hanno scavato nel profondo delle loro esistenze e cosa ne è uscito fuori? Lo yoga, la meditazione, il Pranayama.

Tecniche pratiche, scientifiche, efficaci. Volte a migliorare il morale delle persone, la loro salute, il loro spirito, la propria anima.

Non credere a questo è legittimo ma è davvero un gran peccato perché c’è, è lì, basta andarlo a cercare.

Io con tutto il mio scetticismo ho sperimentato personalmente, sul mio corpo e nella mia mente, che vi è qualcosa di molto più semplice ed amorevole del dio con la barba bianca ed il fulmine in mano.

Una realtà superiore che se non vogliamo chiamarla “risposta a tutte le risposte” possiamo semplicemente individuare come una tecnica per il lieto vivere, una scoperta che rende più felici, meno appesantiti e decisamente più sereni.


 

 

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