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attualità


N. 21 - Settembre 2009 (LII)

aSIA, BUDDHA E UN REPORTER SENZA LAVORO
PARTE V - VIETNAM
di Gianrigo Marletta

 

Il confine tra Cambogia e Vietnam è un altro di quei passaggi, una linea invisibile, tra due mondi tanto vicini quanto diversi.

 

Della Cambogia ho provato immediata malinconia. Sporca, povera e gentile si sente subito la sua mancanza. Sporco, ben più ricco e arrogante il Vietnam apre le porte di una moderna, cementata frontiera ad aria condizionata che quasi copre con la sua ombra quella cambogiana dorata a forma di pagoda.

 

Si è ormai lasciati dietro le traballanti strade di sabbia rossa e dinnanzi scorrono, veloci e lisce, le lunghissime autopiste di cemento con tanto di segnaletica verticale.

 

Da ieri scende dal cielo, basso e grigio, un’interminabile pioggerellina, troppo debole per rinchiudersi dentro e troppo continua per permettermi lunghe avventure all’aperto.

 

Seduto alla scrivania della mia minuta stanza d’albergo sfoglio le numerose pagine scritte da Terzani nel libro/documento “Pelle di Leopardo” dove narra, in tutti i dettagli, la lunga e brutale guerra condotta dagli Stati Uniti, di cui Huè ha sentito tutto il peso, il peso esplosivo di tante, troppe, bombe.

 

Vi è una doppia storia che caratterizza il passato di Huè: una antica ed una più recente. La prima risale all’era precedente la nascita di Cristo, quando questa città faceva parte dell’impero Nam Viet e fu governata per ben diciassette secoli dalla dinastia Champa.

 

Nel 1307, in cambio della mano della principessa appartenente alla dinastia Tran, il re Champa, Jaya Sinhavarman III, regalò la città ai vietnamiti.

 

Nel diciottesimo secolo, Huè venne trasformata dall’imperatore Gia Long nella capitale del Vietnam meridionale. Seguì una storia di sballottamenti in cui Huè passò tra le mani di ribelli, comunisti ed imperatori per poi finire, alla fine del diciannovesimo secolo, in quella dei francesi.

 

L’altra storia, quella più recente, risale a soli trent’anni fa, alla Guerra Americana (come viene chiamata qui).

 

Huè è situata a pochi chilometri a sud da quello che una volta era il confine smilitarizzato tra Vietnam del nord (comunista) e Vietnam del sud (sotto il regime pro-capitalista di Thieu). Città dunque molto importante e punto strategico per entrambi le fazioni. Da sempre appartenuta alle forze del sud, Huè, nei mesi che anticiparono la fine del conflitto fu loro sottratta dai Vietcong. Questa perdita rappresentava nel quadro generale ed all’occhio dell’opinione pubblica come una sconfitta troppo decisiva e che dunque andava ripristinata.

 

Fu per questo che Huè, negli anni a cavallo tra i sessanta e i settanta, fu teatro delle più spietate battaglie e poi rasa al suolo dai B-52 americani: “dobbiamo distruggerla per salvarla!” dicevano.

 

L’atro giorno seduto a bere una tazza di tè, ispirato dall’ambiente che mi circondava, ho scattato una foto che ora rimane tra le mie preferite, poi è entrato un branco di turisti, di quelli rumorosi e cafoni, e la domanda è sorta spontanea:

 

Dov’è il piacere di essere miliardari se non si possiede l’arte di sorridere?

 

Dov’è il piacere di essere ricchi se si passa tutta la vita a bramare e a temere di perdere tanta ricchezza?

 

Dov’è il piacere di essere serviti e riveriti quando si conosce la sofferenza e il duro lavoro del nostro inserviente?

 

Dov’è il piacere nel sentirsi superiori quando alla fine si resta soli?

 

Dov’è il piacere di lavorare tutta la vita per dei soldi di cui mai godremo abbastanza?

 

Dov’è il piacere di fare la stessa cosa tutti i giorni e di incavolarsi se tutto non va secondo i piani?

 

Dov’è il piacere di avere più degli altri e dov’è il piacere nel vedere che gli altri hanno meno di noi?

 

Dov’è il piacere di mostrarsi ricchi quando tutt’attorno ci sono poveri?

 

Dov’è il piacere di viaggiare se non si vive la vita locale?

 

Dov’è il piacere di avere le stesse abitudini dalla nascita fino alla morte?

 

Dov’è il piacere nell’indossare gli stessi vestiti e nel mangiare gli stessi cibi per tutta la vita?

 

Dov’è il piacere nel vedere gli altri sudare mentre noi stiamo là a guardare?

 

Dov’è il piacere di veder bellezze se poi non se ne trae ispirazione?

 

Dov’è il piacere di fare, se prima semplicemente non si è?

 

Dov’è il piacere di viaggiare se non si riporta a casa un cuore riempito di novità?

 

Dov’è il piacere di trattar male gli altri, solo perché semplicemente non ci piacciono?

 

Dov’è il piacere nel non dire Grazie, Prego e Per Favore?

 

Dov’è il piacere nel sentire gli altri separati da noi, quando in fondo sappiamo di essere tutti uguali?

 

Dov’è il piacere nel non sapere che tutti gli esseri viventi cercano la stessa cosa: la felicità?

 

Dov’è il piacere se il piacere non lo sappiamo provare?

 

Dov’è il piacere nel rincorrere il piacere e non lasciarlo entrare semplicemente stando fermi?

 

Il piacere è dentro di noi, è ciò che siamo e non ciò che abbiamo, è in ciò che apprezziamo e non ciò che mostriamo, il piacere sta nell’essere e non nel fare e se questo non lo si capisce, che piacere c’è?

 

Finalmente il Vietnam che sognavo! Son seduto al primo piano di un piccolo ristorante di cucina tipica, sulle sponde del fiume Thu Bon, una volta uno dei fiumi più navigati del mondo.

 

Hoi An era un importantissimo porto situato al centro del Vietnam, affacciato sul mar della Cina.

 

Da più di cinquecento anni, fino a solo mezzo secolo fa, qui attraccavano navi mercantili battenti infinite bandiere.

 

Razze di ogni genere, merci di ogni sorta e lingue diversissime in questo porto si incrociavano, si vendevano e si parlavano.

 

Tante culture qui riunite hanno creato un’atmosfera principalmente fatta di piccoli particolari e complessi miscugli di odori. Vicoletti costeggiati da basse palazzine di legno la sera vengono illuminati da lanterne soffuse dai copri lumini colorati ed intarsiati.

 

L’architettura quasi interamente in stile cinese, gli odori del legno invecchiato mischiato a quello degli incensi che esce dalle case, i venditori di pitture in china ed i barcaioli con i loro tipici cappelli a cono fatti di carta di riso rendono l’atmosfera delle lunghe passeggiate magica e misteriosa.

 

L’ispirazione che questo paesino mi trasmise fu tale da farmi scrivere un breve articolo. Questo venne pubblicato ad Hanoi da una rivista anglo-vietnamita.

 

Fu il mio secondo articolo, nella mia vita da reporter senza lavoro, ad essere pubblicato.

 

Come si entra a Hoi An si ha l’impressione di aver raggiunto un’altra città vietnamita priva di particolare personalità e tipica caratteristica.

 

Lunghe strade grigie coperte da negozietti di varie cianfrusaglie utilitarie e venditori di cibo putrido si aprono di fronte allo sguardo di chi, arrivando, guarda fuori dal finestrone del pullman che pian piano entra nel parcheggio della stazione. 

 

Il solito traffico fatto dalle solite motorette rumorose combinate alle solite terribili luci a neon non sembrano nascondere alcun insolito segreto.

 

Hoi An così appare come un’altra città vietnamita priva di anima.

 

Ma se siete sognatori, anime romantiche o semplicemente viaggiatori in cerca d’arte sarete presto riempiti da una gioia immensa quando, per sbaglio, imboccherete la stradina che conduce alla via del fiume.

 

Nessuna droga è stata messa nel vostro pranzo né siete di fronte al set di un film, avete semplicemente fatto un passo indietro, nell’antico passato asiatico dove tutto, da una lanterna ad una palazzina, da un ponte ad una barca, sembra magico e misterioso.

 

Non toccata miracolosamente dalle bombe della guerra americana ed invariata dalle riforme architettoniche comuniste, la bellezza e l’atmosfera di Hoi An sono rimaste quasi identiche al lontano XV secolo, quando questo porto era all’apice della prosperità ed al centro di tutti i traffici commerciali del Mar del Sud della Cina.

 

Bellissimo è perdersi nei vicoletti e farsi avvolgere dalla fragranza dell’antico legno di cui gran parte delle case in stile cinese son fatte. Gli occhi di chiunque gradiranno il fatto che nessuna lampada a neon disturba la quiete pace notturna, ma che tantissimi lumini semplici e fatti di carta, posti qua e là, illuminano la via con la loro luce delicata e colorata.

 

I templi, anch’essi in legno, distribuiscono nell’aria il fumo piacevole degli incensi dando un tocco di profonda spiritualità ad un’ atmosfera già satura di magia.

 

Barche ancora vengono usate al posto dei ponti ed i barcaioli, che indossano i loro tipici cappelli a cono fatti di carta di riso, sorridono ad ogni passante, spesso mostrando loro l’unico dente rimastogli in bocca.

 

Lo shopping sembra essere la principale cosa da fare, ma anche tale semplice e banale attività turistica, qui ad Hoi An, è trasformata in profonda ispirazione per l’anima. Disegni in inchiostro di china o in acrilico, in carboncino o acquarello, rappresentano l’incantevole e semplice stile di vita orientale e l’unica cosa che verrebbe da fare è comprarne uno e magicamente saltarci dentro per viverci per sempre.

 

Alternate a queste botteghe d’arte, appaiono le venditrici di lanterne con i loro prodotti di infiniti colori e misure, gli scultori del legno che lavorano e vendono i loro grandi, medi o piccoli Buddha ciccioni e sorridenti e le sarte, pronte a creare qualsiasi vestito per qualsiasi taglia e gusto.

 

Hoi An è un gioiello, una perla nell’oceano di quest’Asia sempre più materialista, dove i pittori possono ancora trovare particolari nascosti da scoprire e gli scrittori possono perdersi con l’immaginazione nell’antica e romantica brezza che soffia senza fine.

 

Qui dove il numero delle biciclette è più grande di quello dei motorini e i palazzi non più alti delle palme, non serve qualcosa da fare, basta solo aprire il cuore e semplicemente... essere.


 

 

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