N. 46 - Ottobre 2011 
                          
                          (LXXVII)
																						LA TRAGEDIA DI BARLETTA
																						quattro morti Simbolo di un paese alla deriva
																						di Laura Novak
																			 
																						Nella tragedia di Barletta, che in questi giorni rimbalza agli “onori” della cronaca nera, è racchiusa l’Italia di oggi. La nostra Italia, che rispecchia inverosimilmente quella di ieri, che credevamo superata. E che, forse, ci condurrà anche quella di domani. Le quattro donne adulte, rimaste seppellite sotto le macerie della palazzina, erano operaie in nero.
																						Matilde, Giovanna, Antonella e Tina. 
																						
																						Queste quattro donne comuni, tutte trentenni, lavoravano in un maglificio nel capoluogo pugliese solo la mattina, qualche ora, fino ad un massimo di sei ore, a seconda della mole di lavoro da smaltire. La paga oraria sfiorava i quattro euro, mentre un litro di latte costa oggi un euro e mezzo.
																			
																			
																			Il 
																			loro 
																			mondo 
																			lavorativo 
																			era 
																			uno 
																			scantinato, 
																			senza 
																			alcuna 
																			condizione 
																			di 
																			sicurezza, 
																			come 
																			per 
																			esempio 
																			un’uscita 
																			d’emergenza. 
																			Nessun 
																			contratto 
																			di 
																			lavoro 
																			e 
																			nessuna 
																			certezza. 
																			In 
																			Italia 
																			nel 
																			2010 
																			sono 
																			state 
																			contate 
																			circa 
																			1100 
																			vittime 
																			bianche, 
																			le 
																			cosiddette 
																			morti 
																			sul 
																			lavoro, 
																			di 
																			cui 
																			980 
																			deceduti 
																			per 
																			infortuni 
																			sul 
																			lavoro. 
																			Lavoratori 
																			autonomi, 
																			operai, 
																			immigrati 
																			clandestini.
																			
																			
																			Non 
																			sempre 
																			le 
																			aziende 
																			che 
																			utilizzano 
																			il 
																			lavoro 
																			nero 
																			sono 
																			aziende 
																			opportuniste 
																			e 
																			fuori 
																			legge. 
																			Molto 
																			spesso, 
																			come 
																			nel 
																			caso 
																			di 
																			Barletta, 
																			sono 
																			piccole 
																			realtà, 
																			a 
																			conduzione 
																			familiare, 
																			oppresse 
																			dai 
																			debiti 
																			e 
																			senza 
																			le 
																			strutture 
																			idonee 
																			per 
																			poter 
																			far 
																			lavorare 
																			i 
																			dipendenti 
																			in 
																			modo 
																			regolare 
																			e 
																			sicuro.
																			
																			L’unica 
																			superstite 
																			al 
																			crollo, 
																			ora 
																			ricoverata 
																			in 
																			ospedale, 
																			chiede 
																			umanità 
																			e 
																			comprensione 
																			anche 
																			per 
																			la 
																			famiglia 
																			proprietaria 
																			del 
																			maglificio. 
																			Considerati 
																			da 
																			tutti 
																			i 
																			vicini 
																			brave 
																			persone, 
																			perbene 
																			e 
																			oneste, 
																			si 
																			trovano 
																			però 
																			ora 
																			a 
																			combattere 
																			contro 
																			il 
																			dolore 
																			per 
																			la 
																			perdita 
																			di 
																			una 
																			figlia 
																			adolescente 
																			e 
																			contro 
																			il 
																			devastante 
																			senso 
																			di 
																			colpa 
																			per 
																			la 
																			sua 
																			scomparsa 
																			e 
																			per 
																			quella 
																			di 
																			altre 
																			4 
																			donne. 
																			In 
																			attesa 
																			di 
																			capire 
																			se 
																			verranno 
																			anche 
																			denunciati.
																			
																			Il 
																			benemerito 
																			Presidente 
																			della 
																			Repubblica 
																			parla, 
																			a 
																			ben 
																			ragione, 
																			di 
																			condizioni 
																			di 
																			lavoro 
																			disumane, 
																			che 
																			spesso 
																			il 
																			meridione 
																			conosce 
																			quotidianamente. 
																			Ma 
																			non 
																			possiamo 
																			di 
																			certo 
																			continuare 
																			a 
																			pensare 
																			che 
																			esistano 
																			solo 
																			nel 
																			sud 
																			del 
																			nostro 
																			paese. 
																			Di 
																			certo 
																			il 
																			mezzogiorno 
																			continua 
																			ad 
																			avere 
																			sulle 
																			spalle 
																			una 
																			zavorra 
																			pesante 
																			e 
																			difficile 
																			da 
																			smaltire 
																			per 
																			ancore 
																			molte 
																			delle 
																			prossime 
																			generazioni.
																			
																			I 
																			titoli 
																			dei 
																			giornali 
																			e le 
																			dichiarazioni 
																			dei 
																			politici, 
																			attivi 
																			a 
																			strumentalizzare 
																			per 
																			campagne 
																			propagandistiche 
																			anche 
																			questa 
																			ennesima 
																			tragedia, 
																			parlano 
																			di 
																			schiavitù.
																			
																			Un 
																			termine 
																			potente, 
																			che 
																			necessita 
																			di 
																			nuove 
																			definizioni, 
																			più 
																			moderne 
																			e 
																			globalizzate.
																			
																			
																			Evitando 
																			l’accezione 
																			di 
																			coercizione 
																			e 
																			obbligo 
																			fisico 
																			che 
																			la 
																			prima 
																			spiegazione 
																			porta 
																			con 
																			sé, 
																			nel 
																			mondo 
																			del 
																			lavoro 
																			attuale 
																			la 
																			schiavitù 
																			persiste 
																			e 
																			sopravvive, 
																			mutando 
																			il 
																			proprio 
																			aspetto, 
																			in 
																			diretta 
																			relazione 
																			ai 
																			cambiamenti 
																			delle 
																			condizioni 
																			professionali 
																			di 
																			oggi.
																			
																			
																			Di 
																			certo 
																			siamo 
																			schiavi 
																			dei 
																			soldi, 
																			che 
																			non 
																			riusciamo 
																			mai 
																			a 
																			far 
																			bastare 
																			sulla 
																			nostra 
																			tavola; 
																			possiamo 
																			considerarci 
																			schiavi 
																			delle 
																			poche 
																			offerte 
																			del 
																			lavoro 
																			che 
																			riusciamo 
																			a 
																			trovare, 
																			siamo 
																			schiavi 
																			del 
																			lavoro 
																			che 
																			non 
																			c’è 
																			quasi 
																			mai 
																			e 
																			quando 
																			c’è 
																			non 
																			è 
																			mai 
																			come 
																			dovrebbe 
																			essere.
																			Siamo 
																			schiavi 
																			degli 
																			orari, 
																			delle 
																			molte 
																			umiliazioni 
																			e 
																			delle 
																			poche 
																			soddisfazioni 
																			con 
																			cui, 
																			qualche 
																			volta, 
																			veniamo 
																			gratificati. 
																			La 
																			carota 
																			con 
																			l’asino, 
																			potremmo 
																			dire.
																			
																			
																			Ma 
																			perché 
																			allora 
																			accettiamo 
																			consapevoli? 
																			Accettiamo 
																			proprio 
																			perché 
																			siamo 
																			schiavi.
																			
																			La 
																			condizione 
																			attuale 
																			è 
																			più 
																			ampia 
																			di 
																			quanto 
																			si 
																			possa 
																			immaginare 
																			e 
																			soprattutto 
																			eterogenea.
																			
																			Colpisce 
																			senza 
																			discriminazioni 
																			razziali 
																			o di 
																			classe. 
																			Laureati 
																			e 
																			non, 
																			professionisti, 
																			precari, 
																			operai 
																			specializzati, 
																			impiegati, 
																			manodopera 
																			semplice 
																			e da 
																			qualche 
																			anno, 
																			dirigenti 
																			esperti 
																			e 
																			qualificati.
																			
																			Il 
																			luogo 
																			del 
																			disastro 
																			di 
																			Barletta 
																			rappresenta 
																			un 
																			altro 
																			tassello 
																			della 
																			miseria 
																			del 
																			nostro 
																			paese.
																			Dagli 
																			accertamenti 
																			sul 
																			palazzo, 
																			che 
																			nel 
																			giorno 
																			in 
																			cui 
																			scrivo, 
																			sono 
																			ancora 
																			in 
																			atto, 
																			sembrerebbe 
																			che 
																			il 
																			crollo 
																			potesse 
																			essere 
																			evitato. 
																			La 
																			demolizione 
																			di 
																			un 
																			architrave 
																			portante 
																			di 
																			un 
																			palazzo 
																			adiacente 
																			già 
																			lesionato 
																			e in 
																			fase 
																			di 
																			demolizione 
																			per 
																			una 
																			successiva 
																			ristrutturazione, 
																			avrebbe 
																			provocato 
																			la 
																			tragedia.
																			
																			Come 
																			in 
																			moltissime 
																			palazzine 
																			ante 
																			guerra, 
																			strette 
																			e 
																			alte, 
																			il 
																			progetto 
																			di 
																			costruzione 
																			prevedeva 
																			una 
																			forte 
																			correlazione 
																			strutturale 
																			tra 
																			le 
																			palazzine 
																			del 
																			complesso. 
																			Nonostante 
																			le 
																			unità 
																			abitative 
																			fossero 
																			state 
																			acquistate 
																			da 
																			proprietari 
																			diversi 
																			e 
																			venissero 
																			quindi 
																			gestite 
																			indipendentemente, 
																			abbattere 
																			quella 
																			palazzina 
																			già 
																			in 
																			parte 
																			demolita, 
																			avrebbe 
																			significato 
																			ledere 
																			seriamente 
																			la 
																			capacità 
																			strutturale 
																			di 
																			tutte 
																			le 
																			palazzine 
																			correlate, 
																			tra 
																			cui 
																			quella 
																			crollata.
																			
																			
																			Le 
																			crepe 
																			erano 
																			visibili 
																			ormai 
																			da 
																			tempo. 
																			Fin 
																			dai 
																			parziali 
																			smembramenti 
																			della 
																			palazzina 
																			limitrofe.
																			
																			Un 
																			cittadino 
																			semplice, 
																			abitante 
																			della 
																			zona, 
																			aveva 
																			già 
																			segnalato 
																			nei 
																			mesi 
																			antecedenti 
																			alla 
																			strage, 
																			la 
																			pericolosità 
																			dell’intervento, 
																			effettuando 
																			due 
																			esposti 
																			alle 
																			forze 
																			dell’ordine.
																			Il 
																			venerdì 
																			precedente, 
																			mentre 
																			la 
																			ruspa 
																			era 
																			di 
																			nuovo 
																			entrata 
																			in 
																			azione 
																			per 
																			eliminare 
																			i 
																			detriti 
																			della 
																			demolizione 
																			parziale, 
																			un’equipe 
																			tecnica 
																			era 
																			stata 
																			inviata 
																			sul 
																			luogo 
																			del 
																			futuro 
																			disastro, 
																			insieme 
																			ad 
																			una 
																			squadra 
																			di 
																			vigili 
																			del 
																			fuoco.
																			
																			
																			La 
																			visita 
																			ufficiale 
																			dell’ufficio 
																			tecnico 
																			comunale 
																			avrebbe 
																			dovuto 
																			apportare 
																			(nella 
																			speranza 
																			degli 
																			abitanti 
																			della 
																			palazzina, 
																			agitati 
																			e 
																			impauriti 
																			dagli 
																			scricchiolii 
																			che 
																			continuavano 
																			a 
																			percepire 
																			da 
																			giorni) 
																			un’ordinanza 
																			ufficiale, 
																			che 
																			bloccasse 
																			i 
																			lavori, 
																			in 
																			attesa 
																			di 
																			rilevazioni 
																			più 
																			precise.
																			Eppure, 
																			secondo 
																			quanto 
																			appreso 
																			fino 
																			ad 
																			ora, 
																			la 
																			struttura 
																			sembra 
																			essere 
																			stata 
																			considerata 
																			solida. 
																			Nessun 
																			interessamento 
																			sulla 
																			resistenza 
																			delle 
																			mura.
																			
																			
																			Il 
																			lunedì 
																			mattina, 
																			la 
																			ditta 
																			che 
																			aveva 
																			l’appalto 
																			della 
																			demolizione, 
																			senza 
																			alcun 
																			tipo 
																			di 
																			impedimento, 
																			riprende 
																			i 
																			lavori.
																			
																			Alle 
																			12:00 
																			la 
																			palazzina 
																			implode. 
																			Si 
																			piega 
																			come 
																			fosse 
																			di 
																			cartone, 
																			su 
																			se 
																			stessa, 
																			intrappolando 
																			nel 
																			proprio 
																			grembo 
																			cinque 
																			persone, 
																			che 
																			della 
																			loro 
																			vita 
																			avevano 
																			ancora 
																			vissuto 
																			troppo 
																			poco.
																			L’incapacità 
																			di 
																			comprendere 
																			in 
																			anticipo 
																			il 
																			pericolo, 
																			l’impossibilità 
																			di 
																			intervento 
																			oppure 
																			la 
																			non 
																			volontà 
																			di 
																			prendere 
																			decisioni 
																			ferme 
																			e 
																			responsabili, 
																			senza 
																			la 
																			contaminazione 
																			speculativa 
																			ed 
																			economica. 
																			Dov’è 
																			il 
																			giusto 
																			confine?
																			
																			
																			La 
																			nostra 
																			deteriorata 
																			burocrazia 
																			e i 
																			condoni.
																			
																			
																			Il 
																			palazzo 
																			limitrofo 
																			contava 
																			due 
																			piani 
																			aggiuntivi, 
																			abusivi. 
																			Parliamo 
																			di 
																			due 
																			piani, 
																			non 
																			certo 
																			in 
																			un 
																			terrazzino 
																			chiuso 
																			per 
																			farne 
																			una 
																			gradevole 
																			veranda 
																			vista 
																			mare.
																			
																			
																			
																			Nel 
																			nostro 
																			paese, 
																			condono 
																			è 
																			una 
																			parola 
																			magica. 
																			I 
																			condoni 
																			edilizi 
																			finora 
																			sono 
																			stati 
																			quattro: 
																			nel 
																			1985 
																			(governo 
																			Craxi), 
																			uno 
																			nel 
																			1995 
																			(sotto 
																			la 
																			guida 
																			del 
																			governo 
																			tecnico 
																			Dini), 
																			uno 
																			nel 
																			2003 
																			(governo 
																			Berlusconi) 
																			e 
																			nel 
																			2008 
																			(sempre 
																			governo 
																			Berlusconi).
																			
																			In 
																			queste 
																			ore 
																			si 
																			sta 
																			delineando 
																			la 
																			nuovissima 
																			prospettiva 
																			di 
																			un 
																			altro, 
																			l’ennesimo, 
																			condono 
																			edilizio 
																			ma 
																			soprattutto 
																			fiscale.
																			
																			
																			Difficile 
																			comprenderlo 
																			nella 
																			logica 
																			della 
																			guerra 
																			alle 
																			streghe 
																			lanciata 
																			dal 
																			ministro 
																			Tremonti 
																			contro 
																			l’evasione 
																			fiscale. 
																			Il 
																			condono 
																			è il 
																			modo 
																			più 
																			subdolo 
																			perché 
																			gli 
																			evasori 
																			e 
																			gli 
																			abusivisti 
																			mettano 
																			in 
																			pace 
																			dei 
																			sensi 
																			il 
																			loro 
																			portafoglio.
																			
																			
																			Dal 
																			1973 
																			al 
																			2005 
																			secondo 
																			studi 
																			economici, 
																			i 
																			condoni 
																			avrebbero 
																			procurato 
																			alle 
																			casse 
																			dello 
																			stato 
																			un 
																			totale 
																			di 
																			104,5 
																			miliardi 
																			di 
																			euro. 
																			L’evasione 
																			fiscale 
																			ogni 
																			anno 
																			sottrae 
																			a 
																			quelle 
																			stesse 
																			casse 
																			circa 
																			100 
																			miliardi 
																			di 
																			euro.
																			Rispettando 
																			il 
																			clima 
																			di 
																			goliardia 
																			boccaccesca, 
																			che 
																			in 
																			questi 
																			anni 
																			si 
																			respira 
																			nella 
																			politica 
																			italiana, 
																			potremmo 
																			leggere 
																			questi 
																			dati 
																			con 
																			un 
																			caro 
																			invito 
																			cristiano: 
																			perdona 
																			agli 
																			altri 
																			e 
																			verrà 
																			perdonato 
																			a 
																			te.
																			
																			E 
																			allora 
																			dobbiamo 
																			iniziare 
																			a 
																			chiederci: 
																			è 
																			questa, 
																			davvero 
																			l’Italia 
																			che 
																			viviamo 
																			ogni 
																			giorno? 
																			Complice 
																			servile 
																			e 
																			prona 
																			di 
																			tragedie 
																			annunciate?
																			
																			
																			L’unica 
																			cosa 
																			che 
																			resta 
																			sono 
																			macerie. 
																			Macerie 
																			e 
																			detriti, 
																			a 
																			Barletta 
																			come 
																			a 
																			l’Aquila, 
																			in 
																			quella 
																			che 
																			una 
																			volta 
																			era 
																			la 
																			casa 
																			dello 
																			studente. 
																			Trappole 
																			per 
																			topi.
																			
																			Quelle 
																			stesse 
																			macerie 
																			che 
																			parlano 
																			e 
																			raccontano 
																			vite 
																			normali: 
																			un 
																			cassetto 
																			di 
																			legno 
																			di 
																			un 
																			comò 
																			color 
																			noce, 
																			uno 
																			straccio 
																			da 
																			cucina 
																			a 
																			quadretti, 
																			uno 
																			stendibiancheria, 
																			un 
																			materasso 
																			consumato 
																			dal 
																			tempo, 
																			un 
																			tavolo 
																			di 
																			una 
																			sala 
																			da 
																			pranzo 
																			qualunque.
																			
																			Macerie 
																			che 
																			diventano 
																			reliquie.
																							
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			