N. 91 - Luglio 2015 
                          
                          (CXXII)
																						Totila, re dei Goti
																						Istruttoria su una secolare demonizzazione - PARTE I
																						di Anna Bozzetto
																						 
																			
																			
																			
																			«Noi 
																			(storici) 
																			siamo 
																			dei 
																			giudici 
																			istruttori 
																			incaricati 
																			d’una 
																			vasta 
																			inchiesta 
																			sul 
																			passato. 
																			Come 
																			i 
																			nostri 
																			confratelli 
																			del 
																			Palazzo
																			
																			di 
																			Giustizia, 
																			raccogliamo 
																			testimonianze 
																			con 
																			l’aiuto 
																			delle 
																			quali 
																			cerchiamo 
																			di 
																			ricostruire 
																			la 
																			realtà».
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Con 
																			queste 
																			parole, 
																			l’illustre 
																			Marc 
																			Bloch 
																			ha 
																			paragonato 
																			il 
																			lavoro 
																			dello 
																			storico 
																			a 
																			quello 
																			del 
																			giudice 
																			istruttore. 
																			Entrambi 
																			devono 
																			infatti 
																			esaminare 
																			resoconti 
																			di 
																			eventi 
																			a 
																			cui 
																			non 
																			hanno 
																			assistito 
																			e 
																			valutarne 
																			l’attendibilità. 
																			Tendendo 
																			presente 
																			questa 
																			efficace 
																			similitudine, 
																			possiamo 
																			passare 
																			a un 
																			vaglio 
																			critico 
																			le 
																			testimonianze 
																			contraddittorie 
																			su 
																			Totila 
																			re 
																			dei 
																			Goti, 
																			il
																			
																			perfidus 
																			rex 
																			dei 
																			Dialoghi 
																			gregoriani 
																			e il
																			
																			nefandissimus 
																			della 
																			Pragmatica 
																			Sanctio 
																			giustinianea.
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			
																			Procopio 
																			di 
																			Cesarea: 
																			“La 
																			Guerra 
																			Gotica”
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Secondo 
																			la 
																			testimonianza 
																			di 
																			Procopio 
																			di 
																			Cesarea, 
																			intellettuale 
																			della 
																			corte 
																			bizantina 
																			e 
																			cronista 
																			contemporaneo 
																			alla 
																			Guerra 
																			Gotica, 
																			Totila 
																			si 
																			affacciò 
																			alla 
																			Storia 
																			nell’autunno 
																			del 
																			541. 
																			Dopo 
																			la 
																			resa 
																			di 
																			Vitige 
																			e 
																			l’assassinio 
																			di 
																			Ildebado 
																			(zio 
																			paterno 
																			di 
																			Totila), 
																			l’aristocrazia 
																			guerriera 
																			del 
																			suo 
																			popolo 
																			lo 
																			scelse 
																			come 
																			sovrano 
																			sperando 
																			in 
																			una 
																			riscossa. 
																			Il 
																			sovrano 
																			ottenne 
																			dei 
																			successi 
																			militari, 
																			ma 
																			preferiva 
																			le 
																			trattative 
																			agli 
																			scontri 
																			in 
																			campo 
																			aperto. 
																			Procopio 
																			riporta 
																			vari 
																			atti 
																			di 
																			cavalleresca 
																			magnanimità 
																			compiuti 
																			da 
																			Totila. 
																			Quando 
																			nel 
																			543 
																			espugnò 
																			la 
																			piazzaforte 
																			di 
																			Cuma, 
																			il 
																			re 
																			goto 
																			ebbe 
																			cura 
																			che 
																			il 
																			suo 
																			esercito 
																			non 
																			facesse 
																			alcuna 
																			violenza 
																			alle 
																			mogli 
																			dei 
																			senatori 
																			che 
																			si 
																			trovavano 
																			là. 
																			Si 
																			guadagnò 
																			così 
																			con 
																			tale 
																			comportamento
																			
																			
																			
																			«fama 
																			di 
																			saggezza 
																			e 
																			umanità».
																			 
																			
																			
																			
																			Nello 
																			stesso 
																			anno 
																			conquistò 
																			Napoli, 
																			i 
																			cui 
																			abitanti 
																			si 
																			arresero 
																			dopo 
																			un 
																			logorante 
																			assedio. 
																			Al 
																			suo 
																			ingresso 
																			in 
																			città, 
																			sfamò 
																			la 
																			popolazione 
																			stremata. 
																			Si 
																			curò 
																			persino 
																			di 
																			far 
																			nutrire 
																			gradualmente 
																			gli 
																			affamati 
																			perché 
																			non 
																			avessero 
																			danni 
																			da 
																			eccesso 
																			di 
																			cibo 
																			dopo 
																			prolungati 
																			digiuni. 
																			Una 
																			simile 
																			empatia 
																			verso 
																			i 
																			propri 
																			nemici 
																			è un 
																			evento 
																			così 
																			eccezionale 
																			a 
																			quell’epoca 
																			che 
																			Procopio 
																			di 
																			Cesarea 
																			rimase 
																			allibito: 
																			non 
																			si 
																			sarebbe 
																			mai 
																			aspettato 
																			una 
																			simile 
																			generosità 
																			da 
																			un 
																			barbaro. 
																			In 
																			quella 
																			stessa 
																			occasione, 
																			Totila 
																			consentì 
																			ai 
																			soldati 
																			nemici 
																			comandati 
																			da 
																			Conone 
																			di 
																			ritirarsi 
																			via 
																			mare, 
																			ma 
																			una 
																			tempesta 
																			li 
																			bloccò 
																			sul 
																			porto. 
																			Conone 
																			e i 
																			suoi 
																			uomini 
																			temettero 
																			che 
																			i 
																			Goti 
																			li 
																			attaccassero 
																			a 
																			tradimento. 
																			Il 
																			re 
																			lo 
																			seppe 
																			e 
																			rinnovò 
																			loro 
																			le 
																			sue 
																			promesse. 
																			Dopo 
																			diversi 
																			giorni, 
																			il 
																			vento 
																			contrario 
																			impediva 
																			ancora 
																			la 
																			navigazione. 
																			Allora, 
																			il 
																			contingente 
																			nemico 
																			dovette 
																			ritirarsi 
																			via 
																			terra 
																			e 
																			Totila 
																			lo 
																			rifornì 
																			addirittura 
																			di 
																			provviste 
																			per 
																			il 
																			viaggio, 
																			di 
																			cavalli 
																			e di 
																			bestie 
																			da 
																			tiro.
																			 
																			
																			
																			
																			Probabilmente 
																			il 
																			trattamento 
																			generoso 
																			riservato 
																			alla 
																			città 
																			fu 
																			dovuto 
																			al 
																			fatto 
																			che 
																			essa 
																			resistette 
																			alle 
																			truppe 
																			di 
																			Belisario 
																			nell’anno 
																			535.
																			 
																			
																			
																			
																			Totila 
																			punì 
																			senza 
																			remore 
																			un 
																			suo 
																			soldato 
																			che 
																			aveva 
																			violentato 
																			una 
																			ragazza. 
																			Il 
																			padre 
																			della 
																			fanciulla, 
																			un 
																			cittadino 
																			romano, 
																			si 
																			era 
																			presentato 
																			da 
																			lui 
																			per 
																			denunciargli 
																			il 
																			fatto. 
																			Il 
																			re 
																			ordinò 
																			d’incarcerare 
																			il 
																			soldato. 
																			I 
																			suoi 
																			comandanti 
																			gli 
																			chiesero 
																			di 
																			perdonare 
																			il 
																			misfatto 
																			perché 
																			si 
																			trattava 
																			di 
																			un 
																			guerriero 
																			valoroso. 
																			Totila 
																			rispose:
																			
																			«Non 
																			è 
																			possibile 
																			che 
																			un 
																			uomo 
																			che 
																			si è 
																			macchiato 
																			compiendo 
																			un 
																			atto 
																			di 
																			violenza 
																			acquisti 
																			gloria 
																			in 
																			combattimento!».
																			
																			E il 
																			soldato 
																			ricevette 
																			un 
																			castigo 
																			esemplare: 
																			il 
																			re 
																			lo 
																			fece 
																			giustiziare 
																			e 
																			assegnò 
																			alla 
																			ragazza 
																			i 
																			beni 
																			del 
																			colpevole 
																			a 
																			titolo 
																			di 
																			risarcimento.
																			 
																			
																			
																			
																			Procopio 
																			di 
																			Cesarea 
																			ci 
																			racconta 
																			anche 
																			della 
																			pietà 
																			dimostrata 
																			da 
																			Totila 
																			quando 
																			conquistò 
																			Roma, 
																			nell’anno 
																			546. 
																			Innanzitutto, 
																			proibì 
																			ai 
																			suoi 
																			soldati 
																			d’inseguire 
																			i 
																			Bizantini 
																			fuggiaschi. 
																			Disse 
																			loro:
																			«Cosa 
																			ci 
																			può 
																			essere 
																			di 
																			più 
																			piacevole 
																			per 
																			un 
																			uomo 
																			che 
																			un 
																			nemico 
																			in 
																			fuga?». 
																			Poi 
																			andò 
																			a 
																			pregare 
																			nella 
																			basilica 
																			di 
																			San 
																			Pietro, 
																			come 
																			già 
																			aveva 
																			fatto 
																			nell’anno 
																			500 
																			il 
																			suo 
																			predecessore 
																			Teodorico. 
																			I 
																			Goti 
																			entrarono 
																			nella 
																			città 
																			e si 
																			rischiò 
																			un 
																			massacro. 
																			Così, 
																			il 
																			diacono 
																			Pelagio 
																			andò 
																			a 
																			supplicare 
																			Totila 
																			nella 
																			basilica 
																			chiedendo 
																			pietà 
																			per 
																			la 
																			popolazione. 
																			Il 
																			re 
																			lo 
																			ascoltò. 
																			Ordinò 
																			ai 
																			suoi 
																			uomini 
																			di 
																			non 
																			infierire 
																			più 
																			su 
																			nessuno 
																			e 
																			protesse 
																			anche 
																			Rusticiana, 
																			vedova 
																			di 
																			Boezio:
																			
																			i 
																			Goti 
																			accusavano 
																			la 
																			donna 
																			di 
																			aver 
																			finanziato 
																			l’esercito 
																			bizantino 
																			e di 
																			aver 
																			distrutto 
																			alcune 
																			statue 
																			di 
																			Teodorico 
																			per 
																			vendicare 
																			la 
																			morte 
																			del 
																			coniuge. 
																			Volevano 
																			giustiziarla, 
																			ma 
																			Totila 
																			non 
																			permise 
																			alcuna 
																			vendetta 
																			su 
																			di 
																			lei 
																			né 
																			alcun 
																			oltraggio 
																			nei 
																			confronti 
																			delle 
																			altre 
																			donne.
																			 
																			
																			
																			
																			A 
																			quel 
																			punto, 
																			Totila 
																			voleva 
																			concludere 
																			la 
																			guerra. 
																			Inviò 
																			un’ambasceria 
																			a 
																			Giustiniano 
																			con 
																			una 
																			missiva 
																			in 
																			cui 
																			proponeva 
																			all’imperatore 
																			la 
																			stessa 
																			pacifica 
																			collaborazione 
																			che 
																			c’era 
																			stata 
																			un 
																			tempo 
																			fra 
																			Teodorico 
																			e 
																			Anastasio. 
																			Il 
																			re 
																			dei 
																			Goti 
																			concluse 
																			la 
																			lettera 
																			con 
																			questa 
																			frase:
																			
																			«Se 
																			desideri 
																			(la 
																			pace), 
																			sarai 
																			considerato 
																			da 
																			me 
																			come 
																			un 
																			padre 
																			e 
																			potrai 
																			servirti 
																			di 
																			me 
																			come 
																			alleato 
																			contro 
																			chiunque 
																			vorrai».
																			
																			Giustiniano 
																			respinse 
																			l’ambasceria. 
																			Non 
																			considerava 
																			Totila 
																			un 
																			leader 
																			degno 
																			di 
																			trattare 
																			con 
																			lui, 
																			ma 
																			un 
																			usurpatore 
																			e un 
																			eretico. 
																			Così 
																			rispose 
																			ai 
																			messaggeri 
																			goti 
																			di 
																			andare 
																			a 
																			trattare 
																			con 
																			Belisario, 
																			il 
																			generale 
																			a 
																			cui 
																			aveva 
																			affidato 
																			la 
																			conduzione 
																			della 
																			guerra. 
																			Umiliato 
																			da 
																			quella 
																			risposta, 
																			Totila 
																			minacciò 
																			di 
																			radere 
																			al 
																			suolo 
																			Roma. 
																			Belisario 
																			lo 
																			dissuase.
																			
																			Gli 
																			scrisse 
																			che 
																			compiendo 
																			un’azione 
																			del 
																			genere, 
																			avrebbe 
																			coperto 
																			il 
																			suo 
																			nome
																			
																			d’infamia 
																			per 
																			tutti 
																			i 
																			secoli 
																			a 
																			venire.
																			 
																			
																			
																			
																			Diverse 
																			città 
																			italiane 
																			caddero 
																			in 
																			mano 
																			a 
																			Totila 
																			in 
																			modo 
																			incruento. 
																			Procopio 
																			ci 
																			riferisce 
																			che 
																			Totila 
																			prese 
																			Fermo 
																			e 
																			Ascoli 
																			per 
																			capitolazione, 
																			che 
																			Erodiano, 
																			comandante 
																			della 
																			guarnigione 
																			di 
																			Spoleto, 
																			gli 
																			consegnò 
																			la 
																			città 
																			per 
																			uno 
																			screzio 
																			con 
																			Belisario 
																			e 
																			che 
																			Assisi 
																			gli 
																			fu 
																			ceduta 
																			dagli 
																			abitanti, 
																			sfibrati 
																			dall’assedio. 
																			Anche 
																			gli 
																			assediati 
																			nella 
																			fortezza 
																			di 
																			Rossano 
																			si 
																			arresero 
																			a 
																			lui. 
																			In 
																			quel 
																			caso, 
																			solo 
																			uno 
																			dei 
																			comandanti 
																			nemici 
																			fu 
																			ucciso 
																			perché 
																			non 
																			aveva 
																			mantenuto 
																			la 
																			parola 
																			data. 
																			Quelli 
																			che 
																			non 
																			passarono 
																			dalla 
																			parte 
																			dei 
																			Goti 
																			furono 
																			lasciati 
																			liberi 
																			di 
																			andarsene 
																			perché 
																			Totila
																			
																			«non 
																			voleva 
																			che 
																			nessuno 
																			al 
																			mondo 
																			si 
																			mettesse 
																			ai 
																			suoi 
																			ordini 
																			contro 
																			voglia».
																			
																			La 
																			popolazione, 
																			pur 
																			privata 
																			dei 
																			suoi 
																			averi, 
																			non 
																			ricevette 
																			alcuna 
																			violenza 
																			fisica.
																			 
																			
																			
																			
																			Procopio 
																			ci 
																			racconta 
																			infine 
																			la 
																			morte 
																			di 
																			Totila 
																			nella 
																			battaglia 
																			di 
																			Busta 
																			Gallorum 
																			(luglio 
																			552) 
																			che 
																			vide 
																			vincitore 
																			il 
																			generale 
																			bizantino 
																			Narsete. 
																			Il 
																			re 
																			dei 
																			Goti, 
																			che 
																			a 
																			Roma 
																			si 
																			era 
																			rifiutato 
																			d’inseguire 
																			i 
																			nemici 
																			in 
																			fuga, 
																			fu 
																			inseguito 
																			durante 
																			la 
																			sua 
																			ritirata 
																			da 
																			un 
																			drappello 
																			di 
																			mercenari 
																			e 
																			gravemente 
																			ferito 
																			da 
																			uno 
																			di 
																			essi 
																			con 
																			un 
																			colpo 
																			di 
																			lancia 
																			alle 
																			spalle. 
																			Riuscì 
																			a 
																			cavalcare 
																			fino 
																			al 
																			villaggio 
																			di 
																			Caprae, 
																			dove 
																			morì 
																			poco 
																			dopo. 
																			I 
																			suoi 
																			uomini 
																			lo 
																			seppellirono 
																			in 
																			una 
																			tomba 
																			senza 
																			nome, 
																			in 
																			seguito 
																			profanata 
																			dai 
																			Bizantini 
																			per 
																			accertare 
																			l’identità 
																			del 
																			defunto. 
																			Procopio 
																			si 
																			rammarica 
																			per 
																			una 
																			fine 
																			così 
																			tragica 
																			e, a 
																			suo 
																			parere, 
																			immeritata: 
																			«La 
																			fine 
																			che 
																			gli 
																			toccò 
																			non 
																			fu 
																			degna 
																			delle 
																			sue 
																			passate 
																			imprese 
																			perché 
																			prima 
																			ogni 
																			iniziativa 
																			gli 
																			era 
																			andata 
																			a 
																			buon 
																			fine 
																			e la 
																			morte 
																			non 
																			coronò 
																			i 
																			suoi 
																			meriti. 
																			Anche 
																			questa 
																			volta 
																			il 
																			destino 
																			mostrò 
																			chiaramente 
																			di 
																			volersi 
																			divertire 
																			beffandosi 
																			dell’umanità 
																			e 
																			dando 
																			una 
																			dimostrazione 
																			di 
																			quanto 
																			siamo 
																			illogiche 
																			e 
																			imprevedibili 
																			le 
																			sue 
																			decisioni».
																			 
																			
																			
																			
																			Quindi, 
																			nell’ottica 
																			di 
																			Procopio, 
																			nessun 
																			castigo 
																			divino 
																			per 
																			il 
																			male 
																			commesso 
																			si è 
																			abbattuto 
																			su 
																			Totila, 
																			come 
																			è 
																			sottinteso 
																			nella 
																			profezia 
																			attribuita 
																			da 
																			Gregorio 
																			Magno 
																			al 
																			monaco 
																			Benedetto: 
																			il 
																			valoroso 
																			nemico, 
																			la 
																			cui 
																			morte 
																			miserevole 
																			è 
																			indegna 
																			dei 
																			suoi 
																			meriti, 
																			è 
																			solo 
																			la 
																			vittima 
																			dell’irrazionalità 
																			di 
																			un 
																			destino 
																			che 
																			gioca 
																			con 
																			le 
																			vite 
																			degli 
																			esseri 
																			umani.
																			 
																			
																			
																			
																			Ora 
																			bisogna 
																			chiedersi 
																			se 
																			Procopio 
																			sia 
																			o no 
																			un 
																			testimone 
																			attendibile 
																			quando 
																			riporta 
																			le 
																			azioni 
																			magnanime 
																			di 
																			Totila, 
																			tenuto 
																			conto 
																			che 
																			in 
																			quel 
																			periodo 
																			non 
																			era 
																			in 
																			Italia 
																			al 
																			seguito 
																			dell’esercito 
																			bizantino. 
																			Seguì 
																			infatti 
																			Belisario 
																			solo 
																			fino 
																			alla 
																			presa 
																			di 
																			Ravenna 
																			e 
																			alla 
																			resa 
																			di 
																			Vitige 
																			nell’anno 
																			540. 
																			Per 
																			quanto 
																			si 
																			tenda 
																			a 
																			valutare 
																			con 
																			cautela 
																			le 
																			testimonianze
																			
																			de 
																			relato,
																			
																			si 
																			possono 
																			evidenziare 
																			alcuni 
																			elementi 
																			a 
																			favore 
																			di 
																			una 
																			buona 
																			dose 
																			di 
																			attendibilità.
																			 
																			
																			
																			
																			Innanzitutto, 
																			Procopio 
																			va 
																			contro 
																			i 
																			suoi 
																			interessi 
																			a 
																			mostrare 
																			Totila 
																			come 
																			un 
																			avversario 
																			dotato 
																			di 
																			umanità 
																			e 
																			saggezza. 
																			Avrebbe 
																			potuto 
																			assecondare 
																			Giustiniano 
																			e la 
																			corte 
																			imperiale 
																			dipingendolo 
																			a 
																			tinte 
																			fosche. 
																			L’Imperatore, 
																			infatti, 
																			detestava 
																			Totila: 
																			il 
																			re 
																			goto 
																			non 
																			era 
																			imparentato 
																			con 
																			la 
																			dinastia 
																			Amala 
																			di 
																			Teodorico, 
																			quindi 
																			reputava 
																			la 
																			sua 
																			incoronazione 
																			un 
																			mero 
																			atto 
																			di 
																			ribellione 
																			dei 
																			Goti. 
																			E lo 
																			vedeva 
																			come 
																			un 
																			usurpatore 
																			privo 
																			di 
																			ogni 
																			legittimazione 
																			a 
																			regnare, 
																			quindi 
																			come 
																			un 
																			nemico 
																			con 
																			cui 
																			non 
																			venire 
																			a 
																			compromessi 
																			e a 
																			cui 
																			muovere 
																			una 
																			guerra 
																			di 
																			annientamento. 
																			Fu 
																			per 
																			questo 
																			che 
																			l’Imperatore 
																			respinse 
																			le 
																			varie 
																			ambascerie 
																			di 
																			pace 
																			inviategli 
																			da 
																			Totila.
																			 
																			
																			
																			
																			In 
																			secondo 
																			luogo, 
																			nell’opera 
																			di 
																			Procopio 
																			troviamo 
																			anche 
																			situazioni 
																			in 
																			cui 
																			Totila 
																			punì 
																			con 
																			mano 
																			forte 
																			e i 
																			Goti 
																			commisero 
																			violenze. 
																			Ad 
																			esempio, 
																			Totila 
																			mise 
																			a 
																			morte 
																			il 
																			bizantino 
																			Isace 
																			che 
																			gli 
																			aveva 
																			ucciso 
																			l’amico 
																			Roderico. 
																			Perché 
																			fece 
																			questo? 
																			Perché 
																			la 
																			sua 
																			bontà 
																			era 
																			solo 
																			una 
																			facciata, 
																			mentre 
																			la 
																			sua 
																			vera 
																			indole 
																			era 
																			malvagia, 
																			come 
																			si 
																			potrebbe 
																			sospettare? 
																			Per 
																			evitare 
																			giudizi 
																			antistorici, 
																			bisogna 
																			tener 
																			presente 
																			che 
																			vendicare 
																			un 
																			amico 
																			era 
																			un 
																			punto 
																			d’onore 
																			per 
																			un 
																			capo 
																			barbarico 
																			(riguardo 
																			al 
																			legame 
																			tra 
																			compagni 
																			d’armi 
																			nei 
																			popoli 
																			barbarici 
																			si 
																			veda 
																			F. 
																			Cardini, 
																			Alle 
																			radici 
																			della 
																			cavalleria 
																			medievale,
																			
																			Milano,Sansoni, 
																			2004, 
																			p.113: 
																			vendicare 
																			il 
																			compagno 
																			caduto 
																			in 
																			battaglia 
																			era 
																			un 
																			dovere 
																			del 
																			sopravvissuto). 
																			Procopio 
																			ci 
																			riferisce 
																			che 
																			i 
																			Goti 
																			mozzarono 
																			la 
																			lingua 
																			e le 
																			mani 
																			al 
																			governatore 
																			romano 
																			di 
																			Napoli 
																			che 
																			aveva 
																			pubblicamente 
																			insultato 
																			Totila.
																			 
																			
																			
																			
																			Anche 
																			questo 
																			castigo 
																			s’inquadra 
																			nel 
																			concetto 
																			d’onore 
																			dei 
																			popoli 
																			barbarici: 
																			la 
																			comunità 
																			dei 
																			guerrieri 
																			aveva 
																			il 
																			dovere 
																			di 
																			punire 
																			le 
																			offese 
																			al 
																			proprio 
																			capo. 
																			L’ordine 
																			di 
																			mutilare 
																			il 
																			presule 
																			Valentino 
																			si 
																			colloca 
																			poi 
																			in 
																			un 
																			contesto 
																			particolare. 
																			L’uomo 
																			fu 
																			catturato 
																			in 
																			una 
																			nave 
																			carica 
																			di 
																			provviste 
																			per 
																			l’esercito 
																			nemico 
																			e 
																			accusato 
																			di 
																			mentire 
																			nel 
																			corso 
																			di 
																			un 
																			interrogatorio 
																			su 
																			qualcosa 
																			che 
																			Totila 
																			riteneva 
																			di 
																			vitale 
																			importanza 
																			(e 
																			su 
																			cui 
																			Procopio 
																			tace).
																			 
																			
																			
																			
																			Procopio 
																			riporta 
																			infine 
																			che 
																			l’esercito 
																			dei 
																			Goti 
																			irruppe 
																			nottetempo 
																			a 
																			Tivoli 
																			(le 
																			cui 
																			porte 
																			furono 
																			aperte 
																			dagli 
																			stessi 
																			soldati 
																			romani), 
																			saccheggiò 
																			la 
																			città 
																			e 
																			uccise 
																			chiunque 
																			vi 
																			trovò. 
																			Ma 
																			non 
																			attribuisce 
																			il 
																			sacco 
																			di 
																			Tivoli 
																			a un 
																			ordine 
																			di 
																			Totila. 
																			Infatti, 
																			era 
																			frequente 
																			che 
																			bande 
																			di 
																			mercenari 
																			militanti 
																			negli 
																			eserciti 
																			commettessero 
																			violenze 
																			a 
																			prescindere 
																			dagli 
																			ordini 
																			del 
																			loro 
																			condottiero. 
																			Nel 
																			536, 
																			quando 
																			Belisario 
																			espugnò 
																			Napoli, 
																			i 
																			mercenari 
																			Massageti 
																			gli 
																			sfuggirono 
																			di 
																			mano 
																			e 
																			nella 
																			smania 
																			del 
																			saccheggio 
																			massacrarono 
																			civili 
																			persino 
																			all’interno 
																			delle 
																			chiese. 
																			E 
																			Procopio 
																			non 
																			ne 
																			fa 
																			mistero. 
																			Per 
																			di 
																			più, 
																			nel 
																			545 
																			erano 
																			presenti 
																			nell’esercito 
																			di 
																			Totila 
																			molti 
																			soggetti 
																			smaniosi 
																			di 
																			far 
																			razzia: 
																			schiavi 
																			sfuggiti 
																			ai 
																			padroni 
																			romani 
																			e 
																			disertori 
																			passati 
																			dalle 
																			fila 
																			di 
																			Belisario 
																			a 
																			quelle 
																			dei 
																			Goti 
																			perché 
																			non 
																			ricevevano 
																			le 
																			paghe.
																			 
																			
																			
																			
																			È 
																			improbabile 
																			che 
																			Totila 
																			abbia 
																			ordinato 
																			il 
																			massacro 
																			di 
																			Tivoli 
																			a 
																			scopo 
																			intimidatorio 
																			verso 
																			Roma. 
																			Spargere 
																			il 
																			terrore 
																			non 
																			era 
																			infatti 
																			nei 
																			suoi 
																			intenti 
																			politici. 
																			Nelle 
																			lettere 
																			che 
																			cercò 
																			di 
																			far 
																			recapitare 
																			ai 
																			senatori 
																			romani 
																			dopo 
																			la 
																			conquista 
																			di 
																			Napoli, 
																			si 
																			presentò 
																			loro 
																			come 
																			un 
																			liberatore 
																			dall’esoso 
																			governo 
																			dei 
																			Bizantini 
																			e, 
																			dopo 
																			averli 
																			rimproverati 
																			per 
																			l’ingratitudine 
																			dimostrata 
																			ai 
																			Goti, 
																			si 
																			dichiarò 
																			disposto 
																			a 
																			perdonarli 
																			per 
																			essere 
																			passati 
																			dalla 
																			parte 
																			di 
																			Belisario, 
																			qualora 
																			gli 
																			avessero 
																			consegnato 
																			Roma. 
																			Promise 
																			inoltre 
																			che 
																			non 
																			avrebbe 
																			mai 
																			recato 
																			offesa 
																			ad 
																			alcun 
																			cittadino 
																			romano. 
																			Pertanto, 
																			non 
																			avrebbe 
																			avuto 
																			alcun 
																			senso, 
																			dal 
																			punto 
																			di 
																			vista 
																			politico, 
																			mostrarsi 
																			subito 
																			dopo 
																			come 
																			un 
																			nemico 
																			spietato 
																			a 
																			cui 
																			non 
																			conveniva 
																			aprire 
																			le 
																			porte 
																			della 
																			propria 
																			città.
																			 
																			
																			
																			
																			L’opera 
																			di 
																			Procopio 
																			di 
																			Cesarea 
																			non 
																			è 
																			poi 
																			l’unica 
																			fonte 
																			che 
																			riporta 
																			la 
																			benevolenza 
																			di 
																			Totila. 
																			Nel 
																			Liber 
																			Pontificalis 
																			è 
																			scritto 
																			che, 
																			durante 
																			la 
																			presa 
																			di 
																			Roma, 
																			il 
																			sovrano 
																			consentì 
																			la 
																			fuga 
																			degli 
																			abitanti 
																			facendo 
																			suonare 
																			le 
																			trombe 
																			per 
																			tutta 
																			la 
																			notte 
																			che 
																			precedette 
																			l’ingresso 
																			dell’esercito 
																			goto 
																			in 
																			città 
																			(Vita 
																			Vigili, 
																			7, 
																			107). 
																			Nello 
																			stesso 
																			passo 
																			si 
																			legge 
																			che 
																			Totila 
																			abitò 
																			coi 
																			Romani 
																			come 
																			un 
																			padre 
																			con 
																			i 
																			figli:
																			
																			habitavit
																			
																			
																			
																			cum 
																			romanis 
																			quasi 
																			pater 
																			cum 
																			filiis.
																			 
																			
																			
																			
																			La 
																			clemenza 
																			di 
																			un 
																			nemico, 
																			per 
																			di 
																			più 
																			eretico 
																			e 
																			barbaro, 
																			dovette 
																			essere 
																			un 
																			evento 
																			così 
																			straordinario 
																			da 
																			suscitare 
																			un 
																			certo 
																			scalpore. 
																			Quindi 
																			è 
																			plausibile 
																			che 
																			le 
																			notizie 
																			del 
																			comportamento 
																			umano 
																			di 
																			Totila 
																			siano 
																			giunte 
																			a 
																			Procopio 
																			da 
																			resoconti 
																			di 
																			ambasciatori 
																			o 
																			militari.
																			 
																			
																			
																			
																			Infine, 
																			Procopio 
																			di 
																			Cesarea 
																			non 
																			tace 
																			i 
																			saccheggi 
																			e i 
																			soprusi 
																			compiuti 
																			da 
																			soldati 
																			e 
																			ufficiali 
																			dell’esercito 
																			bizantino 
																			ai 
																			danni 
																			degli 
																			Italiani, 
																			i 
																			quali
																			
																			«venivano 
																			depredati 
																			dei 
																			loro 
																			beni 
																			personali 
																			e 
																			inoltre, 
																			capitava 
																			loro 
																			di 
																			subire 
																			violenze 
																			e 
																			persino 
																			di 
																			essere 
																			uccisi 
																			senza 
																			alcun 
																			motivo». 
																			Quindi, 
																			in 
																			questo 
																			contesto, 
																			sembra 
																			essere 
																			una 
																			fonte 
																			imparziale. 
																			Non 
																			c’è 
																			nella 
																			sua 
																			opera 
																			un 
																			vero 
																			e 
																			proprio 
																			intento 
																			celebrativo 
																			di 
																			Totila.
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			re 
																			dei 
																			Goti 
																			è 
																			descritto 
																			come 
																			un 
																			avversario 
																			valoroso 
																			e 
																			magnanimo, 
																			ma 
																			non 
																			c’è 
																			niente 
																			di 
																			sospetto 
																			in 
																			questo: 
																			anche 
																			Cesare 
																			nel 
																			De 
																			Bello 
																			Gallico 
																			riconosce 
																			il 
																			valore 
																			e la 
																			grandezza 
																			d’animo 
																			del 
																			suo 
																			nemico 
																			Vercingetorige. 
																			Se è 
																			vero 
																			che 
																			il 
																			giudizio 
																			benevolo 
																			di 
																			Procopio 
																			verso 
																			Totila 
																			può 
																			essere 
																			stato 
																			influenzato 
																			da 
																			un’antipatia 
																			dell’Autore 
																			verso 
																			Narsete, 
																			rivale 
																			del 
																			suo 
																			“eroe” 
																			Belisario, 
																			è 
																			anche 
																			vero 
																			che 
																			Narsete 
																			intervenne 
																			nella 
																			campagna 
																			militare 
																			contro 
																			Totila 
																			solo 
																			alla 
																			fine 
																			del 
																			550 
																			e 
																			che 
																			i 
																			più 
																			eclatanti 
																			gesti 
																			di 
																			clemenza 
																			del 
																			re 
																			goto 
																			raccontati 
																			da 
																			Procopio 
																			risalgono 
																			a 
																			quando 
																			combatteva 
																			contro 
																			Belisario.
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			
																			Totila 
																			nei 
																			Dialoghi 
																			di 
																			Gregorio 
																			Magno
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Nei 
																			Dialoghi 
																			di 
																			Gregorio 
																			Magno, 
																			scritti 
																			attorno 
																			al 
																			594, 
																			Totila 
																			compare 
																			come 
																			un 
																			anticristo, 
																			un 
																			simbolo 
																			del 
																			Male, 
																			contrapposto 
																			a 
																			vari 
																			uomini 
																			di 
																			Chiesa, 
																			personificazioni 
																			del 
																			Bene. 
																			Dopo 
																			il 
																			plateale 
																			turbamento 
																			per 
																			i 
																			rimproveri 
																			e la 
																			profezia 
																			di 
																			morte 
																			ricevuti 
																			da 
																			San 
																			Benedetto 
																			(Dialoghi 
																			2,14), 
																			il 
																			sadismo 
																			e la 
																			crudeltà 
																			di 
																			Totila 
																			si 
																			placano 
																			solo 
																			per 
																			poco. 
																			Infatti, 
																			subito 
																			dopo, 
																			il “perfidus 
																			rex”
																			
																			getta 
																			a un 
																			orso 
																			il 
																			vescovo 
																			Cerbonio 
																			che 
																			però 
																			ammansisce 
																			la 
																			belva 
																			(Dialoghi 
																			3,11) 
																			e 
																			lega 
																			sotto 
																			il 
																			sole 
																			il 
																			vescovo 
																			Fulgenzio, 
																			ma 
																			un 
																			temporale 
																			si 
																			abbatte 
																			sull’esercito 
																			e 
																			bagna 
																			tutti 
																			eccetto 
																			il 
																			religioso 
																			(Dialoghi 
																			3,12). 
																			Pur 
																			non 
																			essendo 
																			presente 
																			all’assedio 
																			di 
																			Perugia, 
																			ordina 
																			a un 
																			generale 
																			di 
																			scorticare 
																			vivo 
																			e 
																			decapitare 
																			Ercolano, 
																			il 
																			vescovo 
																			della 
																			città. 
																			Il 
																			generale 
																			esegue 
																			l’ordine, 
																			ma 
																			la 
																			testa 
																			e la 
																			pelle 
																			di 
																			Ercolano 
																			si 
																			riattaccano 
																			al 
																			cadavere 
																			rimasto 
																			intatto 
																			per 
																			quaranta 
																			giorni 
																			(Dialoghi 
																			3,13).
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			dibattito 
																			sull’attribuzione 
																			o 
																			meno 
																			dei 
																			Dialoghi 
																			a 
																			Gregorio 
																			Magno 
																			è 
																			annoso. 
																			Alcuni 
																			storici 
																			li 
																			hanno 
																			considerati 
																			un’opera 
																			spuria 
																			per 
																			la 
																			sua 
																			bassa 
																			espressione 
																			stilistica, 
																			inadatta 
																			a un 
																			erudito 
																			del 
																			livello 
																			di 
																			Gregorio 
																			Magno. 
																			Vinay 
																			considera 
																			i 
																			Dialoghi 
																			un’opera 
																			letteraria 
																			di 
																			Gregorio 
																			Magno 
																			e 
																			rinunzia 
																			pertanto 
																			a 
																			ogni 
																			pretesa 
																			di 
																			attendibilità 
																			storica.
																			
																			
																			
																			Detto 
																			questo 
																			in 
																			generale, 
																			occorre 
																			premettere 
																			che 
																			Gregorio 
																			Magno 
																			proveniva 
																			da 
																			una 
																			famiglia 
																			dell’aristocrazia 
																			senatoria. 
																			E 
																			l’aristocrazia 
																			senatoria 
																			si 
																			vide 
																			espropriata 
																			dei 
																			suoi 
																			latifondi 
																			dalla 
																			riforma 
																			agraria 
																			di 
																			Totila. 
																			Il 
																			sovrano, 
																			al 
																			suo 
																			ingresso 
																			in 
																			Roma 
																			nel 
																			dicembre 
																			del 
																			546, 
																			accusò 
																			poi 
																			i 
																			senatori 
																			d’ingratitudine 
																			per 
																			le 
																			loro 
																			posizioni 
																			filoimperiali 
																			e li 
																			spogliò 
																			delle 
																			loro 
																			prerogative 
																			con 
																			dure 
																			parole: 
																			«Vi 
																			siete 
																			ridotti 
																			al 
																			rango 
																			di 
																			schiavi». 
																			Non 
																			meraviglia 
																			quindi 
																			l’avversione 
																			di 
																			Gregorio 
																			Magno 
																			verso 
																			il 
																			re 
																			dei 
																			Goti, 
																			già 
																			colpevole 
																			di 
																			essere 
																			un 
																			eretico. 
																			Ma è 
																			lo 
																			stesso 
																			impianto 
																			affabulatorio 
																			a 
																			confinare 
																			i 
																			racconti 
																			su 
																			Totila 
																			contenuti 
																			nei 
																			Dialoghi 
																			nel 
																			territorio 
																			della 
																			leggenda. 
																			L’ammansirsi 
																			della 
																			belva 
																			davanti 
																			al 
																			cristiano 
																			condannato 
																			a 
																			essere 
																			divorato
																			
																			nell’arena
																			
																			è un 
																			topos 
																			letterario 
																			che 
																			compare 
																			in 
																			numerosi 
																			racconti 
																			di 
																			martiri 
																			risalenti 
																			all’età 
																			romano-imperiale.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																							
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			