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N. 60 - Dicembre 2012 (XCI)

l'impero romano
(235–476 d.c.) - parte II

di Miro Gabriele

 

La caduta della dinastia dei Severi (235 d.C.) aprì la più grave crisi che si fosse mai verificata dall’inizio dell’impero. Per circa cinquant’anni, gli anni della cosiddetta “anarchia militare”, nessun imperatore riuscì ad imporsi per lungo tempo, o a guadagnarsi una sovranità legittima. In mezzo secolo si contarono ventuno imperatori, contro i ventiquattro dei duecentocinquanta anni precedenti.

 

Ai confini la situazione era critica, a ridosso dei fiumi Reno e Danubio gli assalti delle tribù germaniche stavano perdendo la caratteristica di semplici razzie locali. Ad oriente invece la dinastia dei Sasanidi, originaria della Persia, aveva sostituito i Parti (224 d.C.), che per la loro organizzazione di tipo feudale non avevano mai costituito un vero pericolo. I Sasanidi riorganizzarono il regno ispirandosi, nell’ampliamento del territorio, all’antico impero persiano.

 

I conflitti interni per la conquista del potere e il continuo allarme ai confini, costrinsero gli imperatori a dare fondo alle risorse statali. La pressione delle imposte gravava in modo particolare sul popolo e finì per compromettere l’intero sistema, basato soprattutto sulla tenuta finanziaria dei centri urbani. Vi si aggiungevano carestie e spopolamento delle campagne. La svalutazione della moneta diventò un’operazione all’ordine del giorno, e le inflazioni ricorrenti.

 

Si fecero grandi sforzi per risollevare le cose e per sostenere la legittimità del potere. Vennero presi provvedimenti eccezionali, l’imperatore Decio (249 d.C.) pretese da tutti gli abitanti dell’impero offerte votive agli dei della religione tradizionale.

 

Secondo l’ideologia di stato, le difficoltà interne ed esterne erano da ricondurre all’avversione degli dei per l’allontanamento dagli antichi culti. Decio volle una dimostrazione della devozione agli dei ufficiali, e i cristiani, con il loro rifiuto di sacrificare per l’imperatore, si ponevano fuori dalla normalità; per l’ideologia ufficiale l’atteggiamento offendeva gli dei provocandone l’ira, che ricadeva sull’intera popolazione. Decio scatenò una grande persecuzione contro di essi, su tutto il territorio dell’impero. Ma non governò a lungo, morì nel 251 d.C. combattendo i Goti

 

Sul fronte orientale la politica dei Sasanidi si faceva sempre più aggressiva, il dominio romano in oriente rappresentava per loro un ostacolo, le regioni ad ovest dell’ Eufrate (confine dell’impero) vennero in parte riconquistate dai Sasanidi. Nel 260 d.C. l’imperatore Valeriano cadde prigioniero del re Shapur I (Sapore), il fatto fu celebrato con un grande trionfo, un evento del genere non era mai accaduto. A nord le scorrerie dei Germani diventavano sempre più frequenti e massicce, anche l’Italia settentrionale e la Grecia furono attaccate.

 

L’imperatore Aureliano (270 d.C. – 275 d.C.) fu costretto a fortificare Roma che, escluse le piccole mura serviane del V secolo a.C. ormai inglobate nel tessuto urbano, non possedeva una vera cinta difensiva. Le mura aureliane, ristrutturate nel V secolo d.C. dall’imperatore Onorio, sono le stesse che si possono vedere oggi. Aureliano cercò anche un modo per conferire al principato un solido fondamento religioso. Proclamò il dio del sole, dio dello stato (Sol Invictus), poiché incarnava meglio la nuova religiosità, il suo culto rendeva possibile l’integrazione di più credenze, visto che in quasi tutte l’astro diurno rivestiva una grande importanza. Poteva essere ricondotto alle antiche concezioni di Apollo, e anche al dio iraniano Mitra, il cui culto misterico aveva un gran seguito in tutto l’impero (era la religione “rivale” del cristianesimo), soprattutto negli ambienti militari.

 

Dopo Aureliano, caduto in una congiura, ci furono altri anni di lotte, finché nel 284 d.C. salì al trono un militare illirico di origini servili: Diocleziano, e lo stato sembrò trovare uno sbocco alla crisi. Il nuovo imperatore riuscì a stabilizzare la situazione per una ventina d’anni, disciplinando i molti e continui tentativi di presa di potere, dentro il sistema della tetrarchia. Tale sistema prevedeva la presenza contemporanea di quattro governanti: due Augusti e due Cesari (cioè due vice imperatori)  per quattro zone dell’impero, due a occidente e due a oriente. Dopo vent’anni di governo i primi si sarebbero dimessi, e i secondi sarebbero divenuti Augusti, nominando a loro volta due Cesari. Diocleziano scelse come suo Augusto: Massimiano, e gli affidò l’occidente, mentre lui si tenne l’oriente.

 

Questa riforma sanzionò la prima decentralizzazione della sovranità, poiché gli imperatori risiedevano in zone diverse dell’impero. La città di Roma cominciò ad assumere la funzione di una capitale simbolica, mentre altri centri come Tessalonica in Grecia, e più tardi Costantinopoli (330 d.C.), presero il ruolo e l’aspetto di residenze reali. Per la politica monetaria Diocleziano riordinò il fisco e l’amministrazione delle province, abolendo la distinzione, introdotta da Augusto, tra province senatorie e imperiali,  riducendole tutte alle dirette dipendenze dell’imperatore.

 

Cercò anche lui di tornare agli dei tradizionali, scatenando contro i cristiani la più vasta e terribile persecuzione mai avvenuta. Diocleziano legò strettamente la figura dell’imperatore a una concezione divina, completando quel processo di sacralizzazione iniziato con i Severi. La nuova ideologia imperiale influenzò profondamente tutti gli aspetti del potere nei suoi sviluppi futuri. Nel 305 d.C. abdicò (come previsto dal sistema tetrarchico), ritirandosi nel suo palazzo di Spalato.

 

Ma la tetrarchia, troppo dottrinaria, rivelò subito i suoi punti deboli, e le lotte per la successione ripresero. Il figlio del Cesare d’occidente infine, Costantino, proclamato imperatore dai soldati nel 306 d.C., vinse il figlio di Massimiano, Massenzio, nella famosa battaglia presso ponte Milvio a Roma nel 312 d.C.

 

La data segnò un’epoca, poiché Costantino, con un’abile mossa mirante alla pacificazione sociale, si presentò come cristiano. Egli si sarebbe improvvisamente convertito, da adepto del Sol Invictus, a devoto del Cristo, per la vittoria attribuita all’esposizione del simbolo cristiano sui vessilli.

 

Con l’editto di Milano del 313 d.C., il cristianesimo fu posto su un piano di parità con il paganesimo. Poi l’imperatore concesse alla Chiesa una serie di privilegi che costituirono la base per l’esercizio di un potere secolare. L’impero romano subiva un’altra decisiva trasformazione: diventava un impero cristiano. Costantino proseguì la politica di consolidamento e di riforme, con nuovi interventi fiscali e monetari.

 

La gestione amministrativa era adesso nelle mani del consistorium, il consiglio imperiale della corona, istituito da Diocleziano, e composto da quattro potenti funzionari per le aree amministrativa, finanziaria, giudiziaria e legislativa. Quindi Costantino si volse contro il rivale Licinio, che secondo la tetrarchia governava l’oriente, accusandolo di paganesimo e sconfiggendolo nel 323 d.C. L’anno seguente lo fece uccidere con tutta la famiglia, l’impero così tornava sotto il governo di una sola persona.

 

Costantino rese ancora più rigido il potere, trasformando il principato in una vera e propria monarchia assoluta. Mantenne la divisione tetrarchica in quattro parti, ma dando loro un semplice carattere amministrativo, e chiamandole prefetture (Italia, Gallia, Illirico, Oriente), il nuovo ordinamento statale rese stabile l’esistenza dell’impero per un altro secolo. Uno degli ultimi atti di governo fu il trasferimento della capitale nel luogo dell’antica Bisanzio, la città venne chiamata Costantinopoli (330 d.C.).

 

Alla sua morte nel 337 d.C. i tre figli, acclamati imperatori dall’esercito, si divisero l’impero. Ma sorsero subito aspre lotte fra di loro, da cui emerse nel 351 d.C. Costanzo II, che restò l’unico  padrone.

 

L’occidente conosceva intanto nuove invasioni, Costanzo II fu costretto a nominare Cesare suo cugino Giuliano, inviandolo in Gallia dove le tribù germaniche, riunitesi in coalizione, avevano attraversato il Reno. Giuliano sconfisse un grande esercito di Alamanni vicino Strasburgo nel 357 d.C., allontanando il pericolo di una invasione di massa, e ritardando la caduta della Gallia di cinquant’anni.

 

Rimasto ad amministrare la regione Giuliano ridusse le tasse e le spese, e i soldati col favore della popolazione lo elessero imperatore. Costanzo stava per andare ad affrontarlo, quando morì improvvisamente. Giuliano regnò dal 361 al 363 d.C., e fu l’ultimo intellettuale pagano a salire sul trono di Roma. Tentò inutilmente di restaurare il paganesimo, un paganesimo nutrito di misticismo neoplatonico, cercando di dargli una organizzazione che potesse competere con quella della Chiesa; da qui l’appellativo di Apostata che gli venne dato dai cristiani. Giuliano guidò l’ultima grande spedizione romana contro i tradizionali nemici persiani, trovando la morte in battaglia nel 363 d.C.

 

Gli imperatori che seguirono furono impegnati in continuazione sui due fronti dell’oriente e del confine germanico. Nel 378 d.C. l’esercito di Roma subì una delle più terribili disfatte della sua storia ad Adrianopoli (attuale Edirne) da parte dei Goti, dove morì lo stesso imperatore Valente. Il successore, Teodosio, fu costretto a concedere ai Goti il permesso di stanziarsi a sud del Danubio in territorio imperiale, come  foederati, organizzati secondo proprie leggi. Si creò per la prima volta, all’interno dell’impero, una zona di sovranità con ampie autonomie.

 

Nel 380 d.C., con l’editto di Tessalonica, Teodosio proclamava il cristianesimo “sola religione dell’impero”, l’anno seguente cominciavano i primi provvedimenti contro i pagani. Compariva nel mondo antico il principio dell’intolleranza religiosa, estraneo a Roma, che aveva perseguitato i cristiani solo per motivi strettamente politici. Per contenere la pressione dei barbari Teodosio si avvalse anche dell’opera di Stilicone, un vandalo che divenne uno dei più grandi generali romani. Morendo nel 395 d.C. l’imperatore lasciò il governo ai figli Arcadio, che ebbe l’oriente, e Onorio che ebbe l’occidente.

 

Questa spartizione sanzionò la vera e definitiva divisione dello stato, da questo momento le due parti dell’impero vissero ciascuna una vita propria ed ebbero destini diversi. L’occidente si avviò ad una rapida rovina, mentre la parte orientale sopravvisse ancora per un millennio. Di fatto, se non di diritto, l’antico impero di Roma era finito.

 

All’inizio del V secolo d.C. la situazione in occidente precipitò. La prima regione a cadere sotto le spinte delle tribù germaniche, a loro volta incalzate dagli Unni dell’Asia, fu la Gallia nel 406 d.C. Quattro anni dopo i Visigoti, riuniti sotto il re Alarico, scesero lungo la penisola e attaccarono Roma, conquistandola e saccheggiandola per tre giorni (410 d.C.). Fu un evento terribile che riportò alla memoria i lontanissimi giorni dell’assalto celtico (390 a.C.).

 

L’avvenimento suscitò una grande impressione in tutto l’impero creando quasi un’atmosfera da disfatta finale: in ottocento anni di storia la città non era mai stata violata. Fu questa la sola data percepita dai contemporanei come segnale della fine di un mondo, molto più di quella tradizionale del 476 d.C., che passò quasi inosservata. Poco dopo i Visigoti costituirono un regno nella Gallia del sud, che in seguito si estese a tutta la Spagna.

 

Da quel momento i re barbari non regnarono più soltanto sulle proprie tribù, ma anche sui romani sottomessi. Un evento simile accadde anche in Africa dove erano approdati i Vandali (429 d.C.), e nella Gallia centrale e settentrionale dove Burgundi e Franchi già vivevano in modo autonomo.

 

Gli imperatori del V secolo fecero sempre più affidamento sulla forza militare germanica accettando guerrieri nell’esercito, che ormai era quasi del tutto barbarizzato. I Germani salirono ai gradi più alti e come magistri militum cominciarono a influenzare la politica. In oriente gli imperatori riuscirono invece a respingere la pressione germanica, che finì per rovesciarsi quasi tutta ad ovest. Cadde pure la Britannia nel 442 d.C., sotto l’invasione di Angli e Sassoni.

 

Nel 451 d.C. il magister militum Ezio (figlio di un barbaro e di una romana), alleato con i Germani, riuscì a sconfiggere in Gallia le tribù degli Unni  con a capo Attila, stabilizzando per un po’ la situazione. Fu l’ultima vittoria di un esercito romano imperiale.

 

Ma la sorte di ciò che restava dell’impero d’occidente era segnata, Odoacre, germano al soldo dei romani, fu acclamato re dall’esercito, e nel 476 d.C. destituì il giovane Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’occidente, inviando a Costantinopoli le insegne imperiali. La sovranità dell’impero di Roma terminava, l’antico nucleo imperiale (l’Italia) era diventato un regno germanico. All’imperatore d’oriente Zenone non rimase che prenderne atto.

 

È questa la data che la storiografia moderna ha scelto per la fine dell’impero romano e del mondo antico. Ma come abbiamo visto, la fine di una civiltà è un evento complesso, difficilmente collocabile in un punto preciso, risultando piuttosto dall’accumularsi di vari momenti decisivi, distribuiti nel tempo, tutti concorrenti al medesimo obbiettivo. Se proprio  si deve scegliere un data, tenendo conto anche del giudizio di quanti vissero in quei travagliati anni, forse la data più simbolica per la fine di Roma è la caduta della città nel 410 d.C.

 

Ma la fine di Roma come potenza politica non coincide del tutto con la fine dell’antichità. L’atto che chiuse in maniera definitiva il mondo antico, fu la comparsa e il rapido dilagare di una nuova realtà politica e culturale: l’Islam, contraddistinto da un atteggiamento non meno universalistico di quello di Roma.

 

Nel VII secolo le schiere islamiche travolsero il regno persiano e diedero l’assalto all’impero d’oriente. Fra 635 e 642 Costantinopoli perse le province più importanti: Siria, Palestina, Egitto.

 

Anche il resto del nord Africa cadde in mano ai musulmani, furono sradicati per sempre da quei luoghi lingua e costumi romani, che avevano continuato a vivere anche dopo la fine della città.

 

L’unità del mondo mediterraneo, l’area centrale della civiltà antica, era spezzata per sempre.



 

 

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