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N. 78 - Giugno 2014 (CIX)

STORIA DI EUSKADI TA ASKATASUNA
BREVI CENNI SUL NAZIONALISMO BASCO

di Filippo Petrocelli

 

Ascia e serpente che sovrastano l’ikurrina – la bandiera basca – cappucci bianchi, pugni alzati e immagini dei martiri del movimento: questa l’iconografia tradizionale di ETA (Euskadi Ta Askatasuna), ovvero “Paese Basco e Libertà”, organizzazione fondata sul finire degli anni Cinquanta per rivendicare l’indipendenza di Euskal Herria.

 

Per Euskal Herria, o “Paese Basco” si intende quella porzione di territorio a cavallo dei Pirenei, che include le provincie di Araba, Guipuzkoa, Vizcaya e Navarra in Spagna e quelle di Bassa Navarra, Lapurdi e Zuberoa in Francia, territori che hanno da sempre goduto di ampia autonomia, fin dai tempi dell’occupazione romana, arrivando all’Età moderna sostanzialmente indipendenti.

 

Su queste zone l’autorità politica del re di Spagna è sempre stata meramente formale e a regolare la vita dei baschi sono stati i fueros, norme di diritto consuetudinario stratificate in quasi dieci secoli di esistenza.

 

Il pilastro dell’identità basca è invece la lingua, l’euskera, unico idioma a non avere relazioni con la famiglia delle lingue indoeuropee e a rappresentare un unicum per gli studiosi di mezzo mondo, oltre che testimone più eloquente dell’alterità di questo antico popolo nel cuore della “vecchia Europa”.

 

LA NASCITA DI ETA

 

ETA nasce nel 1958 da un gruppo di giovani appartenenti a Ekin, in rotta con la linea tradizionale del nazionalismo basco.

 

Il contesto in cui si sviluppa è quello del consolidamento del franchismo, dove in nome di una posticcia espanidad si soffocano tradizioni popolari, localismi e particolarismi regionali.

 

Ekin è un’organizzazione che conduce una battaglia in favore della lingua basca, rifiutando una definizione identitaria su base etnica e razziale, in favore invece di quella “culturale”: basco è chi è euskladun, ossia chi parla l’euskara, non necessariamente chi è nato in Euskal Herria.

 

Questo piccolo gruppo di militanti accusa il PNV, o “Partito nazionalista vasco” – che ha incarnato da fine Ottocento le istanze irredentiste dei baschi – di moderazione e immobilismo ma soprattutto di aver condotto la lotta per l’indipendenza in un vicolo cieco, accettando de facto la dominazione spagnola.

 

Nei primi anni di vita dell’organizzazione è in atto un fervente dibattito interno, sulla collocazione e sulla natura della lotta che ETA deve condurre.

 

Inizialmente i confini ideologici del movimento sono molto confusi complice la presenza di una forte matrice cattolica unita a rivendicazioni culturali, sociali e nazionali.

 

Gradualmente l’asse del dibattito si sposta verso sinistra, facendo approdare l’organizzazione su posizioni comuniste e rivoluzionarie, anche in seguito al cambiamento “genetico” dei militanti.

Si passa dall’egemonia di studenti di estrazione piccolo borghese dell’esordio, a un massiccio afflusso di una componente proletaria e sotto-proletaria.

 

A partire dagli anni Sessanta la battaglia per l’indipendenza basca si interseca con le molte lotte di liberazione nazionale, optando per la lotta armata e assumendo caratteri antimperialisti e anticapitalisti.

 

Saranno le assemblee degli anni Sessanta, momento apicale di dibattito e confronto per i militanti indipendentisti, a marcare in senso sempre più marxista-leninista l’ideologia di ETA, non senza generare scissioni e tensioni – come quella di ETA-berri o quella di ETA VI Assemblea – che saranno solo alcuni dei mille rivoli nei quali si divide il movimento.

 

Mentre le prime tre assemblee comprese fra il 1962 e il 1964 tracciano confini ambigui sull’ideologia di ETA, nel ’65 la IV assemblea segna l’avvicinamento al marxismo, la V la divisione dell’organizzazione in fronti (Politico, Operaio, Militare e Culturale) e la VI il definitivo approdo al marxismo-leninismo, con la volontà manifesta di costruire uno stato socialista in Euskal Herria.

 

L’OPERAZIONE OGRO E LE SCISSIONI DI ETA

 

Il 7 giugno 1968 avviene il primo attentato di ETA che coinvolge una vittima: l’omicidio di Josè Pardines, membro della guardia civil. Da quel momento e pur tutto il ventennio successivo il conflitto fra ETA e stato spagnolo è totale.

 

Omicidi mirati, bombe e sabotaggi che causano circa ottocento vittime fra civili e militari, a fronte di una guerra sporca condotta a partire dagli anni Settanta da gruppi paramilitari, foraggiati e coperti dal governo spagnolo con l’obiettivo di eliminare i militanti del movimento indipendentista basco.

 

Una guerra sucia come cominciano a chiamarla, che coinvolge relitti del franchismo, terroristi neofascisti e servizi segreti di mezza Europa in una fitta trama di connivenza e mutua assistenza, perpetrata anche dopo la morte di Franco.

 

Spesso a finire vittima di torture, abusi e omicidi sono semplici militanti politici baschi, anche distanti dalle posizioni di ETA, mentre nelle carceri spagnole ancora oggi sono presenti settecento prigionieri politici dell’organizzazione.

 

L’apice di questo scontro è l’aprile del ’74 quando una potente esplosione pone fine al disegno di successione interno al franchismo, uccidendo in un attentato l’Ammiraglio Carrero Blanco, designato dal dittatore come “nuovo” caudillo.

 

è la cosiddetta “operazione Ogro” che sebbene sia un enorme successo strategico e militare non contribuisce a compattare l’organizzazione ma anzi “catalizza” le tensioni al suo interno.

 

Paradossalmente proprio nel momento di massimo successo della lotta armata indipendentista, le frizioni diventano insostenibili, in un confronto serrato fra l’anima più politica e quella più militare del movimento.

 

Il conflitto è fra fronte Operaio – che critica alcune modalità dell’operazione Ogro – e fronte Militare, che invece intende continuare nello “scontro frontale” con lo stato.

 

Le divergenze sono di tipo ideologico ma non solo: il fronte Operaio viene accusato di sterile settarismo mentre al fronte Militare viene rimproverata un’eccessiva autonomia.

 

Gli “operai” escono dall’organizzazione sul finire del 1973 dando vita a EIAI, acronimo di Langile Abertzale Iraultzaileen Alderdia ovvero “Partito patriottico e rivoluzionario dei lavoratori” che persegue una linea più tradizionale all’interno del movimento operaio.

 

Nonostante ciò il conflitto latente in ETA non cessa e si ripropone solo un anno dopo con la scissione in due dell’organizzazione: ETA politico-militar – dove confluiscono la maggior parte dei militanti – e ETA militar.

 

In altre parole l’anima politica del movimento si scontra, definitivamente, con quella militare.

A dividerli questioni relative al ruolo dell’avanguardia armata e al tipo di guerra rivoluzionaria da condurre, ma soprattutto “l’orizzonte” della lotta.

 

Non è estranea a questa scissione la differenza generazionale: la vecchia guardia converge su ETA militar mentre la generazione di mezzo si coagula intorno al processo “politico-militare” di ETA-pm.

 

LA TRANSIZIONE ALLA DEMOCRAZIA: UNA NUOVA CESURA

 

Le ragioni della scissione diventano più esplicite qualche anno più tardi: a dividere è l’atteggiamento da tenere durante la transizione alla democrazia, dopo la morte del generale Franco nel ’75.

 

Bisogna decidere se il nuovo stato spagnolo sia veramente rinnovato tanto da cominciare a partecipare alla vita politica del paese, oppure in quanto semplice mutazione del regime franchista occorra ancora combatterlo.

 

Per il futuro di ETA i “militari” desiderano un vasto fronte indipendentista di cui essere il braccio armato, mentre i “politico-militari” sul modello delle guerriglie sudamericane si illudono di poter guidare direttamente il processo – coordinando appunto lavoro politico e operazioni militari – per preparare una futura integrazione nel sistema democratico. Questi ultimi confidano in un sostanziale cambio di rotta del governo e soprattutto intendono partecipare alla competizione elettorale del 1977, la prima dopo la dittatura.

 

Con l’avvento della democrazia sono molti i partiti e le organizzazioni che passano alla legalità ma al contempo la repressione spagnola contro l’ETA ha il risultato di ampliare i consensi di cui gode il movimento che proprio in questa fase vive il suo apice politico.

 

Non è un caso la formazione di una galassia di gruppi nati all’interno della sinistra patriottica basca, capaci di tradurre in “parole” politiche la lotta di ETA e condurre la battaglia sul piano della democrazia formale. Come EE, sigla di Euskadiko Ezkerra, o “Sinistra basca”, che partecipa alle elezioni del 1977 facendo eleggere anche un deputato e che diventa nei fatti il braccio politico di ETA politico-militar stabilendo con l’organizzazione una relazione simbiotica e privilegiata.

 

ETA militar invece boicotta le elezioni, partecipando però a KAS (Koordinadora Abertzale Sozialista), ovvero un coordinamento dei gruppi indipendentisti baschi.

 

La situazione si complica ulteriormente quando viene approvato nel 1978 lo Statuto di autonomia dei Paesi baschi – anche in seguito alla vittoria del PNV in Euskadi – e una parte consistente del movimento considera raggiunto un traguardo.

 

È l’inizio di un processo che si concretizza nel 1983 con il definitivo abbandono della lotta armata da parte di ETA politico-militar e il suo confluire prima in EE e poi nella federazione basca del PSOE (Partido Socialista Obrero Espanol) all’inizio degli anni Novanta.

 

ETA militar di contro continua la sua lotta integrando i resti dell’altra organizzazione in disaccordo con i vertici “politico-militari”. Nel frattempo la relazione politica più diretta di questo gruppo è invece con Herri Batasuna, nato nel 1978 e diventato presto il soggetto principale della sinistra abertzale o “patriottica” negli anni Ottanta e Novanta.

 

ETA nonostante tutto resta il nemico pubblico della Spagna democratica e sono molte le ondate repressive che investono il movimento negli anni Ottanta, quando il livello dello scontro è nuovamente alto. Ad essere colpiti sono molti militanti di Herri Batasuna, diventati il bersaglio prediletto delle autorità giudiziarie grazie anche ad una legge approvata ad hoc sulla partecipazione a “banda armata”.

 

In realtà già nei primi anni Novanta anche ETA militar tratta con il governo una soluzione politica, ma gli accordi si concludono con un nulla di fatto. Bisognerà aspettare il 20 ottobre 2011 per avere la definitiva rinuncia alle armi da parte di ETA, seppure già nella seconda metà degli anni Novanta le operazioni dell’organizzazione si siano molto ridotte.

 

L’abbandono della lotta armata e l’avvio di un processo di pace rappresentano l’epilogo di sessant’anni di lotta e una nuova cesura per tutta la sinistra patriottica. Nel frattempo ETA ha scritto, nel bene e nel male, la storia dell’indipendentismo basco.



 

 

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