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N. 64 - Aprile 2013 (XCV)

L’AMICIZIA AI TEMPI DELL’UMANITà
Come negare odio e violenza

di Chiara Francesca Chianella

 

Coetaneo dell’uomo, il sentimento amicale ha unito le genti di ogni dove e di ogni tempo, al punto tale da non poter fare a meno di esso.

 

Si potrebbe facilmente definire l’amicizia come il caposaldo della vita associata, chiave di volta del rapporto interpersonale contestualizzato nel suo microcosmo.

 

“Senza una qualche forma di amicizia,

i rapporti umani sarebbero dettati dall’odio e dalla violenza”,

 

asserisce con fermezza l’Abbagnano che individua nella divisione, nell’ostilità i nemici della concordia tra gli individui.

 

L’amicizia non deve essere vista come un sentimento accessorio, superfluo: essa è la chiara evidenza di un concreto supporto per l’equilibrio psicologico del soggetto.

 

Essa è fatta di un continuo scambio, affinità di atteggiamenti, confidenza, comunanza di obiettivi. L’Abbagnano sembra descrivere tale vincolo come una sorta di “rimedio medico” che  è in grado di rendere

 

“sopportabili o sereni i difficili rapporti che pesano oggi sugli uomini

e ne garantiscono la continuità e la durata”.

 

Nonostante esistano tutti questi ostacoli alla vita in comunità bisogna continuare a credere nell’amicizia, essa è

 

“un bene che dovrebbe accompagnare tutte le stagioni della vita”,

 

insterilisce chi ne fa a meno, arricchisce e fa risplendere la formazione di chi la incontra.

 

La ricerca dell’amicizia accomuna gli uomini e ha un’importanza tale da assurgere a iter primario per la ricerca, dà gioia, induce ad amare e ad essere amati, dà solide basi alla conferma dell’identità. Come tutti i beni rari essa va governata con giudizio affinché sveli in tutta la sua pienezza le sue preziose qualità che, sole, sono in grado di sostenere l’individuo nel corso della sua esistenza.

 

È di Aristotele (384/3-322 a. C.) la prima riflessione sistematica del mondo classico sull’amicizia. Ad essa egli dedicò i libri VIII e IX dell’Etica Nicomachea attirando l’attenzione del lettore per la sua estensione: per la prima volta l’amicizia – sintesi di virtù morali – è studiata nella sua complessità  e importanza. 

 

Appena varcati i cancelli dell’io, troviamo l’altro.

 

Oggi come ieri il legame che tiene insieme delle soggettività affascina risultando essere un oggetto di studio sempre attuale. Tra il 24 e il 25 febbraio del 2005, a Roma, si è tenuto il XIII Convegno internazionale di filosofia La necessità dell’amicizia. “Nessuno dovrebbe vivere senza amici” della Pontificia Università della Santa Croce con lo scopo di trattare questo tema dal punto di vista ontologico, antropologico ed etico.

 

Ciò a testimonianza del fatto che ancora oggi ci si interessa di un tema “caldo” come l’amicizia per via dell’evolversi della società attuale, l’integrarsi delle nuove tecnologie nella vita quotidiana e delle modalità di atteggiamento nei confronti del rapporto amicale. Riportando alcuni stralci degli atti del Congresso raccolti da Marco D’Avenia (Professore di Filosofia morale presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma) si vuol far risaltare come sia mutato l’atteggiamento dell’uomo del mondo moderno alle prese con la tecnologia imperante in ogni aspetto della sua vita e come essa abbia cambiato, se sia cambiata, la considerazione dell’amicizia.

 

Professore di Antropologia filosofica presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, Antonio Malo nel suo saggio intitolato L’amicizia come necessità essenziale delle persone nota che l’origine dell’amicizia è da ricercarsi nella

 

“partecipazione alla stessa natura umana”.

 

Stupisce come egli non faccia riferimento alcuno alla consanguineità, né al senso di appartenenza ad un determinato gruppo sociale come la famiglia, tribù, nazione, come tanta filosofia ci ha tramandato per secoli.

 

“La necessità dell’amicizia trascende quindi sia il livello fisiologico sia quello sociale,

per collocarsi su un piano propriamente umano, o meglio prettamente personale”.

 

L’amicizia influisce sulla sfera personale tanto da esserne un’importante componente ma non l’unica. La personalità di un uomo grazie alla sinergia che si attua tra coscienza innata, esperienze vissute ma soprattutto le diverse relazioni umane che egli allaccia nel corso della sua vita. Si può dire che il complesso risultato della coscienza di un individuo viene fuori dalla variabile combinazione tra identità e relazione con la diversità.

 

“Io” ed “Altro”, dunque, sono parti imprescindibile dell’uomo ma come agiscono tra loro? A. Malo ci viene in contro presentandoci le due leggi della natura umana che sono

 

“1) quella dell’integrazione, secondo la quale l’identità non dipende dalla quantità di esperienze, di atti o di relazioni avute, quanto piuttosto dal grado di integrazione personale raggiunto;

2) quella dell’origine dei rapporti: quanto più i rapporti provengono dalla libertà (dall’essere/dover-essere della persona), tanto più essi favoriscono la crescita dell’identità personale”.

 

È necessario che ci sia non quantità, dunque, bensì qualità nelle relazioni e quest’ultime sono determinate dalla libertà con cui esse vengono scelte: non è possibile scegliersi da quali genitori nascere, con quali fratelli condividere e i giochi e le discussioni, che figli avere, essi sono rapporti spontanei, dati dalla natura, il cui legame deve essere coltivato e amato nel tempo.

 

La parentela è la “scuola di vita” all’interno della quale si apprendono le prime nozioni di affetto e relazionalità. L’amicizia, invece, è frutto di una scelta personale determinata dal proprio sentire: si sceglie un amico per l’affinità che rende piacevole il tempo condiviso, egli non è un individuo poi tanto dissimile da noi per cui

 

“per scegliere qualcuno come amico, bisogna conoscere e amare ciò che è proprio:

ciò che siamo e ciò che vogliamo essere, ovvero bisogna avere un progetto

della propria vita più o meno definito”.

 

Vien da sé quindi concludere che affinché si possa vivere un’amicizia è necessaria che ci sia a monte almeno un inizio di identità personale. Accostare la propria sensibilità al sentire di un altro non sembra essere così semplice, dice A. Malo, nella società occidentale dei nostri giorni in quanto il particolarismo è talmente radicato da non consentire un libera apertura al di fuori di sé stessi. Infatti,

 

“per un numero considerabile di persone nella società attuale, i propri atteggiamenti  vitali, giudizi e azioni non sono strutturati in modo organico, mancando così quell’unità grazie alla quale tutto ciò che emana dalla persona appare necessariamente legato

a quella persona e a nessun’altra”.

 

A. Malo continua il suo discorso sull’amicizia puntando l’attenzione su come essa può essere considerata in seno alla libertà.

 

L’amicizia limita la libertà? Un amico può limitarci?

 

La tesi che sostiene lo studioso è che

 

“l’amicizia crea lo spazio per il suo esercizio”,

 

soffermandosi su di una sua caratteristica peculiare: la riflessività.

Il rapporto diadico si regge grazie alla necessaria differenza che esiste tra due individualità ben definite. Ancora più importante è il “tipo” di differenza che non dovrà essere troppa per non generare difformità troppo evidenti in quanto si conosce l’amico perché ci si vuole aprire a qualcosa che “altro da me” ma lo si ama per l’affinità, infatti

 

“i limiti dell’autoconoscenza e dell’amore riflesso di sé, che corrispondono

alla propria soggettività, sono superati dall’amicizia, perché in essa la conoscenza,

e l’amore di sé hanno come origine una persona che non è il proprio io, ma un altro io”.

 

Non si cerca nell’amico lo specchio di sé stessi, anche perché se così fosse, l’amicizia che nascerà non gioverà moralmente ad entrambi in quando non si potrà mai raggiungere una conoscenza approfondita di sé stessi, ma si dovrà ricercare, quindi, una necessaria differenza:

 

“l’amicizia è somiglianza, e non pura identità: essa è identità nella differenza”.

 

Il dialogo, la condivisione di impressioni su determinati argomenti da cui si può cogliere un personale giudizio e eventuali pregiudizi, si evidenziano non appena ci si imbatte in un mondo geograficamente diverso dal nostro, rendendo consapevole  il proprio modo di pensare e agire.

 

L’amico è il mezzo attraverso cui si può raggiungere un rapporto stretto con sé stessi. Egli è certamente un individuo “altro” ma è un altro se stesso (allos autos), grazie all’amico ci si rivolge come a se stessi, certi di trovare un’identità in due, basata sulla bontà. A. Malo precisa altresì che questa reciprocità nel sentire, deve preservare la personale identità e ricordare che la stessa quantità di amore che si dà verrà riflessa per ritornare al punto di origine, intatta e sempre uguale, legando sempre più. Amare l’altro per se stesso, infatti, permette di conoscere me stesso e viceversa; anche l’altro mi amerà come fine, in questo modo si aprirà una virtuosa corrispondenza biunivoca che prenderà il nome di reciprocità.

 

Anche Aristotele considera i rapporti di amicizia in seno alla reciprocità. Egli ritiene che l’amicizia retta dal piacere e dall’utilità si conservano nel tempo solo se il vantaggio che se ne ricava viene ricambiato costantemente, al primo cedimento da una delle due parti, il legame si rompe. Questi tipi di amicizie sono superficiali, non consentono un adeguato approfondimento del proprio io, inibendo la possibilità che ci si formi una propria identità. Le amicizie nate per utilità o piacere spesso si trasformano in rapporto strumentale proprio perché nel proprio amico si vede solo il fine dei propri scopi.

 

“Nell’amicizia che aiuta alla costituzione della propria identità, ognuno conosce-ama l’altro come fine, né come mezzo né in base alle sue qualità o capacità, il che significa che conosce-ama l’altro come indipendente dai suoi bisogni, sentimenti o utilità. Nell’amicizia percettiva la base non sono le attività realizzate insieme e neanche il piacere o l’utilità che si condividono, ma l’amico in quanto tale; solo così non c’è il pericolo che il rapporto scivoli verso una mutua dipendenza strumentale”.

 

Ciò che rende duratura e di vero valore l’amicizia è la virtù: essa è necessaria e utile a se stessi e all’amico. La virtù è l’unica arma a disposizione per contrastare efficacemente i vizi e gli egoismi.

 

“L’amicizia richiede la virtù perché gli amici devono far crescere il legame,

sfidando i pericoli che i mutamenti introdotti dal tempo o dall’allontanamento fisico portano con sé”.

 

A. Malo, a ragione, pone un quesito interessante:

 

"Come è possibile aiutare l’altro a crescere in identità quando noi stessi abbiamo bisogno di aiuto?"

 

Spesso, infatti, capita che la conoscenza di sé stessi risulta essere un’impresa assai ardua perché impedita da superbia, autoinganno. L’amicizia virtuosa può, al contrario, spalancare le porte verso l’altrui, il diverso scoprendo la propria identità e unicità, rendendoci sicuri per affrontare il cammino della propria conoscenza. Qui entra in gioco la fiducia, un patto non scritto che lega incondizionatamente che fa accettare quanto si comunica come unica verità. Si realizza, in questo modo, una vera unione profonda, intima che fa condividere affetti, gioendo e soffrendo in comune, al riparo da diffidenza  e sospetto.

 

L’amicizia è un dono, un ricco e gratuito dono, occasione insostituibile di crescita.

 

“Donare è dare se stessi, cioè accettare l’altro come egli è, aiutandolo,

mediante il rispetto della sua identità e la fiducia che si ha in lui, ad essere se stesso. La donazione appare così in vero atto generatore dell’identità personale,

in quanto conduce a maturazione negli amici delle potenzialità che senza l’atto

di amicizia non sarebbero state ridestate, perché solo l’emergere dell’altra persona, della comunicazione della sua intimità, e del suo aiuto le hanno reso possibili”.



 

 

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