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N. 84 - Dicembre 2014 (CXV)

"Abbiamo visto spuntare la sua stella"
Che cosa fu davvero la Stella di Betlemme?

di Andrea Filippini

 

Spesso le figurazioni pittoriche della Natività e quasi ogni sua rappresentazione plastica – il presepio per intenderci – contengono un elemento particolarmente suggestivo: la stella cometa. Nell’iconografia antica la stella sopra il presepe non è rappresentata con la coda.

 

Fu il famoso pittore Giotto di Bondone il primo a dipingere nel 1305, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, un affresco con una cometa dalla lunga coda sopra il luogo del presepe.

 

L’enigmatica e sibillina dichiarazione «abbiamo visto spuntare la sua stella» (Matteo 2:2), attribuita dal primo degli evangelisti ai Magi, da quasi duemila anni si presta a continue, discusse e discutibili, dissertazioni erudite.

 

L’arco interpretativo è molto ampio e va dalla negazione totale dell’evento come fatto storico – la storia della stella sarebbe semplicemente un mito creato ad arte dalla comunità cristiana per avvolgere in un’aura mistica l’incarnazione del Figlio di Dio – fino a un reale miracolo divino.

 

Qualcuno ha romanticamente pensato che al più, se proprio si vuol scorgere una qualche reminiscenza storica nel racconto della stella, potrebbe trattarsi del ricordo di una stellata particolare all’epoca della nascita di Gesù.

 

Che cosa fu la stella di Betlemme? Propongo un excursus delle teorie più o meno accreditate lasciando al lettore la facoltà di decidere quale ritenere più convincente. Parto dalle interpretazioni di natura simbolico-religiosa.

 

Nella letteratura giudaica antica le stelle venivano spesso personificate. Il filosofo ebreo Filone, che fu contemporaneo di Gesù, ripetutamente parlò delle stelle come di esseri, creature o animali viventi (De Opificio Mundi XXIV, 73; De Somniis I, 135; De Plantatione III, 12).

 

La Bibbia stessa associa il termine “stella” a entità viventi (Giudici 5:20; Giobbe 38:7; Apocalisse 1:20; 12:4; 22:16), anche se talora esplicitamente in senso figurativo (Genesi 37:9). Su questa base, alcuni interpretano la stella come un messaggero divino e affermano «che dovremmo identificare la stella di Matteo 2 come un angelo» (Allison).

 

Secondo altri, il racconto della stella sarebbe l’esegesi matteana del brano veterotestamentario relativo all’«oracolo di Balaam» vaticinante la comparsa di una «stella […] da Giacobbe» (Numeri 24:15, 17), esegesi elaborata e applicata ad hoc a Gesù, per sostenere la sua messianicità. Matteo avrebbe utilizzato un’invenzione narrativa appartenente al genere letterario ebraico del midrash di tipo haggadico, «racconti che, pur non escludendo una certa storicità, hanno per scopo l’insegnamento, l’edificazione, la lode di Dio» (Cuminetti).

 

Il legame analogico tra alcuni dettagli dell’episodio riportato nel libro dei Numeri e il testo matteano (Balaam frustra il piano di Balac contro gli ebrei/i Magi impediscono a Erode di uccidere Gesù, Balaam era un mago/i Magi sono maghi, ecc.) confermerebbe la bontà di questa teoria. L’associazione esegetica tra questi due passi scritturistici fu compiuta fin dal tempo degli Apologisti. Ireneo di Lione, per esempio, scrisse: «La sua stella fu così profetata da Balaam: “Spunterà una stella da Giacobbe e uscirà un condottiero da Israele”.

 

Ora Matteo riferisce che i magi venuti dall’Oriente dissero: “Vedemmo la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo”; e condotti dalla stella nella casa di Giacobbe fino all’Emmanuele mostrarono coi loro doni chi fosse Colui che adoravano» (Contro le eresie, III, 9, 2).

 

Ancora nel V secolo papa Leone Magno affermava che «i Magi per comprendere il prodigioso segno poterono essere istruiti anche dall’antico oracolo di Balaam sapendo che una volta era stato detto e con memoranda celebrità diffusa la profezia: “Un astro spunterà da Giacobbe, uno scettro uscirà da Israele”» (Sermone XXXIV, 2).

 

Sul fronte interpretativo religioso-fideistico, resta attuale tra molti credenti l’idea che Matteo reputasse la manifestazione di una stella al tempo della nascita di Gesù di Nazaret quale «fenomeno assolutamente miracoloso» (Ricciotti), addirittura di origine non divina.

 

Questa visione del brano chiarirebbe alcune peculiarità della pericope evangelica altrimenti bizzarre. Perché inviare un messaggero angelico dal re Erode, creando i presupposti per il tentato omicidio del neonato Gesù, rectius, per la commissione della “strage degli innocenti”?

 

Possibile che degli angeli mandati da Dio avessero la necessità d’informarsi circa il luogo di nascita del Messia? Come intendere l’anomala visibilità selettiva della stella che reiteratamente compare alla vista dei soli Magi?

 

Queste riflessioni ricalcano parzialmente le interessanti argomentazioni fornite verso il 390 d.C. da Giovanni Crisostomo, Dottore della Chiesa: «Che questa stella non fosse una delle tante, anzi che non fosse nemmeno una stella, a mio parere, ma una potenza invisibile trasformata in questo aspetto, è evidente innanzitutto dal suo percorso.

 

Non c’è infatti, non c’è una stella che percorra questa via, ma, se ti riferisci al sole, alla luna e a tutti gli altri astri, vediamo che procedono da oriente a occidente; questa invece si muoveva da nord a sud, perché questa è la posizione della Palestina rispetto alla Persia. In secondo luogo è possibile constatarlo anche dal momento della sua apparizione, perché non appare di notte, ma in pieno giorno, quando il sole risplendeva, e questo non rientra nelle possibilità di una stella e nemmeno della luna; questa infatti, pur superando tanto tutti gli astri, all’apparire del raggio di sole si nasconde subito e scompare.

 

Quella invece vinse anche i raggi del sole con l’immenso suo splendore, apparendo più luminosa di essi e brillando più intensamente con una luce più grande. In terzo luogo ciò si evince dal suo apparire e di nuovo scomparire. Difatti appariva quando li guidava nel viaggio fino in Palestina e poi, dopo che essi giunsero a Gerusalemme, si occultò; si mostra di nuovo successivamente quando, lasciato Erode dopo averlo informato sul motivo della loro venuta, si accinsero a partire. Questo è proprio non del movimento di una stella, ma di una potenza assai razionale» (Omelie sul vangelo di Matteo, VI, 2).

 

Nelle note a Matteo 2:9, i curatori de La Bibbia di Gerusalemme, propongono la conclusione che «l’evangelista pensa chiaramente a un astro miracoloso di cui è inutile cercare una spiegazione naturale». Tuttavia c’è tutto un filone di pensatori e studiosi che ricerca nella stella di Betlemme proprio un nesso storico con un fenomeno fisico naturale realmente verificatosi al tempo della nascita di Gesù. Sono state indagate e studiate, credo, tutte le possibilità offerte dall’astronomia.

 

In una Vita di Gesù, la stella è semplicemente una meteora: «Mentre studiavano, dall’alto delle loro torri d’argilla, l’ammirabile cielo orientale, [i Magi] hanno visto apparire e dirigersi verso la Palestina una meteora eccezionale» (Bessières).

 

Uno scienziato britannico, dopo aver studiato attentamente alcuni antichi documenti cinesi che registrano il passaggio di tre comete negli anni 12, 5 e 4 a.C., e dopo aver vagliato le altre opzioni astronomiche, propugna convintamente la tesi che la stella di Betlemme fu una cometa. «Solamente la cometa del 5 a.C. può essere identificata come la stella di Betlemme.

 

La descrizione cinese di questa cometa, in modo particolare la sua apparizione in Oriente e la sua visibilità per oltre 70 giorni, è in accordo con la descrizione di Matteo». Per agganciare questa conclusione astronomica al testo evangelico quest’autore presenta una valutazione filologica. Invita a considerare «la curiosa terminologia di Matteo 2:9» dove leggiamo «che la stella ‘si fermò sopra’ Betlemme».

 

Secondo lui «frasi del tipo “si fermò sopra” e “appeso sopra” sembrano essere usate nell’antica letteratura unicamente per descrivere una cometa», e aggiunge di non essere «riuscito a trovare nessun documento in cui tali espressioni siano utilizzate per descrivere qualche altro tipo di oggetto astronomico» (Humphreys).

 

Consideriamo l’ipotesi di una nova o supernova. Una nova o supernova è una stella debole o molto distante, nella quale ha luogo un’esplosione, per cui, per un po’ di settimane o mesi, viene emanata una grande quantità di luce di intensità tale che, talvolta, può esser vista anche in pieno giorno. Una supernova può essere più luminosa perfino della luna, dal momento che la stella in questione può avere una quantità di luce cento milioni di volte maggiore di quella del nostro sole.

 

Ignazio d’Antiochia, uno dei Padri Apostolici, sembrerebbe suffragare l’idea di una supernova: «Un astro brillò nel cielo sopra tutti gli astri, la sua luce era indicibile, e la sua novità stupì. Le altre stelle con il sole e la luna fecero un coro all’astro ed esso più di tutti illuminò» (Agli Efesini, XIX, 2).

 

Va rilevato che questo testo possiede un carattere marcatamente poetico e retorico. Un argomento valutativo più rilevante proviene dalla scoperta che «secondo le antiche cronache cinesi delle Ventiquattro Storie una supernova era brillata nel cielo intorno all’anno 5 avanti Cristo, una data molto vicina a quella della nascita di Gesù e dunque interessante. Potrebbe essere stata visibile anche in tutto il Medio Oriente» (Tornielli).

 

La maggior parte degli studiosi oggi propende per l’idea che la stella di Betlemme fu una congiunzione planetaria. L’ipotesi più accreditata riguarda la luminosissima congiunzione (avvicinamento) dei pianeti Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Secondo questa teoria, durante la triplice congiunzione di Giove e Saturno, effettivamente verificatasi nel 7 a.C., i due pianeti sarebbero stati così vicini da poter essere scambiati, dal punto di vista di un osservatore terrestre, per un’unica grande stella di eccezionale splendore e luminosità.

 

La triplicità della sua apparizione giustificherebbe la circostanza che essa in più momenti apparve e scomparve alla vista dei Magi (Matteo 2:2, 7, 9). Gli archeologi avrebbero per giunta acclarato che nella simbologia degli astronomi babilonesi Giove era il pianeta dei dominatori del mondo, Saturno il pianeta protettore d’Israele e la costellazione dei Pesci era considerata il segno della “Fine dei Tempi”, dell’inizio cioè dell’era messianica. Alcuni ritengono che questa conjunctio magna di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci «poteva orientare astronomi dell’ambiente culturale babilonese-persiano verso il Paese di Giuda, ad un “re dei Giudei”» (Ratzinger).

 

Un’estremizzazione bizzarra dell’ipotesi testé esposta, è costituita dalla «teoria esegetica astronomica», postulata da uno specialista di elettronica e fisica. La storia giudaico-cristiana sarebbe stata scandita dagli eventi astronomici, in primis dal suddetto fenomeno planetario periodico. Almeno dal lontano re Davide in poi tutti gli eventi clou della storia sarebbero accaduti in prossimità o in coincidenza della congiunzione Giove-Saturno. Le Scritture ne conterrebbero la testimonianza in bella evidenza ma accuratamente celata dietro un linguaggio misterioso. Per amor di chiarezza, riprendo alcuni esempi.

 

Nel libro del profeta ebreo Daniele si legge: «Io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco sulle nubi del cielo venire uno simile a un Figlio dell’uomo; egli giunse fino all’Antico di giorni e fu fatto avvicinare a lui» (Daniele 7:13). La spiegazione?

 

Questo versetto conterrebbe «la descrizione criptica di una congiunzione tra i pianeti Saturno (o “l’antico dei giorni”) e Giove (“uno come figlio d’uomo”)». In una certa occasione ci fu un dialogo tra Gesù e alcuni suoi discepoli. Simone domandò al Maestro: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?» Nella sua risposta Gesù disse: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

 

Poi Filippo chiese a Gesù di mostrar loro il Padre. Gesù replicò: «Da tanto tempo sono con voi […] Chi ha visto me, ha visto anche il Padre mio […] io sono nel Padre e il Padre è in me» (Giovanni 14:5-11, il corsivo è mio). Secondo l’ideatore della teoria esegetica astronomica, «la via» a cui alluse Gesù «coincide con la traccia nel cielo di quello che oggi chiamiamo piano dell’eclittica, cioè il piano principale del nostro sistema solare». «Il Padre» che essi avevano già veduto era il «pianeta Saturno […] tutti avevano avuto la concreta possibilità di averne una visione diretta».

 

Con l’espressione «da tanto tempo sono con voi», Gesù stava rimbrottando Simone e Tommaso perché non avevano «fatto caso a quel prolungato fenomeno astronomico» che era in corso da qualche mese, una «lunghissima congiunzione doppia tra Giove e Saturno, congiunzione che – iniziata a settembre del 34 – si prolungò (come tutte le congiunzioni GS multiple) per quasi nove mesi!».

 

Questo dimostrerebbe che la morte di Gesù avvenne nella primavera del 35. Con l’affermazione «io sono nel Padre e il Padre è in me», Gesù avrebbe identificato se stesso come «il figlio dell’uomo»/pianeta Giove e il Padre come «l’antico dei giorni»/pianeta Saturno (De Cesaris). Attraverso l’interpretazione resa possibile da questo metodo esegetico-astronomico, si avrebbe una conferma della teoria della congiunzione Giove-Saturno.

 

Un astronomo, all’opposto, esclude tassativamente che la stella di Betlemme corrisponda alla suddetta congiunzione nella costellazione dei Pesci, e propone un’alternativa altrettanto speciosa.

 

Dopo aver realizzato, inizialmente attraverso lo studio di alcune monete del I secolo coniate ad Antiochia e a Damasco recanti le figure dell’ariete e di una stella e della falce lunare e poi tramite testi astrologici dei primi secoli, che l’Ariete e non i Pesci era la costellazione di riferimento per le terre di Giudea, questo studioso è convinto d’aver individuato l’evento celeste descritto da Matteo: il 17 aprile del 6 a.C. il pianeta Giove ebbe una levata eliaca in Ariete in coincidenza con una sua occultazione lunare (Molnar).

 

Differenti ma ugualmente ammissibili congiunzioni astronomiche che ebbero corso negli anni 3-2 a.C, in prossimità della data tradizionale della nascita di Gesù, sono state recentemente illustrate. Alcune d’esse implicano Giove con la stella Regolo, della costellazione del Leone, anch’essa un simbolo regale. Altre ancora, verificatesi pure in prossimità di Regolo, implicano Venere e altri pianeti, fra cui Marte e Mercurio (Newman).

 

Tutte le ipotesi legate alle congiunzioni planetarie cozzano con almeno due circostanze tutt’altro che trascurabili. Nel I secolo la tradizione babilonese e mesopotamica, nonostante la sua profondità in materia di divinazione astrale, non attribuiva al fenomeno delle congiunzioni planetarie alcun significato particolare «né conosceva cicli temporali basati sulle congiunzioni e il loro impatto sulla storia umana» (Panaino).

 

Ma assumiamo per puro amor di ragionamento che una tale dottrina apotelesmatica poggiante sulle congiunzioni astronomico-planetarie fosse già diffusa all’inizio dell’era cristiana. Proverebbe questo che il vangelo di Matteo quando parla della stella di Betlemme si riferisca proprio a una congiunzione?

 

Il testo non lo dice e per giunta sembra «metodologicamente assurdo voler asseverare una verità religiosa su un evento astronomico, da interpretarsi secondo una teoria astrologica, nel quadro non di una religione che ammetta l’astrologia (ne esistono diverse), ma di una fede, come il cristianesimo, che ne nega la validità» (Panaino).

 

Dopo questa carrellata incompleta di congetture, appare perspicuamente che l’indeterminatezza e l’interpretabilità delle espressioni chiave contenute nella pericope evangelica della Natività rendono arbitraria e soggettiva la ricerca dell’evento astrofisico che dovrebbe soggiacere al testo. Probabilmente occorre dubitare di ogni utilizzazione forzatamente storicizzante della vicenda della stella.

 

Che cosa allora i Magi videro spuntare nella volta stellare mediorientale?

 

Il letteralismo con cui in molti si sono cimentati a interpretare il brano, non porta a nessun approdo sicuro: nova, supernova, cometa, meteora, congiunzione planetaria, levata eliaca concomitante con un’occultazione lunare, ecc. Che dire di un’interpretazione religioso-fideistica?

 

Probabilmente potrebbe attagliarsi meglio al retaggio culturale e alle intenzioni di un autore cristiano del I secolo.



 

 

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