N. 35 - Novembre 2010 
                          
                          (LXVI)
																						a proposito di srebrenica
																						luglio 1995
																						
																						di Alessandro Ortis
																			
																			 
																			
																			
																			“Noi 
																			tutti 
																			oggi 
																			ci 
																			sentiamo 
																			come 
																			vittime, 
																			la 
																			mia 
																			anima 
																			sarà 
																			in 
																			pace 
																			solo 
																			quando 
																			li 
																			vedrò 
																			in 
																			prigione”. 
																			Queste 
																			sono 
																			le 
																			parole 
																			rilasciate 
																			in 
																			una 
																			intervista, 
																			nel 
																			2005, 
																			da 
																			una 
																			donna 
																			di 
																			Srebrenica 
																			parlando 
																			di 
																			tre 
																			uomini, 
																			il 
																			cui 
																			nome 
																			da 
																			quelle 
																			parti 
																			fa 
																			ancora 
																			paura: 
																			Radovan 
																			Karazdic, 
																			Ratko 
																			Mladic 
																			e 
																			Slobodan 
																			Milosevic.
																			 
																			
																			
																			 A 
																			quindici 
																			anni 
																			dalle 
																			uccisioni 
																			di 
																			8000 
																			bosniaci 
																			musulmani, 
																			dagli 
																			eventi 
																			che, 
																			il 
																			giudice 
																			Riad 
																			del 
																			Tribunale 
																			Internazionale 
																			dell’Aia 
																			nel 
																			settembre 
																			1995, 
																			ha 
																			definito 
																			come 
																			«scene 
																			tratte 
																			dall’inferno 
																			che 
																			hanno 
																			scritto 
																			le 
																			peggiori 
																			pagine 
																			della 
																			storia 
																			dell’uomo», 
																			la 
																			piccola 
																			enclave 
																			di 
																			Srebrenica, 
																			incastrata 
																			tra 
																			le 
																			montagne 
																			della 
																			Bosnia 
																			orientale, 
																			attualmente 
																			territorio 
																			della 
																			Republika 
																			Srpska, 
																			porta 
																			ancora 
																			oggi 
																			le 
																			ferite 
																			di 
																			quei 
																			tragici 
																			giorni.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Prima 
																			della 
																			guerra 
																			degli 
																			anni 
																			Novanta, 
																			Srebrenica 
																			era 
																			una 
																			cittadina 
																			di 
																			37,000 
																			persone, 
																			di 
																			cui 
																			il 
																			73% 
																			erano 
																			Bosniaco-musulmani 
																			e il 
																			25 % 
																			Serbi 
																			(secondo 
																			l’ultimo 
																			censimento 
																			del 
																			1991). 
																			Qui, 
																			venivano 
																			a 
																			curarsi 
																			molti 
																			iugoslavi, 
																			per 
																			via 
																			delle 
																			sue 
																			fonti 
																			termali 
																			e il 
																			regime 
																			titino 
																			aveva 
																			qui 
																			deciso 
																			di 
																			investire 
																			molto, 
																			data 
																			la 
																			presenza 
																			di 
																			miniere 
																			d’argento, 
																			oro, 
																			bauxite 
																			e 
																			altri 
																			importanti 
																			minerali. 
																			Fabbriche 
																			erano 
																			sorte 
																			in 
																			tutta 
																			la 
																			piccola 
																			valle 
																			e 
																			davano 
																			lavoro 
																			a 
																			tutti. 
																			La 
																			via 
																			iugoslava 
																			al 
																			socialismo, 
																			qui, 
																			si 
																			era 
																			realizzata.
																			 
																			
																			
																			Allo 
																			scoppio 
																			della 
																			guerra 
																			civile, 
																			nel 
																			1991, 
																			chi 
																			viveva 
																			in 
																			Bosnia 
																			vedeva 
																			la 
																			secessione 
																			in 
																			atto 
																			della 
																			piccola 
																			Slovenia 
																			come 
																			un 
																			fatto 
																			lontano, 
																			distante 
																			dalla 
																			loro 
																			realtà: 
																			tutti 
																			erano 
																			convinti 
																			che 
																			a 
																			casa 
																			loro 
																			non 
																			sarebbe 
																			successo 
																			niente 
																			di 
																			simile. 
																			Lo 
																			stesso 
																			quando, 
																			poi, 
																			la 
																			guerra 
																			si 
																			spostò 
																			in 
																			Croazia. 
																			Troppo 
																			strategica, 
																			infatti, 
																			la 
																			Bosnia,dove 
																			il 
																			regime 
																			di 
																			Belgrado 
																			impiantò 
																			le 
																			più 
																			importanti 
																			fabbriche 
																			belliche 
																			del 
																			paese, 
																			nel 
																			timore 
																			di 
																			un 
																			attacco 
																			dell’Unione 
																			Sovietica,dalla 
																			quale, 
																			nel 
																			1948, 
																			Tito 
																			si 
																			allontanò 
																			definitivamente. 
																			Da 
																			noi 
																			non 
																			accadrà, 
																			la 
																			Bosnia 
																			sarà 
																			salva. 
																			Dissero.
																			 
																			
																			
																			Quando 
																			anche 
																			il 
																			governo 
																			di 
																			Sarajevo, 
																			guidato 
																			da 
																			Alija 
																			Izetbegovic, 
																			chiese 
																			l’indipendenza 
																			dalla 
																			Iugoslavia 
																			nel 
																			1991, 
																			la 
																			situazione 
																			precipitò 
																			repentinamente, 
																			e in 
																			breve 
																			tempo, 
																			la 
																			capitale 
																			si 
																			sarebbe 
																			trovata 
																			isolata 
																			per 
																			un 
																			assedio 
																			che 
																			durerà 
																			più 
																			di 
																			1400 
																			giorni.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Srebrenica 
																			si 
																			trovava 
																			sul 
																			confine 
																			con 
																			la 
																			Serbia 
																			e 
																			rientrava 
																			nei 
																			piani 
																			di 
																			inclusione 
																			della 
																			“Grande 
																			Serbia”, 
																			il 
																			progetto 
																			politico 
																			ideato 
																			dal
																			
																			vozd
																			
																			Milosevic 
																			che 
																			voleva 
																			portare 
																			alla 
																			nascita 
																			di 
																			una 
																			Iugoslavia 
																			allargata 
																			ai 
																			soli 
																			serbi. 
																			Nel 
																			1993, 
																			la 
																			parte 
																			destra 
																			della 
																			Drina 
																			si 
																			trovava 
																			ormai 
																			completamente 
																			sotto 
																			il 
																			controllo 
																			delle 
																			truppe 
																			serbo-bosniache 
																			del 
																			comandante 
																			Ratko 
																			Mladic,eccetto 
																			tre 
																			centri:Zepa,Gorazd 
																			e 
																			Srebrenica.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Questa 
																			loro 
																			condizione 
																			portò 
																			Srebrenica 
																			a 
																			diventare 
																			un 
																			vero 
																			e 
																			proprio 
																			immenso 
																			campo 
																			profughi, 
																			tanto 
																			che 
																			il 
																			numero 
																			di 
																			persone 
																			che 
																			vi 
																			arrivava 
																			era 
																			di 
																			50-60 
																			000, 
																			quasi 
																			il 
																			triplo 
																			di 
																			due 
																			anni 
																			prima. 
																			Vivevano 
																			in 
																			modo 
																			atroce, 
																			dormendo 
																			per 
																			le 
																			strade 
																			in 
																			bivacchi 
																			improvvisati 
																			e 
																			accendendo 
																			dei 
																			falò 
																			con 
																			vecchi 
																			copertoni 
																			e 
																			tutto 
																			quello 
																			che 
																			potevo 
																			trovare. 
																			Le 
																			derrate 
																			alimentari 
																			iniziarono 
																			presto 
																			a 
																			scarseggiare, 
																			poichè 
																			i 
																			Serbi 
																			impedivano 
																			l’arrivo 
																			dei 
																			convogli 
																			umanitari 
																			delle 
																			Nazioni 
																			Unite, 
																			l’acqua 
																			arrivava 
																			a 
																			singhiozzo 
																			e la 
																			gente 
																			doveva 
																			accontentarsi 
																			di 
																			nutrirsi 
																			di 
																			mais, 
																			zucchero 
																			e 
																			ghiande.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Davanti 
																			a 
																			questo 
																			inferno, 
																			il 
																			Consiglio 
																			di 
																			Sicurezza 
																			dell’Onu, 
																			il 
																			16 
																			aprile 
																			1993, 
																			dichiarò 
																			Srebrenica 
																			e il 
																			suo 
																			circondario 
																			“ 
																			area 
																			protetta 
																			“, 
																			«libera 
																			da 
																			ogni 
																			attacco 
																			armato 
																			e 
																			ogni 
																			atto 
																			ostile, 
																			da 
																			entrambe 
																			le 
																			parti 
																			in 
																			causa». 
																			Di 
																			conseguenza, 
																			venne 
																			data 
																			maggior 
																			legittimazione 
																			al 
																			contingente 
																			dei 
																			caschi 
																			blu 
																			già 
																			presente 
																			in 
																			città, 
																			composto 
																			al 
																			tempo 
																			da 
																			soldati 
																			canadesi; 
																			poi, 
																			alle 
																			truppe 
																			musulmane 
																			venne 
																			intimato 
																			di 
																			consegnare 
																			le 
																			loro 
																			armi 
																			alla 
																			forza 
																			d’interposizione 
																			delle 
																			Nazioni 
																			Unite,UNPROFOR(United 
																			Nations 
																			Protection 
																			Force). 
																			Lo 
																			stesso, 
																			però, 
																			non 
																			avvenne 
																			da 
																			parte 
																			dei 
																			serbi, 
																			che 
																			continuarono 
																			a 
																			mantenere 
																			saldi 
																			i 
																			propri 
																			armamenti.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ben 
																			presto 
																			anche 
																			a 
																			New 
																			York 
																			ci 
																			rese 
																			conto 
																			che 
																			la 
																			soluzione 
																			della 
																			aree 
																			protette 
																			non 
																			sarebbe 
																			potuta 
																			durare 
																			a 
																			lungo, 
																			soprattutto 
																			con 
																			un 
																			esiguo 
																			contingente 
																			di 
																			soldati 
																			e 
																			con 
																			regole 
																			d’ingaggio 
																			tutt’altro 
																			che 
																			chiare. 
																			Un 
																			memorandum 
																			della 
																			rappresentanza 
																			francese 
																			alle 
																			Nazioni 
																			Unite, 
																			del 
																			19 
																			maggio 
																			1993, 
																			descrisse 
																			espressamente 
																			le 
																			soluzioni 
																			tattiche 
																			da 
																			adottare 
																			per 
																			stabilizzare 
																			la 
																			situazione; 
																			vennero 
																			delineate 
																			tre 
																			strategie 
																			diverse: 
																			a) 
																			Leggera 
																			senza 
																			unità 
																			pesantemente 
																			armate; 
																			b) 
																			Leggera 
																			con 
																			unità 
																			sufficientemente 
																			armate; 
																			c) 
																			Pesante.
																			 
																			
																			
																			Il 
																			documento 
																			francese, 
																			che 
																			attuava 
																			a 
																			pieno 
																			la 
																			politica 
																			di 
																			Parigi 
																			nel 
																			conflitto 
																			iugoslavo, 
																			indicò 
																			anche 
																			la 
																			quantità 
																			di 
																			soldati 
																			che 
																			sarebbero 
																			stati 
																			necessari 
																			per 
																			ognuna 
																			della 
																			tre 
																			opzioni: 
																			a) 
																			Una 
																			presenza 
																			simbolica 
																			in 
																			ogni 
																			area 
																			protetta; 
																			b) 
																			Una 
																			brigata 
																			(5000 
																			soldati) 
																			in 
																			Sarajevo, 
																			più 
																			un 
																			battaglione 
																			(900 
																			soldati) 
																			in 
																			Bihac 
																			e 
																			Tuzla, 
																			un 
																			battaglione 
																			diviso 
																			tra 
																			Srebrenica 
																			e 
																			Zepa 
																			e un 
																			altro 
																			tra 
																			Gorazde 
																			e 
																			Foca; 
																			c) 
																			Una 
																			divisione 
																			in 
																			Sarajevo, 
																			una 
																			brigata 
																			in 
																			ogni 
																			area 
																			protetta.
																			 
																			
																			
																			Il 
																			memorandum 
																			concluse 
																			sostenendo 
																			che 
																			«data 
																			l’effettiva 
																			partecipazione 
																			sul 
																			terreno 
																			delle 
																			Nazioni 
																			Unite 
																			e 
																			della 
																			Russia, 
																			assieme 
																			alle 
																			altre 
																			nazioni 
																			già 
																			coinvolte 
																			si 
																			vuole 
																			dare 
																			credibilità 
																			al 
																			concetto 
																			di 
																			area 
																			protetta 
																			attraverso 
																			la 
																			scelta 
																			della 
																			prima 
																			opzione».
																			 
																			
																			
																			Nei 
																			mesi 
																			e 
																			anni 
																			a 
																			seguire, 
																			la 
																			presenza 
																			delle 
																			truppe 
																			UNPROFOR, 
																			prima 
																			composto 
																			da 
																			canadesi 
																			e 
																			poi 
																			da 
																			soldati 
																			olandesi 
																			i 
																			quali 
																			costituiranno 
																			il 
																			comando 
																			Dutchbat, 
																			si 
																			rivelò 
																			estremamente 
																			inutile: 
																			i 
																			Serbi 
																			non 
																			avevano 
																			mai 
																			abbandonato 
																			le 
																			proprie 
																			postazioni 
																			e 
																			ceduto 
																			le 
																			armi 
																			ai 
																			caschi 
																			blu 
																			e la 
																			tensione 
																			all’interno 
																			dell’area 
																			saliva 
																			sempre 
																			più. 
																			Infatti, 
																			situazioni 
																			di 
																			crisi 
																			iniziarono 
																			a 
																			crearsi 
																			tra 
																			i 
																			musulmani 
																			e i 
																			serbi, 
																			che 
																			scatenarono 
																			più 
																			volte 
																			azioni 
																			militari 
																			su 
																			diverse 
																			aree 
																			del 
																			territorio 
																			conteso 
																			e 
																			non 
																			ben 
																			precisamente 
																			definito 
																			dalle 
																			carte 
																			dell’UNPROFOR. 
																			Alcuni 
																			musulmani 
																			non 
																			avevano 
																			ceduto 
																			le 
																			proprie 
																			armi, 
																			come 
																			da 
																			risoluzione 
																			816, 
																			e 
																			compivano 
																			atti 
																			illeciti 
																			contro 
																			villaggi 
																			serbi 
																			al 
																			di 
																			fuori 
																			dell’enclave, 
																			provocando 
																			l’irritazione 
																			del 
																			governo 
																			di 
																			Pale, 
																			capitale 
																			della 
																			Repubblica 
																			Serba 
																			della 
																			Krajna.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			1° 
																			giugno 
																			1995, 
																			un 
																			manipolo 
																			di 
																			serbi 
																			entrò 
																			a 
																			Srebrenica 
																			e 
																			uccise 
																			un 
																			cospicuo 
																			numero 
																			di 
																			musulmani, 
																			per 
																			rappresaglia 
																			contro 
																			gli 
																			attacchi 
																			di 
																			questi 
																			fuori 
																			città. 
																			Nello 
																			stesso 
																			giorno, 
																			il 
																			comando 
																			delle 
																			truppe 
																			serbo-bosniache 
																			chiese 
																			all’UNPROFOR 
																			di 
																			rimuovere 
																			la 
																			propria 
																			postazione 
																			di 
																			controllo, 
																			chiamata 
																			«echo», 
																			su 
																			una 
																			strada 
																			secondaria 
																			di 
																			Srebrenica. 
																			Il 
																			comando 
																			Dutchabat 
																			rifiutò 
																			l’ordine 
																			e il 
																			3 
																			giugno,con 
																			circa 
																			2000 
																			uomini, 
																			i 
																			serbi 
																			attaccarono 
																			con 
																			mortai, 
																			armi 
																			anti-carro 
																			e 
																			bombe 
																			a 
																			mano. 
																			La 
																			postazione 
																			cadde 
																			in 
																			mano 
																			nemica, 
																			nonostante 
																			il 
																			comandante 
																			olandese 
																			Ton 
																			Karremans 
																			avesse 
																			chiesto 
																			al 
																			comando 
																			generale 
																			UNPROFOR 
																			di 
																			Zagabria, 
																			l’intervento 
																			aereo 
																			della 
																			NATO. 
																			Per 
																			tentare 
																			di 
																			riscattarsi 
																			agli 
																			occhi 
																			della 
																			popolazione 
																			dell’enclave, 
																			il 
																			comando 
																			Dutchbat 
																			allentò 
																			il 
																			controllo 
																			sulle 
																			armi 
																			e 
																			ciò 
																			permise 
																			ai 
																			musulmani 
																			di 
																			esibirle 
																			per 
																			le 
																			strade, 
																			sotto 
																			gli 
																			occhi 
																			di 
																			tutti. 
																			Anche 
																			dei 
																			Serbi.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			In 
																			un 
																			rapporto 
																			inviato 
																			già 
																			il 
																			25 
																			marzo, 
																			il 
																			comandante 
																			Karremans 
																			dichiarava 
																			ai 
																			suoi 
																			superiori 
																			“di 
																			non 
																			esser 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			intraprendere 
																			qualsiasi 
																			azione 
																			o 
																			reagire 
																			alla 
																			situazione 
																			che 
																			stava 
																			precipitando”. 
																			I 
																			caschi 
																			blu 
																			erano 
																			privi 
																			di 
																			carburante 
																			e 
																			pezzi 
																			di 
																			ricambio 
																			per 
																			i 
																			loro 
																			veicoli, 
																			e la 
																			popolazione, 
																			impaurita, 
																			aveva 
																			abbandonato 
																			le 
																			campagne 
																			e si 
																			era 
																			rifugiata 
																			in 
																			città, 
																			sperando 
																			nella 
																			presenza 
																			del 
																			contingente 
																			olandese, 
																			andando 
																			a 
																			peggiorare 
																			le 
																			già 
																			più 
																			che 
																			precarie 
																			condizioni 
																			di 
																			vita 
																			del’enclave. 
																			Qualche 
																			mese 
																			prima 
																			Mladic, 
																			in 
																			un 
																			suo 
																			incontro 
																			con 
																			il 
																			nuovo 
																			comandante 
																			dell’UNPROFOR, 
																			aveva 
																			dichiarato 
																			che 
																			“se 
																			ci 
																			fossero 
																			stati 
																			attacchi 
																			nelle 
																			zone 
																			fuori 
																			dall’enclave, 
																			non 
																			avrebbe 
																			potuto 
																			garantire 
																			la 
																			sicurezza 
																			nella 
																			zona 
																			protetta”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			Presidenza 
																			di 
																			guerra, 
																			organo 
																			civile 
																			della 
																			municipalità 
																			di 
																			Srebrenica, 
																			aveva 
																			preso 
																			atto 
																			della 
																			passività 
																			dell’UNPROFOR, 
																			e 
																			decidendo 
																			su 
																			come 
																			reagire 
																			agli 
																			attacchi 
																			serbi, 
																			optò 
																			per 
																			azioni 
																			dure 
																			col 
																			fine 
																			di 
																			sospendere 
																			le 
																			aggressioni 
																			dei 
																			nemici.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			26 
																			giugno 
																			un 
																			gruppo 
																			di 
																			soldati 
																			dell’esercito 
																			bosniaco 
																			attaccò 
																			il 
																			villaggio 
																			serbo 
																			di 
																			Visnjica, 
																			a 
																			cinque 
																			chilometri 
																			dall’area 
																			protetta, 
																			suscitando 
																			le 
																			ire 
																			del 
																			comando 
																			militare 
																			serbo. 
																			Mladic 
																			accusò 
																			l’UNPROFOR 
																			di 
																			“essersi 
																			allineato 
																			con 
																			le 
																			posizioni 
																			dei 
																			musulmani”e 
																			sostenne 
																			che 
																			era 
																			stato 
																			violato 
																			lo 
																			status 
																			speciale 
																			dell’enclave, 
																			e 
																			avvertì 
																			che 
																			non 
																			avrebbe 
																			tollerato 
																			altri 
																			atti 
																			simili.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Le 
																			truppe 
																			serbe 
																			attaccarono 
																			l’enclave 
																			alle 
																			prime 
																			luci 
																			del 
																			mattino 
																			del 
																			6 
																			luglio 
																			e 
																			nei 
																			giorni 
																			successivi 
																			conquistarono 
																			quasi 
																			tutte 
																			le 
																			postazioni 
																			del 
																			comando 
																			Dutchbat 
																			e 
																			costrinsero 
																			i 
																			caschi 
																			blu 
																			a 
																			ritirarsi 
																			prima 
																			a 
																			Srebrenica, 
																			poi 
																			nel 
																			proprio 
																			comando 
																			a 
																			Potocari, 
																			a 
																			quattro 
																			chilometri. 
																			La 
																			popolazione, 
																			in 
																			preda 
																			al 
																			panico, 
																			iniziò 
																			ad 
																			asserragliare 
																			le 
																			postazioni 
																			olandesi 
																			della 
																			città 
																			in 
																			cerca 
																			di 
																			protezione 
																			e 
																			difesa. 
																			Questa 
																			non 
																			arriverà 
																			mai, 
																			nemmeno 
																			dagli 
																			aerei 
																			NATO 
																			che 
																			il 
																			comando 
																			generale 
																			UNPROFOR 
																			negava 
																			per 
																			la 
																			difesa 
																			dei 
																			suoi 
																			uomini.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			I 
																			vertici 
																			delle 
																			Nazioni 
																			Unite,in 
																			particolare 
																			Jasushi 
																			Akashi 
																			(Deelegato 
																			Speciale 
																			per 
																			la 
																			Bosnia 
																			dell’ONU) 
																			e il 
																			generale 
																			Janvier 
																			(Generale 
																			truppe 
																			UNPROFOR), 
																			negarono 
																			l’appoggio 
																			aereo 
																			con 
																			il 
																			pretesto 
																			che 
																			bombardamenti 
																			aerei 
																			avrebbero 
																			potuto 
																			turbare 
																			i 
																			colloqui 
																			di 
																			pace 
																			in 
																			corso 
																			tra 
																			le 
																			Nazioni 
																			Unite 
																			e 
																			Milosevic 
																			a 
																			Belgrado.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			presidente 
																			Izetbegovic 
																			ordinò 
																			ai 
																			suoi 
																			comandanti 
																			a 
																			Srebrenica 
																			di 
																			utilizzare 
																			le 
																			armi 
																			pesanti, 
																			fatte 
																			arrivare 
																			clandestinamente, 
																			contro 
																			i 
																			serbi, 
																			poiché 
																			l’UNPROFOR 
																			decideva 
																			di 
																			non 
																			rispondere 
																			alle 
																			offese. 
																			Lo 
																			stesso 
																			Izetbegovic, 
																			in 
																			un 
																			incontro 
																			tenuto 
																			a 
																			Ginevra 
																			in 
																			quei 
																			giorni, 
																			dichiarò 
																			che 
																			“i 
																			serbi 
																			avevano 
																			in 
																			mano 
																			tutte 
																			le 
																			carte” 
																			, e 
																			che 
																			se 
																			non 
																			ci 
																			fosse 
																			stato 
																			un 
																			concreto 
																			intervento 
																			sulla 
																			città, 
																			ci 
																			sarebbe 
																			stato 
																			il 
																			pericolo 
																			di 
																			un 
																			genocidio.
																			 
																			
																			
																			Il 
																			governo 
																			olandese, 
																			per 
																			bocca 
																			del 
																			suo 
																			ministro 
																			della 
																			Difesa 
																			Joris 
																			Voorhoeve, 
																			avvertì 
																			le 
																			Nazioni 
																			Unite 
																			che 
																			era 
																			ora 
																			di 
																			intervenire 
																			per 
																			la 
																			sicurezza 
																			dei 
																			propri 
																			uomini 
																			a 
																			Srebrenica.
																			 
																			
																			
																			L’11 
																			luglio, 
																			solo 
																			nel 
																			primo 
																			pomeriggio, 
																			aerei 
																			NATO 
																			sorvolarono 
																			le 
																			difese 
																			serbe 
																			e 
																			lanciarono 
																			due 
																			bombe 
																			che 
																			distrussero 
																			un 
																			carro 
																			armato 
																			serbo, 
																			fuori 
																			città: 
																			il 
																			raid 
																			durò 
																			solo 
																			un’ora. 
																			Sotto, 
																			invece, 
																			le 
																			truppe 
																			olandesi 
																			si 
																			affrettavano 
																			a 
																			lasciare 
																			Srebrenica 
																			per 
																			spostarsi 
																			a 
																			Potocari: 
																			un 
																			seguito 
																			di 
																			20-25 
																			000 
																			persone 
																			seguì 
																			il 
																			convoglio 
																			ONU, 
																			aggrappandosi 
																			sui 
																			mezzi 
																			blindati. 
																			Solo 
																			a 
																			4-5000 
																			di 
																			loro 
																			fu 
																			permesso 
																			entrare 
																			nel 
																			quartier 
																			generale(una 
																			fabbrica 
																			di 
																			accumulatori): 
																			per 
																			gli 
																			altri, 
																			c’era 
																			posto 
																			nei 
																			bivacchi 
																			fuori 
																			dal 
																			campo. 
																			Alcuni 
																			di 
																			coloro 
																			che 
																			si 
																			erano 
																			aggrappati 
																			ai 
																			mezzi 
																			blindati, 
																			finirono 
																			schiacciati 
																			dalla 
																			ruote 
																			dei 
																			veicoli, 
																			perché 
																			i 
																			caschi 
																			blu 
																			erano 
																			troppo 
																			in 
																			preda 
																			al 
																			panico 
																			per 
																			potersene 
																			accorgere.
																			 
																			
																			
																			A 
																			Srebrenica, 
																			la 
																			maggioranza 
																			delle 
																			persone 
																			non 
																			reagì 
																			alle 
																			intimidazioni 
																			serbe, 
																			rispettando 
																			così 
																			l’ordine 
																			giunto 
																			da 
																			Sarajevo 
																			da 
																			Izetbegovic 
																			di 
																			rispondere 
																			con 
																			la 
																			non 
																			violenza 
																			agli 
																			attacchi, 
																			e 
																			anzi 
																			si 
																			mise 
																			in 
																			marcia 
																			verso 
																			Tuzla,a 
																			circa 
																			cinquanta 
																			chilometri. 
																			Il 
																			percorso 
																			da 
																			intraprendere 
																			era 
																			nel 
																			mezzo 
																			delle 
																			linee 
																			serbe, 
																			saliva 
																			per 
																			montagne 
																			scoscese 
																			e 
																			valli 
																			impervie. 
																			Di 
																			15000 
																			che 
																			partirono, 
																			ne 
																			arriveranno 
																			dopo 
																			cinque 
																			giorni 
																			di 
																			cammino 
																			solo 
																			4500-6000. 
																			Coloro 
																			che 
																			morirono 
																			rimasero 
																			vittime 
																			degli 
																			agguati 
																			serbi 
																			nei 
																			boschi 
																			e 
																			furono 
																			trucidati 
																			con 
																			brutalità. 
																			Alcuni 
																			sopravvissuti 
																			parlarono 
																			di 
																			decapitazioni, 
																			stupri 
																			e 
																			mutilazioni, 
																			di 
																			figli 
																			massacrati 
																			davanti 
																			agli 
																			occhi 
																			delle 
																			proprie 
																			madri, 
																			di 
																			uomini 
																			bruciati 
																			vivi,di 
																			neonati 
																			uccisi 
																			vivi.
																			 
																			
																			
																			Il 
																			12 
																			luglio, 
																			il 
																			comandante 
																			Karremans 
																			scrisse 
																			nuovamente 
																			al 
																			comando 
																			UNPROFOR 
																			di 
																			Zagabria, 
																			Sarajevo 
																			e 
																			Tuzla 
																			«di 
																			non 
																			esser 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			difendere 
																			la 
																			gente 
																			dell’enclave, 
																			più 
																			di 
																			15000 
																			in 
																			un 
																			chilometro 
																			quadrato 
																			ed 
																			il 
																			proprio 
																			battaglione».
																			 
																			
																			
																			In 
																			quello 
																			stesso 
																			giorno 
																			le 
																			truppe 
																			di 
																			Mladic 
																			entrarono 
																			a 
																			Potocari 
																			e 
																			circondarono 
																			il 
																			complesso 
																			del 
																			comando 
																			Duucthbat, 
																			violando 
																			così, 
																			di 
																			fatto, 
																			lo 
																			status 
																			dell’enclave, 
																			dopo 
																			aver 
																			ottenuto 
																			l’assenso 
																			del 
																			comandante 
																			olandese 
																			per 
																			evacuare 
																			la 
																			popolazione 
																			e 
																			portarla, 
																			con 
																			pullman 
																			e 
																			autobus, 
																			verso 
																			le 
																			zone 
																			controllate 
																			dall’esercito 
																			bosniaco, 
																			a 
																			nord. 
																			I 
																			serbi 
																			fecero 
																			arrivare 
																			circa 
																			40-50 
																			mezzi 
																			e lo 
																			stesso 
																			Mladic 
																			si 
																			presentò 
																			di 
																			persona, 
																			assieme 
																			ad 
																			un 
																			folto 
																			numero 
																			di 
																			giornalisti, 
																			fotografi 
																			e 
																			telecamere 
																			televisive.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Queste 
																			registreranno 
																			le 
																			parole 
																			rassicuranti 
																			del 
																			comandante 
																			verso 
																			la 
																			popolazione 
																			terrorizzata: 
																			” 
																			Non 
																			abbiate 
																			paura, 
																			lasciate 
																			andare 
																			prima 
																			bambini 
																			e 
																			donne 
																			e 
																			sarete 
																			trasportati 
																			a 
																			Kladanj 
																			e da 
																			lì 
																			passerete 
																			poi 
																			nei 
																			territori 
																			di 
																			Alija. 
																			Nessuno 
																			vi 
																			farà 
																			del 
																			male 
																			”.
																			
																			
																			Il 
																			13 
																			luglio, 
																			tutti 
																			i 
																			convogli 
																			abbandonarono 
																			Potocari 
																			e 
																			durante 
																			la 
																			notte 
																			i 
																			serbi 
																			avevano 
																			continuato 
																			a 
																			dividere 
																			gli 
																			uomini 
																			dalle 
																			donne 
																			e 
																			alcuni 
																			di 
																			loro, 
																			posti 
																			in 
																			un 
																			edificio 
																			di 
																			fronte 
																			al 
																			comando 
																			Dutchbat 
																			chiamato 
																			«casa 
																			bianca», 
																			vennero 
																			fucilati 
																			sul 
																			posto.
																			 
																			
																			
																			 I 
																			gruppi 
																			che, 
																			invece, 
																			riuscirono 
																			a 
																			scappare 
																			tra 
																			i 
																			boschi 
																			si 
																			arresero 
																			ai 
																			serbi 
																			e 
																			vennero 
																			trasportati 
																			a 
																			Bratunac. 
																			Tuttavia, 
																			non 
																			tutti 
																			arrivarono 
																			a 
																			destinazione: 
																			molti 
																			vennero 
																			uccisi 
																			sul 
																			colpo 
																			nei 
																			pressi 
																			di 
																			una 
																			fattoria 
																			vicino 
																			Kravica. 
																			Gli 
																			osservatori 
																			militari 
																			delle 
																			Nazioni 
																			Unite 
																			e 
																			alcuni 
																			componenti 
																			del 
																			Ducthbat 
																			riferirono 
																			che, 
																			in 
																			città, 
																			mancavano 
																			all’appello 
																			circa 
																			4000-5000 
																			uomini 
																			e 
																			che 
																			questi 
																			sarebbero 
																			stati 
																			trasportati 
																			in 
																			vari 
																			luoghi, 
																			come 
																			una 
																			vecchia 
																			scuola 
																			e 
																			nel 
																			campo 
																			di 
																			calcio.
																			 
																			
																			
																			Nei 
																			giorni 
																			successivi 
																			le 
																			atrocità 
																			continuarono 
																			senza 
																			sosta 
																			e 
																			con 
																			sempre 
																			una 
																			maggiore 
																			euforia. 
																			Alcuni 
																			caschi 
																			blu 
																			videro 
																			alcuni 
																			serbi 
																			festeggiare 
																			per 
																			le 
																			strade, 
																			con 
																			i 
																			fucili 
																			imbracciati.
																			 
																			
																			
																			I 
																			fatti 
																			poterono 
																			esser 
																			noti 
																			al 
																			mondo 
																			solo 
																			all’arrivo 
																			dei 
																			caschi 
																			blu, 
																			a 
																			Zagabria, 
																			alla 
																			fine 
																			di 
																			luglio 
																			e al 
																			loro 
																			rientro 
																			in 
																			Olanda. 
																			I 
																			racconti 
																			fatti 
																			al 
																			rientro 
																			sconvolsero 
																			l’intera 
																			opinione 
																			pubblica: 
																			un 
																			soldato 
																			olandese 
																			disse 
																			di 
																			aver 
																			visto 
																			un 
																			uomo 
																			seduto 
																			a 
																			terra 
																			con 
																			un 
																			gruppo 
																			di 
																			soldati 
																			serbi 
																			intorno 
																			che 
																			lo 
																			fecero 
																			alzare, 
																			lo 
																			scaraventarono 
																			dietro 
																			ad 
																			una 
																			casa 
																			e 
																			poi 
																			sentì 
																			solo 
																			urla 
																			e un 
																			colpo. 
																			Un 
																			altro 
																			riferì 
																			di 
																			adolescenti 
																			presi 
																			a 
																			sassate 
																			e 
																			pugnalate 
																			e 
																			donne, 
																			bambini 
																			e 
																			vecchi 
																			ai 
																			quali 
																			venivano 
																			tagliate 
																			le 
																			orecchie.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			In 
																			quei 
																			tragici 
																			giorni, 
																			nell’enclave 
																			di 
																			Srebrenica 
																			morirono 
																			più 
																			di 
																			8000 
																			persone, 
																			ma 
																			c’è 
																			chi 
																			dice 
																			siano 
																			molte 
																			di 
																			più. 
																			Il 
																			Segretario 
																			Generale 
																			delle 
																			Nazioni 
																			Unite, 
																			Kofi 
																			Annan, 
																			nel 
																			1999 
																			accusò 
																			le 
																			stesse 
																			Nazioni 
																			Unite 
																			e il 
																			suo 
																			ufficio 
																			di 
																			aver 
																			fallito 
																			per 
																			prevenire 
																			l’attacco 
																			dei 
																			soldati 
																			serbi 
																			sull’area 
																			protetta; 
																			riferì 
																			pubblicamente 
																			dell’assunzione 
																			di 
																			responsabilità 
																			che 
																			le 
																			Nazioni 
																			Unite 
																			e 
																			tutte 
																			le 
																			persone 
																			coinvolte 
																			dovettero 
																			prendere 
																			e 
																			che 
																			questo 
																			genocidio 
																			“debba 
																			realmente 
																			servire 
																			di 
																			lezione 
																			al 
																			Segretariato 
																			Generale,agli 
																			stati 
																			membri 
																			dell’organizzazione 
																			per 
																			aver 
																			contribuito 
																			al 
																			collasso 
																			della 
																			ex-Jugoslavia”.
																			 
																			
																			
																			Oggi 
																			le 
																			donne 
																			sopravvissute 
																			all’eccidio 
																			hanno 
																			costituito 
																			una 
																			associazione, 
																			“Le 
																			Donne 
																			di 
																			Srebrenica”, 
																			che 
																			si 
																			batte 
																			per 
																			aver 
																			riconosciute 
																			le 
																			morti 
																			dei 
																			propri 
																			defunti 
																			davanti 
																			alla 
																			corte 
																			del 
																			Tribunale 
																			Internazionale 
																			per 
																			i 
																			crimini 
																			nelle 
																			ex-Jugoslavia 
																			e 
																			perché 
																			non 
																			termini 
																			il 
																			riconoscimento 
																			delle 
																			salme 
																			che, 
																			continuamente, 
																			riemergono 
																			dalle 
																			centinaia 
																			di 
																			fosse 
																			comuni 
																			intorno 
																			a 
																			Srebrenica.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			2008 
																			l’ex 
																			Presidente 
																			delle 
																			Repubblica 
																			Serba 
																			di 
																			Bosnia, 
																			Radovan 
																			Karadzic, 
																			è 
																			stato 
																			arrestato 
																			e 
																			condannato 
																			dal 
																			Tribunale 
																			Internazionale 
																			dell’Aia 
																			per 
																			crimini 
																			contro 
																			l’umanità, 
																			genocidio 
																			e 
																			violazione 
																			delle 
																			leggi 
																			sui 
																			diritti 
																			dell’uomo 
																			per 
																			i 
																			fatti 
																			di 
																			Srebrenica 
																			di 
																			quei 
																			giorni 
																			di 
																			metà 
																			luglio 
																			1995; 
																			il 
																			suo 
																			braccio 
																			destro,Ratko 
																			Mladic, 
																			invece, 
																			è 
																			ancora 
																			latitante,nonostante 
																			sia 
																			stato 
																			più 
																			volta 
																			avvistato 
																			a 
																			Belgrado.
																			 
																			
																			
																			In 
																			un 
																			documento 
																			ufficiale 
																			del 
																			28 
																			ottobre 
																			2004, 
																			il 
																			governo 
																			della 
																			Republika 
																			Srpska 
																			chiese 
																			una 
																			parziale 
																			scusa 
																			e 
																			riconobbe 
																			che 
																			« 
																			nelll’area 
																			intorno 
																			a 
																			Srebrenica 
																			si 
																			verificarono 
																			crimini 
																			e 
																			violazioni 
																			delle 
																			leggi 
																			sui 
																			diritti 
																			dell’uomo 
																			», 
																			non 
																			accennando 
																			mai 
																			al 
																			genocidio. 
																			Altre 
																			testimonianze 
																			raccontano 
																			che 
																			in 
																			quei 
																			tragici 
																			anni, 
																			morirono, 
																			per 
																			mano 
																			di 
																			soldati 
																			musulmani, 
																			anche 
																			circa 
																			2000-3000 
																			popolazione 
																			di 
																			etnia 
																			serba, 
																			ma 
																			nessuno 
																			ha 
																			mai 
																			potuto 
																			confermare 
																			questa 
																			cifra.
																			 
																			
																			
																			In 
																			un 
																			rapporto 
																			della 
																			delegazione 
																			del 
																			Consiglio 
																			di 
																			Sicurezza, 
																			recatasi 
																			in 
																			visita 
																			ufficiale 
																			nella 
																			enclave 
																			per 
																			constatarne 
																			lo 
																			stato, 
																			venne 
																			riportato 
																			che 
																			«l’alternativa 
																			all’area 
																			protetta 
																			sarebbe 
																			stato 
																			un 
																			massacro 
																			di 
																			25000 
																			persone. 
																			[…] 
																			In 
																			Srebrenica 
																			c’è 
																			un 
																			straordinario 
																			stato 
																			d’emergenza». 
																			Inoltre, 
																			dichiararono 
																			che 
																			« i 
																			Serbi 
																			stavano 
																			attuando 
																			un 
																			lento 
																			processo 
																			di 
																			genocidio 
																			su 
																			questa 
																			popolazione». 
																			Per 
																			la 
																			prima 
																			volta, 
																			nella 
																			storia 
																			dopo 
																			la 
																			Seconda 
																			Guerra 
																			Mondiale, 
																			in 
																			dichiarazioni 
																			ufficiai 
																			veniva 
																			usato 
																			il 
																			termine 
																			“genocidio”. 
																			Era 
																			il 
																			25 
																			aprile 
																			1993, 
																			un 
																			anno 
																			e 
																			mezzo 
																			prima 
																			del 
																			massacro.
																							
																			 
																			
																			