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N. 3 - Marzo 2008 (XXXIV)

STORIA DELLA SPAGNA CONTEMPORANEA

La breve vita della seconda repubblica - Parte III
di Cristiano Zepponi

 

Il passaggio dei poteri al generale Berenguer, scelto dal re su suggerimento del dittatore dimissionario, avvenne senza particolari difficoltà il 30 gennaio 1930.

Questi, tuttavia, iniziò da subito ad assumere atteggiamenti decisamente ostili al vecchio governo, rifiutandosi di chiamare i membri dell’ex-Direttorio nel nuovo gabinetto ed anzi aprendo le porte ad alcuni dei loro più risoluti avversari, nel tentativo di consolidare la propria legittimità personale di “soldato cittadino”.

Tollerò con buon senso la rinascita di sindacati e partiti, senza però poter contare su una solida forza politica; anzi, nel breve volgere di pochi mesi dovette subire attacchi decisi sia dall’esercito (la cui proverbiale tendenza alla congiura sfociò nel progetto di golpe previsto per il 15 dicembre 1930 e fallito per l’avventatezza di alcuni giovani ufficiali come i capitani Galàn e Garcìa) che da repubblicani e socialisti (impegnati a rimproverare al governo la lentezza nei preparativi elettorali).

L’impotenza del governo Berenguer, ultimo strascico del passato, cominciò a manifestarsi con sempre maggior evidenza di fronte alle grandi, e diffuse, aspettative democratiche degli spagnoli. Ed il futuro regime repubblicano si stava già organizzando attraverso un’intesa tra tutti gli elementi dell’opposizione: questa fu formalizzata il 17 agosto del 1930, e prese il nome di “Patto di S.Sebastiàn”.

Il ricordo delle derive massimaliste della Prima Repubblica (datata 1873) spingeva, durante la splendida primavera di quell’anno, a guardare con ottimismo alla variegata composizione dei repubblicani uniti nel Patto, come un elemento di moderazione indispensabile al pacifico sviluppo del giovane sistema politico.

Ne facevano parte repubblicani per convinzione (partiti di sinistra e di centro, gran parte degli autonomisti catalani e baschi) e per convenienza (circoli monarchici delusi dalla dittatura e dall’incapacità reale di garantire l’ordine, tra i quali Niceto Alcalà Zamora e Miguel Maura): il loro vero collante, probabilmente, risiedeva nella sfiducia verso il nascente progetto repubblicano.

I nuovi attori politici, infatti, rimasero a lungo preoccupati dei due più importanti fattori di instabilità del Paese iberico: l’esercito e gli anarchici. In particolare, si rifuggì in tutti modi il sostegno degli ambienti libertari nel tentativo di garantire a tutti i costi la rispettabilità della repubblica.

Il pessimismo, per una volta, fu smentito dai fatti: per rispondere alle manifestazioni ed agli scioperi spontanei che divamparono in tutto il Paese, il gabinetto Berenguer non trovò altra soluzione che negare l’elezione di Cortes costituenti, per poi crollare sotto il peso degli eventi. Lo stesso diniego oppose anche il successore, l’ammiraglio Aznar (al governo dal 18 febb. 1931), per non rinunciare al principio monarchico, ma in compenso riuscì a stilare un chiaro calendario elettorale, a partire dalle consultazioni comunali del 12 aprile 1931.

La tendenza dell’elettorato delle grandi città (soprattutto a Madrid e Barcellona) fu da subito così netta che già due giorni dopo, il 14 aprile 1931, fu proclamata la Seconda Repubblica, senza attendere il risultato degli scrutini nelle campagne peraltro viziati da sospetti di brogli.

Lo stesso capo dello Stato raccomandò al re di ritirarsi, ben sapendo che polizia e guardia civile non si sarebbero battuti in sua difesa, mentre abbandonava gli edifici ministeriali; lo stesso giorno, accogliendo il suggerimento, re Alfonso XIII dichiarò senza abdicare il regno vacante.

Gli uffici ministeriali furono quindi occupati dai dirigenti repubblicani.

“Ci hanno regalato il potere”, chiosò in seguito lo sbalordito ministro degli Interni Maura.

1931-1933: il radicalismo giacobino delle sinistre & la politica del risentimento.

Il primo governo repubblicano, scaturito dalle elezioni di aprile, fu presieduto dall’ex-monarchico Niceto Alcalà Zamora, divenuto cattolico conservatore.

Era sostenuto dalla stessa eterogenea costellazione di soggetti politici che aveva garantito il delicato passaggio alla repubblica: la sinistra in blocco (compresa l’Esquerra catalana), la destra ex-monarchica (ad eccezione dell’ala estrema), dando per scontato il consueto distinguo degli anarchici del Cnt (Confederacìon nacional del trabajo).

Proprio la molteplicità di interessi contrastanti favorì, come previsto, l’instaurazione di un clima più equilibrato, anche fra gli oppositori: la presenza dei socialisti, che nel governo avevano ottenuto i ministeri del Lavoro (Largo Caballero, leader del partito), delle Finanze (Indalecio Prieto) e della Giustizia (Fernando de los Rìos), moderò le giustificate proteste dei lavoratori riuniti nell’Ugt (Uniòn general de trabajadores), l’esercito preferì non inimicarsi il nuovo regime, i cattolici puntarono a riconquistare una posizione influente legalmente, visto anche l’assenso di Pio XI e nonostante isolate dichiarazioni andassero in senso contrario (come nel caso del cardinale Segura).

Nonostante anche alcuni fattori strutturali favorissero la diffusione di una certa attitudine al concetto stesso di repubblica (la debolezza degli scambi internazionali della Spagna la garantì dagli effetti della crisi del ’29), altri elementi andavano in altra direzione. Tra questi, la pressione anarchica che spinse lentamente, ma inesorabilmente, il partito socialista (e quindi il governo) su posizioni sempre più radicali, favorendo così la creazione di un abisso ideologico con gli avversari e prestando il fianco ad una violenta offensiva antirepubblicana dell’estrema destra. Il clima, insomma, prese presto a surriscaldarsi.

Lo stesso Partito comunista (Pce), diligentemente, cominciò a seguire le consegne della IIIa Internazionale, denunciando i “deviazionisti” di sinistra (i socialisti) e tornando ad appoggiare la “lotta di classe”, gli scioperi insurrezionali e le manifestazioni di protesta.

Il 14 maggio 1931, in più, il cardinal Segura pubblicò, con dubbio opportunismo, una lettera pastorale nella quale esprimeva attaccamento alla figura del re. L’immediata risposta, culminata nell’incendio di alcuni edifici religiosi a Madrid e Malaga, azzerò in un attimo la possibilità di un accordo con il mondo cattolico, profondamente colpito dall’espulsione del prelato, datata 15 giugno.

Nonostante gli attacchi concentrici di anarchici, comunisti e dei vari circoli reazionari le elezioni legislative del 28 giugno 1931 sembrarono rafforzare le convinzioni dei dirigenti repubblicani: ne derivò, infatti, un trionfo quasi plebiscitario della coalizione di centro-sinistra (233 seggi alle Cortes costituenti), contro i 126 della destra (agraria, navarrese, basca, monarchica) ed i 93 dei radicali autonomi di Alejandro Lerroux.

Al fine di rassicurare gli avversari politici, le sinistre avrebbero allora dovuto assumere un atteggiamento prudente, come peraltro chiesto dal presidente del governo provvisorio Zamora. Invece, l’adozione di una principio costituzionale-simbolo per la coalizione vincente (l’articolo 26 della Costituzione, che prevedeva una separazione Chiesa/Stato, sciogliendo varie congregazioni religiose come i gesuiti e sottomettendo le varie associazioni religiose ad una futura legge speciale) portò innanzitutto alle sue dimissioni, unitamente a quelle del Ministro degli Interni Maura; e, più a lungo termine, fu considerata una provocazione dagli ambienti cattolici.

Nel dicembre 1931, nel quadro del riassetto istituzionale, Zamora fu nominato presidente della repubblica, lasciando il posto di presidente del consiglio a Manuel Azaňa, esponente dell’ala “borghese” delle sinistre e, per questo, unico possibile mediatore oltre che “volto rassicurante” da proporre al Paese.

Ma il nuovo capo del governo, pur animato da intenti edificanti, non seppe interpretare il momento politico, e finì per infuocare il clima nel tentativo di applicare alcuni “principi” repubblicani inderogabili, senza preoccuparsi prima di tutto di consolidare una democrazia “del possibile”: drastici tagli furono effettuati nei ranghi degli ufficiali, furono sciolti i gesuiti, fu vietato formalmente l’insegnamento confessionale, riformato il codice penale, approvata una legge sul divorzio e, finalmente, una riforma agraria che sarebbe però rimasta sulla carta.

In questo modo, però, le elìte tradizionali, escluse dal processo, furono messe con le spalle al muro: e si videro costrette a resistere e poi contrattaccare per recuperare spazi, contando sulla componente conservatrice della società, spesso localizzata in regioni specifiche (Navarra). In pratica, ci si accontentò di “sgretolare”(M.Azaňa) i due più importanti pilastri della repubblica, chiesa ed esercito, senza peraltro risolvere i problemi economici delle masse. “Anche se a quell’epoca la repubblica aveva parecchi nemici determinati, non era certo indispensabile che li mobilitasse tutti allo stesso tempo contro di sé” (Hermet, op. cit. pag. 130).

Purtroppo, questo fu esattamente ciò che accadde.

In breve, consistenti fette della società entrarono in agitazione: la piccola e media borghesia (allarmata come di consueto dall’anticlericalismo di sinistra), i capitalisti, i militari di professione (contrari allo statuto di autonomia della Catalogna, tentarono l’ennesimo golpe il 10 agosto 1932 sotto la guida del gen. Sanjurjo), gli anarchici (che moltiplicano gli scioperi nonostante gli ottimi risultati della crescita industriale).

L’estrema sinistra si rese protagonista, inoltre, di alcune azioni violente che surriscaldarono la temperatura del Paese: alcune guardie civili furono uccise a Castilblanco il 1° gennaio, vari incidenti scoppiarono nella valle del Llobregat in Catalogna nello stesso mese, poi ancora l’anno successivo sempre in Catalogna e poi a Casas Viejas, mentre l’estate seguente furono bruciati i raccolti in Estremadura.

Per ora, le destre tentarono di influenzare la nascente Costituzione sul piano legale: per questo, il 23 dicembre 1932 nacque la Ceda (Confederaciòn espańola de derechas autònomas), un raggruppamento cattolico, conservatore ma non programmaticamente antirepubblicano, guidato da un capo carismatico come Marìa Gil Robles (proveniente dall’Azione Cattolica e ammiratore del fascismo italiano); la maggior parte di militanti e dirigenti del nuovo partito, comunque, si potevano considerare reazionari, monarchici o potenziali fascisti.

Comunque sia, l’elettorato manifestò una decisa volontà di cambiamento attraverso diverse elezioni parziali e le amministrative del ’33.

Per questo, Zamora, preoccupato, l’8 settembre di quell’anno finse di sostituire il governo Azaňa con un gabinetto centrista guidato da Lerroux: ma poiché questo non ottenne la fiducia del parlamento, sciolse le Cortes sulla base delle norme costituzionali e fissò al 19 novembre 1933 la data per le elezioni legislative.

1933-1934: la reazione della destra conservatrice

La sconfitta del centro-sinistra assunse, da subito, una portata spettacolare, passando dai 233 seggi della precedente legislatura a soli 98. Il centro-destra, invece, ottenne 386 deputati (80 ai radicali, 113 alla Ceda, 39 agli agrari), favorito anche dall’allargamento del suffragio alle donne (gli elettori passarono quindi da 6.200.000 a 13.200.000).

In questo modo, gli elettori moderati ed i conservatori manifestarono un diffuso bisogno di un riordinamento politico, legale e non violento, dimenticando per il momento l’alternativa dell’estrema destra antirepubblicana, i monarchici o i carlisti, nonostante la creazione di un movimento esplicitamente fascista, nato dalla fusione tra la Juntas de offensiva nacional sindicalista (Jons) di Ramiro Ledesma Ramos e la Falange espaňola di Josè Antonio Primo de Rivera, figlio del dittatore.

Al tempo stesso, la fossa ideologica continuò ad allargarsi: il Psoe optò a questo punto per radicalizzare la propria posizione, che mutò da riformista a marxista, massimalista, rivoluzionaria, riavvicinandosi ai comunisti nonostante le resistenze dell’ala moderata (rappresentata da Indalecio Prieto); e gli anarchici contribuirono a consolidare le prevenzioni della sinistra nei confronti della destra cattolica esibendosi in azioni dichiaratamente sovversive (scioperi politici violenti, a Saragozza, Valencia e Madrid, attacchi contro la guardia civile e sabotaggi come quello dell’espresso Barcellona-Siviglia, che causò diciannove morti.

Proprio in virtù del grave pericolo antidemocratico, Zamora tentò in primo luogo di salvare le istituzioni, evitando quella che sarebbe stata considerata una provocazione da una sinistra in agitazione, ovvero l’ascesa della destra cattolica, vittoriosa sul piano elettorale, al governo. Ritenne quindi più prudente affidare l’incarico, ancora una volta, al radicale Lerroux.

Questi divenne quindi l’uomo chiave del biennio seguente: uomo di dubbia reputazione (affarismo, opportunismo e corruzione ne dominavano il curriculum), caratterizzato da un passato di lotte anticlericali (che avrebbero dovuto rassicurare le sinistre, con scarso successo), fu da subito appoggiato da agrari e cedisti.

Lerroux, quindi, dovette piegarsi a ricambiare il sostegno ricevuto, mostrandosi molto generoso nei confronti delle rivendicazioni avanzate dagli alleati: fu rinviata la chiusura delle scuole confessionali, i gesuiti ripresero ad insegnare in veste di professori laici, fu rimandata la soppressione della voce di bilancio sui culti e promosso un aiuto pubblico ai preti, la riforma agraria, già insabbiata, fu praticamente sospesa; oltre a ciò, fu avanzata la proposta di amnistia dei congiurati antirepubblicani (in particolare il generale Sanjurjo e gli altri protagonisti dell’insurrezione monarchica del 1932).

Per timore di gravi ripercussioni Zamora rifiutò però di firmare la legge, senza apporre un veto definitivo (come richiesto dalla sinistra) ma semplicemente rinviandola alle camere per una seconda lettura; questo bastò però per provocare la caduta del gabinetto Lerroux e la creazione di un nuovo governo presieduto da Ricardo Samper.

Anche il nuovo esecutivo durò poco, specie dopo le gravi agitazioni derivate dall’effettiva applicazione dell’amnistia, nella primavera del 1934: l’agitazione autonomista nei Paesi Baschi riprese vigore, mentre la Generalidad di Catalogna entrò in diretto conflitto con il governo centrale, ratificando una legge sugli affitti rustici precedentemente respinta dal Tribunale delle garanzie costituzionali.

La prospettiva dell’ingresso della Ceda nel governo ebbe poi altre, e più drammatiche, conseguenze. La crisi scoppiò clamorosamente il 4 ottobre 1934, quando Gil Robles ritirò l’appoggio al governo, costringendolo alle dimissioni.

Zamora tentò ancora una volta la carta Lerroux, ma dovette piegarsi ad affidare tre ministeri alla Ceda, nonostante un veto formale socialista.

La replica fu immediata: a Madrid l’Ugt proclamò lo sciopero generale, tentando al contempo di impadronirsi del potere col diretto sostegno comunista, in Catalogna il presidente della Generalidad Lluis Companys proclamò l’autonomia della provincia. Ma se nelle città la protesta fu presto soffocata, anche grazie alla lealtà al governo di esercito e guardia civile, nelle Asturie, ed in particolare nella zona carbonifera di Oviedo, la rivolta assunse caratteri particolarmente drammatici.

Qui, infatti, i minatori, armati e disciplinati, realizzarono l’unione di tutte le correnti operaie in un contesto fortemente anarchico, occupando un’area molto vasta (oltre al capoluogo Oviedo anche Gijòn, Mieres e Sama de Langreo).

Ma il fallimento dell’insurrezione su scala nazionale li isolò in una situazione disperata: la loro repressione assunse valore di simbolo per il governo, che ne affidò la guida al generale Goded e ad un altro giovane astro nascente nel firmamento militare, il generale Francisco Franco, che, impiegando unità scelte provenienti dal Marocco e la legione straniera, impiegarono due lunghe e cruente settimane per svolgere l’incarico, cui seguì una massiccia ondata di arresti (si parla di 30000 persone).

L’unica condizione posta dagli insorti fu l’immediata partenza delle truppe coloniali.

Da quel momento, le sinistre cessarono di accettare le regole democratiche, orientandosi verso un governo rivoluzionario; in alcuni casi, naturalmente, le forze di sinistra borghesi lo fecero perché “obbligate” dall’atteggiamento di quelle operaie e perché i “cedisti”, irrigiditesi, rifiutarono di accoglierle nel campo legale per rigettarle in quello rivoluzionario.

Se la “rivolta delle Asturie” favorì quindi l’emergere di un atteggiamento aggressivo e vendicativo da una parte, dall’altra la Ceda, lungi dall’agire con moderazione, mise in moto tutti i suoi strumenti repressivi e persecutori; e, fingendo di non vedere che Oviedo fosse stata una svolta nella storia della Seconda Repubblica, adottò un atteggiamento ricattatorio in Parlamento, dove pretendeva una revisione della Costituzione (per creare un Senato), una riduzione dell’autonomia catalana e la diminuzione della portata delle leggi su divorzio e matrimonio civile.

L’atteggiamento intransigente di Gil Robles, che arrivò a ritirare l’appoggio al governo, portò alla creazione, il 5 maggio 1935, di un ennesimo gabinetto Lerroux, per evitare le elezioni anticipate: stavolta, però, vi facevano parte cinque ministri cedisti, tra i quali lo stesso Gil Robles alla guerra.

Fu, questo, un passaggio fondamentale per il successivo scorrere degli eventi: Gil Robles riuscì, con l’aiuto del gen. Franco, ad espellere dagli esercito gran parte dei deputati repubblicani. Ma pagò il successo con una serie di scandali finanziari in cui la Ceda rimase coinvolta; e poiché voci insistenti circolavano sull’operato dello stacanovista Lerroux, questi fu alfine sostituito da Joaquìn Chapaprieta.

Ma il discredito di cui si coprì il campo conservatore fu, se possibile, ancora maggiore nello scandalo dello straperlo (dal nome di un gioco d’azzardo): una dubbia vicenda di corruzione, in cui restarono direttamente implicati i radicali di Lerroux, legata alla concessione di un gioco d’azzardo.

Gil Robles e la Ceda, quindi, persero l’unico alleato politicamente rilevante: un grave handicap visto anche che la legge elettorale del 1931 sfavoriva grandemente i partiti isolati (accordando l’80% dei seggi in ogni circoscrizione alla lista con la maggioranza assoluta dei voti espressi).

1936: la breve primavera del fronte popolare

In una tale situazione di sfacelo istituzionale era ormai chiaro a tutti, compreso il presidente della repubblica Zamora, che lo scrutinio nazionale rimaneva l’unica possibilità per salvare la democrazia; e poiché questa avrebbe potuto stabilizzarsi solo rifuggendo gli estremismi, nel 1936 fu creata una terza forza centrista, guidata da Portela Valladares.

Che le elezioni del ’36 fossero decisive divenne subito chiaro a tutti: ed infatti, destra e sinistra si scontrarono con una ricchezza di mezzi di propaganda fin’allora sconosciuta nel Paese.

La sinistra non si fece cogliere di sorpresa dallo scioglimento delle Cortes, e già il 20 ottobre 1935 fu costituito il Fronte popolare, guidato da Azaňa, comprendente socialisti, comunisti, Sinistra repubblicana, Unione repubblicana, Esquerra catalana, partito regionalista galiziano (Orga) e formazioni minori; caratterizzato da un programma moderato, godeva anche della neutralità degli anarchici, che per la prima volta non sostennero rigidamente l’obbligo dell’astensione.

La destra, invece, conobbe varie difficoltà ad organizzarsi: la Ceda, alfine, dovette rassegnarsi ad accettare una coalizione con monarchici e falangisti (data la già citata legge elettorale del ’31), dopo aver a lungo accarezzato l’ambizione di correre da sola.

Inaspettatamente, comunque, il clima della consultazione del 16 febbraio 1936 apparve tranquillo, come disteso, tutto sommato, era stato quello dei giorni precedenti.

I primi risultati chiarirono subito il quadro: gli elettori ignorarono i partiti di centro, polarizzandosi fra le due coalizioni antagoniste senza alcuna preoccupazione per la stabilità delle istituzioni repubblicane. Sebbene i dati rimangano incerti a causa dell’assenza di pubblicazioni ufficiali, si stima che il Fronte delle sinistre abbia ricevuto tra il 47,6% ed il 48,3% dei voti, ottenendo il 56% dei seggi alle Cortes.

Oltre quattro milioni di spagnoli diedero la vittoria ai rossi, in modo abbastanza netto.

I peggiori timori (e la coscienza sporca) provocarono il panico negli ambienti conservatori e moderati: il 17 febbraio Gil Robles chiese al presidente del consiglio di proclamare lo stato d’assedio, per consentire il regolare svolgimento del secondo turno, e lo stesso fece ancora per bocca di Franco, nel frattempo divenuto capo di stato maggiore. Ma Valladares, non ottenendo l’autorizzazione del presidente della repubblica per questo colpo di stato legale, e forse sentendosi minacciato dall’entusiasmo dei membri del Fronte popolare, implorò Azaňa di sostituirlo.

Sollecitato dal presidente della Repubblica, il nuovo gabinetto prese forma già il 19 febbraio. In linea con la moderazione del programma, nell’esecutivo entrarono solo ministri “borghesi”; ma il peso dell’appoggio dei partiti operai si fece presto sentire con continue richieste a favore di amnistie politiche e riforma agraria.

Attento all’ordine pubblico, Azaňa tentò la carta dell’appello alla calma e dello stato di emergenza, senza esito: il secondo turno delle elezioni fu caratterizzato da disordini e, in alcune regioni, occupazione di terre (ad opera di Ugt e Cnt).

Nei giorni, e nei mesi successivi il clima di guerriglia, provocazione, terrorismo divenne costante, come costante fu il declino dell’autorità governativa.

I governatori civili non poterono, o non vollero, fermare le violenze reciproche, così come insufficiente fu l’intervento delle forze di polizia, divise tra la guardia civile (34000 uomini, conservatrice) e la guardia d’assalto (17000 uomini, repubblicana e di sinistra). Le morti violente per motivi politici nei primi sei mesi del 1936 arrivarono a 269, dalle 45 dello stesso periodo dell’anno precedente (J.J.Linz e A.Stepan, “The brakdown of Democratic Regimes.Europe”, 1981)
I socialisti, travolti da entusiasmi rivoluzionari, ignorarono la proposta di Prieto di allearsi con i repubblicani moderati per creare un governo di unità nazionale e salvare le istituzioni: e Caballero, il “Lenin spagnolo” di quei giorni, correva su e giù per il Paese nonostante l’età, per sollevare le folle. Gli anarchici non attesero un secondo per cavalcare l’ondata di disordini, mentre i comunisti erano impegnati nel periodo a fondare la “Juventud socialista unificada” (Jsu), dopo aver strappato al Psoe l’organizzazione giovanile “Gioventù socialista”.

In aula, poi, la sinistra procedette ad un vero e proprio regolamento di conti: le Cortes appena insediate invalidarono i risultati in molte località conquistate dalla Ceda. Insieme, poi, le due coalizioni si rivolsero contro il presidente Zamora, destituendolo il 7 aprile 1936 e sostituendolo con Azaňa, a sua volta rimpiazzato alla guida del governo da Santiago Casares Quiroga.

La Ceda, con grande soddisfazione di falangisti e carlisti, si smembrò subito dopo le elezioni: e mentre molti elettori cattolici rinnegavano le precedenti “illusioni” legalitarie le bande armate falangiste, forti e combattive, entrarono in azione, nonostante la chiusura da parte delle autorità della sede della Falange e l’arresto del leader, Josè Antonio Primo de Rivera.

Come sempre, i monarchici e le forze armate agirono nell’ombra: nell’aprile del ’36, mentre anche all’interno dell’esercito era ormai scomparsa ogni credibilità nell’operato di un governo ormai “degenerato” e delegittimato, prese corpo l’idea di un golpe organizzato del gen. Mola. I preparativi proseguirono fino a giugno, nel tentativo di convincere i più reticenti, tra i quali il gen. Franco, comandante della regione militare delle Canarie.

Il clima di attesa per l’avvenimento decisivo, nel quadro di una sanguinosa resa dei conti tra i due schieramenti, terminò il 13 luglio 1936, con l’assassinio per rappresaglia del leader monarchico Josè Calvo Stelo da parte delle forze di sicurezza repubblicana.

Allora, il rancore e la tensione accumulate nei cinque anni precedenti si scatenarono, senza freni, e senza tregua.


 

 

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