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filosofia & religione


N. 61 - Gennaio 2013 (XCII)

Il Simposio di Platone
Un gioco nascosto di "detto e non detto"

di Dalia Fortini

 

Tra apollineo e dionisiaco, unità e alterità si svolge l’intero Simposio di Platone. Quando nascosto e quando palese, rivela una trama che va compresa all’interno di una dinamica che nasconde per mostrare la sua profondità e là dove invece mostra si dirige verso un ulteriore senso.

 

Ad una prima lettura il Simposio non dimostra affatto la vastità dei suoi argomenti che poi si deduce da un più attento studio del testo. Niente sembra lasciato al caso e questo denota una grande capacità a livello letterario da parte di un pensatore che con tutta probabilità voleva trascendere il mero livello scritto perché non sufficiente e limitato per la comprensione dell’intera portata del reale.

 

Non a caso Platone utilizza il metodo dialettico, che attraverso il dialogo porta a una crescita consapevole che non impoverisce affatto la discussione con mere concettualizzazioni oppure banali definizioni, ma che problematizza la discussione per far sì che si capisca l’idea nella sua interezza.

 

Il simposio si presta a un’interpretazione a livelli, poiché si tratta di un elogio di Eros di vari personaggi o meglio personalità che attuano una loro specifica forma linguistica per meglio denotare la propria funzione all’interno del convivio maschile in corso.

 

I livelli del testo mostrano con sottile maestria come il desiderio possa venire inteso a seconda del punto di vista: Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane e Agatone rivelano come a seconda di quella che Reale definisce una maschera, si possano esplicitare i vari pareri che al periodo di Platone andavano in voga per quanto riguardava Eros.

 

Dapprima parla un letterato, amante del mito, poi un politico, che difende la posizione dell’amore pederastico omosessuale, dunque il medico naturalista, poi entrano in campo la poesia comica e la tragica.

 

Lo scopo di Platone è dunque quello di distruggere l’opinione delle varie personalità rappresentative? O in qualche modo queste ci aiutano a comprendere la verità che poi Socrate chiarificherà attraverso un processo che ci porta su un livello ulteriore?

 

Analizzando i vari discorsi si può notare come gli aspetti di unità e alterità giochino continuamente, mostrando come il desiderio abbia comunque a che fare con la differenza e l’identità.

 

Nel primo discorso Fedro parla di un Eros mitico, ne denota i tratti più conosciuti nel tempo, avvalorandone l’aspetto se vogliamo eroico nella dinamica che coinvolgeva famosi personaggi dell’antichità. Eros è un dio.

 

Sin da subito si avvalora la sua importanza, è un dio infatti, unico tra gli dèi, il più antico; Fedro cerca di dare un valore assoluto a questo desiderio, ma non riesce ad elevarlo su un piano che non è quello antropologico, infatti Eros ispira dal momento in cui è presente tra amante e amato, e sul piano sociale, all’interno della società, in quanto muove all’onore.

 

L’aspetto mitico rivela il piano fondamentale su cui viene collocato da Fedro: differenza tra amante e amato, unità dell’Eros. La questione si approfondisce con Pausania: Eros viene diviso, non è più un desiderio, ma sono due, e questi due muovono gli uomini al bello o meno.

 

Il livello è ancora strettamente antropologico, e Pausania sfoggia la sua arte politica per difendere un amore che secondo lui eleva lo spirito, e non è meramente fisico: una bruttura per Pausania la sola idea di generazione.

 

Il principio viene qui differenziato, e nella differenza c’è una parte positiva e negativa, avvalorata dal fatto che una conduce alla virtù, l’altra no. A prescindere dal discorso di Pausania, qui vediamo che la differenza non è sempre considerata positivamente, tutt’altro.

 

Abbiamo un Eros brutto da evitare, e una relazione differenziale altrettanto negativa, perché vede nell’uomo una differenza sostanziale che non porterebbe alcun frutto, che invece si troverebbe nella somiglianza, quasi che si volesse sopprimere alterità. Erissimaco invece introduce una necessità: il principio che si fa duale, Eros positivo e negativo, presente in tutto il cosmo, è fondamentale nella dinamica dell’intero universo.

 

Ma Erissimaco è un medico, e per quanto il suo discorso voglia abbracciare la natura e l’arte, continua a essere legato all’aspetto sensibile. Erissimaco sa che c’è qualcosa d’altro, ma non riesce a tematizzarlo.

 

C’è un Eros distruttore, un Eros salvifico, il medico deve trovare equilibrio in questo dinamismo, l’accordo… ma questo distrugge o no la differenza? L’armonia è realmente possibile? Erissimaco ha i suoi dubbi, ma come poter spiegare allora l’unità di senso che crea la musica, l’arte divinatoria, l’astronomia?

 

Aristofane e Agatone tentano di dare a modo loro, per ciò che rappresentano, ossia la poesia in senso comico e tragico le loro risposte. Ma certamente la differenza che si crea da questo principio unico è dovuta dal fatto che improvvisamente è sorta una mancanza.

 

Aristofane sottolinea il bisogno umano di raggiungere l’intero, anche qui tentando di superare il livello prettamente antropologico per andare a uno metafisico. Ma non riesce. Il mito tenta di spiegare, ma rimane nella descrizione del fatto. Dunque capiamo la necessità di un intero a cui tendere, di cui il desiderio si farebbe dinamica, ma non riusciamo a capire come possa questo accadere e i motivi che sottendono a questa logica che accenna Aristofane.

 

Agatone svuota l’Eros e ritorna a una concezione unica, non c’è più una duplicità che vede negativa o positiva, non un principio duplice che farebbe dei due uno, ma un’unità che si mostra nelle cose affini, quasi che in questo modo potesse negare l’alterità, nascondendola durante il suo discorso.

 

Ora dunque ci si domanda il motivo di questo gioco tra uno e molteplice: Fedro, Eros è unico, principio; amante e amato nella loro differenza lo vivono al fine di un reciproco riconoscimento. Pausania e il suo doppio Eros, distruggono la concezione unitaria del principio erotico, esiste dunque una tensione positiva e una negativa, e l’alterità viene qui a rappresentare un’assoluta negatività.

 

Erissimaco invece sembra salvare questa duplicità necessaria all’interno di un unico principio differente che si trova in tutto il cosmo. L’equilibrio però va trovato, e deve essere positivo per non distruggere.

 

Differenza sì, differenza no? Salvare la differenza non è invece prerogativa di Aristofane, che tenta di motivarla… ma perché esiste? attraverso il mito dell’androgino si torna a guardare le cose nella prospettiva di una fondamentale interezza. L’intero è uno?

 

Aristofane non se lo domanda, ma comunque motiva l’uomo attraverso il bisogno e la mancanza. Anche qui... c’è stata necessità di alterità, ma di fondo appare negativa. Agatone sopprime tutto e riparla di un unico principio, dove l’affine fa da padrone, che attira non l’altro, ma il simile. Non si salva l’alterità, anzi, Eros scappa da ciò che altro da lui.

 

Socrate darà una risposta alla domanda, oppure si limiterà a smontare le opinioni altrui e a essere il solito provocatore?

 

C’è da dire che il solo discorso apollineo non piace molto a Platone, che fa spesso irrompere elementi che spezzano la logica e fanno confondere.

 

Che la risposta non sia solo nella logica di questa argomentazione è possibile, chissà che la verità non sia nascosta nell’elemento dionisiaco e irrazionale dell’opera.



 

 

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