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N. 18 - Giugno 2009 (XLIX)

SCUOLA DI PERIFERIA

SPECCHIO DELLA SOCIETà MULTIETNICA
di Giovanna D’Arbitrio

 

Il film del regista Laurent Cantet,“Entre les murs”, premiato lo scorso anno a Cannes con la Palma d’Oro, tratto dall’omonimo romanzo di F. Bégaudeau, cercò di raccontarci ciò che accade oggi tra le mura di un’aula, focalizzando l’attenzione sul difficile rapporto di un insegnante di lettere con un gruppo eterogeneo di alunni di etnie e culture diverse, immigrati di seconda generazione, in una scuola situata in una banlieu parigina.


Girato senza sceneggiatura ed attori professionisti (lo stesso Bégaudeau interpreta il ruolo del docente), il film ci sembrò quasi un reality caratterizzato da molti dialoghi e primi piani degli allievi. In esso l’insegnante, anche se animato da buona volontà, non viene certo presentato come un infallibile eroe, anzi mostra tutte le sue debolezze, nervosismi, irritazioni e stanchezze di fronte ai comportamenti tracotanti ed indisciplinati dei ragazzi. Non è un personaggio autoritario, ma nemmeno “autorevole”, non sa guadagnarsi il rispetto nel difficile contesto della classe, tutt’al più scende talvolta ad un rapporto paritario con i suoi alunni. La storia si conclude con una sconfitta: l’espulsione di un ragazzo di colore dalla scuola e la triste frase di una bimba che confida al suo prof.: - Non ho imparato niente! Non voglio continuare gli studi! –


Dal film quindi emerge un incontestabile dato di fatto: anche le scuole francesi non sono ancora in grado di gestire la dura realtà delle squallide periferie, nelle quali agli emarginati bianchi si sono aggiunti quelli di colore. Gli immigrati di seconda generazione, inoltre, sono in una fase molto delicata, quella cioè di “passaggio” da una cultura ad un’altra: non avendo ancora raggiunto un’identità precisa, non si sentono né pienamente Francesi, né profondamente legati ai paesi di origine dei loro genitori.


Se paragoniamo tuttavia le scuole delle banlieues alle nostre “scuole a rischio” che si trovano ora in grave difficoltà per tante riforme, spesso miranti solo alla riduzione dei costi, ci rendiamo conto che la Francia, come molti paesi europei, è più avanti dell’Italia nel campo dell’istruzione. Essa, infatti, ha investito notevoli risorse economiche per utilizzare strutture moderne e validi sussidi didattici, tempo pieno, mense scolastiche, équipe psico - pedagogiche e così via, puntando inoltre (dato più importante!) all’integrazione, come si può vedere dal contesto della “Classe”, in cui alunni di tutte le razze sono presenti e, pur litigando, dialogano tra loro.


In base ad esperienze personali fatte nelle scuole medie inferiori della Campania e del Lazio, sono costretta purtroppo ad affermare che in Italia non siamo in grado di gestire in modo adeguato nemmeno il problema degli “svantaggiati”, cioè degli alunni provenienti dalle classi sociali più umili che vivono in ambienti spesso degradati e pieni di pericoli. Anche quelli di livello sociale più modesto che vivono nelle zone più ricche(figli di portieri, di cameriere che lavorano in zona, di fruttivendoli, macellai e piccoli commercianti ecc), incontrano enormi difficoltà nel colmare il divario culturale che li separa dai compagni più fortunati.

 

All’inizio dell’anno scolastico i docenti italiani della scuola dell’obbligo spesso assegnano un tema in cui gli alunni devono descrivere se stessi e le loro famiglie. L’obiettivo è quello di conoscere gli alunni, ma esso spesso diventa una sorta di piccolo test d’ingresso perché mette in evidenza le “fasce di livello”. Parimenti gli insegnanti di matematica fanno eseguire esercizi di aritmetica sulle quattro operazioni.


E così subito s’individuano gli svantaggiati! Dopo cinque anni di scuola elementare, sia col tradizionale maestro unico di un tempo che col più moderno “modulo”, gli svantaggiati non sanno scrivere correttamente in italiano, non leggono bene e non conoscono le tabelline.

Si deduce quindi che, fin dalle elementari, chi parte con uno “svantaggio”, cioè con un divario culturale, dovrebbe essere aiutato subito con corsi di recupero pomeridiani per acquisire le abilità di base, necessarie per “costruire” i livelli successivi. Gli svantaggiati di tutto il mondo hanno gli stessi problemi in fondo!
Quando insegnavo l’inglese a Secondigliano a ragazzi vivacissimi, spesso indisciplinati, che parlavano in dialetto e non conoscevano l’italiano, anch’io ho avuto qualche difficoltà e ho cercato allora nuove strategie educative e didattiche per conquistarmi il rispetto e l’attenzione degli alunni. Degrado, miseria ed ignoranza sono i comun denominatori che accomunano i poveri di tutte le razze!

Anche gli “svantaggiati” di razza bianca hanno i loro problemi di integrazione nei quartieri “nobili” napoletani. Costantemente beffeggiati perché “comprano vestiti sulle bancarelle”, esclusi dalle feste di compleanno e dagli incontri in pizzeria o in discoteche pomeridiane (incredibile, ma vero, esistono discoteche anche per i più giovani!), gradualmente sviluppano comportamenti negativi di vario genere.


Alcuni si chiudono, diventano tristi, timidi e poco partecipi, altri invece si mostrano ribelli ed ostili e sviluppano comportamenti “di disturbo” durante le lezioni che non riescono a seguire per un divario mai colmato dalla scuola.

Quanto lavoro in questi lunghi anni di insegnamento, quanti soldi del mio misero stipendio spesi per acquistare materiale didattico per loro, quanti discorsi per favorire la loro integrazione, per educare anche gli altri alunni al rispetto e all’aiuto reciproco! Quante lotte per ottenere dai presidi qualche misero corso di recupero di poche ore settimanali ! Quante difficoltà ho dovuto superare a volte per inserire quelli più ribelli nei laboratori pomeridiani allo scopo di favorirne almeno la socializzazione e sottrarli al negativo influsso dell’ ambiente.


E’ giusto lodare e gratificare gli alunni più bravi e capaci, ma la scuola statale non può trascurare gli alunni più deboli: il diritto allo studio deve essere garantito a tutti.


Concludendo, malgrado tutte le difficoltà e le lotte, alla fine qualche risultato si ottiene sempre quando si ama il proprio lavoro: oltre ai gratificanti successi conseguiti da alunni più motivati e brillanti, si registrano con gioia i piccoli o grandi progressi rispetto “ai livelli di partenza” degli svantaggiati. Non manca mai, inoltre, il sincero affetto dei ragazzi, soprattutto di quelli meno bravi.

 

E quando queste umili, deboli crisalidi talvolta si trasformano in trionfanti farfalle, capaci di volare, otteniamo la più grande ricompensa, sia come insegnanti che come educatori.

Benvenuti siano anche i figli degli immigrati allora, se amiamo gli alunni, ma ci auguriamo che i ministri della P.I. pensino al futuro della scuola italiana con riforme adeguate ai tempi, non certo con le leggi simili a quelle approvate di recente.


 

 

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