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N. 75 - Marzo 2014 (CVI)

DONNA? Sì, forse… ma anche no

IL PASSATO NON PASSA
di Laura Novak

 

La donna nel mondo del lavoro è ancora e incredibilmente l’Argomento. L’argomento che in questi giorni (post 8 marzo), complice la questione Quote Rosa della riforma della legge elettorale tiene banco su ogni mezzo di informazione.

 

E mi chiedo: ma nel 2014 non dovrebbe essere è una condizione definitivamente acquisita?

 

Questo argomento delle quote rosa non dovrebbe essere stato superato ampiamente da un paese come l’Italia? Davvero stiamo parlando di quote rosa nella riforma di legge elettorale?

 

Da noi non è mai esistito un premier donna. Non è nemmeno mai stato immaginato da alcuno.

 

Ma la Germania, il Brasile, L’Argentina, la Birmania, le Filippine (e ho detto tutto…) hanno alla guida delle donne.

 

Due giorni fa la notizia della nomina di Simonetta Di Pippo al vertice dell’Agenzia Spaziale Europea è rimbalzata su tutti i media.

 

Leggendo gli articoli il sentimento era un mix tra lo stupito e l’orgoglioso un po’ perché donna, un po’ perché italiana, e un po’ perché nominata in un ambito da sempre prettamente maschile.

 

Un insieme che ha sconvolto l’opinione pubblica e gridato al miracolo! pochi però hanno sottolineato la carriera senza pecche dell’astrofisica italiana e che non nominarla avrebbe leso la trasparenza e il rigore professionale dell’Agenzia Spaziale. Non poteva non essere lei e quindi doveva essere lei.

 

E già queste prime riflessioni hanno in sé qualcosa di tragico, a mio parere. Non sono mai stata una nostalgica del femminismo, né tanto meno sono mai stata una che ha sempre mostrato schizofrenia verso il riconoscimento del ruolo femminile e della sua positiva influenza nella società contemporanea.

 

Sono nata bambina in una casa dove vigeva una sistema patriarcale assolutista e so cosa significa nel tempo (e in quel contesto) diventare una Donna.

 

Ho sempre immaginato che nella vita avrei dovuto lottare, quale appartenente al genere femminile, contro qualche sparuto gruppo di uomini, poco sensibili, senza cura delle relazioni uomo – donna, un po’ ignoranti e con scarsa autostima, come appunto mio padre.

 

Forse, con il senno del poi, ho sopravvalutato il paese intero e le sue radici storiche. Non avevo mai davvero ipotizzato che la mia lotta sarebbe stata contro un “sistema”, ordinato, ben ramificato, gerarchico, costruito su granitiche colonne imponenti e resistenti agli urti sociali, seppur ormai anacronistiche e imbarazzanti.

 

Un conto è superare un masso; ben altro se devi scalare il K2. Provi a non darti per vinta ma alla fine sei tra lo stremato e l’incazzato.

 

Nell’analisi di un’esperienza individuale non si deve mai cedere alla tentazione di generalizzare, di creare da quell’esperienza un’anima collettiva.

 

Ma ormai non è più nemmeno plausibile chiudere gli occhi, tapparsi la bocca e immaginare che tutto questo un giorno cambi per stanchezza della controparte o per rilevanti ingerenze estere, dove la società spesso viaggia a velocità triplicata.

 

Di fronte alla condizione economica e non solo, nella quale il paese si sta palesemente inabissando, ognuno che abbia un lavoro si sente ripetere: “sei fortunato non ti lamentare”. Così tante volte che la mattina quando ti alzi e ti specchi te lo ripeti da solo manco fosse un mantra buddhista per la pace mondiale.

 

Va pur ammesso che il lamento è il male della mia generazione: siamo quelli troppo vecchi per avere una vera chance nelle future prospettive di lavoro in cui i neo laureati sono già aggressivamente “sul pezzo”, siamo quelli troppo giovani per essere considerati già come professionisti di spessore ed esperienza.

 

E poco importa se sono 15 anni che lavori e se sei riuscito a mantenerti da solo agli studi. Sì…perché poi siamo anche la generazione della “sperimentazione”: abbiamo sperimentato la riforma della maturità, abbiamo sperimentato il nuovo ordinamento universitario (che nel frattempo è già diventato obsoleto), abbiamo sperimentato il lavoro precario e il lavoro a progetto, il lavoro interinale…

 

Ora se non volessimo far rientrare i sopra citati casi nel settore “lamenti” non potremmo non inserirli in quello molto più ampio delle “sfighe”.

 

E l’insoddisfazione personale si cumula così come si cumulano sempre le sopra citate “sfighe”. Parlando delle donne la domanda è: il “trattamento” che ogni giorno subiscono centinaia di donne lavoratrici deriva dal loro comportamento in qualità di dipendenti sottoposte oppure di Donna dipendenti e sottoposte?

 

Con il tempo, insieme a non poche sberle di adattamento, si comprende quanto in realtà non abbia nessuna rilevanza estrinseca la validità professionale, l’attenzione e l’esigenza ferrea verso se stessi; non hanno valore l’ intraprendenza e il senso di responsabilità.

 

Arrivano le pacche sulle spalle, arrivano i complimenti estemporanei, arrivano le valutazioni positive tramite terzi. Ma poco di più.

 

E allora ci si chiede se l’attesa perché avvenga il riconoscimento concreto sia una vana speranza.

 

Quelle colonne che prima citavo sono allora le massicce colonne d’Ercole, oltre le quali, come nell’antichità, si crede non ci sia altro mondo?

 

Il potere e di conseguenza il lavoro di una donna in Italia è quotidianamente gestito da uomini, alcuni, bisogna anche dirlo, validi e di spessore.

 

Senza allora focalizzare l’attenzione sui soliti argomenti quali le battutine scontate, gli apprezzamenti all’abbigliamento o le raccomandazioni di morigeratezza nella lunghezza della gonna, il sessismo conosciuto quotidianamente dalla maggior parte delle donne lavoratrici è più sottile e fa anche più male.

 

Ore ad elaborare documenti, espletando lavori non entusiasmanti che spesso nemmeno le competono per poi affidare quegli stessi compiti poco entusiasmanti al proprio supervisore. Nella fase conclusiva di quegli stessi lavori la donna molto spesso rimane ai margini, se non addirittura esclusa.

 

Qualcosa mi induce a pensare che non si tratti di semplice gerarchia, ma di gerarchia sessuale. Perché il comportamento non è uguale se rapportato ai pari grado maschili.

 

La donna, all’interno del proprio ambito lavorativo, si occupa poi quasi ovunque di innumerevoli attività secondarie, collaterali. Per esempio è lei o no, durante gli incontri, ad alzarsi per fare le fotocopie? Pensateci…

 

È lei oppure no che ha l’onere di comprare i regali ai compleanni dei colleghi? Pensateci…

 

È lei o no ad essere scelta per dispensare consigli su acquisti di ogni tipo (dalla cancelleria agli acquisti personali piuttosto che alle vetrate per le porte)? Pensateci…!

Il tutto spesso trasmesso senza una linea impositiva, ma bensì connotandolo con venature tra il tradizionalista, il favore personale e l’assodato.

 

Ma ovviamente il punto focale non è questo, sarebbe riduttivo.

 

A fronte di un rapido confronto con tutte le donne lavoratrici che conosco, il nodo della questione ha radici che affondano nello stereotipo comune della Donna.

 

Il ruolo femminile, nel momento in cui viene seriamente preso in considerazione nel mondo professionale (passaggio non obbligato), è visto con sospetto. L’ambizione femminile risulta essere, a conti fatti, un’attitudine negativa, che paralizza e spesso imbarazza l’intera scala gerarchica. È fin troppo spesso condito con sogghigni di irrisione, motivato da assurde teorie complottiste, oppure velato di malizia.

 

Per dirla in parole povere: Se un uomo nella vita fa carriera è un soggetto competente e padrone delle sue capacità.

 

Se una donna fa carriera… ahhhh zac! è vivisezionata: analizzata nell’aspetto estetico, nella situazione sentimentale, nel suo comportamento formale e informale… Va da sé che nel caso di una donna avvenente, intelligente e in rapida ascesa o si tratta di una stronza acida oppure è sicuramente venuta a patti con qualcuno.

 

Se 10 anni fa, prima di entrare nel florido mondo del lavoro italiano, qualcuno mi avesse predetto che avrei scritto e soprattutto confutato la banalità che ho appena formulato, lo avrei preso a calci nel sedere, sbeffeggiandolo nel contempo.

 

Erano gli anni 2000: figuriamoci se potevano sussistere preconcetti di tale stupidità.

 

Siamo nel 2014 ed è ancora peggio delle previsioni più catastrofiche del Don Nascimento della fu Wanna Marchi.



 

 

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