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N. 89 - Maggio 2015 (CXX)

Graziani il macellaio
italiani in Abissinia

di Elisa Temellini

 

Il 9 maggio 1936 dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, Benito Mussolini annunciò alla folla in festa che l'impero fascista era nato. Gli italiani esultarono convinti delle parole del duce, sicuri di avere davanti a loro un glorioso futuro destinato al popolo eletto.

 

La conquista dell’Abissinia (come veniva chiamata l'Etiopia) diede loro l'illusione che il sogno imperiale si sarebbe realizzato. In realtà era stato fatto il primo passo che avrebbe condotto il nostro paese alla catastrofe. La guerra contro l'Etiopia segnò il punto di non ritorno per l'Italia fascista.

 

L'orgoglio nazionale era all'apice, però, e Mussolini raggiunse il culmine del consenso.

 

Il duce aveva premiato i sacrifici e gli sforzi degli italiani facendo dell’Italia un vero impero paragonabile a quello degli antichi romani: lo proclamava sempre, ovunque parlava in pubblico. La costruzione di una nuova potenza avrebbe ridato agli italiani quel fasto e quella ricchezza che da secoli non avevano più.

 

In realtà la situazione non era rosea come la si voleva far credere. Due terzi dei territori etiopi erano ancora in mano al Negus che ovviamente difendeva la propria terra.

 

Il generale italiano allora incaricato della conquista dei territori coloniali era “il macellaio” Rodolfo Graziani (Filettino, Frosinone 1882 – Roma 1955) che come da accordi con Mussolini, utilizzò persino e di nascosto dall’Europa l’iprite e altri gas tossici per sterminare la popolazione inerme, uccidendo crudelmente migliaia di persone.

 

Sebbene non fu così semplice come i fascisti si aspettavano, Graziani riuscì, nel marzo del 1937, ad occuppare integralmente l'Etiopia. I metodi utilizzati dai fascisti erano tutt'altro che civili ed il clima era terribile. Molti erano i morti e altrettanti i dispersi.

 

Neanche da dire, il maresciallo d'Italia, così era stato nominato Rodolfo Graziani, non si era conquistato l’affetto delle popolazioni locali.

 

Il 19 febbraio 1937, due giovani studenti di origine eritrea, esasperati dalle continue violenze gratuite contro l'innocente popolazione etiope, lanciarono otto bombe Breda ad una festicciola ad Addis Abbeba dove il nostro generale era presente.

 

Sette morti e oltre cinquanta feriti tra cui l'ambizioso vicerè. I ragazzi riuscirono a scappare grazie ad un terzo uomo che li aspettava in macchina poco lontano, successivamente morto sotto tortura per mano dei fascisti.

 

La successiva rappresaglia italiana fu terribile. Il viceré diede l’ordine a qualsiasi italiano presente in città, da commercianti a autisti, di uccidere tutti gli arabi che si trovavano nella capitale (per intenderci: a casa propria).

 

Per tre giorni, dal 19 al 21 febbraio 1937, furono crudelmente eliminati con ogni mezzo migliaia di vecchi, donne e bambini. Fu un eccidio vero e proprio. Cumuli di corpi straziati si riversarono nelle strade. Ma i diplomatici stranieri presenti in città non rimasero con le mani in mano ed iniziarono a fotografare le brutalità commesse dai nostri connazionali affinchè venissero pubblicate nelle maggiori testate straniere.

 

Preoccupato delle denunce, Grazani decise quindi di cessare le violenze con il benestare di Mussolini che però esortò a passare per le armi qualsiasi prigioniero. Non si sa quanti furono gli indigeni massacrati ma nel 1945, alla conferenza di Londra, fonti etiopi denunciarono 30.000 morti durante la strage del 1937.

 

Probabilmente in questa tragica cifra vennero comprese anche le ecatombe dei mesi seguenti. In effetti Graziani non si fermò. Anche gli indovini, gli eremiti, gli stregoni vennero visti come fonte di disordini quindi si decise il loro sterminio.

 

Non ancor pago, il 19 maggio, il "nostro" con l'aiuto del generale mantovano Pietro Maletti circondò la città di Debra Libanos che secondo vaghe e poco attendibili fonti aveva ospitato gli attentatori, una volta scappati dalla capitale.

 

La città era stata fondata nel XIII secolo dal santo tigrino Tecle Haymanot e ospitava monaci, preti, studenti di teologia, suore e sacerdoti. Si organizzò freddamente e lucidamente l'uccisione di massa e le modalità migliori per trasportare i cadaveri affinchè il tutto potesse avvenire nel minor tempo possibile.

 

Se in un primo tempo i giovani diaconi vennero risparmiati, tre giorni dopo si procedeva alla carneficina dei ragazzi, colpevoli solo di trovarsi a Debra Libanos. Il numero dei religiosi trucidati, calcolato intorno alla metà degli anni '90 da due docenti universitari, l'inglese Ian L. Campbell e l'etiopico Degife Gabre-Tsadik, grazie ad un'ampia e approfondita ricerca, si aggirò sui 1600.

 

La situazione in Abissinia non si calmò e come prevedibile l'odio degli nordafricani contro gli italiani, se possibile, aumentò causando immani perdite anche nelle nostre truppe. Solo quando, a settembre dello stesso terribile anno, la testa del capo dei ribelli etiopi Hailù Chebbedé venne esposta nelle piazze delle maggiori città insorte, Mussolini sostituì Graziani con il Duca d'Aosta, uomo di tutt'altro spessore.

 

Questo macabro e barbaro spettacolo decretò la fine del maresciallo in Etiopia ma il regime lo richiamò al lavoro e dopo qualche anno, nel 1940, e lo stimato eroe fascista venne inviato a difendere la Libia, dove di certo non si distinse per valorose doti guerriere. Rientrò poi in Italia nelle file degli arditi della Repubblica di Salò.

 

Mussolini condivideva con il terribile macellaio il disprezzo per gli africani e la complicità in vergognosi crimini. In Graziani vedeva l'uomo nuovo tanto decantato dalla nuova ideologia, l'ardito, il coraggioso combattente disposto a morire per la causa fascista.

 

Ma i fatti tradirono le aspettative del duce. Il maresciallo d'Italia invece che scappare con Mussolini verso la Svizzera e la conseguente morte, nel 1945 si consegnò agli alleati, salvandosi.

 

Al processo del 1948 nulla fu detto contro di lui delle commesse stragi e malgrado le continue richieste da parte dell'Etiopia a favore dell'estradizione, il il viceré dell'Abissinia non venne mai giudicato per il terribile operato in Africa nord-orientale ma condannato unicamente per collaborazionismo.

 

Con l'amnistia del 1950 Rodolfo Graziani ritornò libero e partecipò attivamente alla vita politica della giovanissima Repubblica nelle file dell'MSI.

 

Consola il fatto che il governatore della Regione Lazio, qualche giorno fa, ha dichiarato pubblicamente di non sovvenzionare ulteriormente il mausoleo collocato ad Affile dedicato al criminale fascista. Rattrista che ci siano state polemiche su facebook contro la decisione di Nicola Zingaretti ma indigna ancora di più l'esistenza di un monumento dedicato a un siffatto scellerato...



 

 

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