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N. 66 - Giugno 2013 (XCVII)

LA LONDRA DI SYD BARRETT E DEI PRIMI PINK FLOYD
Intervista alla rock band "3chevedonoilrE"

di Denisa Kucik & Leila Tavi

 

Nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, Londra divenne un punto di riferimento per una nuova avanguardia della cultura inglese legata al trascendentalismo e alla meditazione.

 

Sostanze allucinogene come l’LSD o la psilocibina furono il tramite con cui gli artisti entrarono in una nuova dimensione cognitiva che chiamarono “esperienza psichedelica”.

 

Gli esponenti della contro cultura, oltre a meditare, si preparavano alla rivoluzione inneggiando a Fidel Castro e manifestando contro la guerra e contro l’establishment.

 

I movimenti di protesta denunciarono la fine del colonialismo culturale inglese e, di conseguenza, di un certo stile di vita molto “British”, costruito intorno a riti quotidiani come il cambio della guardia a Buckingham Palace o il tè delle cinque.

 

La minigonna divenne allora il simbolo dell’amore libero e locali quali l’UFO e il Marquee Club ospitarono le performance musicali dei Pink Floyd e dei Soft Machine.

 

Per introdurre la scena musicale della Londra psichedelica siamo andate a trovare i 3chevedonoilrE, che in realtà sono quattro musicisti romani: Carlo “Hyper” Fadini, chitarrista, MrFalda, bassista, Andrea Martella, batteria, e Zappis, cantante. Insieme hanno fondato nel 2003 un gruppo rock, ispirandosi per il nome al racconto breve di Magnus Mill Three to See the King scritto nel 2001.

 

I 3chevedonoilrE sono diventati in pochi anni conosciuti e apprezzati sulla scena musicale italiana e, dopo aver conquistato lo scorso anno un meritatissimo secondo posto al MarteLive, uno dei festival multidisciplinari più importanti in Italia, occupano di diritto un posto d’onore sul palco di ogni hot spot che si rispetti.

 

Abbiamo intervistato il gruppo durante una pausa sul set del loro nuovo video Karmelita, tratto dal loro CD d’esordio Nella baracca di latta.

 

 

1. Ciao ragazzi, come prima domanda per rompere il ghiaccio ci è venuta voglia di chiedervi quale significato attribuite voi, che con il nome della vostra band e un po’ anche con la vostra musica richiamate alla mente una Londra regale, pop, ma anche contestatrice, alla scena psichedelica musicale e letteraria londinese tra il 1965 e 1969?

 

Pensiamo che ci sia una sostanziale differenza fra la nostra scelta che, come hai chiaramente capito, riguarda sia un’immagine che un concetto e una contestazione, e la scena psichedelica fine anni ’60: quell’esperienza maturò solo in un secondo momento verso una coscienza politica, ovvero di impegno politico, mentre a ben vedere all’inizio fu un fenomeno relativo alla liberazione da schemi comportamentali e di pensiero che erano sempre stati troppo automatici e conservatori; l’uso delle droghe come raggiungimento dell’esperienza del “reale” e della consapevolezza di esso non partì come intenzione politica. Per noi, invece, la partenza è stata fin dall’inizio consapevolmente agganciata a un intento politico, un legame fra il riportare una cronaca attuale e il suo urlarlo attraverso un gesto estetico. Nessuno di noi fa uso di droghe per riuscirci.

 

2. Quanto della musica di quegli anni si può riconoscere nella frase del libro del 1965 The Man Who Turned on the World, scritto da Michael Hollingshead, uno dei primi ricercatori a studiare gli effetti delle droghe sulla psiche umana: “Psychedelic means ecstatic, which is to stand outside our normal patterns. It means going out of your mind, your habitual world of contingencies, space-time coordinates. And the key issue: Anything that exists outside exists there inside”? E quanto queste affermazioni possono ancora essere vere per chi fa rock oggi?

 

L’ispirazione che provenne dalle visioni causate dalla distorsione operata dall’acido lisergico ha regalato alla cultura popolare una fetta di cultura “altra”, ha avvicinato cioè all’astrazione (che la musica ha sempre incarnato nel suo non essere “visibile”) le persone comuni abituate fino ad allora a schemi precostituiti e sicuri. Molti gruppi rock popolari hanno aiutato a “visualizzare” un’esperienza appunto “outside our normal patterns”. Ma quello che si è riflesso poi nella pratica è stato una pericolosa mancanza di educazione riguardo quell’esperienza. Potevano essere grandissimi performer a parlare, grandissima musica o grandissimi professori, ma la controcultura non arrivò mai in modo “completo” alle orecchie di tutti; cominciarono dunque tutti i fenomeni di approssimazione che di solito accompagnano una pratica difficile e faticosa – alla stregua di una religione all’acqua di rose – e la diffusione senza precedenti di traffici e affari legati a sostanze stupefacenti. È un po’ come chi pensa che per seguire la religione giamaicana devi farti le canne: non ha senso, è un’idiozia. Di fatto, gli stessi Pink Floyd anche senza Barrett hanno prodotto album psichedelici senza l’uso di acidi. Sicuramente ci fu una spinta fortissima operata dalla droga che accelerò molti processi e molte idee compositive ed attenuò la rabbia tipica della compagine rock, ma appunto da un altro lato molti gruppi e molte musiche derivarono la loro ispirazione dall’alienazione indotta dai “normal patterns”: la droga fu dunque solo un mezzo per accelerare, non fu la causa prima. Ancora oggi si possono guardare i film di Buster Keaton o i dipinti di Boccioni e vedere che la stessa alienazione dai normal patterns (gli effetti dell’accelerazione industriale dei primi del ‘900) produsse idee anche senza l’uso dell’acido. Chi fa rock oggi lo fa, appunto, oggi, con tutto il bagaglio e la distruzione di quei modelli schematici di costume operata negli anni ’60. Oggi si devono fare altre battaglie, quegli schemi sono già stati debellati: ce ne sono di ben più complessi da affrontare.

 

3. Quali sono allora i modelli da abbattere nella musica oggi e quali battaglie portano avanti i 3chevedonoilrE?

 

Molto spesso c’è un fraintendimento circa il discorso precedente: chi fa musica spesso ritiene che la distruzione degli schemi preordinati prima delle rivoluzioni culturali degli anni in questione possa inserirsi in un nuovo schema sicuro per di più legittimato dalla storia. Ciò è di per sé un paradosso e molta di quella cultura “borghese” sovvertita si è trasformata in una nuova cultura “borghese” e per definizione reazionaria. Ciò che purtroppo ancora risulta particolarmente affascinante, sia per chi fa musica che per chi la ascolta, è il legame con culture per così dire pre-rivoluzionarie in una sorta di neoclassicismo di maniera che distrugge la creatività e distrae dall’obiettivo comunicativo. In questo senso non sono da abbattere veri e propri modelli, ma un atteggiamento verso la musica particolarmente passivo da entrambi le parti del palco: ciò che rassicura e si adagia crea un contatto, non particolarmente viscerale ma sufficientemente rassicurante. In più si sta affermando un atteggiamento minimalista che non si vergogna della propria natura borghese e anzi, ne cavalca il senso di pigrizia lassista e privo di ideali che porta con sé, contribuendo però davvero poco alla comunicazione. Ciò che 3chevedonoilrE cerca di portare avanti è una critica ironica e propositiva nei confronti di tutto ciò che è establishment, rendendosi però conto che sono cambiati gli obiettivi da combattere. Sono cambiati i livelli, si è allargata la base borghese e passiva, non si può più criticare solo il potente e tagliargli la testa in maniera anche piuttosto banale quando tutto quello che è sotto di lui contribuisce ed alimenta il malessere collettivo. Quando siamo noi stessi parte del gioco di potere. È la società essa stessa a dover essere sotto processo: tutti sono inclusi, comprendendo tutte quelle fasce pseudo-contestatorie che portano avanti battaglie già vinte e che hanno sempre un pasto caldo alle tre di notte. Il panorama si è fatto più complesso, nuovi stereotipi intoccabili si sono affacciati alla ribalta ed arroccarsi sulle proprie convinzioni ritenendo di essere migliori solo perché si crede di stare dalla parte giusta non aiuta la comunicazione e non apporta novità. Siamo disposti a rischiare, cercando di trovare il coraggio che manca a molta parte della comunicazione creativa.

 

4. All’epoca era diffuso tra i musicisti credere che solo attraverso l’assunzione di droghe si sarebbe potuto raggiungere quello stato mentale trascendentale necessario a creare musica. Per un musicista può la creatività prescindere dal talento?

 

Ancora una volta si pretende di affermare che basta farsi un acido per comporre un capolavoro come “Astronomy Domine”… La creatività non riguarda certo solo la musica, può riguardare qualsiasi cosa, anche una cosa banale come l’organizzazione di una festa di compleanno. Si può essere molto creativi, ma se lo si è in continuazione allora si incomincia a parlare di “talento”. Si ha talento quando non è facilmente spiegabile da dove provengono le assonanze nel tuo cervello e le soluzioni che legano i temi e i concetti a queste assonanze, e si ha altresì talento quando queste pratiche si ripetono spesso. In realtà provengono tutte dalle nostre esperienze sensoriali e se si è consapevoli di ciò le si comincia ad usare “producendo”. Ciò richiede inoltre una forte dose di coraggio. Si può avere un’idea creativa e non essere continuativi nella proposizione di altre nuove idee creative. A quel punto non si può più parlare di talento: si è stati creativi in una singola idea. Probabilmente la droga aiutò a scongiurare questa crisi individuale di idee.

 

5. La Londra lisergica è stata la scena musicale dei Pink Floyd di Syd Barrett, quanto e come la musica italiana si è ispirata al modello londinese? Ci sono stati dei fenomeni di rilievo in Italia in quegli anni legati alla psichedelia? E ancora, la vostra musica, che ha una venatura hard rock anni ’70 e un beat pop-sessantottino, deve un contributo alla Londra dei primi Pink Floyd?

 

Queste sono domande da enciclopedia del costume!!! Le risposte si possono trovare facilmente nel web, non siamo certo degli storici... Per quel che sappiamo e che ci ricordiamo, l’esperienza italiana più vicina alla controcultura londinese (e anche newyorkese) è passata, appunto, in quasi totale sordina nel paese delle lapidarie certezze cristiane. Stiamo parlando delle “Stelle di Mario Schifano”, un gruppo prodotto appunto da uno dei più famosi esponenti italiani della cultura pop. Questo come altri pochi possono essere stati fenomeni di rilievo per qualche giornalista attento, ma tale rilievo non è certo stato determinante ai fini della cultura generale: sono stati più influenti gli anni 70, l’idea di “comune” e il rock progressivo (che aveva molti legami con la cultura classica lirica italiana). E anche parte della nostra musica risente delle risonanze degli anni 70, come hai giustamente notato, mentre vediamo i primi Pink Floyd come un modello impossibile da copiare e da proporre oggi nuovamente. Più che altro è il presupposto che mosse quella musica a renderci un po’ vicini a essa.

 

6. Uno dei maggiori esponenti del movimento londinese è stato Kevin Ayers, frontman dei Soft Machine, il quale ha dichiarato in una recente intervista, che attraverso il movimento psichedelico i ragazzi inglesi misero veramente in discussione, per la prima volta nella storia europea, il modo di vivere e l’educazione dei loro genitori, allo scopo di creare le basi per una nuova società le cui regole non avrebbero dovuto rappresentare più un dictat inibitore della libera creatività individuale e collettiva. È stato veramente così, la società londinese si è veramente scrollata di dosso allora un retaggio di epoca vittoriana?

 

Sicuramente è stato vero come “istinto” di massa, come grande movimento che investì anche la moda e dunque tutte le classi. In realtà le parole di Ayers sono valide anche per gli anni precedenti alla scoperta dell’esperienza ultrasensoriale aiutata dalle droghe, e cioè negli anni ’50 e ’60. I film di James Dean lo dimostrano, e anche gli atteggiamenti di Elvis Presley o di Little Richard. La rottura col passato avvenne in quegli anni, mentre alla fine dei ’60 si accelerò tutto, come detto prima, e si ingigantì esteticamente a causa della distorsione violenta operata dalle droghe. Può o no essere considerato un atto politico l’atteggiamento ribelle di un ragazzo verso i suoi genitori? Quella ribellione lo traghetterà in una vita impostata diversamente dai suoi predecessori, e quella vita cambierà altre vite. Il movimento psichedelico ebbe solo il merito di “facilitare” la spiegazione di complessi mutamenti sociali distaccati e non riconducibili a un unico nome, di organizzare le esperienze fornendo a queste una guida, una forma, un’estetica, una teoria, suoni e un mezzo per raggiungere tutto ciò in maggiore fretta.

 

7. I ragazzi londinesi si sono fatti promotori di una rivoluzione culturale, chiamata Swinging London, ben descritta nel celebre film del 1966 Blow-Up di Michelangelo Antonioni. Le ragazze indossavano la minigonna ideata da Mary Quant, simbolo di libertà e uguaglianza tra i sessi. Secondo voi, quali gruppi musicali hanno meglio interpretato questa rivoluzione culturale? Swinging fa subito pensare alla musica degli anni Quaranta del XX secolo, ai microfoni enormi e ai quartetti di ragazze con i fiocchi in testa… in realtà il termine in quegli anni fu associato alla poligamia senza vincoli e a una visione collettivista dell’amore. Ai giorni nostri si parla piuttosto di Swapping… Book Swapping, Clothes Swapping e Wife Swapping, ma è più un prendere in prestito, non uno scambiare. Quanto è preso in prestito nella musica oggi e quanto è invece scambio?

        

Il prestito presuppone una persona che poi restituisce ciò che ha preso. Lo scambio, invece, no: presuppone due reciproche donazioni. Chi ruba, invece, prende qualcosa che non restituirà mai più. Se dovessimo pensare a un “prendere in prestito” in musica dovremmo poi pensare a una restituzione, forse in termini di canzone. Se è così, allora qualsiasi musicista prende in prestito musica da altri autori o da altre esperienze: prende e le “usa” a suo piacimento, restituendole nella forma alterata dal suo processo creativo. In realtà è confortante sapere che in questo ambito non è possibile rubare, perché prima o poi si restituisce qualcosa sotto forma di nuova creazione (a meno che non si riproponga la stessa identica cosa… e purtroppo a volte è successo!). Non penso che si possa parlare di scambio consapevole in musica così come siamo abituati a giudicare consapevole lo scambio fra due persone, che so, di una bicicletta con un aspirapolvere. Nessuno scambia nulla mettendosi d’accordo: le influenze ci sono sempre state, ma non sono mai state annunciate da un atto precedente all’atto creativo.

 

8. Quale messaggio voleva dare il rock ai giovani in quegli anni e quale vuole dare ai giovani oggi? E voi, quale messaggio volete far arrivare ai vostri fan?

 

Qualcuno sa dirci che cos’è il rock? Solo se sapessimo la risposta potremmo aiutarvi. Il discorso dei generi è tramontato da un pezzo, non ha senso oggi parlare di “rock”. La musica popolare ha sempre avuto lo scopo di dover parlare direttamente di qualcosa che non era detto in altri ambiti: e più questo qualcosa era inedita, più si rafforzava la potenza del messaggio e della canzone. La musica è nata per fenomeni rituali, per esprimere qualcosa che la parola da sola non poteva esprimere, e si è sviluppata con i suoi messaggi e i suoi scopi. Lo scopo della musica in quegli anni – perlomeno la musica di contestazione – era quello di scardinare la visione iniettata dall’educazione dominante, che aveva creato le classi e sottomesso per decenni i ruoli, l’educazione sessuale e l’educazione politica. Oggi la musica continua a denunciare, perlomeno la musica più innovativa: continua a creare visioni alternative e mondi possibili. Insinua il dubbio, che è sempre stato la scintilla del progresso. Esattamente come cerchiamo di fare noi, in modo onesto e senza millantare.

 

9. L’evento principale legato al movimento psichedelico londinese è stato il “14 Hour Technicolor Dream”, la kermesse musicale del 29 aprile 1967, che si è svolta all’Alexandra Palace, un complesso architettonico fatto costruire dalla regina Vittoria alla fine degli anni Settanta del XIX secolo e che domina Londra dall’alto di Muswell Hill. In quell’occasione in una sola notte si esibirono Arthur Brown, i Soft Machine, Yoko Ono, i John’s Children con il futuro leader dei T-Rex, Marc Bolan; su quel palco salì per l’ultima volta insieme ai Pink Floyd Syd Barrett; i Flies quella notte furono accompagnati nella loro performance da “vergini vestali”, mentre tra il pubblico erano presenti Jimi Hendrix e John Lennon; a presentare un poliedrico Jeff Dexter vestito da cardinale. Eppure pochi ricordano questo evento musicale, perché secondo voi è caduto nell’oblio?

 

A parte il fatto che alla fine dei ’70 la generazione punk ha letteralmente spazzato via quest’astrazione a suon di concretezze e urla di dolore, un evento del genere non è stato facilmente digeribile come altri. Nella storia dell’uomo hanno goduto di “successo” eventi o opere o uomini che nel tempo hanno prodotto messaggi traducibili nelle diverse ere. La musica esisteva pure nell’antica babilonia, ma perché nessuno di noi la conosce? Si è probabilmente trasformata e sublimata in altre esperienze, più efficaci e potenti. Così pensiamo sia accaduto al 14 Hour Technicolor Dream: non ha ancora avuto nel tempo (probabilmente per l’estrema vicinanza temporale) una reinterpretazione convincente tale da farne un modello popolare, cosa che invece è accaduta più volte per i raduni alla Woodstock o per le sagre di paese, in cui sono chiari e ripetuti sempre uguali i connotati, perché sono diventati archetipici. Forse il popolo dei rave considera quell’evento diversamente dalla massa, lo vede davvero come uno dei modelli di sempre… ma siamo ben lontani dal poter paragonare la popolarità di un rave a quella di una sagra di paese.

 

10. Avete recentemente suonato a Londra allo Zenith Bar, come descrivereste, per concludere la nostra chiacchierata, l’attuale scena musicale londinese e quanto è rimasto del rock psichedelico?

  

La nostra esperienza di Londra è stata per noi principalmente un gioco, una sorta di piccolo sogno di adolescente tramutato in realtà e, certamente non siamo in grado di descrivere l’attuale scena musicale londinese dopo averci passato appena un weekend. Forse ci torneremo, chissà…



 

 

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