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filosofia & religione


N. 24 - Dicembre 2009 (LV)

La rivolta antiscolastica
La “Nouvelle Théologie” e la riforma della teologia

di Lawrence M.F. Sudbury

 

Può la teologia ufficiale della Chiesa Cattolica essere così distante dalla società da provocare uno scollamento tra realtà ecclesiale e realtà effettuale?

 

Non si tratta di una domanda oziosa, ma di uno dei grandi quesiti che, in particolare dalla fine dell’‘800 e fino ai giorni nostri, hanno crucciato gran parte dei teologi cattolici, incluso il giovane studioso Joseph Ratzinger, poi salito al Soglio papale con il nome di Benedetto XVI.

 

Soprattutto, si tratta della domanda che ha spinto alcuni tra i maggiori pensatori religiosi del XX secolo a dar vita, tra inizio anni ’30 e fine anni ’40, ad una corrente, prima osteggiata e poi pienamente assorbita dal Vaticano (tanto da divenire uno dei semi da cui germoglierà il Concilio Vaticano II), nota come “Nouvelle Théologie”. Qual è la situazione della teologia contro cui il pensiero “neo-teologico” si sviluppa?

 

Sostanzialmente, dall’inizio del XIX secolo, una corrente di pensiero risultava non solo dominante ma addirittura completamente egemonica in ambito cristiano: quella del “neo-scolasticismo”.

 

Inaugurata e sviluppata da scrittori come Sanseverino, Cornoldi, Gonzalez, Kleutgen e Dormet de Vorges  e solennemente approvata e incoraggiata da Pio IX in varie lettere, la “neo-scolastica” mirava a ripristinare le dottrine fondamentali della Scolastica del XIII secolo, sostenendo le verità filosofiche non variavano con la storia e che se i grandi pensatori medievali, da Tommaso d'Aquino a Bonaventura e Duns Scotus, erano riusciti a costruire un sistema filosofico sui dati forniti dai filosofi Greci, in particolare da Aristotele, doveva essere possibile, ai nostri giorni, poter accogliere le verità contenute nella speculazione medievale.

 

Tali verità riguardavano in particolare tre ambiti:

 

- Dio, visto come atto puro e la perfezione assoluta, diverso da ogni cosa finita con la Sua conoscenza infinita dell’esistente e del possibile e la sua intatta capacità generativa e conservativa del tutto universale;

 

- il mondo materiale, formato da sostanze fisse, determinate ed immutabili nel tempo e accidenti che non scalfiscono minimamente le realtà sostanziali, in un quadro in cui ogni mutamento e ogni forma del divenire non è altro che un passaggio apparente dall’ontologia “in potenza” all’ontologia “in atto”, tale per cui tutto ciò che è effettivamente nel “qui e ora” esisteva potenzialmente fin dall'inizio;

 

- l’essere umano, formato da materia (il corpo) e forma (l’anima), che conosce la realtà attraverso i sensi, la rielabora attraverso l’intelletto attivo portando il singolare all’universale (partendo dal singolo oggetto per arrivare al concetto di quell’oggetto) e, tramite la conoscenza, sviluppa i propri appetiti sensoriali o intellettuali, nella formazione dei quali è libero, pur essendo, come ogni altro essere, moralmente obbligato al tentativo di raggiungimento di un fine ultimo, dato dalla conoscenza di Dio

 

Se queste erano le “basi fondamentali” da cui partire, il programma neo-scolastico prevedeva l’adattamento di tali concetti medievali alle moderne esigenze intellettuali, tramite il rifiuto delle nozioni false ed inutili (in particolare fisiche e astronomiche), la gerarchizzazione dei concetti accettabili, lo studio approfondito e non vincolato della Scolastica originale per trovarne i nessi capaci di confutare dialetticamente kantismo, positivismo e tendenze speculative moderne e la creazione di nessi con le scoperte scientifiche più recenti

 

Proprio attraverso il confronto dialettico con il pensiero moderno, la Neo-Scolastica si trovava ad affrontare problemi sconosciuti al mondo medievale a cui faceva riferimento, dagli attacchi alla sua metafisica portati, nel tempo, da Hume, Kant e Comte, alle accuse di Spencer contro le prove classiche sull’esistenza di Dio, dalla insufficienza degli assunti tradizionali in campo fisico e cosmologico alla necessità di dimostrazione logica di sussistenza della apparente dualità corpo-anima contro lo spiritualismo cartesiano o il materialismo positivista … E’ in quest’ottica che la Neo-Scolastica stava mutando radicalmente il proprio metodo di lavoro, passando dal deduttivismo tomista all’induttivismo sincretico, ma pur sempre in un’ottica difensivista rispetto al “nuovo”, rispetto alla centralità del “pensiero progressivo” che pervadeva la sua epoca, in questo modo, per certi versi, ponendosi sulla stessa linea di una Chiesa che statuiva come centrale la difesa della Tradizione contro gli attacchi del “Modernismo” imperante.

 

Non è, allora, un caso che sia stata proprio una Enciclica papale, quella Aeterni Patris di Leone XIII del 4 agosto 1879, a dare alla Neo-scolastica il suo carattere definitivo e ad accelerarne lo sviluppo, in un’ottica in cui si chiede la fusione di “principi universali e immutabili” con la sintesi delle nuove conoscenze in continuo progresso.

 

Risulta chiaro, da quanto visto, che la Neo-Scolastica non può essere definita di per sé una filosofia teologica prettamente “passatista”, ma bisogna tenere conto del contesto in cui, a partire dal primo dopoguerra, si trova ad operare.

 

In particolare, gli anni tra il 1930 e il 1950 segnano un momento di crisi e di cambiamento che interessa ogni aspetto della società europea. Durante questo tumultuoso periodo di transizione, era naturale che, all’interno della Chiesa, anche sulla scia di impostazioni intellettuali iniziate nei decenni precedenti, come quelle della filosofia di Blondel o del rinnovamento teologico nella linea di  Maréchal o di Maritain, si cercasse di rispondere alla sfida presentata dalla recente secolarizzazione della società a cui la Neo-Scolastica sembrava ben poco equipaggiata per far fronte.

 

Comune denominatore di quanti sentono questa esigenza pressante è quello di voler “rinnovare la teologia”, dopo la crisi modernista, cercando di superare la dialettica storia-dogma attraverso un dialogo con la scienza, in continuità con la teologia classica, ma la prima reazione ecclesiastica nei confronti di questi tentativi fu piuttosto negativa, arrivando a considerarli “semimodernisti”, tendenti al relativismo filosofico e dogmatico ed al soggettivismo in nome della esperienza religiosa, tanto che persino l’appellativo “Nouvelle Théologie”, con cui di norma si tende a definire una corrente per altro ben poco unitaria,  nasce, come riportato da Gibellini nel suo La teologia del XX secolo, dall’espressione dispregiativa utilizzata dal commentatore Pietro Perente sul L’Osservatore Romano, in occasione della inserzione di alcuni libri di Chenu e di Charlier nell’Indice dei libri proibiti.

 

In sostanza, è possibile affermare che, cronologicamente, la controversia sulla Nouvelle Théologie si svolse in due fasi: la prima, tra 1938 e 1946, provocata dalla pubblicazione dei libri dei teologi domenicani Chenu e Charlier e la seconda, tra 1946 e 1948, dove più espressamente si parla di una “Nouvelle Théologie”, che ha come protagonisti soprattutto teologi domenicani (Labourdette e Garrigou-Lagrange) e gesuiti (Daniélou, de Lubac, Bouillard, Fessard e Von Balthasar).

 

Minimo comun denominatore di  tutti questi teologi sono le convinzioni che:

 

1.     la teologia debba parlare alla situazione attuale della Chiesa;

 

2.     la chiave per la rilevanza della teologia attuale stia nel recupero creativo del suo passato, con un “aggiornamento” che debba partire, innanzitutto da un “ressourcement”, cioè dalla riscoperta delle ricchezze teologiche bimillenarie della Chiesa, con un ritorno alle sorgenti biblico-patristiche della tradizione cristiana, attualizzate attraverso un processo di “aggiornamento”.

 

Insomma, per tutti questi pensatori fare teologia significa prima di tutto fare storia con un approccio distintivo legato all’idea di reinterrogare la fonti della Fede con nuove domande sulle questioni più vive del XX secolo trascurate dalla Neo-Scolastica che, di conseguenza, con il suo monolitismo e la sua aura di “pensiero dominante”, diventa non tanto un nemico da distruggere, quanto, piuttosto, un ingombrante ostacolo da superare.

 

Non a caso, in un articolo del 1946 considerato da alcuni un vero e proprio manifesto della “nuova teologia”, Jean Daniélou, insegnante gesuita dell'Institut Catholique di Parigi, accuserà la Neo-Scolastica di essere ormai “estranea alla categorie contemporanee”, impantanata com’è nel mondo immobile del pensiero greco: in un mondo esistenzialista, essa rimane essenzialista e oggettivista, dimentica della soggettività umana, indurita in categorie incapaci di offrire al popolo di Dio un nutrimento spirituale e dottrinale adatto alla sua vita quotidiana. Si tratta, insomma, di pura speculazione teoretica separata dall’azione e non coinvolta nella vita che ha ormai fatto il suo tempo.

 

Già nel 1935 il domenicano Marie-Dominique Chenu, reggente a Le Saulchoir dal 1932, aveva denunciato la frammentazione della teologia e il suo distacco non solo dalla pastorale ma anche dalla spiritualità e dalla storia della salvezza in nome di una vuota speculazione fine a se stessa, che, come già avevano notato Charlier e Draguet, finisce per togliere alla Divinità ogni senso di mistero e di trascendenza.

 

Proprio l’importanza data alla trascendenza e al mistero insondabile di Dio si riveleranno alcuni dei maggiori tratti distintivi della la teologia del ressourcement. Per Daniélou, de Lubac, e altri, l'ethos esistenziale della metà del XX secolo contribuisce a innescare una riscoperta della dottrina tradizionale della Chiesa in cui Dio è il soggetto Supremo, la Persona per eccellenza, la cui auto-rivelazione nella Scrittura è sì comprensibile, ma mai pienamente.

 

Ma se il fine ultimo della teologia deve essere far fronte alle sfide contemporanee, qual è il metodo che essa deve utilizzare?

 

Étienne Gilson, lo riassume in poche parole: “se un progresso teologico è a volte necessario, esso non è mai possibile a meno che non si torni indietro, agli inizi, per ricominciare la ricerca”. E’ qui che si trova il grande apparente paradosso della Nouvelle Théologie: per andare avanti nella teologia, bisogna, prima di tutto, ritornare “ad fontes”, appunto al “ressourcement”, inteso come una rivisitazione approfondita  degli eventi e delle parole della Scrittura, dei Riti della Liturgia, delle Credenze e dei Decreti dei Consigli, dell'insegnamento dei Padri e dei Dottori non tanto per una comprensione più accurata della storia delle origini cristiane, ma piuttosto, nelle parole Congar, per “un ricentramento nella persona di Cristo e nel suo mistero pasquale”, per ottenere una comunione spirituale e intellettuale con il Cristianesimo nei suoi momenti più vitali, così come trasmessoci nei testi classici, in  una comunione che deve nutrire, tonificare e ringiovanire il cattolicesimo del XX secolo.

 

In questo processo si coglie l’eredità di un filone aperto con la creazione di École Biblique di Gerusalemme da parte M.J. Lagrange, OP (1890), con il suo incentrarsi sulla critica storica, OP (1890) e portato avanti dall’enciclica di Leone XIII Providentissimus Deus (1893), con il suo successivo concentrarsi sullo spirito delle fonti bibliche e liturgiche e con una focalizzazione sul'identificazione del loro significato per noi oggi.

 

Da qui deriva anche l’interesse per la patristica, vista come elemento interpretativo di attualizzazione del pensiero scritturale e come ulteriore fonte di studio per il raggiungimento del significato ultimo dei racconti evangelici, e il lavoro assiduo di ripubblicazione dei Padri della Chiesa svolto tramite “Sources Chrétiennes”, una serie di volumi ciascuno contenente un testo classico patristico accuratamente tradotto in francese e contestualizzato storicamente per mezzo di introduzioni spesso piuttosto provocatorie. L’idea di fondo era, come affermò Daniélou, quella di, “permettere ad un gran numero di lettori un accesso diretto a quelle fonti sempre traboccanti di vita spirituale e di dottrina teologica che sono i Padri della Chiesa”.

 

Ma questo amore per la patristica non significò in alcun modo l’abbandono della tomistica, quanto piuttosto una rilettura di San Tommaso che prescindesse dalle rigide categorizzazioni e dai formalismi della irreggimentazione scolastica del pensiero dell’Aquinate.

 

In una tale rilettura si distinse soprattutto uno dei maggiori esponenti della Nouvelle Théologie, nonché co-fondatore di “Sources Chrétiennes” (con il menzionato confratello gesuita Daniélou): Henri de Lubac, Professore di Teologia Fondamentale presso l'Università Cattolica di Lione dal 1929 al 1961. De Lubac provò inequivocabilmente, in particolare nei suoi testi Corpus Mysticum: L'Eucharistie et l’Église au Moyen âge del 1944 e Surnaturel, del 1946 che San Tommaso non aveva introdotto un nuovo metodo teologico così radicalmente diversa da quella dei Padri, ma che la nuova metodologia è stata introdotta in seguito dai commentatori, in particolare da Giovanni di San Tommaso, che può essere considerato come il vero padre della moderna teologia scolastica, poi ricalibrata con pesanti dosi di “Suarezianismo” e “Bañezianismo” all’inizio del XX secolo per formare la Neo-Scolastica.

 

Si è detto che l’impatto delle critiche “neo-teologiche” non fu indolore: proprio per aver criticato e refutato apertamente Francisco Suárez, uno delle “autorità” preferite dei neo-tomisti vaticani, dimostrando che egli aveva commentato alcune opere di Tommaso d'Aquino note per essere spurie, de Lubac, nel 1950 ricevette dai suoi Superiori gesuiti la proibizione di insegnare e pubblicare, proibizione che gli fu tolta solo nel 1959.

 

Una situazione per alcuni versi simile, sebbene per ragioni diverse, venne vissuta anche dall’altra grande figura della corrente: il teologo svizzero Urs Von Balthasar.

Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1928 e nel 1936, Von Balthasar, infatti, nel 1950 lasciò l'Ordine, avendo l’idea che Dio lo chiamasse a fondare un Istituto secolare, una forma laica di vita consacrata, che cercasse di lavorare per la santificazione del mondo laicizzato dall’interno, ma, lasciando la Società egli si trovò senza una posizione, un pastorato, un posto per vivere e soprattutto, senza alcun reddito dal momento che la Congregazione Cattolica dei Seminari e delle Università, non approvando la sua scelta di apostolato laico, gli vietò di insegnare in qualsiasi forma (e solo le simpatie del Vescovo di Coira gli permisero di sopravvivere sottoponendosi a calendari durissimi di conferenze itineranti).

 

Nonostante ciò, Von Balthasar riuscì a creare uno dei monumenti teologici del XX secolo: i 16 volume della sua Trilogia Sistematica (i sette volumi sulla “estetica teologica” basata sulla contemplazione del bene, del bello e del vero, i cinque volumi sulla “teo-drammatica” in cui analizza l'azione di Dio e la risposta umana in chiave soteriologica, cristologica ed escatologica, e i quattro volumi di “teo-logica” relativi al rapporto tra cristologia e ontologia).

 

In realtà, l’enorme lavoro del genio di Lucerna può essere solo parzialmente racchiuso entro i termini della Nouvelle Théologie, nel cui ambito la figura di von Balthasar si presenta per molti versi anomala, vuoi per i suoi precedenti studi letterari, in cui si era potuta esprimere quella sensibilità per la bellezza che ne caraterizzerà stabilmente il pensiero, vuoi per la sua formazione intellettuale avvenuta in contesto filosofico germanico.

 

Di fatto, però, l’impostazione metodologica che domina il suo lavoro è chiaramente “neo-teologica”: notoriamente una delle tesi più geniali di von Balthasar è consistita nel ribaltare la tradizionale impostazione della successione “vero - bene – bello”, sostenendo che l’antecedenza non spetta certo all'azione (il “bene”), ma neppure alla contemplazione puramente razionale (un “vero” meramente logico), quanto alla contemplazione del bello, cioè del Vero totale emergente in un concreto ed è innegabile che tale concezione trovi strette affinità nella critica della Nouvelle Théologie all'inaridimento di una teologia affidata pressoché interamente al lavorio della ragione concettuale-discorsiva.

 

Ma non fu un caso che Von Balthasar fosse tra gli autori coinvolti nell'attacco sferrato nel 1946 dal Labourdette, neotomista di stretta osservanza, con cui iniziarono le ostilità tra neo-scolastici e neo-teologi e che, almeno nell’avversione all'astrattezza razionalistica, il giovane teologo svizzero si immedesimasse nella impostazione della Nouvelle Théologie anche nelle sue motivazioni specifiche. Non poteva del resto essere altrimenti, dato che era proprio nell'ambito della medesima Nouvelle Théologie che si era iniziato a delineare sistematicamente la configurazione di una teologia esistenzialmente impegnata, rivolta alla concretezza dell'uomo, mentre oltre il Reno gli spunti in tal senso erano soprattutto esercitati a livello di filosofia.

 

Sia  la riscoperta del pensiero patristico, sia la capacità “cattolica” di leggere la presenza  del medesimo Centro nell'ambito il più vasto possibile delle molteplici espressioni culturali umane vedono assimilato Von Balthasar alla Scuola di Lione. Per quanto concerne i Padri, è lo stesso teologo svizzero a riconoscere esplicitamente che fu de Lubac a introdurlo in tale mondo teologico in cui dimostrerà una attitudine sorprendente ad attualizzare e quasi far rivivere, in modo non servile o ripetitivo ma creativo, lo sguardo teologico dei Padri della Chiesa.

 

Più arduo è cercare una derivazione della cristologia balthasariana dalla Nouvelle Théologie, ma, anche qui, esiste almeno un elemento comune, rintracciabile nella rivalutazione della componente deificatrice, accanto a quella espiativa, nella missione del Verbo incarnato, sicuramente delineata con maggior compiutezza da von Balthasar che da de Lubac, che assimila e sviluppa le implicazioni di questa dimensione, di cui erano nutriti i Padri greci, e che la Scolastica dei secoli moderni ha trascurato.

 

Enormi sono, infine, le affinità delle visioni ecclesiologiche: comune è il superamento di una concezione tendenzialmente naturalistica della Chiesa, come apparato giuridico-organizzativo, connessa alla teologia nazionalistica moderna e comune è la riproposizione di una immagine di una Chiesa vivente, organismo soprannaturale in cui l'umano inizia ad essere trasfigurato per la presenza del Cristo e dello Spirito. Oggi, tutti questi ci appaiono elementi a dir poco assodati, ma non era così negli anni ’40-’50.

 

La Nouvelle Théologie, come visto, venne ampiamente criticata non solo dai più strenui assertori della neo-scolastica, ma anche e soprattutto all’interno delle cerchie conservatrici vaticane, che vedevano nel nuovo approccio una possibile rinascita del modernismo.

 

Probabilmente l’attacco più duro, soprattutto perché da fonte più autorevole, venne da Papa Pio XII con la sua enciclica Humani Generis.

Nel descrivere lo sviluppo di errate dottrine nella Chiesa cattolica dopo la II Guerra Mondiale, l'enciclica non menziona mai nomi specifici, né accusa persone o organizzazioni determinate, ma l’obiettivo dell’attacco risulta molto chiaro.

La Nouvelle Theologie in Francia e in altri Paesi veniva sempre più percepita come la dottrina cattolica relativista che, partita dal Tomismo tradizionale, si era andata associando alle tendenze più radicali dell’ analisi storica ed aveva finito per mescolare alla teologia nuovi assiomi filosofici provenienti dall’esistenzialismo o dal positivismo. Addirittura, alcuni suoi autori ritenevano che i misteri della fede non potessero essere espressi con concetti adeguatamente veri, ma solo con concetti approssimativi e sempre mutevoli.

 

Pio XII, che pure mostrava, pur nel suo estremo conservatorismo dogmatico, una certa simpatia per la necessità di aggiornare e modernizzare la dottrina ecclesiastica, non poteva assolutamente permettere che alcuna ombra di relativismo filosofico modernista potesse anche solo sfiorare la  Dottrina teologica e finisce per scrivere, al capitolo III dell’Encliclica, una delle pagine più forti a favore del neotomismo, che per essere pienamente compresa deve essere riportata quasi integralmente: “Qualsiasi verità la mente umana con sincera ricerca ha potuto scoprire, non può essere in contrasto con la verità già acquisita; perché Dio, Somma Verità, ha creato e regge l'intelletto umano non affinché alle verità rettamente acquisite ogni giorno esso ne contrapponga altre nuove; ma affinché,, rimossi gli errori che eventualmente vi si fossero insinuati, aggiunga verità a verità nel medesimo ordine e con la medesima organicità con cui vediamo costituita la natura stessa delle cose da cui la verità si attinge. Per tale ragione il cristiano, sia egli filosofo o teologo, non abbraccia con precipitazione e leggerezza tutte le novità che ogni giorno vengono escogitate, ma le deve esaminare con la massima diligenza e le deve porre su una giusta bilancia per non perdere la verità già conquistata o corromperla, certamente con pericolo e danno della fede stessa.

 

Se si considera bene quanto sopra è stato esposto, facilmente apparirà chiaro il motivo per cui la Chiesa esige che i futuri sacerdoti siano istruiti nelle scienze filosofiche "secondo il metodo, la dottrina e i principi del Dottor Angelico" (Corp. Jur. Can., can. 1366, 2), giacché, come ben sappiamo dall'esperienza di parecchi secoli, il metodo dell'Aquinate si distingue per singolare superiorità tanto nell'ammaestrare gli animi che nella ricerca della verità; la sua dottrina poi è in armonia con la Rivelazione divina ed è molto efficace per mettere al sicuro i fondamenti della fede come pure per cogliere con utilità e sicurezza i frutti di un sano progresso (A. A. S. vol. XXXVIII, 1946, p. 387).Perciò è quanto mai da deplorarsi che oggi la filosofia confermata ed ammessa dalla Chiesa sia oggetto di disprezzo da parte di certuni, talché essi con imprudenza la dichiarano antiquata per la forma e razionalistica per il processo di pensiero. Vanno dicendo che questa nostra filosofia difende erroneamente l'opinione che si possa dare una metafisica vera in modo assoluto; mentre al contrario essi sostengono che le verità, specialmente quelle trascendenti, non possono venire espresse più convenientemente che per mezzo di dottrine disparate che si completano tra loro, benché siano in certo modo l'una all'altra opposte. Perciò la filosofia scolastica con la sua lucida esposizione e soluzione delle questioni, con la sua accurata determinazione dei concetti e le sue chiare distinzioni, può essere utile - essi concedono - come preparazione allo studio della teologia scolastica, molto bene adattata alla mentalità degli uomini medievali; ma non può darci - aggiungono - un metodo ed un indirizzo filosofico che risponda alle necessità della nostra cultura moderna. Oppongono, inoltre, che la filosofia perenne non è che la filosofia delle essenze immutabili, mentre la mentalità moderna deve interessarsi della "esistenza" dei singoli individui e della vita sempre in divenire.

 

Però, mentre disprezzano questa filosofia, esaltano le altre, sia antiche che recenti, sia di popoli orientali che di quelli occidentali, in modo che sembrano voler insinuare che tutte le filosofie o opinioni, con l'aggiunta - se necessario - di qualche correzione o di qualche complemento, si possono conciliare con il dogma cattolico. Ma nessun cattolico può mettere in dubbio quanto tutto ciò sia falso, specialmente quando si tratti di sistemi come l'immanentismo, l'idealismo, il materialismo, sia storico che dialettico, o anche come l'esistenzialismo, quando esso professa l'ateismo o quando nega il valore del ragionamento nel campo della metafisica.

 

Insomma, Papa Pio XII si appella ai "ribelli" ordinando non di abbattere, ma di costruire. Egli chiede di non trascurare, rifiutare o svalutare tante e così grandi risorse come quelle della Scolastica, concepite, espresse e perfezionate nel corso dei secoli per appellarsi a ideologie che egli ritiene solo contingenti.

 

Naturalmente, questo fu un colpo durissimo per la  Nouvelle Theologie, sia sul piano ideologico che su quello prettamente disciplinare (si è citato il caso di de Lubac, ma la stessa sorte, con il divieto all’insegnamento, toccò a Congar e a Chenu, il cui testo Le Saulchoir: Une École de la Théologie venne messo nell’“Index Librorum Prohibitorum” già dal 1942,  by Pope Pius XII) ma l’effetto durò relativamente poco, visto che con l’elezione pontificale di Giovanni XXIII tutto il gruppo dei neo-teologi venne non solo riabilitato, ma divenne uno dei maggiori nuclei propulsivi del Concilio Vaticano II: de Lubac fu prima consulente della Commissione Teologica preparatoria e poi, sotto Paolo VI, “peritus” conciliare e Daniélou fu esperto conciliare sotto Giovanni XXII, mentre praticamente tutti gli altri furono nominati Cardinali (incluso Von Balthasar, rarissimo caso di Cardinale laico) e, addirittura, uno dei più giovani esponenti tedeschi  della scuola dei “Nouveaux”, Joseph Ratzinger,  oggi regna come Sommo Pontefice.

 

Ciò non significa, però, che le loro strade siano rimaste a lungo unite: subito dopo il Concilio, infatti, il movimento si divise in due campi legati alle sue ali destra e sinistra e divisi sull’interpretazione e l'attuazione del Concilio stesso, con Rahner, Congar e Chenu che, con Schillebeeckx e Küng, fondarono la rivista teologica progressista “Concilium” nel 1965, e de Lubac, Balthasar, Ratzinger che furono fondatori della rivista teologica moderata “Communio” nel 1972.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

F. Bertoldi, Von Balthasar e la Nouvelle Théologie, in Communio 1989

H. Boersma, Nouvelle Theologie and Sacramental Ontology: A Return to Mystery, Oxford University Press 2009

M.D. Chenu, Aquinas and His Role in Theology , Michael Glazier Books 2002

M. D'Ambrosio, Ressourcement Theology, Aggiornamento,and the Hermeneutics of Tradition , in Communio 1991

R.Gibellini,  La Teologia del XX Secolo, Editrice Queriniana 1992

E. Pacelli (Papa Pio XII), Humani Generis, Editrice Vaticana 1950

 J. Pelikan, The Vindication of Tradition, Yale University Press 1984

J. Rickaby, Scholasticism, BiblioBazaar 2009

David L. Schindler, Love Alone Is Credible: Hans Urs Von Balthasar As Interpreter of the Catholic Tradition, Wm. B. Eerdmans Publishing Company 2008

Marcel Viau, La Nouvelle Théologie Pratique, Le Cerf  1993

H.U. Von Balthasar, The Theology of Henri De Lubac: An Overview, Communio Books 1991



 

 

 

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