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N. 84 - Dicembre 2014 (CXV)

Tra riti e magia
 IN AFRICA TRA Stregoni, curatori e operatori di culto

 
di Laura Ballerini

 

Quando sentiamo parlare di “stregoni africani” siamo per lo più portati a pensare a uomini con la toga che compiono macabri rituali con il sangue di qualche animale; quando sentiamo parlare di “riti” pensiamo istintivamente alle danze per la pioggia o alle bambole voodoo trafitte dagli spilli. In realtà c’è molto più di questo.

 

Sicuramente la globalizzazione e l’affermazione della Chiesa cristiana e islamica hanno ridotto drasticamente la diffusione di questi rituali, ma sono tuttavia ancora presenti. Per comprenderli e sfatare qualche pregiudizio occorre iniziare spiegando che cos’è uno stregone.

 

Innanzitutto la stregoneria si compone dell’elemento dell’inconsapevolezza: chi è stregone non sa di esserlo. Come indica l’esperto, Bernardo Bernardi, la stregoneria è considerata, da quasi tutti gli africani, la sintesi di ogni male, è il male: una forza malefica emessa inconsapevolmente dal corpo dello stregone, che si scaglia sulle persone o sui villaggi a lui vicini. Assomiglia un po’ alla nostra figura dello iettatore.

 

La stregoneria viene temuta e combattuta in tutte le società africane, che adoperano rituali e strumenti per scacciarla. Solo con la morte, però, si può sapere chi era realmente uno stregone, perché si troverà, tra le sue viscere, la pietra della stregoneria. Nonostante ciò, può accadere che chi viene sospettato di essere stregone venga allontanato ed evitato da tutti. Oggi la paura della stregoneria persiste ancora, ma si diffonde sempre di più lo scetticismo, frutto della maggiore istruzione.

 

 Ad ogni modo la stregoneria non va confusa con la magia, bianca o nera, che è invece operata consapevolmente. La magia nera è sempre un’emanazione del male, come la stregoneria, solo che in questo caso le forze malefiche vengono evocate tramite specifici gesti, le fatture, allo scopo di fare del male.

 

La magia bianca, invece, è usata per fini terapeutici. Il pregiudizio porta a chiamare stregone anche quello che viene invece considerato come un curatore.

 

Quest’ultimo basa i suoi metodi su un sapere esoterico, su concezioni cosmologiche e antiche tradizioni che fa proprie. Anche se questo sapere non è medicina e non ha un carattere che noi occidentali potremmo definire “scientifico”, è comunque molto razionale e studiato. Gli aspiranti curatori si affiancano a curatori di fama per apprenderne le tecniche in una specie di “tirocinio”. Ma l’elemento che rende veramente curatori è il rispetto: solo ottenendo la fiducia della gente un curatore diventa tale. Questi non rivela mai le sue arti, non vende le sue medicine e non si fa pagare per i suoi servizi. I curatori sono parte integrante delle culture africane e la contagiosa suggestione di credere efficaci i loro metodi (d’altronde è ormai appurata l’efficacia dell’effetto placebo) ne ha rafforzato l’affermazione.

 

Alcuni riti terapeutici vengono effettuati dalla comunità intera, come quelli di afflizione e possessione. Questi ultimi due vengono usati quando si ritiene che alcuni disturbi, depressivi o psicosomatici, siano dovuti alla presenza di uno spirito, che può mandare un influsso negativo (afflizione) o possedere il corpo del paziente (possessione).

 

I riti di afflizione vengono fatti, spesso in più sedute, da tutti i parenti, perché si ritiene che lo spirito in questione appartenga a un antenato offeso dal paziente, oppure che lo spirito dia il suo influsso negativo poiché è stato offeso uno dei pareti in vita. Il rito cerca quindi di indurre il paziente a interrogarsi e a confessare pubblicamente la sua colpa, per poi eseguire danze e canti con i parenti, riappacificando lo spirito e la famiglia.

 

I riti di possessione, invece, vengono fatti quando uno spirito entra nel corpo del paziente. Questi riti sono tutt’oggi molto diffusi e alcuni antropologi ritengono che siano un riflesso della crisi di identità legata alla globalizzazione e all’inurbamento. Il rito di possessione coinvolge spesso la comunità, ma non viene più effettuato dal curatore, bensì dallo sciamano. Lo sciamano è la figura che si occupa di relazionarsi con gli spiriti, ma non solo per parlarci, come farebbe un medium, bensì per compiere lo scongiuro, ossia l’esorcismo. Anche questo, come tutti i rituali, cambia molto tra le diverse regioni e tra i clan africani.

 

 Sebbene, quindi, la medicina si leghi molto alle credenze religiose, i curatori, o gli sciamani, non vanno confusi con gli operatori di culto. Questi sono gli addetti al culto e ai rituali. Nelle comunità africane non cristiane non c’è un’istituzione simile al nostro sacerdozio, bensì esistono figure investite di ruoli rituali: il capo della terra, il capo della pelle di leopardo, i facitori di pioggia (che guidano le danze propiziatorie) e molti altri a seconda delle diverse società. Il culto africano è per lo più politeista, ma non alla maniera dei greci, ossia con tante divinità autonome, bensì prevede una sola divinità con molte manifestazioni, che spesso coincide con la terra o il cielo.

 

Alle diverse manifestazioni della divinità equivalgono altrettanti culti e riti, che cambiano nel tempo e vengono gestiti dagli operatori di culto. Questa figura è diffusa soprattutto nell’Africa occidentale, e in alcune culture ci sono anche scuole formatrici di addetti al culto.

 

Le forme di culto prevalenti sono la preghiera e il sacrificio, le cui modalità cambiano da etnia a etnia e vengono guidate dall’operatore di culto. La preghiera ha molte forme che vanno dalla litania alle danze, che spesso accompagnano il sacrificio. La vittima per il dio dovrebbe essere l’uomo, ma in moltissime culture viene sostituita da un animale, che nel caso delle società agresti, può essere la pecora o la gallina. Oggi sono drasticamente ridotti, ma vengono ancora fatti.

 

Stregoni, sciamani, curatori e addetti al culto, sono figure molto importanti nelle società africane tradizionali, che mantengono un ruolo determinante anche in questi anni di globalizzazione. Allo stesso modo i rituali, che siano terapeutici o di passaggio dall’infanzia all’età adulta.

 

Soltanto conoscendoli, seppur in minima parte, si può evitare di cadere in sciocchi pregiudizi, che hanno portato per secoli a ritenere i popoli africani come “inferiori”.



 

 

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