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N. 64 - Aprile 2013 (XCV)

MAYDAY ITALIA
Il rischio idrogeologico nel nostro paese

di Osea Putignano

 

Finito il "temuto" 2012, il mondo continua e la storia si ripete: allerta meteo, bollettini, nuove precipitazioni, nubifragi, tornado, paesi isolati o distrutti, fiumi esondati, crolli, spiagge cancellate, danni, vittime.

 

Una sequenza di eventi che appaiono tristemente familiari, per via delle notizie degli ultimi periodi, per meglio dire degli ultimi anni. Viviamo da tempo un’emergenza tragica in tutti i suoi aspetti.

 

La nostra penisola, per essere più precisi il nostro pianeta, sta lanciando ormai da decenni un SOS che molto spesso viene ignorato. Con cadenza ciclica, annuale, da tempo ormai, appena arriva la stagione invernale siamo quasi abituati a sentire e vedere notizie di disastri causati dalle improvvise piogge torrenziali.

 

Senza andare troppo indietro nel tempo, ma non per questo minimizzare o dimenticare gli eventi precedenti o intercorrenti; solo per citarne alcune, basti ricordare tra tutte le tragedie di Sarno e Quindici in Campania nel 1998, l’alluvione delle Cinque Terre dell’autunno 2011, e dopo pochi giorni Genova (4 novembre 2011) per arrivare a gli ultimi episodi in nord Italia del 12 novembre dell’anno appena concluso. Sono solo alcune date rappresentative proprio perché gli eventi catastrofici sono diventati una routine.

 

Immaginate: primo mattino; siete in auto diretti al lavoro, il meteo preannunciava temporali, vi fermate al semaforo. Per un momento guardate dal parabrezza della vostra auto il cielo plumbeo carico di pioggia, ma non ci fate caso più di tanto, una giornata autunnale come tante altre pensate.

 

Inizia a piovere, e con i minuti che passano, l’acqua cade sempre più intensamente, in pochissimo tempo la concentrazione della pioggia aumenta. Dopo venti minuti di strada imboccate un sottopassaggio, siete quasi arrivati al luogo di lavoro, tempo di percorrere la curva che improvvisamente un torrente di acqua e fango vi travolge; l’acqua arriva alle portiere, la pressione non vi permette di aprirle, la corrente è così forte che le altre auto ormai galleggiano schiantandosi l’una contro l’altra; cassonetti divelti, alberi sradicati, sembra davvero la fine. Il panico prende il sopravvento, di colpo realizzate come un’ondata improvvisa possa spazzarvi e in un attimo cancellare tutto.

 

È un classico esempio di quello che è già tristemente accaduto e che potrebbe continuare a verificarsi.

 

Parossismo giustificato oppure la solita amplificazione mediatica? La risposta non è così semplice.

 

Partiamo dal presupposto che i fenomeni naturali: terremoti, inondazioni, alluvioni, smottamenti, frane, sono eventi che nella loro complessità e potenza si verificano da sempre e continueranno a esserci comunque, perché il nostro pianeta Gaia è vivo e in continuo mutamento.

 

Solitamente però, dopo le tragedie arriva il momento delle solite riflessioni post-evento:”Si sarebbe potuto evitare?, Possibile che nel 2013 non si riescano a prevenire ed evitare simili tragedie? L’uomo è la causa scatenante?”

 

Il dissesto idrogeologico, è un fenomeno che interessa l’80% del nostro territorio, ovviamente con zone più esposte di altre, ma che può considerarsi generale.

 

La Commissione De Marchi del 1970 definisce in questi termini il D.I.: “Insieme dei processi che vanno dalle erosioni contenute e lente alle forme più consistenti della degradazione superficiale e subsuperficiale dei versanti, fino alle forme imponenti e gravi come le frane”.

 

Dal 1970 a oggi il pianeta si è evoluto e le cause sono mutate poiché comprendono processi vari; il dissesto idrogeologico è legato a una serie di diversi fenomeni fisici: frane, alluvioni, smottamenti, esondazioni, subsidenze, erosioni costiere, ecc. Ovviamente tutti fenomeni naturali, necessari, e si verificano affinché, il nostro pianeta Gaia ristabilisca il proprio equilibrio dinamico in maniera omeostatica. Effettivamente il nostro pianeta è in continua evoluzione idrogeologica tramite continui processi che si autoregolano regolano e ristabiliscono una situazione alterata.

 

Il suolo fa parte di un sistema molto delicato. Le conoscenze scientifiche e le tecnologie odierne ci permettono di creare modelli previsionali molto accurati sulle eventuali alterazioni che un singolo componente potrebbe determinare. Quindi conoscere parametri come l’erodibilità del suolo - equazione universale della perdita del suolo - è fondamentale per capire che un ambiente deve mantenersi il più possibile vicino al suo punto di equilibrio al fine di evitare fenomeni erosivi anche molto gravi. Ovviamente, il fatto di riferirsi a un sistema ci fa capire che vi sono più componenti a determinare questo equilibrio.

 

Tra i fattori principali: il clima, la topografia, la stratigrafia, quindi la componente geologica, la copertura vegetale, le precipitazioni atmosferiche e l’erosione eolica. A questi aggiungiamo tutte le opere di urbanizzazione e di antropizzazione in generale che l’uomo realizza sul territorio.

La nostra penisola è capillarmente interessata da diversi fenomeni di dissesto, non vi sono zone franche. Risulta logico quindi che le opere di costruzione dovrebbero rispettare determinati parametri progettuali.

 

Ma chi e cosa altera questo stato di equilibrio? È ovvio che alcuni fenomeni si realizzano a prescindere da cause alteranti. Il più delle volte, nella stragrande maggioranza dei casi è proprio l’intervento dell’uomo sul territorio che diventa una concausa determinante dello scatenarsi di eventi disartrosi.

 

A esempio le costruzioni di opere antropiche in zone a rischio su aree particolarmente delicate a fenomeni erosivi; quindi l’abusivismo, le cattive pratiche colturali, il disboscamento, il continuo emungimento delle acque di falda, l’abbandono delle corrette pratiche di sistemazioni idraulico-agrarie/forestali, l’eccessiva urbanizzazione e relativa cementificazione, tutte pratiche evidentemente imprudenti con effetti facilmente prevedibili.

 

Senza addentrarsi troppo in tecnicismi, nella valutazione del rischio idrogeologico si analizzano diversi parametri indicatori e le relative formule, visto che le problematiche di definizione del rischio sono già state affrontate, pur con modalità differenti, nei campi più disparati della geologia, ma importanti al fine di redigere carte tematiche sui rischi; è sufficiente sapere che la parola rischio implica una probabilità che un determinato evento si verifichi provocando effetti devastanti.

 

L’articolo 3 della Legge istitutiva del Servizio Nazionale della Protezione Civile 225/1992 sulla previsione del rischio comprende “le attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, all’identificazione dei rischi ed all’individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi”.

 

Pertanto lo studio include diverse metodologie scientifiche per poter determinare l’analisi di rischio: processi decisionali, fatti su una determinata area geografica al fine di stabilire in via preventiva gli eventuali effetti che gli elementi naturali presenti potrebbero avere sull’uomo e sull’ambiente circostante. Analisi di tipo statistico che permettono, tramite l’utilizzo di strumentazioni GPS e di misurazioni dirette sul territorio, di poter raccogliere dati fondamentali al fine di elaborare dati in termini probabilistici.

 

Il controllo del dissesto idrogeologico può essere fatto in maniera previsionale solo entro certi limiti, la prevenzione resta l’arma più efficace. La prevenzione è fatta di normativa, di certo non carente, ma delle volte insufficiente nei contenuti o non rispettata; la prevenzione è anche pianificazione territoriale tramite il contributo dovuto alla conoscenza tecnico-scientifica delle diverse figure professionali competenti. Infine la prevenzione è soprattutto informazione.

 

Informare ogni singolo abitante, dall’alunno delle scuole elementari fino all’amministratore di una comunità educando alla consapevolezza che noi tutti, siamo parte integrante di un sistema in equilibrio dinamico. Informare è fondamentale perché la conoscenza porta all’azione pratica del rispetto.

 

Sono state prese misure di ogni genere per far fronte all’emergenza del rischio idrogeologico nel nostro paese. L’ex Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, ha dichiarato in seguito agli ultimi episodi, quanto sia urgente, prioritario, fare un “programma nazionale di manutenzione e gestione del territorio che renda il territorio protetto rispetto a questa situazione climatica nuova… abbiamo bisogno di un Piano di lungo periodo con interventi stabili; dobbiamo capire e far capire che qui si tratta di lavorare tutti i giorni e non soltanto quando c’è la pioggia’’.

 

Ma le vere e più efficaci misure sono quelle preventive. È vero le serie storiche dimostrano che il clima sta cambiando in maniera determinante, periodi di siccità si alternano a fasi di improvvise piogge torrenziali. Le infrastrutture e le costruzioni del nostro territorio non sopportano variazioni così stressanti.

 

Resta il fatto che né le piogge torrenziali né la geomorfologia del territorio sono un “problema”.

 

La natura continua a fare io suo percorso, indipendentemente dall’uomo. Quindi è l’uomo che dovrebbe rispettarla come parte integrate e abitante del pianeta. Le conoscenze scientifiche e le moderne tecnologie permettono di poter razionalizzare le scelte costruttive. Molto spesso questo non si è realizzato per una mancanza di cultura di base. Sembra un paradosso l’Italia il paese della cultura nel mondo che ignora la propria cultura.

 

Vedere in tv immagini di paesi crollati, di fiumi di fango che ricoprono ogni cosa, di montagne colate giù come se fossero di burro, danno sicuramente una forte sensazione di inquietudine, di impotenza di fronte alla forza della natura.

 

Il nostro patrimonio artistico, paesaggistico - ambientale è unico al mondo. Esistono figure professionali altamente qualificate che dovrebbero avere voce in capitolo ogni qualvolta si intervenisse sul territorio.

 

Architetti, paesaggisti, geologi, ambientali, esperti in beni culturali molto spesso vengono totalmente ignorati nelle scelte progettuali e operative. Un lavoro sinergico tra i vari professionisti, eviterebbe danni incalcolabili al patrimonio, risparmio di miliardi di euro e soprattutto molte vittime in meno.

 

La cultura di ognuno di questi esperti darebbe un contributo fondamentale alla buona uscita dell’opera per la salvaguardia del nostro Belpaese che non sarebbe costretto a lanciare ininterrottamente il segnale di SOS.



 

 

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