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N. 48 - Dicembre 2011 (LXXIX)

LA RETORICA DELL’UNITà D’ITALIA
A proposito dei “150 ANNI”...

di Osvaldo Toldo

 

In questo anno particolarmente denso di ricorrenze e celebrazioni in virtù del 150° anno dalla proclamazione del Regno d'Italia mi è parso di rilevare molte discrepanze e inesattezze storiche da parte dei mass media sui “veri” fautori dell'Unità d'Italia.


Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco; non voglio togliere nulla all'importantE ruolo dello Stato Sabaudo e ai suoi meriti, all'avanzato modello liberale (rispetto agli altri Stati Italiani) e all'abilità diplomatica e politico-economica di Cavour.


In pochi anni il Regno di Piemonte e di Sardegna, grazie a un’avanzata politica economica e di sviluppo (soprattutto nelle infrastrutture) seppe meritarsi un ruolo all’altezza delle altre grandi potenze europee e, grazie ad una sapiente gioco di alleanze strategiche scaturita nell’intervento militare in Crimea (a fianco di Francia e Gran Bretagna ) riuscì a porre sul piatto internazionale, durante la successiva conferenza di pace, la questione italiana.


Ma la risoluzione della questione italiana, come era nei disegni di Cavour e Vittorio Emanuele, non era sicuramente l’Unità realizzata poi nel 1861 bensì un territorio molto più limitato denominato “Regno dell’Alta Italia” (il disegno comprendeva oltre a Piemomonte e Liguria, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia e la Toscana).


Ricordiamo il trattato di Plombieres del 1858 con la Francia dove vennero disegnate le future strategie sul territorio Italiano.


L’Unità d’Italia si è realizzata più per l'impegno di molte forze estranee alla tradizione monarchica (garibaldini, repubblicani), e all’insorgere spontaneo delle popolazioni civili al Sud e nelle altre regioni come Emilia/Romagna, Toscana, Marche e Umbria che per una reale volontà sabauda come molta storiografia vorrebbe farci credere.


La tanto sbandierata spedizione dei Mille è partita grazie al coraggio, all’intraprendenza e al patriottismo di repubblicani, garibaldini e uomini in prevalenza lombardi, tollerata se non addirittura osteggiata dai vertici del regno piemontese.
Non parliamo poi della conquista del Veneto (avvenuta solo grazie alla vittoria prussiana contro l'Austria) e alla presa di Roma scaturita solo dalla debacle di Napoleone III nel 1870 che ha dato il via finalmente all'unificazione e a Roma capitale dopo i molti e mal tollerati tentativi precedenti da parte di Garibaldi.


Anche il famoso "Obbedisco" di Garibaldi a Teano durante l'incontro con le truppe sabaude di Vittorio Emanuele III celebrato molto spesso dai libri di storia come un evento storico in realtà significava più l'avvenuta presa in carico da parte del Regno Sabaudo di una situazione ormai consolidata e quasi subita che un vero desiderio di compimento di unità nazionale.


Garibaldi si ritirò volontariamente a Caprera, Mazzini partì per l’ennesimo esilio dall’Italia e in generale possiamo dire che i notabili del regno di Piemonte, per volontà ma anche e soprattutto per una serie di circostanze ed eventi favorevoli avevano realizzato il capolavoro dell’Unità d’Italia.



 

 

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