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N. 66 - Giugno 2013 (XCVII)

La difesa dei principati crociati in Terra Santa
gli Aleramici di Monferrato - Parte VI

di Christian Vannozzi

 

Per il doge Dandolo e per Bonifacio di Monferrato l’unica possibilità di far rispettare i patti di Alessio IV era la conquista armata. Alessio V Ducas sarebbe stato deposto, in caso di sconfitta, come traditore del suo legittimo signore. La creazione di uno stato latino sarebbe stata la più certa garanzia della realizzazione dell’unione delle chiese e di conseguire i vantaggi promessi da Alessio IV a Corfù.

 

La conquista di Costantinopoli rappresentava inoltre la volontà di espansione militare, politica, economica e religiosa dell’Occidente latino nel territorio dell’Oriente bizantino. Il primo imperatore latino d’Oriente, che sarà Baldovino di Fiandra, definisce la capitale bizantina come una città di inestimabili ricchezze ma anche ostile e barbara per la quale era necessaria l’azione civilizzatrice dell’Occidente.

 

Nel maggio 1204 fu elaborato un documento, il pactum comune, concordato tra la cavalleria franco-lombarda e i veneziani. In vista della condotta politica e militare da tenere nei confronti dell’impero d’Oriente si volevano evitare quelle discordie che nel corso della spedizione avevano continuamente minacciato di infrangere l’unità dell’esercito.

Il marchese Bonifacio, comandante della crociata, figura nel patto alla pari degli altri contraenti, e non con un ruolo preminente. I contraenti infatti erano da una parte il doge di Venezia, e dall’altra il marchesi di Monferrato, il conte di Fiandra, il conte di Blois e il conte di Saint-Pol.

 

Si decise inoltre di eleggere un imperatore tramite una commissione paritetica di sei rappresentanti della cavalleria franco-lombarda e di sei veneziani. L’elezione sarebbe avvenuta per maggioranza dei suffragi; a parità di suffragio fra due candidati si sarebbe ricorsi al sorteggio. Questo meccanismo voleva assicurare una larga base di rappresentatività politica al candidato prescelto. Il doge non doveva prestare personalmente giuramento di fedeltà all’imperatore, in quanto i feudi sarebbero stati consegnati ai crociati veneziani, e quindi solo indirettamente al comune di Venezia del quale i veneziani restavano membri. Il giuramento di vassallaggio sarebbe stato prestato dalle persone preposte dal doge a tali onorificenze.

 

Tale formula salvaguardava l’indipendenza anche formale del comune di Venezia, senza infrangere il vincolo di fedeltà dei feudatari veneziani all’imperatore di Costantinopoli.

Il 9 aprile 1204 le compagnie dei crociati entrarono nelle navi, il giorno seguente avvenne l’assalto alle mura della città.

 

Lunedì 12 aprile vi fu un secondo assolto da parte dei crociati. Una coppia di navi, la “Pellegrina” e la “Paradiso”, riuscì ad accostarsi a una torre e a prenderla, nella zona fra le Blacherne e il monastero dell’Evergete. Il primo a entrare nella torre fu il veneziano Piero Alberto, seguito dai francesi Andrè Durboise e Giovanni di Choisy, cavalieri del vescovo di Soissons.

I crociati a quel punto iniziarono a dilagare nella città. L’imperatore Alessio V si rifugiò nel palazzo imperiale del Bucoleone, mentre gli altri aristocratici si asserragliarono nel palazzo delle Blacherne. Vista l’impossibilità di trovare sostenitori e truppe che avevano la volontà di opporsi ai Latini, Alessio Ducas decise di fuggire dalla porta Orea, non presiedata dai crociati, con il suo seguito.

 

Alcuni nobili, sotto la guida di Costantino Lascaris, che diventerà imperatore di Nicea, organizzarono una resistenza, cercando di convincere i Variaghi, la guardia mercenaria dell’imperatore, a difendere la città contro gli occupanti crociati.

 

Non avendo ottenuto risultati apprezzabili all’alba Costantino Lascaris, con il suo seguito, fuggi in Asia per dirigersi a Nicea, dove in seguito fu incoronato imperatore.

I grandi feudatari si impadronirono dei palazzi e dei conventi più ricchi e famosi della città: il marchese Bonifacio occupò il Bucoleone, un complesso monumentale di 500 sale e 30 fra chiese e cappelle, con annessa Santa Sofia e la sede patriarcale. Enrico di Hainaut occupò le Blacherne, il nuovo palazzo imperiale di circa 200 sale e 20 tra chiese e cappelle.

Per tre giorni, dal 13 al 15 aprile, non fu esercitato alcun controllo sui crociati. Molti Greci furono uccisi, alcuni in scontri armati e altri nel tentativo di difendere le proprie donne e le proprie cose.

 

L’elezione dell’imperatore non fu priva di ostacoli. La scelta dei delegati fu ardua, perché l’esercito era diviso in vari gruppi nazionali che facevano capo al loro comandante e barone. Le elezioni per la scelta degli elettori si protrassero per quindici giorni, che si possono collocare dall’inizio del saccheggio e il 2 maggio.

Il Marchese Bonifacio veniva dato per eletto da tutti coloro che non erano al corrente degli intrighi politici che “tessevano” i capi della crociata. Gli stessi abitanti di Costantinopoli nutrivano tale convinzione e tentavano di difendersi dalle violenze dell’esercito di occupazione manifestando uno spirito di integrazione con le nuove strutture amministrative che si stavano delineando.

 

L’equilibrio politico esistente all’interno dell’esercito crociato fu così messo a dura prova dalle ambizioni che i grandi feudatari nutrivano verso il trono e le terre che offriva l’impero bizantino, Il gioco degli interessi particolaristici, favorito dalla scarsa omogeneità della struttura feudale dell’esercito quale abbiamo fin qui analizzato, offrì alla diplomazia veneziana un ideale terreno di manovra. Favorevole alla piena attuazione dei propri interessi, il doge assunse di fatto una posizione arbitrale fra le parti. Il doge Enrico Dandolo, posto di fronte alla realtà dei particolarismi, fece appello all’unità crociata dell’esercito e propose, prima delle elezioni, che i palazzi imperiali, precedentemente occupati dai candidati, venissero liberati, in modo che chiunque fosse eletto potesse prenderne possesso senza contrasti. Il marchese di Monferrato fu così costretto a lasciare il Bucoleone.

 

Il doge e i comandanti dell’armata rifletterono anche sulle conseguenze che avrebbe subito la conquista nel caso che il candidato non eletto si fosse ritirato dall’impresa, rompendo l’unità dell’esercito e diminuendo la già scarsa consistenza numerica. Si decise per questa ragione di concedere al non eletto una parte assai vasta dell’impero da conquistarsi, cioè l’Anatolia, ancora sotto dominio bizantino e il Peloponneso.

Tale proposta fu necessaria per sbloccare la disputa creatasi fra i due maggiori contendenti, il marchese Bonifacio e il conte Baldovino di Fiandra. Con questa soluzione il candidato non eletto poteva ritirarsi con buoni vantaggi. Inoltre conveniva ai grandi feudatari e ai veneziani, in quanto la presenza di una signoria tanto estesa nell’impero avrebbe ulteriormente limitato l’autorità del potere centrale del futuro impero latino.

 

Il 9 maggio 1204, nell’ala del palazzo imperiale occupata da Enrico Dandolo, i dodici elettori designati alla scelta dell’imperatore latino d’Oriente ascoltano la messa e si riuniscono in conclave. Cinque vescovi e un abate rappresentavano i crociati; gli elettori veneziani erano sei patrizi della repubblica, particolarmente esperti nelle faccende orientali.

 

Gli elettori all’inizio volevano eleggere il doge, del quale tutti riconoscevano l’ascendente e l’autorità morale, ma il veneziano Ottaviano Quercini fece osservare che tale scelta avrebbe irritato i baroni crociati, con il rischio di vederli abbandonare l’impero, troppo vasto e difficile da difendere per i soli veneziani.

A quel punto un altro delegato veneziano, Pantaleone Barbo, propose l’elezione di Baldovino di Fiandra. Il marchese Bonifacio, comandante della spedizione crociata, viene così messo in minoranza. Grava su di lui la diffidenza dei veneziani, sia per quanto riguarda la sua abilità nella diplomazia orientale, che lo avrebbe reso un sovrano con pieni poteri e difficile da manovrare, sia i suoi rapporti cordiali con la repubblica di Genova, nemica di Venezia in campo commerciale.

 

Il doge preferì il candidato fiammingo per la sicurezza di carattere militare che forniva il suo contingente militare e per la relativa inesperienza politica dell’ambiente bizantino. Il marchese Bonifacio aveva invece una conoscenza diretta dei problemi politici e delle strutture dell’impero d’Oriente: i suoi fratelli Ranieri e Corrado avevano sposato rispettivamente la porfirogenita Maria, figlia di Manuele Comneno e Teodora Angelina, figlia di Isacco II Angelo. Egli ereditava una consuetudine di alleanze familiari che lo ponevano nella posizione più adatta per conciliarsi con l’aristocrazia greca. Un simile imperatore avrebbe con tutta probabilità trovato e sfruttato gli strumenti per ridare all’autorità imperiale tutto il peso dell’autocrazia bizantina, debellando sul nascere il particolarismo feudale voluto dal doge.

 

Inoltre, nella settimana dell’elezione, il marchese sposò la vedova di Isacco Angelo, Margherita (sorella del re di Ungheria), che nella persona del proprio figlio Manuele Angelo era la depositaria dei diritti dinastici che si erano estinti con Alessio IV.

 

L’ostilità del marchese di Monferrato verso il nuovo impero si manifestò con l’occupazione di quest’ultimo, grazie al suo numeroso contingente, del territorio di Adrianopoli. Solo l’intervento del doge come mediatore riuscì a salvare la situazione e a evitare lo scontro tra i due grandi feudatari. Dopo questo evento il doge, l’imperatore e i marchese scelsero una commissione di venticinque membri dell’armata si occupò della divisione dell’impero. L’imperatore ottenne la capitale e il suo entroterra, più le coste dell’Anatolia e le grandi isole dell’Egeo. Al marchese Bonifacio andarono il regno di Tessalonica (Salonicco), Atene e l’Attica, la Beozia, la Corinzia e l’Argolide. Ai baroni crociati andarono la Tessaglia, parte della Macedonia e la Tracia.



 

 

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