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N. 56 - Agosto 2012 (LXXXVII)

PRASSITELE
Il “poeta gentile” dell’arte greca

di Massimo Manzo

 

Tra i numerosi scultori che hanno popolato l’antichità classica Prassitele fu senza dubbio uno dei più amati ed imitati, tanto che molti, tra studiosi, critici o semplici osservatori di tutte le epoche hanno nutrito per lui una passione particolare, individuando nelle sue opere un esempio ineguagliato di bellezza, grazia ed armonia.

 

Tale fu la sua fama, che nel I secolo a.C. Marco Terenzio Varro poteva affermare che “grazie all’eccellenza del suo talento, chiunque abbia un minimo di cultura non può non conoscere Prassitele” e numerosi autori posero il suo stile al vertice della scultura greca.

 

Purtroppo, come spesso accade per gli artisti antichi, anche su Prassitele le notizie biografiche sono alquanto imprecise e frammentarie, fatte più di gustosi aneddoti, forse sorti in conseguenza del suo prestigio, che di circostanze storicamente attendibili.

 

Figlio dello scultore Kephisodotos, nacque ad Atene intorno al 400 a.C., e probabilmente già da giovanissimo poté operare nella bottega del padre, apprendendo i primi rudimenti del mestiere.

 

Nella sua città, inoltre, ebbe l’occasione di ammirare un numero impressionante di opere d’arte, tra sculture, dipinti ed edifici, che l’avevano resa uno dei luoghi in cui la creatività artistica e la vivacità culturale greca si erano manifestati toccando vette ineguagliabili.

 

Tra gli artisti che avevano contribuito a creare tale clima c’era Fidia, lo scultore che aveva diretto i lavori dell’acropoli e realizzato opere magnifiche, come i fregi del Partenone o la gigantesca statua crisoelefantina di Atena conservata all’interno dello stesso tempio.

 

La città in cui crebbe Prassitele aveva dunque rappresentato, pochi decenni prima della sua nascita, il simbolo tangibile della perfezione artistica, il cuore pulsante di quell’epopea irripetibile che gli storici definiranno “secolo d’oro” o “età di Pericle”.

 

Tuttavia lo scenario politico del IV secolo, in Grecia, stava cambiando irrimediabilmente. Mentre Fidia era stato il cantore di una Atene all’apice della sua potenza, padrona di un vasto impero marittimo e inorgoglita dalla consapevolezza di essere la “scuola della Grecia”, Prassitele vive in un’epoca radicalmente diversa.

 

La terribile guerra del Peloponneso, infatti, che aveva contrapposto Atene e Sparta con i relativi alleati insanguinando l’intera Ellade, si era conclusa con la sconfitta di Atene (nel 404) e l’imposizione anche ad essa della breve egemonia spartana, ma più in generale aveva sancito il lento suicidio dell’indipendenza e della potenza politica delle poleis greche, qualcosa di paragonabile alla situazione dell’Europa dopo i due conflitti mondiali.

 

Da quel momento la Grecia vive una condizione di perenne debolezza e instabilità, i cui epiloghi saranno la breve ed effimera egemonia Tebana dopo la battaglia di Mantinea (362), in cui i Tebani riescono a prevalere su Spartani e Ateniesi alleati, e infine l’intervento della giovane potenza macedone, che sconvolgerà i destini delle città stato greche. La battaglia di Cheronea (338) e le successive esaltanti conquiste di Alessandro magno muteranno poi il corso della storia dando inizio all’età ellenistica.

 

Questi importanti mutamenti politici portarono inevitabilmente ad un gusto artistico nuovo, del quale Prassitele fu il caposcuola. A differenza di Policleto o di Fidia, infatti, i soggetti rappresentati da quest’ultimo non incarnano più personaggi eroici, maestosi e sicuri di sé: al contrario essi hanno un profilo psicologico particolare, che rende la loro grazia piena di malinconia. È come se i loro sguardi e le loro pose trasportassero all’osservatore in un universo fatto di atmosfere intime e sognanti, prima ignote alla scultura greca.

 

In questo senso, a dimostrazione dell’acutezza del suo genio, Prassitele è perfettamente in linea con le nuove tendenze filosofiche del IV secolo, tanto che sembra certa la sua vicinanza all’ambiente platonico. Duemila anni dopo, sarà un altro artista neo-platonico, Botticelli, a divenire il cantore di istanze simili.

 

Grazie alla predilezione dei romani per Prassitele, ci sono pervenute numerosissime copie delle sue opere, attraverso le quali si nota l’evoluzione tecnica e stilistica cui si è accennato.

 

Tra i capolavori maggiori spicca la celeberrima Afrodite Cnidia, uno dei primi nudi femminili dell’arte greca. La dea è raffigurata mentre, appena poggiata la veste su di un’ idria, sta per immergersi nel bagno sacro.

 

Colta in un momento privato, essa inaugura la “svolta intimista” tipica della scultura del IV secolo. La naturalezza e la grazia della figura traspaiono attraverso lo sguardo trasognato e la posa particolare, attenta ai riflessi e ai chiaroscuri del marmo. È questa una caratteristica comune a quasi tutte le opere marmoree di Prassitele, che venivano inoltre ricoperte di una patinatura al fine di esaltarne la lucentezza.

 

L’utilizzo del marmo, che sembra essere il materiale privilegiato dall’artista, è indice di un’ulteriore cambiamento nello stile scultoreo: la posa delle figure non è più immobile e verticale, ma al contrario il baricentro si sposta, sbilanciandole, e il riequilibro è dato dall’appoggio ad un sostegno. Esse acquistano così movimento, esprimendo posizioni meno composte e sempre più dinamiche.

 

La pudica sensualità dell’Afrodite Cnidia non poteva, già in antichità, che stregare chi la osservava, rendendola una delle sculture più celebri di tutti i tempi. Curioso è l’aneddoto secondo cui dietro Afrodite si celerebbe in realtà il ritratto di Frine, l’etera amata da Prassitele, le cui armoniose fattezze avrebbero ispirato il maestro.

 

Emblematiche del nuovo stile prassitelico sono altre due importanti opere: l’Apollo sauròctono e l’Ermes di Olimpia. Della prima, originariamente di bronzo, ci è pervenuta una splendida copia marmorea, conservata al Louvre, mentre la seconda fu ritrovata da alcuni archeologi tedeschi ad Olimpia, nello stesso luogo in cui Pausania la descrisse 2000 anni fa, ed è un originale in marmo. Apollo, divinità che secondo la tradizione classica allontanava i mali, è rappresentato con tratti delicati e femminei, mentre poggiando il braccio ad un tronco è nell’atto di pungere con lo stilo una lucertola (simbolo della malattia).

 

L’estrema dinamicità della figura, che disegna una “S”, gli conferisce grazia e sinuosità, giocando sulla naturalezza del movimento. Ermes è invece raffigurato con il piccolo Dioniso in braccio, nell’atto forse di mostrargli un grappolo d’uva, che l’infante sembra anelare. L’“effetto pittorico”, caro al maestro ateniese, è qui visibile nei capelli e nel viso di Ermes, ed è ottenuto con un particolare trattamento del marmo attento ai riflessi della luce.

 

Passando in rassegna il folto catalogo delle opere prassiteliche, dunque, è chiaro come anche gli dei perdano il loro carattere di marzialità per assumere una veste più sentimentale, quasi spiati dall’artista nella loro sfera domestica o erotica. Le parti insomma si invertono: non sono più gli dei ad osservare, severi, l’uomo, ma è l’uomo a sorprenderli in gesti quotidiani.

 

Se poi fossero definitivamente confermate le recenti teorie di alcuni illustri studiosi, potremmo aggiungere al novero dei capolavori di Prassitele un’altra scultura, più unica che rara: il satiro danzante di Mazara del Vallo, identificato con il famoso satiro periboetòs di cui parla Plinio (Storia naturale, 34, 69).

 

Scoperto tra il 1997 e il 1998 nelle acque del Canale di Sicilia, stando alle ipotesi di Paolo Moreno e Bernard Andreae questo bronzo dal fascino straordinario potrebbe essere addirittura un originale prassitelico.

 

L’ipotesi è suggestiva, anche perché consegnerebbe all’Italia il primato di annoverare nel suo già immenso patrimonio artistico una delle opere più enigmatiche dello scultore ateniese.

 

Tutto ciò a conferma della genialità di un artista che, a distanza di quasi 2.500 anni, non smette di stupire e incantare il mondo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. M. A. Richter, L’arte greca, Torino 1969;

A. Giuliano, Storia dell’arte greca, Roma 1998;

A. Pasquier, J. L. Martinez, Praxitèle, Parigi 2007;

W. Durant, Storia della Civiltà, Vol. II: La Grecia, Milano 1956;

R. Petriaggi (a cura di), Il Satiro Danzante, Roma 2003;

P. Moreno, il Satiro di Prassitele, in Il Satiro Danzante, op. cit.



 

 

 

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