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N. 42 - Giugno 2011 (LXXIII)

più a sud di tunisi

quel naufragio del natale 96
di Giulia Gabriele

 

Nel Natale del 1996 una nave carica di clandestini affonda a largo delle coste siciliane a causa delle pessime condizioni meteorologiche (mare forza 9, cioè in tempesta) oltre che per l’inadeguatezza dell’imbarcazione.

 

Le vittime sono 283. Il nome della carretta del mare è F174. Quello che emerse, a distanza di qualche anno, un intreccio confuso di verità e menzogne.

 

Portopalo di Capo Passero (SR) è una bella cittadina di circa 3.000 abitanti che ho avuto modo di visitare e conoscere in occasione della realizzazione di un documentario che si propone di raccontare la realtà di Portopalo che, a dispetto delle voci, ha sempre mostrato una naturale propensione per l’accoglienza dei migranti. Ma partiamo dall’inizio.

 

Sono le tre del 25 dicembre 1996 quando, dopo il trasbordo dalla motonave Yohan, la barca maltese F174 inizia a imbarcare acqua.

 

«Il capitano chiama via radio la Yioahn che torna indietro. Poi, la collisione. La carretta maltese cola a picco, portandosi a fondo quasi trecento esseri umani. Si salvano soltanto quelli che riescono a risalire sulla Yioahn. […] Il relitto si adagia ad oltre cento metri di profondità, su un fondale sabbioso, tra Malta e la Sicilia.» 

 

Queste poche frasi tratte da Dossier Portopalo di Sergio Taccone (GB EditoriA 2008), raccontano quelli che furono gli ultimi momenti dei 283 migranti, imbarcatisi ad Alessandria d’Egitto – tre le principali nazioni d’origine (India, Sri Lanka e Pakistan) - partiti nella speranza di trovare fortuna in Europa. Alcuni di loro non avevano mai nemmeno visto il mare.

 

Il 30 dicembre i 29 sopravvissuti vengono fatti sbarcare in Grecia, a Napflion. Saranno proprio loro a parlare di ciò che accadde quella notte e verranno poi rispediti nei loro Paesi di provenienza. Il capitano della Iohan non verrà trattenuto dalle autorità elleniche.

 

Il 31 dicembre viene diffuso a tutte le capitanerie della Sicilia Orientale il primo dispaccio circa i quasi 300 clandestini finiti in mare.

 

È il 5 gennaio 1997 quando alcuni giornali iniziano ad occuparsi della vicenda del Natale 96. In particolare il manifesto, che tramite la penna Livio Quagliata pubblica una serie di servizi sulla tragedia. In Sicilia sarà invece Telecolor Catania a interessarsi della vicenda con il lavoro del giornalista Massimo Leotta.

 

Nei mesi e negli anni successivi si svolgeranno indagini e processi, alcuni dei quali fuori dalle mura dei Palazzi di Giustizia.

 

Nel centro del mirino, dopo che il giornale la Repubblica si è occupato di ridare slancio alla tragedia (2001) e dopo la pubblicazione del libro I fantasmi di Portopalo di Giovanni Maria Bellu (Mondadori 2004), viene posta la comunità di Portopalo di Capo Passero, accusata di mafia e connivenza, di aver taciuto l’evidenza.

 

La vicenda, comunque, troverà una parziale conclusione con la condanna a 30 anni di reclusione, nell’aprile 2008, di Youssef El Hallal, il capitano della Iohan.

 

Ma un fascicolo rimane ancora aperto, quello del presunto (e popolarmente accettato) silenzio. Pare che i pescatori di Portopalo ripescassero i cadaveri dei clandestini e li rigettassero in mare. Che tutti sapessero di questi ritrovamenti e tacessero.

 

Come unico contraltare a un mare di calunnie il libro già citato del sicilianissimo Sergio Taccone, Dossier Portopalo. L’opera è una minuziosa raccolta ed elaborazione dei dati, delle carte, dei documenti e di ciò che si è detto sul caso del Natale 1996.

 

Ed è anche il punto di partenza per il documentario Il viaggio di Adamo (2009) curato da GB EditoriA e Fata Morgana che ha la sola pretesa di voler raccontare una realtà normale e non mafiosa o cannibale, come invece, negli anni, è stato avanzato dai più.

 

Non si vuole imporre una verità, non può certo un libro piuttosto che un film sostituirsi al lavoro delle Autorità, ma semplicemente focalizzare l’attenzione sulla vita che a Portopalo si è sempre svolta, prima e dopo il tragico Natale 96. Una vita profondamente legata al mare e ciò che esso porta: spesso pesci e spesso uomini. 

 

A Portopalo esiste un servizio di volontariato, che conta circa 300 unità, che scrupolosamente si occupa della prima accoglienza appena avvengono gli sbarchi. Ed è presente, inoltre, anche una Casa famiglia, che accoglie i minorenni che arrivano lì curandosi della loro istruzione. Raggiunta la maggiore età i ragazzi sono lasciati liberi di scegliere il proprio destino.

 

Attraverso Il viaggio di Adamo comprendiamo quanto Portopalo di Capo Passero abbia una propensione all'accoglienza e una preparazione a questa ben radicate in anni di stretta e quotidiana convivenza con essa. Scopriamo la semplicità del pescatore, la straordinaria storia di un tunisino, per tutti Giovanni, che arrivato nel paesino negli anni Settanta ha imparato il mestiere dell'agricoltore che "solo un siciliano può insegnare" e ha poi scoperto, righello e squadra alla mano, di essere emigrato al Sud. Scopriamo anche un'altra storia, infine, quella di Adam, della nuova generazione di migranti in cerca di lavoro e libertà. Il viaggio di Adamo è il viaggio di Adam e dell'Uomo attraverso il mare, la terra e la sabbia. Attraverso se stesso.

 

Una minoranza di pescatori, nel 1996, avrà anche ripescato cadaveri, ma sembra che a Portopalo, più che altro, si ripeschino vite. Senza pregiudizi e razzismi.

 

Dopo la visione del documentario, restano in testa invece due martellanti punti focali: l’inumana tratta dei migranti e l’umana accoglienza del paese siciliano nei confronti di questa povera gente.

 

La verità temo non potrà mai saperla nessuno totalmente. Le voci e le memorie negli anni si mischiano e cambiano. Quello che però si può provare a capire è la realtà di un paese normale, che forse per alcuni è troppo normale.


 

 

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