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N. 74 - Febbraio 2014 (CV)

La politica mediterranea europea
Dalla CEETOM a oggi

di Laura Ballerini

 

Con i trattati di Roma, firmati il 25 marzo 1957, le sei nazioni firmatarie avevano si dato vita alla CEE e all’Euroatom, ma anche alla CEETOM (Comunità Economica Europea per i Territori d’Oltre Mare).

 

Una delle motivazioni principali di questo trattato, infatti, era la volontà di impedire che il processo di decolonizzazione in atto rompesse i rapporti economici e commerciali con i paesi del Mediterraneo e dell’Africa. Le ex colonie quindi entravano in rapporti commerciali privilegiati con i sei della CEE, creando un vasto mercato unico, con una grande barriera doganale esterna, da cui rimanevano esclusi, in primis, gli USA. Francia, Germania federale, Italia e i paesi del Benelux avevano studiato tre modi con cui i paesi potessero aderire alla CEE: adesione, associazione o relazioni commerciali.

 

Il primo prevedeva l’entrata totale nella comunità, sia dal punto di vista politico che economico e commerciale. Le relazioni commerciali erano trattati di semplici rapporti scambi, mentre i trattati d’associazione, via di mezzo tra i due, non prevedevano la membership, ma portavano comunque a un rapporto molto stretto in termini politici ed economici.

 

Con la firma dei trattati si passa alla seconda delle quattro fasi della politica mediterranea europea, che vanno dal 1957 ai giorni nostri. Questa seconda fase è definita di “associazione mediterranea” e si sviluppa fino agli inizi degli anni `70.

 

In questo periodo l’Europa dei sei si apre agli altri stati riservando un rapporto privilegiato alle ex colonie e ai paesi facenti parte della NATO, con particolare riguardo nei confronti dei paesi coinvolti nella tensione arabo-israeliana: gli Stati Uniti, infatti, a detta dei più, avevano preso posizioni filoisraeliane che i paesi europei non si sentivano di contraddire, pur non volendo, d’altra parte, compromettere i propri rapporti con i paesi arabi.

 

I primi a entrare con trattati di associazione furono la Grecia nel `61 e la Turchia nel `63. Questi due paesi venivano agevolati poiché facevano parte della NATO, erano due alleati, e gli venne prospettata una futura possibilità di adesione, che però avvenne per una sola delle due nazioni, l’altra sta ancora aspettando. Nel `64 e nel `65, invece, entrarono con semplici relazioni commerciali, Israele e il Libano. Israele sperava così di uscire dall’isolamento dell’arcipelago arabo e fu appoggiata in questo dalla Germania, che in sede diplomatica si mostrerà sempre filoisraeliana, per ovvi motivi.

 

Nel `69 è il turno di Tunisia e Marocco, due ex colonie francesi, mentre nel `70 quello di Cipro e Malta, ex colonie inglesi: tutte con trattati di associazione. In questi anni, per motivi che verranno affrontati in seguito, Italia e paesi del Benelux caldeggeranno molto per l’entrata della Gran Bretagna nella CEE e, in questo contesto, i trattati di associazione con due sue ex colonie costituirono una specie di esca. Infine, questa seconda fase si conclude nel `72 con rapporti commerciali con Spagna e Egitto. 10 accordi, dunque, di cui sei di associazione con ex colonie e paesi NATO (Grecia, Turchia, Marocco, Tunisia, Malta e Cipro) e 4 di relazioni commerciali (Israele, Libano, Egitto e Spagna).

 

Nel frattempo si stringevano accordi commerciali anche con i paesi africani. Nel `63, con la firma della Convenzione di Yaoundé, non si parò più CEETOM ma di CEESAMA (Stati Africani del Malgascio Associati): 18 ex colonie africane entravano nella comunità con trattati di associazione che offrivano privilegi commerciali e aiuti finanziari. Successivamente, nel `69, con la convenzione di Arusha, entrarono anche i paesi dell’est africano (Tanzania, Kenya, Uganda) e la Nigeria. Infine del `75, con la convenzione di Lomè, la neo-membra Gran Bretagna portò ad associarsi numerosi altri stati: si parlò allora di CEEACP (stati Africani, Caraibici e Pacifici), che si allargò gradualmente, con numerose altre conferenze, fino ad arrivare ai 69 stati della convenzione di Cotonou nel 2000.

 

Tornando agli stati più strettamente mediterranei, negli anni `70 si aprì una terza fase chiamata “politica globale mediterranea”, che terminò con la fine della guerra fredda. La Francia iniziava a sentirsi stretta in Europa, tra Germania e Inghilterra, riversando il suo protagonismo nel Mediterraneo. Al summit di Parigi che si tenne nell’ottobre 1972, la Francia suggerì di non considerare più il Mediterraneo come un insieme di accordi bilaterali, ma di vederlo come un unico spazio geopolitico.

 

Questa visione trovò l’opposizione degli Stati Uniti, che non volevano che le sponde del Mediterraneo diventassero un terzo polo francese. Gli stati europei invece la videro di buon’occhio per due principali motivi: in primis per via della crisi economica scaturita dalla svalutazione del dollaro nel `71, e inoltre perché alle Olimpiadi estive dello stesso anni si era verificato un altro attacco dei terroristi laici palestinesi. Vennero formulati, dunque, due accordi regionali di natura commerciale e per l’aiuto allo sviluppo: nel ` 76 con i paesi del Maghreb (nord Africa) e nel `77 con quelli del Mashrek (paesi a oriente del Cairo). Sarà con l’ingresso della Grecia nel `81 e di Spagna e Portogallo nel `85 che la politica globale mediterranea vedrà il suo fallimento, visto il conflitto tra le economie di questi tre stati e quelli mediterranei associati.

 

Con il crollo del muro di Berlino ne l 1989, si aprirà l’ultima fase chiamata politica rinnovata. in questo momenti rivestirono grande importanza i problemi per la sicurezza internazionale, minata dai flussi migratori, il terrorismo e il fondamentalismo islamico. Si scelse allora di propendere per il partenariato con i paesi del Maghreb e del Mashrek, con clausole per gli aiuti al sottosviluppo, considerato la causa dei flussi e del terrorismo.

 

Nel vertice di Barcellona del `95 venne tracciato un documento basato su tre cesti: politico economico e culturale. Gli stati dovevano impegnarsi a promuovere la democrazia e i diritti civili e umani, superare il gap economico le due sponde con la creazione graduale di una zona di libero scambio e infine operare per superare ogni forma di pregiudizio e stereotipo.

 

Questi obbiettivi non erano vincolanti politicamente, ma avevano il fine di diventare strumenti per la sicurezza internazionale. Nella conferenza di Barcellona viene trovato un nesso tra democrazia e sicurezza, secondo cui l’una poteva assicurare l’altra, accompagnate da uno sviluppo economico che ponesse termine a terrorismo e flussi clandestini.

 

Si procedette dunque a un approccio multilaterale, secondo cui la democrazia andava promossa in tre modi: giuridico, per cui alcuni trattati venivano vincolati a determinati standard di democrazia; economico, per l’idea, appunto, che combattere il sottosviluppo economico volesse dire combattere i tre già citati problemi del Mediterraneo; culturale, ovvero la diffusione di idee democratiche.

 

I risultati di questo approccio furono deludenti nel Mediterraneo, mentre ebbero maggiore successo nell’allargamento a est. Visto il fallimento della politica di partenariato, successivamente, nel 2004, si parlo di politica europea di vicinato, ovvero di una collaborazione commerciale e assistenza finanziaria, condizionate da determinati requisiti di rispetto dei diritti civili e umani.

 

A differenza della politica globale mediterranea, quella di vicinato si basava su un insieme di accordi bilaterali: sarà nel 2008 a Parigi che si tornerà a parlare di piani regionali, con l’Unione per il Mediterraneo. L’obbiettivo era quello di rilanciare quanto detto a Barcellona nel `95, anche se questi piani saranno inevitabilmente stravolti dalla primavera araba.



 

 

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