.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

.

contemporanea


N. 78 - Giugno 2014 (CIX)

Il rilancio della politica estera italiana nel secondo dopoguerra

(1947-1955)
di Paolo Paolucci

 

Gli anni che vanno dal 1947 al 1955 furono un periodo particolarmente difficile e intenso per la politica estera italiana, nel quale vennero poste le basi di quella che sarà la posizione internazionale dell’Italia nel secondo Novecento.

 

Dopo la disfatta militare l’Italia era un paese sconfitto, occupato dalle truppe Alleate, e la firma del trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, da parte del governo di Roma, riportava finalmente alla normalità la posizione internazionale dell’Italia: cessava infatti la condizione di paese vinto, vincolato alle restrizioni armistiziali.

 

La ratifica del trattato di pace, autorizzata il 31 luglio 1947 dall’Assemblea Costituente, consentiva la sua entrata in vigore il 15 settembre e immediatamente iniziava lo sgombero delle truppe di occupazione che si concludeva il 15 dicembre.

 

L’Italia era di nuovo uno Stato pienamente sovrano e, riacquistata la libertà di manovra, la diplomazia italiana poteva fissare gli obiettivi primari della politica estera.

 

Al primo punto andava posta la revisione del trattato di pace attraverso negoziati con gli Stati ex-nemici, soprattutto in quelle clausole che si volevano correggere o addirittura non applicare.

 

Ciò avrebbe dovuto portare alla soluzione di alcuni problemi, quali la questione di Trieste, molto sentita dall’opinione pubblica italiana, la sorte della flotta e il destino delle ex-colonie prefasciste che lo stesso trattato di pace lasciava insoluto. Inoltre bisognava ristabilire le relazioni diplomatiche con gli altri Stati e  reinserire l’Italia nel consesso internazionale, negoziando il suo ingresso nelle organizzazioni internazionali che si stavano costituendo.

 

Tutto questo in un contesto particolarmente difficile per il nostro paese, che era ancora considerato dagli Alleati come uno Stato nemico e per questo guardato con molto sospetto.

 

Il problema di Trieste era quello più sentito dall’opinione pubblica nazionale; la conquista della città giuliana era stato uno dei principali motivi che avevano spinto l’Italia ad entrare in guerra nel primo conflitto mondiale contro l’Impero austro-ungarico ed ora, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, vi era il rischio di veder vanificato questo sforzo.

 

Come è noto, il trattato di pace aveva previsto la creazione del Territorio Libero di Trieste il quale, al momento della entrata in vigore del trattato, il 15 settembre 1947, era stato diviso provvisoriamente in due zone: la zona A, comprendente Trieste e il suo immediato entroterra, sotto l’amministrazione anglo-americana e la zona B, comprendente  parte dell’Istria, amministrata dalla Jugoslavia.

 

Risolvere la questione in modo favorevole all’Italia, riportando Trieste entro i confini nazionali, avrebbe sicuramente accresciuto il prestigio della nuova Italia democratica sia di fronte all’opinione pubblica nazionale che internazionale. Questa controversia, che impegnò la nostra diplomazia fino all’ottobre del 1954, fu causa di attrito con la Jugoslavia di Tito e provocò dei dissidi anche con gli anglo-americani. Solo con il Memorandum di Londra la questione si chiuse definitivamente con la restituzione all’Italia della zona A e il passaggio della zona B alla Jugoslavia.

 

L’Italia inoltre doveva risolvere anche la situazione delle colonie prefasciste, ovvero la Libia, l’Eritrea e la Somalia, la cui sorte non era stata ancora decisa dal trattato di pace; ciò l’avrebbe condotta a scontrarsi con la Gran Bretagna che aveva delle mire sulla Cirenaica e progettava la creazione, in Africa orientale, di una Grande Somalia, sotto mandato britannico. Il governo italiano invece chiedeva che la Libia, l’Eritrea e la Somalia venissero riassegnate all’Italia, sia pure sotto forma di mandato.

 

Palazzo Chigi, sede del ministero degli Esteri, motivò la richiesta con argomentazioni storiche, economiche e politiche: le regioni erano state occupate dall’Italia liberale in accordo con le altre Potenze europee, le autorità di Roma vi avevano investito ingenti risorse e nei territori d’oltremare si era stabilito un consistente numero di coloni italiani.

 

Una certa distensione tra Roma e Londra si ebbe nel maggio del 1949, con gli accordi tra il ministro degli Esteri italiano, Carlo Sforza, e il suo collega inglese, Ernest Bevin, dai quali scaturì un compromesso sulla Libia, che permetteva all’Italia di ottenere l’amministrazione fiduciaria sulla Tripolitania, mentre i mandati sulla Cirenaica e sul Fezzan sarebbero stati assegnati, rispettivamente, all’Inghilterra e alla Francia.

 

Quando, dopo la bocciatura del compromesso Bevin - Sforza da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite,  la diplomazia italiana si rese conto dell’impossibilità di realizzare questo obiettivo, si fece promotrice dell’indipendenza della Libia; in compenso, il 21 novembre 1949, l’Italia ottenne dall’ONU il mandato di amministrazione fiduciaria sulla Somalia della durata di dieci anni, mentre l’Eritrea,con una delibera adottata il 2 dicembre 1950, venne federata all’Etiopia come Stato autonomo.

 

Il terzo punto, ossia l’ingresso dell’Italia, a parità di diritti, nelle organizzazioni internazionali che si stavano costituendo, era un altro nodo molto sentito.

 

In un mondo, che si andava dividendo in due blocchi contrapposti, l’Italia doveva schierarsi per non incorrere in un isolamento che l’avrebbe inevitabilmente danneggiata.

 

Dopo la vittoria della Democrazia Cristiana alle elezioni politiche del 18 aprile del 1948, la scelta fu quella di schierarsi dalla parte del blocco occidentale, aderendo al Patto Atlantico, di cui facevano parte anche gli Stati Uniti, dai quali l’Italia riceveva già aiuti economici attraverso il piano Marshall.

 

Un sostanziale fallimento si dovette invece registrare sul problema dell’annessione dell’Italia all’ONU, che era stata richiesta dal governo di Roma fin dal 7 maggio del 1947; la diplomazia italiana però si scontrò con il veto dei sovietici, che condizionavano l’ammissione del nostro paese a quella degli altri Stati dell’est europeo, ex satelliti dell’Asse ed oramai democrazie popolari sotto il controllo di Mosca.

 

L’inconciliabilità delle posizioni occidentali da una parte e sovietiche dall’altra, paralizzando ogni discussione, non consentirono di sbloccare la situazione per parecchio tempo.

 

Ben altro ruolo l’Italia ebbe nel processo di integrazione europea; ancor prima che il trattato di Parigi entrasse in vigore, l’Italia era stata invitata alla Conferenza per la cooperazione europea, convocata per approntare i progetti di attuazione del piano Marshall, divenendo da subito membro dell’Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica, con sede a Parigi. In seguito, il 5 maggio del 1949, l’Italia fu tra i fondatori del Consiglio d’Europa e due anni più tardi aderì alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).

 

Il nostro paese prese parte anche ai negoziati per la creazione di un esercito europeo, negoziati che si aprirono a Parigi il 15 febbraio del 1951 e si conclusero nel maggio del 1952 con la firma del trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED).

 

Fin dall’inizio dei lavori l’Italia assunse un atteggiamento più avanzato rispetto a quello della Francia, auspicando e proponendo una trasformazione della CED in un organismo con funzioni politiche ed economiche; secondo il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, la futura comunità doveva essere il primo passo verso l’unità politica europea.

 

Senonché la bocciatura della Comunità Europea di Difesa da parte dell’Assemblea nazionale francese, il 30 agosto 1954, mise bruscamente fine a questo progetto, con grande disappunto dei circoli politici italiani e dello stesso De Gasperi, che tanto si era prodigato per la sua attuazione.

 

Il fallimento della CED, pur segnando la prima battuta di arresto nell’ormai avviato processo di integrazione europea, ebbe un risvolto inatteso: lasciando insoluto il problema del riarmo tedesco, aprì la strada alla creazione, nell’ottobre 1954, dell’Unione Europea occidentale (un allargamento all’Italia e alla Germania ed una parziale trasformazione del patto di Bruxelles del 1948) e all’ingresso della stessa Germania nella NATO, l’11 maggio 1955.

 

In tale situazione l’esclusione dell’Italia dall’ONU appariva ormai anacronistica ed infatti, in quello stesso anno, la richiesta del governo italiano era finalmente accolta e così, il 14 dicembre 1955, l’Italia veniva solennemente ammessa all’ONU.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.