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N. 85 - Gennaio 2015 (CXVI)

Der arme Poet
il povero poeta DI Carl Spitzweg

di Federica Campanelli

 

L’opera più nota del pittore Carl Spitzweg (1808-1885), a oggi tra i più ammirati artisti bavaresi del XIX secolo, è certamente Der arme Poet, Il povero Poeta, olio su tela realizzato nel 1839 e conservato alla Neue Pinakothek di Monaco di Baviera.

 

 

Spitzweg, nato e cresciuto in una ricca famiglia di commercianti d’estrazione alto-borghese, ebbe in realtà, per volere del padre, una formazione scientifica e ben presto fu avviato alla professione di farmacista. La passione per il disegno e la pittura, coltivata da autodidatta, lo condussero, nel 1833, ad abbandonare la carriera di farmacista per dedicarsi totalmente alle sue eccezionali doti artistiche.

 

Spitzweg è stato un valido esponente del Biedermeier, movimento di derivazione romantica sorto durante il periodo della Restaurazione nei territori della Confederazione Germanica. Il Biedermeier, sia in pittura sia nelle altre manifestazioni artistiche (letteratura, architettura, arredamento, tipologie ornamentali), ha espresso il cambiamento socioculturale post-neoclassico che si registrò nello stile di pensiero e di vita del tedesco medio dell’epoca, calato in una realtà necessariamente più sobria, priva di quegli eccessi e di quegli orpelli tipici dello Stile Impero dell’età napoleonica.

 

Fu proprio tra i membri del ceto medio che la corrente Biedermeier conquistò maggior consenso, facendo la fortuna di molti artisti, ma soprattutto di collezionisti, mercanti e antiquari.

 

Similmente alla cosiddetta pittura di genere fiamminga e italiana o di quella inglese marcatamente più teatrale – che in William Hogarth vide la figura più rappresentativa e che Spitzweg ebbe modo di conoscere nei suoi viaggi europei – la pittura Biedermeier celebra, e in ciò l’artista bavarese fu maestro, il vivere quotidiano dell’uomo comune attraverso un linguaggio che oscilla lievemente tra l'ironico e il satirico ma con immancabile poesia e gradevolezza.

 

Nel dipinto, il poeta è ritratto nella cruda realtà della sua condizione economica: l’ambiente abitativo è ridotto all’osso, uniche suppellettili sono i grandi volumi che giacciono accanto al vecchio e malconcio materasso, giaciglio e “scrittoio” al contempo; la precarietà del solaio è sottolineata dall’ombrello incastrato tra le travi di legno a riparare indubbiamente una falla del soffitto; la finestra dai vetri rotti rivela una gelida giornata, ma il solo combustibile disponibile per la stufa a legna sono i manoscritti del poeta stesso, in cima alla risma di carta si legge, infatti, Operum meorum fasciculum III (Il terzo fascicolo delle mie opere).

 

Sul dorso del tomo appoggiato al muro è leggibile Gradus ad Parnassum, titolo che si riferisce al manuale destinato ai giovani allievi che intendono studiare le regole della versificazione latina.

 

Il trattato è comunemente attribuito al pedagogo gesuita Paul Aler (1654-1727), che lo diede alle stampe nel 1706 a Colonia. In realtà il Gradus di Aler non è che una delle molte edizioni (la sesta) di un’opera del 1652. Nel complesso, fino al 1810 il Gradus ad Parnassum conobbe 15 riedizioni.

 

Attraverso pochi ed evocativi particolari, Spitzweg congela le semplici e abituali azioni del povero poeta in una composizione mite e malinconica.

 

Lo stivale abbandonato accanto al cavastivali, il catino e candela spenta sul piano della stufa, il capello appeso a essa, alcuni versi appuntati sulla parete alla destra del protagonista, narrano passo per passo la vita di stenti di un uomo totalmente votato alla poesia.

 

Ma è la posa del poeta la chiave dell’opera: in quel gesto della mano tipico di chi recita e scandisce la metrica del componimento poetico, si legge tutta la dignità di un uomo che, nonostante tutto, si mostra noncurante della propria indigenza spingendosi oltre la miseria materiale.



 

 

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