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N. 111 - Marzo 2017 (CXLII)

LA PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA
sulL’USO DEI PLEBISCITI DAL RISORGIMENTO ALL’ITALIA REPUBBLICANA – PARTE I

di Alessandro Ciuffetelli

 

I voti popolari in Italia, pur inserendosi nell’alveo dei voti popolari europei e quindi in quella vasta cultura politica uniformata che prende avvio dall’Illuminismo, tipica dell’Europa Occidentale, sono caratterizzati da elementi originali. Spesso i momenti elettorali italiani si sono distinti, pur mantenendo uniformi riferimenti di base, sia per peculiarità relative all’aspetto della propaganda preparatoria al voto, sia per i contenuti. Da ciò deriva che i voti popolari italiani in qualche modo definiscono una specifica idea di nazione e una particolare idea di sovranità popolare. Tra le forme meno studiate e sempre più spesso, oggi come ieri, al centro di polemiche interminabili, sta l’istituto del suffragio plebiscitario.

 

L’unico ramo di studi che ha prestato attenzione a questo fenomeno è quello giuridico che però non è riuscito ad uniformare i giudizi ed anzi ha dato vita ad una mole sempre discordante e difforme di giudizi.

 

Per la storiografia moderna solo recentemente studi ne hanno evidenziato esclusivamente l’aspetto deleterio. Il plebiscito spesso è risultato essere un’arma a disposizione del potere politico per il raggiungimento di un determinato scopo. Per questo, investendo le ragioni della leadership e quelle del consenso della masse popolari, il voto universale può rivelarsi un campo di studio aperto ancora oggi ad approfondimenti e studi nel quale rintracciare eventuali disamine politiche particolari, individuando il ruolo simbolico che esso ha giocato sul piano della rappresentazione collettiva del potere.

 

All’idea di plebiscito viene ancora accoppiato non solo nell’immaginario comune, ma, anche nella sfera culturale, un senso di negatività indelebile che finisce per rivelarsi fuorviante e del tutto improduttivo in un ottica storiografica. Si potrebbe dire che la “fornace negativa dei plebisciti”, in non pochi casi, sembra davvero aver trascinato con se, insieme a uomini e vicende della storia Europea degli ultimi due secoli, pure l’originalità stessa delle interpretazioni storiografiche.

 

Il punto di vista generale da cui è abitudine muoversi è quello che interpreta i plebisciti quali manifestazioni di volontà popolare finalizzate non ad eleggere rappresentanti, ma a pronunciarsi su specifici atti politici, singole norme e, a volte, complessi di norme (parte di carte istituzionali ecc.). A complicare il quadro dottrinario, varie definizioni giuridiche non lo inseriscono in  tale categoria o non lo considerano, per molti versi, un istituto nel senso tecnico del termine.

 

Parte della dottrina storiografica solo recentemente ha ritenuto opportuno e non corretto scindere il plebiscito da altri istituti in base a pseudo giuridici criteri quali eccezionalità e solennità. Meno ancora si deve creare una sorta di differenza originaria di natura tra plebiscito e referendum,  per cui i quesiti plebiscitari avrebbero per oggetto fatti o eventi, mentre i referendum riguarderebbero atti normativi. Anche questa posizione è astratta e viene confutata dalla prassi: l’oggetto dei suffragi diretti o semi-diretti appare storicamente casuale e deciso da contingenti opportunità politiche.

 

Un dato di fatto è, quindi, innegabile: non solo i referendum hanno a loro volta assunto spesso carattere straordinario, ma anche la prassi plebiscitaria, in molte situazioni, non è stata occasionale ma deliberatamente proposta, arrivando a delineare interi cicli storici di medio periodo.

 

Si rifletta pure sull’intera epopea plebiscitaria dell’area italiana: essa è stata fondante non solo nel momento unitario nel secolo XIX, ma anche nel passaggio tra monarchia e repubblica durante gli anni drammatici del post seconda guerra mondiale.

 

Partendo dall’origine francese, che in una continuità storica europea fu non a caso annoverata da Niccolò Tommaseo tra «le solite imitazioni di Francia», il concetto e l’applicazione arriverà in Italia nel XIX secolo: prima come strumento consultivo nelle repubbliche napoleoniche, poi più diffusamente nei comizi popolari del 1848, lungo l’anno dell’unificazione nazionale 1860, fino ai voti nei territori di Venezia (1866) e Roma (1870), trascinando la sua pratica fino alla prima metà del XX secolo, con il fascismo e al tornante storico caratterizzato dal passaggio da monarchia a repubblica. In questa rilettura non arriveremo oltre il 1946. Ma è interessante notare che in ambito storiografico europeo vennero sollevati dei forti dubbi sul presunto taglio plebiscitario dei referendum gollisti nella V Repubblica francese (1958-1969).

 

Restando nell’area italiana, il ciclo plebiscitario (1848-1946) sembrò suffragare diritto di autodeterminazione dei popoli, principio di nazionalità e tesi che vedevano nel plebiscito il mezzo di manifestazione della volontà nazionale.



 

 

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