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N. 20 - Agosto 2009 (LI)

pIERRE TEILHARD DE CHARDIN
IL GESUITA CHE CREDEVA IN DARWIN
di Lawrence M.F. Sudbury

 

Il 24 dicembre 1859 veniva messo in commercio, in 1250 copie, Sull'Origine delle Specie per Mezzo della Selezione Naturale o la Preservazione delle Razze Favorite nella Lotta per la Vita, più noto semplicemente come L’Origine delle Specie, di Charles Darwin.  In un solo giorno tutte le copie furono esaurite: era la prima prova che le teorie evoluzionistiche, che Darwin aveva già anticipato l’anno precedente in una conferenza alla “Società Linneana” di Londra, apparivano ben più convincenti della fantasiosa storia biblica della creazione di Adamo dal fango (teoria “creazionista”).

 

In estrema sintesi, le idee di Darwin si basavano su cinque osservazioni fondamentali:

le specie sono dotate di una grande fertilità e producono numerosi discendenti che possono raggiungere lo stadio adulto;

le popolazioni rimangono grosso modo delle stesse dimensioni, con modeste fluttuazioni;

le risorse di cibo sono limitate (anche se relativamente costanti);

come conseguenza dei tre punti precedenti, è, dunque, possibile dedurre che verosimilmente in ogni ambiente vi tra gli individui una lotta per la sopravvivenza;

con la riproduzione sessuale generalmente non vengono prodotti due individui identici, ma, al contrario, la variazione è abbondante e in gran parte ereditabile.

 

A partire da questi presupposti, Darwin affermava che in un mondo di popolazioni stabili, dove ogni individuo deve lottare per sopravvivere, quelli con le “migliori” caratteristiche avranno maggiori possibilità di sopravvivenza e così di trasmettere quei tratti favorevoli ai loro discendenti. Col trascorrere delle generazioni, le caratteristiche vantaggiose diverranno dominanti nella popolazione. Lo scienziato britannico definì questo processo come “selezione naturale”.

 

Il corollario di tutto ciò era che la selezione naturale, se portata avanti abbastanza a lungo, producesse dei cambiamenti in una popolazione, conducendo eventualmente alla formazione di nuove specie (“speciazione”). Conseguentemente, Darwin immaginò la possibilità, oggi ampiamente dimostrata dalle prove del DNA, che tutte le specie viventi, uomo compreso, discendessero da un antico progenitore comune.

 

Naturalmente, già immediatamente dopo la sua pubblicazione, il testo darwiniano divenne fonte di aspre controversie, soprattutto dal momento che esso contraddiceva le allora diffuse teorie "scientifiche" di un intervento divino diretto sulla natura e contrastava con la Creazione vista secondo interpretazione letterale del libro della Genesi.

 

Sebbene Darwin fosse sostenuto da alcuni scienziati (tra i quali Thomas Henry Huxley), molti esitarono ad accettare la sua teoria a causa della scarsa chiarezza sul modo con il quale gli individui potevano trasmettere le loro caratteristiche alla discendenza (poi spiegato da Mendel), ma le critiche più dure arrivarono da uomini di Chiesa: nel 1874, il teologo presbiteriano Charles Hodge accusò addirittura Darwin di negare l'esistenza di Dio per aver definito gli esseri umani il risultato di un processo naturale piuttosto che una creazione concepita da Dio stesso. La teoria dell'evoluzione si trovava in completa contraddizione con le interpretazioni letterarie di molte leggende o storie religiose che narravano di come si fosse originata la vita terrestre; quindi, coloro che avessero accettato questa teoria avrebbero aumentato il loro scetticismo nei confronti della Bibbia o di altre fonti religiose. Come indicò Hodge, l'evoluzione non poteva essere intesa come originata da una sorgente divina e, conseguentemente, alcuni avrebbero considerato Dio una forza meno potente nell'universo.

 

La Chiesa Cattolica attese a lungo prima di pronunciarsi sulle tesi darwiniane. Di fatto, nonostante i molti commenti negativi di numerosi vescovi e sacerdoti, L’Origine delle Specie non fu mai posto nell’Index Librorum Prohibitorum, sebbene la tendenza ecclesiastico risultasse chiaramente dai numerosi attacchi verso chiunque tentasse di far sintesi tra teorie evoluzioniste e teorie creazioniste.

 

Le paure della Chiesa erano evidentemente legate alle possibili implicazioni della teoria per quanto riguardava la specie umana più che su una mancata lettura letterale del testo biblico, già a quel tempo ampiamente inapplicabile sulla base delle risultanze scientifiche. Il primo testo di una certa importanza in questo senso apparve già, seppur a livello locale, nelle conclusioni di un convegno della Conferenza Episcopale Tedesca del 1860, in cui si stabiliva che: “I nostri primi progenitori furono plasmati direttamente da Dio. Di conseguenza, noi dichiariamo che l’opinione di coloro che non temono di asserire che questo essere umano, l’uomo, per quanto riguarda il suo corpo sia in definitiva sorto dal continuo e spontaneo cambiamento della natura imperfetta verso stati di perfezionamento sempre maggiori, si pone chiaramente contro le Sacre Scritture e contro la Fede”.

 

Per il momento, il Vaticano non si espresse minimamente su questa proposizione, il che, con il classico meccanismo del “silenzio–assenso”, stava fondamentalmente a significare che era d’accordo.

Per altro, tale accordo, per quanto velato e non completamente esplicitato, emerse anche dalla V proposizione riguardante “Dio Padre” del Concilio Vaticano I (1869-70), voluto e presieduto da papa Pio IX, sotto il cui regno L’Origine delle Specie era stato pubblicato, che recita: “Se qualcuno non confessa che il mondo e tutte le cose in esso contenute, sia spirituali che materiali, sono state prodotte, secondo la loro singola sostanza, dal nulla da Dio; o ritiene che Dio non abbia creato, per sua libera volontà libera da ogni necessità, così come Egli necessariamente ama se stesso; o nega che il mondo fu creato per la gloria di Dio: sia anatema su di lui”.

 

Non è, dunque, un caso che, nei decenni seguenti una impressionate e aggressiva campagna anti-evoluzionista venisse intrapresa dal periodico gesuita La Civiltà Cattolica, da sempre, ovviamente, vicinissimo alle Santa Sede, facendo della “Compagnia di Gesù” il più strenuo assertore del creazionismo.

 

Nel 1894, una lettera ricevuta dal Sant’Uffizio, richiedeva la conferma delle posizioni della Chiesa in relazione ad un testo teologico di tono vagamente darwinista, L’Évolution Restreinte aux Espèces Organiques del teologo dominicano francese Léroy. Dopo ampi dibattiti, l’anno seguente l’Istituto vaticano diede parere contrario al testo e richiamo Fra’ Leroy a Roma per spiegargli che la sua visione era inaccettabile: il frate fece atto di sottomissione e il libro fu posto all’Indice. Ancora una volta, la grande paura degli esperti vaticani era stata quella riguardante l’evoluzione umana: Leroy aveva avanzato l’ipotesi di una “trasformazione speciale” della scimmia, che avesse instillato nell’uomo l’anima, ma il Sant’Uffizio non poteva concordare con l’idea che una tale evoluzione avesse potuto avvenire senza un intervento diretto divino che avesse anche plasmato la “forma” dell’uomo.

 

L’anno seguente,  John Augustine Zahm, un noto prete Americano della “Congregazione della Santa Croce”, già professore di fisica e chimica alla Università Cattolica di Notre Dame, in Indiana, e Procuratore Generale del suo Ordine a Roma, publicò Evolution and Dogma, in cui si affermava che gli insegnamenti della Chiesa, la Bibbia e l’evoluzionismo non erano in contraddizione: anche il suo testo dovette essere “abiurato” e messo all’Indice, mentre il povero Zahm fu rimandato negli Stati Uniti, “retrocesso” a Superiore Provinciale dell’Ordine. Il suo testo, però, aveva già avuto una certa diffusione: Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, arrivò addirittura a scriverne una prefazione per l’edizione italiana, ma, naturalmente, anch’egli dovette ritrattare le sue conclusione nel 1889.

 

E’ in questo clima che si pone il fondamentale contributo teologico di padre Telhard de Chardin.

 

Chi era padre Telhard?

Nato in Alvernia nel 1881, per buona parte della sua vita, nonostante studi teologici compiuti a Hastings nel Sussex (dal 1901 le famigerate Leggi Waldeck-Rousseau sul controllo statale delle proprietà ecclesiastiche avevano obbligato numerosi religiosi a rifugiarsi all’estero per studiare), studi che mostrano già una notevole affinità elettiva con il pensiero del Bergson di L'Évolution Créatrice, potremmo parlare di lui più che altro come di un antropologo dell’Ordine Gesuita (in cui era entrato nel 1899) di notevole livello. Dal 1912 al 1914, infatti, quello che, più tardi, verrà definito “il gesita proibito”, lavorò nel laboratorio paleontologico del “Musée National d'Histoire Naturelle” di Parigi, specializzandosi nello studio dei mammiferi del terziario, poi, lavorando con il professor Boule sui resti del cosiddetto “Uomo di Piltdown” (che risultò poi non essere, come sperato, un ominide), passò alla paleontologia umana, che lo portò  a condurre con Henri Breuil scavi alla caverna del Castillo in Spagna e, dal 1923, dopo la parentesi di un eroico servizio militare durante la I Guerra Mondiale, a studiare in Cina, dove fu tra gli scopritori dell’“Uomo di Pechino”.

 

Insomma, un geniale scienziato, più attento alla storia dell’evoluzione che alla speculazione su Dio.

 

Eppure, Teilhard de Chardin passò alla storia come uno dei più grandi teologi del ‘900, grazie soprattutto ad un’opera piuttosto tarda, Il Fenomeno Umano del 1938, preceduta, nel 1927, dal meno noto ma non meno importante testo L’Ambiente umano.

 

In essi, Teilhard tenta un’impresa quasi impossibile per i tempi: la congiunzione di scientificità e riflessione teologica sulla base di  un naturalismo che non è solo osservazione di ciò che è il dato visibile della realtà naturale, ma è anche la percezione di un sensibile che nasconde e nello stesso tempo rivela la divinità.

 

Scienza e fede, così, si incontrano, e qui sta la sua grande intuizione, in quello che il gesuita definisce “Punto Omega”, uno snodo che si rintraccia solo a partire dalla teoria evolutiva, principio ermeneutico di tutta la filosofia teologica teilhardiana: egli è il primo che interpreta la prospettiva evoluzionistica avanzata da Darwin come processo non già privo di finalità specifiche, bensì governato da Dio, dando vita ad una specie di "evoluzionismo finalistico".

 

Sostanzialmente, dopo aver citato le opere di Eddington, di Huxley e di Darwin, Teilhard si meravigliò nel notare la debolezza delle basi su cui vengono fatte poggiare, in un periodo che vede la fine del positivismo e la morte delle certezze in un “futuro progressivo”, le loro anticipazioni del futuro. Così, alla concezione materialistica del darwinismo e del positivismo, egli oppose una cosmologia che assumeva sì il principio dell'evoluzione, anzi lo estendeva alla realtà spirituale, ma non sottoposta al puro determinismo e al puro materialismo.

 

La storia universale è la storia di un movimento globale, ontologico, del cosmo, un movimento che perdura, perché la natura è “divenire”, è “farsi” e il suo movimento passato è l'evoluzione fin qua, ordinata in una progressione di forme sempre più complesse e perfezionate, che include anche l'anima umana.

 

Ma la domanda di fondo è quale possa essere il motore profondo del continuo perfezionamento delle forme di vita: Teilhard nota come la trasformazione morfologica degli esseri si sia rallentata proprio quando sulla Terra si è sviluppato il pensiero e ciò, unito all’osservazione che la direzione costante dell'evoluzione biologica è stata quella dello sviluppo cerebrale e della conseguente maggior coscienza, fa sì che egli risponda ipotizzando che forse il motore dell'evoluzione è stato il “bisogno” di pensare e che, quindi, l’evoluzione, quanto a nuovi esseri e nuove forme, si sia fermata una volta raggiunto il proprio scopo di creazione del cervello pensante e che, da quel momento in poi, procederà solo se la coscienza umana si svilupperà fino a percepirsi come motore di un movimento che non sarà più, come per il passato, tutt'uno con la trasformazione delle forme materiali, ma tutt'uno con il movimento autocosciente del pensiero.

 

E’ l’uomo, conseguentemente, l’unico che può far proseguire lo sviluppo evolutivo, rendendosi conto del valore biologico e morfogenetico dell'azione morale e rilevando la natura organica dei legami interindividuali. In questo può esistere fede nell’avvenire: l’uomo è l’erede della sua stessa evoluzione e ogni uomo che agisca alla massima coscienza possibile, sapendo che ogni sua scelta ha una ripercussione su miriadi di secoli e di esseri viventi, sente le responsabilità e la forza di un Universo intero.

 

E vi è una sorta di “azione collettiva” che si basa sulla moltitudine degli atti individuali, cosicché, se anche la monade umana è da tempo costituita, ciò che continua a svilupparsi è l'assimilazione dell'universo da parte della monade, fino a creare un pensiero umano omogeneo e strutturato. Rispetto ai suoi antenati, tra l’altro, l’uomo può oggi più facilmente rendersi conto dei legami con i suoi simili e con la natura e questa presa di coscienza allarga la sua personalità e il suo corpo reale con innumerevoli prolungamenti.

 

In definitiva, la materia, secondo Teilhard, porta “ab initio” la "coscienza" come principio organizzativo e ciò fa sì che l'evoluzione non sia processo solo deterministico, ma anche fondamentalmente teleologico: l'evoluzione dalla pre-vita (mondo inorganico) alla vita (“biosfera”) tende alla produzione del mondo dell'uomo e del pensiero (“noosfera”) , come al suo fine ultimo. L'uomo non è però il punto finale: l'universo e l'uomo tendono a quello che viene dal gesuita definito come punto Omega, costituito dal Cristo cosmico, punto di aggregazione di tutta l'umanità.

 

Quali sono i grandi passi avanti di tutta la teorizzazione di Teilhard?

 

Innanzitutto, viene superata la dicotomia cartesiana tra spirito e corpo, nel momento in cui il reale si caratterizza non per la presenza di due tipi diversi di fenomeni, la mente da una parte e il corpo dall'altra, ma di una sola sostanza. Si tratta di un elemento fondamentale: secondo Hans Jonas, ebreo, allievo di Heidegger e autore di diverse pubblicazioni nell'ambito dell'antropologia filosofica, con la rivoluzione scientifica e l'impostazione del dualismo cartesiano, il pensiero occidentale si era fin qui caratterizzato per la separazione tra uomo e natura, una separazione che spiega lo scarso interesse che si avvertiva per il mondo circostante e la mancanza di un impegno etico e sociale, mentre finalmente, con Teilhard, il rapporto tra l'uomo e la natura viene ripensato e recuperato studiando biologicamente gli organismi, comprendendo sino in fondo, come mai era stato fatto, il principio della vita, che si manifesta a partire dal mondo organico, che prefigura lo spirito sin dalle sue forme più elementari, per arrivare alle sue manifestazioni più alte, all'uomo, cosicché l’innaturale disagio nel vedere  il corpo come servo dell'anima viene a cessare nel momento in cui si scopre il valore esaltante ed onnicomprensivo dell'evoluzione.

 

In secondo luogo, certamente cruciale è la visione dell’evoluzione umana all’interno della evoluzione globale: a nulla valgono, sostiene Teilhard, e qui sta la sua vera e convinta adesione al programma della scienza, i tentativi dei “conservatori” che continuano a considerare i naturalisti responsabili di una “teoria perversa” come quella riguardante l'evoluzione quando la fisica nucleare, la fisica siderale, la chimica “sono adesso e sempre maggiormente evolutive, a loro modo s'intende. E almeno altrettanto lo è l'intera storia della civiltà e delle idee”.

 

Ciò che fa nascere la vita è l'organizzazione delle sostanze in modo da assumere la capacità di auto-esistere nello scambio con l'esterno e quella del vivente, al contrario di quella del non vivente, è un'esistenza aperta, nel senso che l'essere vivente è in un continuo rapporto con l'esterno. Così, il pensiero autocosciente dà vita alle diverse culture umane, da cui scaturisce un'ulteriore processo evolutivo che conduce alla tappa finale dell’umanità, quella “Supervita” rappresentata dall'unione dei cervelli che porterà ad un mondo sempre più integrato: come le cellule che unendosi e raggiungendo un certo grado di complessità hanno dato forma e vita al cervello, così le persone, organizzate ed integrate, daranno origine ad un mondo sempre più unito ed omogeneo, capace di trasformarsi nella pienezza dell'amore di Dio, di un Dio che è l'esito finale dell'evoluzione, che non è un'entità impersonale ma una “superpersona”, che “sintetizza la folla degli altri amori della Terra” e che Teilhard pone non tanto all'inizio quanto alla fine della storia dell'universo, come apice di attrazione di tutta la realtà.

 

Qui sta, probabilmente, la grande apertura intellettuale del Teilhard teologo che sa far condividere la visione evolutiva laica con la visione teologica: l’aspetto centrale di tale apertura è questa “spiritualizzazione progressiva della Materia», che si esplica nella prefigurazione di un Punto Omega come compimento e sintesi di tutti gli enti del mondo, il quale progressivamente si unisce con Dio, che diventa il “Dio tutto in tutti

 

L'ipotesi della presenza di “Dio tutto in tutti” non poteva non provocargli accuse di panteismo sul piano dell'ortodossia e Teilhard, rendendosene conto, in una delle ultime pagine de Il Fenomeno Umano rilancia affermando che si tratta di un panteismo legittimo: “Se, in fin dei conti, i centri riflessi del mondo non costituiscono effettivamente altro che ‘uno con Dio’, tale stato si ottiene non per identificazione (Dio che diventa tutto), ma per azione differenziante e comunicante dell'amore (Dio tutto in tutti), il che è essenzialmente ortodosso e cristiano”.

 

Non gli basterà.

 

Già nel 1925, Teilhard aveva ricevuto ordine dal Superiore Generale gesuita Vladimir Ledochowski di non diffondere le sue idee, già chiaramente favorevoli all’evoluzionismo, attraverso l’insegnamento in Francia e di firmare un documento in cui  “abiurava” alcune sui idee “negatrici” del peccato originale. Per non abbandonare l’Ordine, Teilhard aveva obbedito, firmando e partendo per la Cina.

 

Ma molte altre condanne da parte di alte cariche ecclesiastiche dovevano seguire, prolungandosi anche ben oltre la morte del teologo francese (avventa a New York nel 1955), fino all’apice raggiunto nel 1962 con un “monitum” di denuncia dei suoi lavori da parte del Sant’uffizio, in cui, tra l’altro, si legge: “Le summenzionate opere abbondano di tali ambiguità e, in verità, persino di tali seri errori così da offendere la dottrina cattolica.  Per questo, gli eminentissimi e reverendissimi Padri del Sant’Uffizio esortano tutti gli Ordinati e i Superiori degli Istituti religiosi, i Rettori dei Seminari e i Presidenti delle Università a proteggere le menti, in special modo dei giovani, contro i pericoli rappresentati dalle opere di Fr. Teilhard de Chardin e dei suoi seguaci.

 

Gli scritti di Teilhard continuarono, comunque, a circolare, sebbene non pubblicamente dal momento che egli aveva fatto immediatamente atto di obbedienza e sottomissione all’Ordine, sia negli ambienti gesuitici che tra teologi e studiosi, che ne fecero ampio argomento di discussione.

 

Con il passare del tempo, parve che la posizione ecclesiastica si attenuasse, tanto che il 10 giugno 1981 il Cardinal Agostino Casaroli scrisse, a proposito di Teilhard de Chardin, sull’“Osservatore Romano”: “Ciò che i nostri contemporanei certamente ricorderanno, al di là delle difficoltà concettuali e delle deficienze espressive di questo audace tentativo di sintesi, è la testimonianza della coerenza di vita di un uomo posseduto da Cristo nel più profondo dell’anima. Il suo interesse era quello di onorare insieme fede e ragione e, in questo, egli anticipò la risposta all’appello di Giovanni Paolo II: ‘Non abbiate paura, aprite, aprite le porte a Cristo degli immensi domini della cultura, della civiltà e del progresso”. In effetti, però, poco dopo, la Santa Sede, rese chiaro che le recenti affermazioni di alcuni membri della Chiesa, in particolare quelle fatte in occasione del centenario della nascita di Teilhard, non dovevano essere intese come una revisione delle posizioni assunte ufficialmente dal Sant’Uffizio, cosicché la condanna del 1962 ancora sussiste a tutt’oggi e, sebbene alcuni intellettuali cattolici, quali Henri de Lubac, abbiano difeso le idee del “gesuita proibito”, la gran parte della “intellighenzia” legata al culto romano (da Jacques Maritain a Étienne Gilson e Dietrich von Hildebrand) ha continuato a stigmatizzare tali idee come una perversione della fede cristiana.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

L. Barion, P. Leroy, La Carriera Scientifica di Pierre Teilhard de Chardin, 1964

H. De Lubac, Teilhard de Chardin: The Man and his Meaning, Hawthorn Books 1965

R. Faracy, Theilard de Chardin: la Dottrina Spirituale, Ed. Ancora, 1981

H. Jonas, Organismo e libertà. Verso una Biologia Filosofica, Einaudi, Torino, 1999

D. Lane, The Phenomenon of Teilhard: Prophet for a New Age, Mercer University Press 1996

B. Razzotti, Teilhard de Chardin. Dalla Materia al Verbo, Edizioni Messaggero 1999

Sacra Congragazione del Sant'Uffizio, Monito Riguardo agli Scritti di Padre Teilhard de Chardin, Ed. Vaticana 1962

P. Teilhard de Chardin, Il Fenomeno Umano, Queriniana, Brescia, 1995, p. 83.

P. Teilhard de Chardin, L'avvenire dell'Uomo, Il Saggiatore, Milano, 1972, p. 443.

G. Vigorelli, Il Gesuita Proibito. Vita e Opere di Pierre Teilhard de Chardin,  Matarò 1964



 

 

 

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