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N. 36 - Dicembre 2010 (LXVII)

Pier Paolo Pasolini
luci e ombre sulla sua morte

di Giuseppe Formisano

 

Pier Paolo Pasolini viene considerato ancora oggi uno dei più lucidi e lungimiranti intellettuali, dal dopoguerra sino alla metà degli anni settanta. Non fu mai reticente nei confronti della società borghese italiana dominata dalla Democrazia Cristiana, ma allo stesso tempo, non risparmiò critiche alla sinistra nonostante fosse un tesserato del PCI, il Partito Comunista Italiano.

 

In alcuni casi si inimicò anche la cosidetta sinistra “extraparlamentare”, (i giovani che stavano più a sinistra del PCI) come in occasione dei celebri scontri di Valle Giulia, a Roma, del primo marzo 1968, scoppiati tra i reparti della polizia e giovani studenti della facoltà romana di Architettura. Dopo tali episodi scrisse la poesia Il P.C.I. ai giovani!! scatenando una forte polemica. Nel testo poetico Pasolini si rivolse ai giovani dicendo che la loro era una falsa rivoluzione e che erano solamente dei borghesi conformisti, strumenti nelle mani della nuova borghesia. Pasolini scrisse: “Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché loro sono figli di poveri! Vengono da periferie, contadine o urbane che siano”.

 

Sempre duro nei confronti della destra, a volte fu abbandonato anche dalla sinistra, come avvenne nell’ottobre del 1949: denunciato per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico, i suoi avversari politici sfruttando lo scandalo lo accusarono di omosessualità mentre i dirigenti del PCI di Udine decisero di espellerlo.

 

 Nella notte tra l'1 e il 2 novembre 1975 Pasolini venne ucciso in maniera brutale: battuto a colpi di bastone e travolto con la sua auto sulla spiaggia dell'idroscalo di Ostia, località del comune di Roma. L'omicidio fu attribuito ad un ragazzo diciassettenne di Guidonia, Pino Pelosi, detto “la rana”, che prontamente si dichiarò unico colpevole.

 

Pelosi raccontò di essere stato adescato dal poeta quella sera e, dopo che questi gli offrì una cena, lo invitò in auto ad avere dei rapporti sessuali. Ad un certo punto il ragazzo voleva fuggire e Pier Paolo, sempre stando a ciò che raccontò il ragazzo, lo trattenne con la forza. Ci fu un breve scontro a mani nude fuori dall’abitacolo, fin quando Pelosi lo colpì violentemente con una tavoletta di legno trovata a terra. Pelosi fuggì verso la macchina abbandonando Pier Paolo moribondo, lì da solo, proprio come i personaggi popolari dei suoi romanzi, come le vittime delle bombe di Stato su cui lui aveva scritto.

 

Dal referto dell’autopsia emerse che il suo cuore fu schiacciato, e che aveva dieci costole spezzate. Il giovane quando mise in moto l’auto, involontariamente, passò con le ruote sul corpo dello scrittore.

 

 La condanna di primo grado di giudizio nell’aprile del ’76, sentenziò che Pelosi era colpevole di omicidio volontario (pena di 9 anni e 7 mesi di reclusione), però con concorso di persone rimaste ignote. Nel 1979 la Cassazione confermò l’omicidio volontario, ma questa volta senza il concorso di persone ignote. Caso chiuso. Pelosi è l’unico colpevole, ma ci sono tanti dubbi. Di chi era il maglione ritrovato nell’auto di Pasolini? Non era di Pelosi, e stando a quanto dichiarato da Graziella, cugina e coinquilina del poeta, non era neanche di Pier Paolo. Di chi era quel plantare ritrovato accanto al maglione? Né il giovane né Pasolini portavano plantari ai piedi. E ancora: Perché la camicia di Pasolini sporca del suo stesso sangue non fu ritrovata vicino al corpo, ma a metri di distanza dietro una porta di un campetto di calcio lì vicino? Chi la portò lontana dal cadavere? Per gli avvocati difensori il giovane quella notte non era da solo, ma lui da subito sostenne il contrario.

 

Pelosi ha mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza fino al maggio 2005, quando, nel corso di un'intervista televisiva del programma RAI “Ombre sul giallo”, affermò di non essere stato l'autore del delitto, dichiarando che l'omicidio sarebbe stato commesso da altre tre persone. Stando alla nuova ricostruzione, i fatti si sarebbero svolti nel seguente modo: mentre i due sedevano in macchina Pelosi uscì per urinare, ma all’improvviso fu fermato e minacciato da un uomo, contemporaneamente altre due persone massacravano di botte Pasolini. Nel buio il ragazzo non riuscì a vedere i volti di queste persone, riuscì solo a notare che avevano un accento siciliano o calabrese, e che molto probabilmente erano fascisti (chiamavano Pasolini “frocio comunista”!). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa sua verità per timore di mettere a rischio l'incolumità della propria famiglia.

 

Il giovane ricevette minacce di morte. Se avesse parlato avrebbero ucciso lui e la sua famiglia, ora però, con i suoi cari defunti ormai da anni ha deciso di svelare la verità. Dopo aver osservato senza poter far nulla come gli aggressori percuotevano con una ferocia inaudita Pasolini, quando questi si furono allontanati, Pelosi, in uno stato di tremendo spavento, salì nell’auto dello scrittore, e, come già detto, gli schiacciò il torace involontariamente nell’operazione di manovra, e fuggì via.

 

Così terminò la vita di un uomo dalla mente raffinata e sempre lucida nei suoi giudizi, un uomo scomodo, ucciso come una bestia.

 

Pasolini morì, la sua voce fuori dal coro fu messa a tacere per sempre, lì nel buio dell’idroscalo di Ostia.

 

Alcuni hanno accostato la sua uccisione all’episodio della scomparsa delle pizze (i contenitori rotondi delle pellicole cinematografiche) avvenuta qualche giorno prima della sua morte: il registra stava lavorando per la realizzazione di un film sulla morte di Enrico Mattei (imprenditore, presidente dell’ENI dal 1953 al 1962), altro mistero italiano.

Lo stesso Pasolini si interessò molto alla figura di Mattei, una delle sue ultime opere fu un romanzo dal titolo Petroli che uscì solo, incompleto, nel 1992.

La morte di Pasolini è direttamente connessa con la sua indagine su quella di Mattei?

 

Speriamo che questi interrogativi trovino risposte in futuro.


 

 

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