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ARTE


N. 91 - Luglio 2015 (CXXII)

Paul Cézanne
Una pittura filosofica

di Maria Vittoria Comacchi

 

Si dice che da Cézanne discenda ogni linguaggio pittorico della nostra epoca, tale è stata la forza della sua arte, della sua creazione.

 

Non è un caso allora se, a soli quattro mesi dalla sua morte, al Salon d’Automne, gli fu dedicata una retrospettiva commemorativa, sebbene fosse stato per molti anni rifiutato tanto da passare buona parte della sua vita lontano da ogni forma di mondanità. In occasione dell’esposizione pittorica nel Salon d’Automne a Parigi molti artisti s’innamorarono dell’opera del maestro francese. Tra questi il poeta Reine Maria Rilke che vide in Cézanne colui in grado di rendere visibile l’invisibile, di dare consistenza all’inafferrabile e i giovani Braque e Picasso.

 

Tuttavia, l’eredità cézanniana non fu lasciata solo al cubismo, come dichiarato da Léger, ma anche a Matisse che parlava di Cézanne come del «padre di tutti noi», a Modigliani, il quale s’incantò di fronte agli acquarelli del pittore francese esposti alla galleria Bernheim-Jeune, a Kandinskij e a Giorgio Morandi, senza parlare dei collezionisti Vollard, Fabbri e Stein.

 

Non vi è dubbio quindi dell’influenza esercitata da Cézanne sulle generazioni successive di pittori. Tuttavia, si consideri anche quanto Cézanne stesso sia stato debitore del passato e più nello specifico dell’impressionismo. Certamente a Cézanne gli impressionisti insegnarono che «la luce non è più unica, ma ha effetti multipli», come scriveva Zola, ma anche l’autonomia dei colori e la predilezione per le lievi pennellate. L’impressionismo di fatto rappresentò in pittura il modo con cui gli oggetti, tramite la luce, colpiscono i nostri sensi, proprio come in Italia i macchiaioli lo fecero attraverso la “macchia”.

 

Eppure Cézanne, nonostante l’eredità ricevuta dall’insegnamento impressionista, sembra aver voluto recuperare l’oggetto nella sua solidità, restituendone piuttosto la materialità, affinché tutto il corpo – sia quello del pittore che quello dell’osservatore – si potesse relazionare con la pittura: «noi vediamo la profondità, il vellutato, la morbidezza, la durezza degli oggetti – Cézanne dice perfino: il loro odore», scrive di lui filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, suo grande estimatore.

 

Così gli oggetti dipinti da Cézanne non appaiono perdersi in giochi di luce e di ombre, non sono prigionieri dell’accostarsi di colori complementari o di macchie: l’oggetto non riflette più la luce, è esso stesso a irradiarla grazie al colore da cui nasce. Il colore divenne così per Cézanne l’unico mezzo pittorico in grado di rendere vivi gli oggetti.

 

Non solo Cézanne adottò il colore come strumento per restituire la presenza dei corpi, ma si servì nelle sue tele anche di molteplici punti prospettici. I dipinti di Cézanne quindi, abbandonando la prospettiva artificiale, perdono la visione monoculare in cui il punto di vista è assoluto, dove gli oggetti sono disposti secondo linee convergenti in un unico punto di fuga.

 

Per questo motivo il filosofo Merleau-Ponty ha giustamente trovato in Cézanne e nella sua espressione pittorica “il mondo primordiale”, le cose nella loro materialità di cose, le cose come esse sono, un mondo privo di sovrastrutture, che non conosce né un soggetto padrone del cosmo, ordinatore delle cose e dominatore del creato, né un oggetto schiavo di questo stesso soggetto.

 

È così possibile individuare l’autonomia di Cézanne rispetto al passato impressionista e comprendere pienamente il perché fu così amato da pittori come Picasso e Modigliani. Il pittore provenzale non s’interessò infatti di come la retina del soggetto risultasse impressionata dagli oggetti e di come, di conseguenza, l’Io si rappresentasse il mondo. Il soggetto per Cézanne non fu mai sentito al di sopra delle cose, del mondo, piuttosto, come suggerisce Merleau-Ponty, così in linea con il pensiero pittorico di Cézanne, Cézanne lo pensò nel mondo, parte delle cose. Dunque è chiaro il perché Merleau-Ponty, fenomenologo novecentesco, abbia ritrovato nelle opere del pittore di Aix-en-Provence un mondo pre-umano, «senza familiarità, in cui non ci si trova bene, che vieta ogni effusione umana», come annota in Senso e non senso.

 

Questa mancanza di familiarità riscontrabile nei dipinti di Cézanne diviene indice di una profondità dell’Essere che getta il soggetto, l’Io o più semplicemente l’uomo, perduta ormai ogni sua superiorità, nella più totale insicurezza. Il soggetto si scopre appartenere, tanto quanto l’oggetto, a ciò che è stato definito “Essere Grezzo”, alla medesima dimensione carnale: «visibile e mobile, il mio corpo […] è preso nel tessuto del mondo, [...] le cose sono un suo annesso o un suo prolungamento, sono incrostate nella sua carne, [...] il mondo è della medesima stoffa del corpo», afferma Merleau-Ponty nel suo saggio L’occhio e lo spirito.

 

Nella pittura cézanniana si pone così fine a ogni residuo di dualismo, all’immagine del mondo come rappresentazione del soggetto. La visione non procede più solo dal soggetto all’oggetto, ma anche dall’oggetto al soggetto, diventando rapporto chiasmatico, immagine di reversibilità. Come soggetti ci scopriamo visibili, ancor prima che vedenti, perché immersi nella luce. Ecco perché, potremo dire seguendo le parole di Merleau-Ponty in L’occhio e lo spirito, «tanti pittori hanno detto che le cose li guardavano». Cézanne ha perciò mostrato che non sussiste differenza alcuna tra soggetto e oggetto, tra ciò che prima era detto solo vedente e ciò che prima era conosciuto soltanto come visibile.

 

La pittura cézanniana permetterebbe quindi di cogliere il momento in cui le cose diventano, la loro costante metamorfosi, indipendentemente dall’essere soggetto o oggetto. Attraverso le molteplici prospettive, il predominare di tutti i singoli corpi sulla tela e attraverso la dimensione del colore Cézanne apre le porte al tempo, gettandoci nel baratro della dimensione istantanea in cui niente rimane ciò che è.

 

Possiamo quindi ritenere che Cézanne, forse più di altri artisti, abbia celebrato in pittura quello che Merleau-Ponty definisce “l’enigma della visibilità”, ma non è stato il solo. Prima di lui altri maestri hanno reso, magari inconsapevolmente, «accessibile ai più umani tra gli uomini lo spettacolo di cui facevano parte senza saperlo», come scrive ancora una volta Merleau-Ponty.

 

Si pensi a Michelangelo e alla torsione dinamica, drammatica ed esasperata dei corpi voluminosi nei suoi dipinti e affreschi, o a Caravaggio, il quale s’immortalò con autoritratti in più dipinti, quasi volesse restituire il suo volto quale appare agli altri, al mondo. Come suggerisce Merleau-Ponty in Segni, essi «operavano la metamorfosi di cui la pittura è divenuta cosciente più tardi».

 

Passando all’età romantica, si consideri invece Géricault, il quale nel Derby di Epsom, ad esempio, ritrae cavalli in corsa, i quali, pur non correndo certo come svelò la fotografia più tardi, appaiono paradossalmente correre in maniera più vera di quelli di una fotografia di Muybridge. Così anche Auguste Rodin, contemporaneo di Cézanne, affermò che ciò che dà movimento in scultura sono le incongruenze anatomiche, il sommarsi di visioni prospettiche e di tempi.


Ecco quindi che, riprendendo ancora il filosofo francese, possiamo affermare che tutte le età pittoriche non indagano se non “l’enigma della visibilità”, restituendo l’invisibile, mostrando come le cose si fanno cose o come il mondo si fa mondo.



Riferimenti bibliografici:

 

Lapenta S. (a cura di), Cézanne - La vita e l’arte, I capolavori, in I Classici dell’Arte, Milano, Rizzoli-Skira, 2003

Lanfredi R., Divenire di Merleau-Ponty, Filosofia di un soggetto incarnato, Milano, Guerini e Associati, 2011.

Merleau-Ponty M., Fenomenologia della percezione, trad. it. di A. Bonomi, Milano, Il Saggiatore, 1965

Id., L’Occhio e lo Spirito, trad. it. a cura di A. Sordini, Milano, SE, 1989

Id., Segni, trad. it. di G. Alfieri, a cura di A. Bonomi, Milano, Il Saggiatore, 2003

Id., Senso e non Senso. Percezione e significato della realtà, trad. it. a cura di P. Caruso, Milano, Il Saggiatore, 2004

Vitale S. (a cura di), Il dubbio di Merleau-Ponty – L’arte e l’invisibile, Firenze, Clinamen, 2005

Id. (2007), “Si prega di chiudere gli occhi”. Esercizi di cecità volontaria, Firenze, Clinamen



 

 

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