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N. 51 - Marzo 2012 (LXXXII)

orizzonti di gloria
memoria della grande guerra - parte VII
di Gianluca Seramondi

 

Paths of Glory ha deciso sistematicamente di mantenere nell'invisibilità tutti i fattori che contribuiscono in un modo o nell'altro ad in-formare la diegesi: sia le cause degli eventi narrati, sia le condizioni in cui questi eventi accadono.

 

"Mantenere nell'invisibilità", tuttavia, non ha affatto il significato di ignorare o di soprassedere.

 

L'invisibilità, infatti, è richiamata nell'ambito del visibile ed in maniera ancor più pressante di quanto avverrebbe con una sua piena ostensione giacché quanto rimane dietro il velo, quanto rimane di là dell'inquadratura, è portato alla presenza attraverso un procedimento che ricorre in tutte le situazioni sopra attraversate. Mi riferisco alla metonimia, una figura retorica che fonda la propria azione su di un rapporto di contiguità, di prossimità, tra il termine in praesentia e quello in absentia, una contiguità che, sul piano linguistico, esprime l'appartenenza dei due termini ad uno stesso campo semantico. In tal modo "...la metonimia attua una interdipendenza fra il termine traslato (termine in praesentia) e quello profondo (in absentia)" (Angelo Marchese, 1995, p. 191).

 

Così, l'aereo è parte della tecnologia militare (che a rigore è una sineddoche, ma per Jakobson quest'ultima figura retorica è essa stessa una metonimia poiché prevale una relazione sintagmatica tra i termini. Ibidem, p. 186), l'ordine è effetto di un potere, la paura di morire rientra nel campo semantico delle armi utilizzate in guerra, i rumori durante l'attacco sono causati dall'artiglieria.

 

Visibile e invisibile, dunque, non sono affatto settori contrapposti del reale, compongono, invece, un unico campo ontologico e semantico al cui interno, tuttavia, si situano secondo valori affatto diversi. Il visibile, infatti, è e rimarrà una produzione tout court dell'invisibile. La strategia di Kubrick è ora chiara. Se il titolo e la voce off garantivano uno sfondo storico che porta verosimiglianza alla storia narrata, le sequenze che compongono la prima parte del film si intrecciano tra loro secondo un ordine che, spostando in secondo piano la cronologia del primo conflitto mondiale - la sequenza di "fatti" che ha costituito la Prima Guerra Mondiale -, permette paradossalmente, di ricondurre in primo piano la Grande Guerra stessa nel senso ben preciso di evento storico che ha strutturato una certa esperienza, che ha prodotto una certa soggettività.

 

Dal punto di vista diacronico, la torsione è stata raggiunta attraverso la messa in sequenza di occorrenze della morte che formavano una linea ben precisa che dall'attivo del verbo uccidere, preceduto da un discorso incentrato sul valore della vita, in cui la morte, di conseguenza, era di fatto esclusa perché sublimata all'interno di una certa mitologia della morte in battaglia, si risolveva infine nella forma passiva dello stesso verbo, dapprima solo a livello di parola, poi a livello di realtà, infine a livello di esperienza.

 

Dall' "uccidere" all'"essere ucciso" vi è una modificazione essenziale: l'agente è dapprima presente, mentre alla fine è assente, rivelato solo dalle parole dei due soldati. Dal punto di vista sincronico, quindi, la torsione è stata ottenuta essenzialmente attraverso il meccanismo della metonimia che ha portato le informazioni della voce off  fuori dell'inquadratura ma per farle rientrare nella diegesi in absentia come complemento necessario e performante di quanto contemplato dall'inquadratura stessa.

La dissolvenza al nero che chiude la prima sezione del film, allora, non è gratuita, non è una interruzione meramente formale del racconto, il cui fine è concedere un respiro, una pausa.

 

Essa, piuttosto, chiude realmente un movimento, ne segna la conclusione e, dunque, il compimento. E il movimento deciso è quello proprio di un passaggio del testimone. Alla Storia come sfondo verosimile del racconto, il film porgerà d'ora in poi la direzione del proprio sviluppo. Il quale, se lo si volesse tradurre graficamente, si conformerà come una spirale che dalla sua ultima e ampia spira ritornerà verso la propria origine.

 

Unità e implosione dello spazio. Gli effetti dell'azione della Storia si paleseranno già a livello di spazio e di tempo. Si ritorni alla voce off. Ad una prima parte scandita da indicazioni cronologiche che restituiscono il procedere incalzante degli avvenimenti, subentra un quadro in cui a dominare è la dimensione spaziale. In questa seconda parte, i riferimenti cronologici - "1916" e "dopo due anni" - più che ridare il tempo come immagine del movimento, offrono un tempo che, nel suo avanzamento meccanicamente cronologico, si è staccato dallo spazio e, soprattutto, si è svuotato di ogni contenuto riconducibile a situazioni umane.

 

Il tempo rimane al più come forma pura, la quale, tuttavia, non pare organizzare alcunché. I riferimenti spaziali, di contro, acquistano maggiore importanza: dal carattere zigzagante della trincea a quelle vittorie misurate in centinaia di metri e con migliaia di vite, in cui il contrasto tra la pochezza del territorio conquistato e le migliaia di vite umane uccise in quei pochi metri offre l'immagine tattile della tragedia che si compieva sui fronti della Grande Guerra nell'ambito di una guerra di trincea.

 

Paths of Glory registra uno spazio che deve all'azione dell'invisibile i propri tratti dominanti. È innanzitutto uno spazio unico e concluso, il cui perimetro è un limite invalicabile. Il Formicaio rappresenta un termine all'espansione dello spazio. Non è dunque una meta, un obiettivo, bensì un momento terminale che chiude l’apprensione di ogni oltre. Così, durante la sequenza dell'attacco, il punto di vista delle inquadrature, che è quasi sempre schiacciato al suolo o, comunque, diretto al suolo - anche e soprattutto, nella inquadratura a plongee iniziale sulla fuoriuscita delle truppe dalla trincea -, non apre mai al cielo e laddove incontra il Formicaio lo innalza come un massiccio inviolabile.

 

All'altro capo, in una presumibile opposizione al Formicaio, il castello, sede del quartier generale di Mireau, dal canto suo, rappresenta anch'esso un termine ultimo, così come lo è il Formicaio. Non a caso, infatti, le inquadrature del giardino antistante il castello, sono delle esterne solo formalmente - letteralmente, giacché mai mostrano uno spazio al di fuori del giardino, se non in un fugace istante durante la sequenza d'apertura, quando si intravede l'automobile che condurrà Broulard da Mireau. Il castello da un lato e il Formicaio dall'altro dunque concludono lo spazio del racconto - della guerra, dunque - rescindendolo in via definitiva dallo spazio della vita, per così dire, laica.

 

Come si diceva sopra, tuttavia, questa chiusura dello spazio è causata anche dall'azione dei fattori che compongono l'invisibile. In questa prospettiva, il castello e il Formicaio sono falsi confini, poiché il confinamento è in realtà ottenuto dalla tensione delle forze che dirigono la vicenda. Che la tecnologia bellica sia la causa reale dell'impossibilità di raggiungere il Formicaio, lo afferma con vigore la sequenza dell'attacco e, in particolare, la descrizione dell'avanzamento dei fanti francesi. Kubrick narra l'attacco utilizzando spesso carrelli laterali, i quali, procedendo paralleli all'incedere dei soldati, escludono dalla vista il fine della loro azione, a sottolineare quella preclusione dell'obiettivo militare causata dalla pressione esercitata dall'artiglieria tedesca.

 

La nuova e tremenda tecnologia bellica, tuttavia, non assurge a potenza metafisica. In questa stessa sequenza dell'attacco, infatti, il potere militare francese è chiaramente corresponsabile in quanto reo di non aver compreso fino in fondo la realtà bellica della trincea. Come si diceva là dove si commentava la voce off, la storia narrata in Paths of Glory, si inserisce tra due date assolutamente centrali della strategia militare. Soprattutto si inserisce in un momento storico in cui la strategia movimentista doveva rovinosamente cadere di fronte all'immobilità strutturale della guerra di trincea.

 

La dottrina militare francese è esposta, con una precisione notevole, nella sequenza in cui Dax informa gli ufficiali della tattica da seguire durante l'attacco:

«Dax: "L'artiglieria inizia alle 5 e 15. Il primo battaglione inizierà alle 5 e 30. Quando il gruppo di testa avrà aperto un varco nel reticolato nemico, uscirà la seconda ondata formata dal secondo e dal terzo battaglione, meno due compagnie di riserva. In nessun caso dopo le 5 e 40. È tutto signori. Nessuna domanda?.

 

I ufficiale: "15 minuti di fuoco di copertura è quanto possiamo sperare?"

Dax: "Sì, c'è la convinzione che più di tanto darebbe al nemico troppo tempo per organizzarsi"

Roget: "Quali sono le previsioni del tempo per domani?"

Dax: "Troppo buono"

Roget: "non si prevede pioggia o nebbia?"

Dax: "Si prevede una giornata di sole invece"

III ufficiale: "Se, o forse dovrei dire, quando avremo il Formicaio quanto tempo dovremo tenerlo prima che ci mandino dei rinforzi?"

Dax: "Bé, il generale Mireau che, per inciso, sovrintenderà personalmente l'attacco, ci ha promesso l'appoggio del 72esimo al tramonto di domani, il che significa che dovremo resistere tutto il giorno".

 

La guerra di movimento consisteva nel tentare di «...distruggere l'esercito nemico mediante la manovra e innanzitutto mediante l'offensiva» (Jacques Méré, 1987, p.1085), la quale a sua volta era «...una carica in massa alla cieca, fidando più o meno sulla sorpresa» (Ivi, p. 1094).

 

La dottrina della guerra di movimento, dunque, prevedeva «Formazioni di fanteria troppo compatte, preparazione insufficiente dell'artiglieria e il mito dell'attacco rapido «alla baionetta [Fattori che, insieme,] hanno comportato la morte di migliaia di soldati, fulminati dal fuoco di un nemico che non hanno mai potuto vedere» (Jean François Sirinelli, Robert Vandebussche, Jean Vavasseur-Desperriers, 2003, p. 19), tanto è vero che i soldati che eseguivano l'attacco «...un pò alla volta ... giunsero a ritenere fine a se stessa la riconquista di tratti di trincee, di "osservatori" che i progressi dell'aviazione, la mimetizzazione e l'interramento dei reparti rendevano sempre più inutili» (Jacques Méré, 1987. p. 1093).

 

Le inquadrature iniziali dell'attacco, dove una ripresa dall'alto e da dietro mostra la massa dei soldati che escono dalla trincea in un «paesaggio sonoro"» dominato soprattutto dal fuoco dell'artiglieria nemica, sono la perfetta trascrizione visiva di quell'assalto alla baionetta e di sorpresa - la richiesta di informazioni sul tempo previsto per l'indomani, è chiara in tal senso -  in cui si risolveva la dottrina movimentista.

 

Il riferimento all'artiglieria del primo ufficiale che chiede ragguagli, poi, è sintomatico non solo di una strategia che ne riduceva al minimo l'intervento, ma anche di una situazione di reale inferiorità della Francia, la composizione del cui esercito era la seguente: 70 per cento: fanteria, 30 per cento tra artiglieria, genio e cavalleria (Jean François Sirinelli, Robert Vandebussche, Jean Vavasseur-Desperriers, 2003, p. 13.) nei confronti di una Germania ben dotata sotto il profilo dell'artiglieria pesante (Ivi, p. 13).

 

A questo riguardo l'elenco delle armi di cui avere paura, stilato dai due soldati nella sequenza finale della prima parte del film, non fa che accentuare l'inadeguatezza dell'equipaggiamento francese. A questo proposito è felicissimo nel dialogo il riferimento all'elmetto: nei primi tempi di guerra le truppe francesi non solo erano costrette ad indossare i ben noti pantaloni rossi propri della divisa napoleonica, ma non possedevano nemmeno gli elmetti, mentre i tedeschi disponevano di divise mimetiche fin dall'inizio del conflitto (Ivi, p. 13).

 

Inoltre il fucile resta l'arma principale dell’esercito francese (Ivi, p. 13) - l'accenno alla baionetta ripetuto più volte, è sintomatico. E purtroppo realistica era la sottovalutazione della reale portata della potenza di fuoco del nemico (Ivi, p. 19). Ironico, in tal senso, è il dialogo tra il generale Mireau e Paris durante l'ispezione. Il generale trova Paris mentre è intento a pulire il proprio fucile:

« Mireau: Ah! Fai manutenzione al fucile, vedo. Bene, molto bene... è il tuo migliore amico, abbi cura di lui e lui avrà sempre cura di te

Paris: Si, signore»

Paris non fa in tempo a finire di pronunciare queste parole, che a pochi passi da loro esplode una bomba lanciata dall'artiglieria nemica. Mireau accenna ad un sorriso quasi imbarazzato e poi saluta Paris augurandogli «buona fortuna». Non credo che la scena abbia bisogno di commenti.

 

La tecnologia bellica e la scarsa avvedutezza della dirigenza militare francese, generano così un movimento delle truppe durante l'attacco che la proposizione filmica non può che ridare come bloccato, non solo e non tanto nella sua fisicità, quanto nella sua intenzionalità. Un movimento realmente alienato, in quanto reciso del suo fine e, di conseguenza, rigettato continuamente nel luogo della sua insorgenza. Da questo punto di vista, è emblematica la sequenza in cui Dax è ricacciato nella trincea dal cadavere di un soldato presumibilmente ucciso in seguito ad un'esplosione.

 

Nello stesso modo, dopo la conclusione del processo, Dax non riuscirà a contattare telefonicamente il quartier generale. Padre Duprex racconta di questo tentativo ai tre condannati:

« Padre Duprex: Purtroppo vi porto cattive notizie. Dovete prepararvi al peggio. Il colonnello Dax mi ha pregato...

Ferol: Oh no! 

Padre Duprex: ...è stato continuamente al telefono col quartier generale, ma non è riuscito a parlare col generale Broulard, né con nessun altro che conti. Lo stesso al comando di divisione. Nessuno vuol farsi trovare».

 

La situazione è affatto imbarazzante anche per un altro motivo. In quegli anni si stavano oramai consolidando tecnologie che annientavano le distanze spaziali e quindi rendevano praticabili contatti prima impensabili. Nel 1913, per esempio, «...fu inviato in tutto il mondo, dalla torre Eiffel, il primo segnale radio» (David Harvey, 2002, p. 327). L'ironica kubrickiana è come sempre dissacrante.

 

 Come nell’episodio della battaglia, anche in questo caso Dax sarà costretto nel luogo da cui la sua iniziativa ha preso avvio. Va da sé, allora, che come le nuove armi chiudono lo spazio che i fanti si trovano di fronte, così il potere militare chiude lo spazio alle loro spalle.

 

Si veda inoltre la sequenza della lettera che Paris consegna a Padre Duprex perché la recapiti alla sua famiglia. Questa parvenza di contatto è immediatamente rovesciata nella realtà dell'impossibilità di contatto, sia perché è necessaria la mediazione di padre Duprex, sia perché il sacerdote è, per così dire, effetto del potere esso stesso, giacché la sua presenza è richiesta dal rituale dell'esecuzione, come colui che, in quanto messaggero di vita, sebbene eterna, dovrebbe porgere il conforto ultimo al condannato.

 

La costrizione dello spazio causata dal gioco del potere trova nella battute iniziali del processo la sua più palese e cruda rappresentazione. Fin dal preambolo, in cui il giudice ricapitola i capi di imputazione, si assiste ad una ostentata riduzione dei diritti degli accusati. Il giudice, infatti, non legge integralmente le imputazioni ascritte ai tre soldati, e motiva questa scelta ricordando che il processo è un processo militare: "Questa è una corte marziale e pertanto faremo a meno di formalità superflue… Questi uomini sono accusati di codardia di fronte al nemico, e verranno processati per questo reato…".

 

E al richiamo di Dax, che vorrebbe letta l'intera imputazione, il giudice risponde: «Per favore, non faccia perdere tempo alla corte con particolari tecnici. L'imputazione è lunga e non c'è scopo a leggerla». Con poche ma decise parole, il giudice separa lo spazio militare dallo spazio civile, ricordando che esso è regolato da leggi proprie contro di cui nessuna ingerenza può essere tollerata, tanto più che la corte marziale si sta riunendo in tempo di guerra: eccessive "lungaggini", di conseguenza, non possono proprio essere ammesse.

 

Il carattere concluso dello spazio di Paths of Glory, in definitiva, non è dovuto a confini fisici che non sono oltrepassati, ma è determinato da forze magnetiche intradiegetiche, pure invisibili, che attraggono e chiudono nel campo che istituiscono quanto lo attraversa. Questo tratto dello spazio non cesserà di mancare ai diversi spazi che i film di Kubrick visiteranno: si tratti delle sale del potere di Doctor Strangelove, oppure della navicella di 2001: A Odissey in the Space; dell'Overlook Hotel, oppure del palazzo/castello in cui ha luogo l'orgia vissuta/sognata dal protagonista di Eyes Wide Shut.

 

Lo spazio di Paths of Glory, tuttavia, presenta un'altra notevole caratteristica: la sua conclusività non ne garantisce né la compattezza né la coerenza interna, e qui cade il raffronto con i campi magnetici. Significativamente, infatti, Paths of Glory non mostra mai il raccordo tra gli ambienti attraversati dalla narrazione. Così, Broulard scende dall'auto e, subito dopo uno stacco netto, lo si vede entrare nella sala-ufficio di Mireau. Mireau, chiuso il colloquio con Broulard, è mostrato già nelle trincee per avviarsi verso il ridotto di Dax, e il tragitto è eliso da uno stacco netto.

 

Il cammino del generale lungo i corridoi delle trincee, però, non è seguito fino alla meta. Ad un certo punto il film se ne disinteressa, e con un ulteriore stacco netto andrà a riprendere il generale solo nel momento del suo ingresso nel ridotto di Dax. I precedenti esempi mostrano il comportamento da cui il film non si ritrarrà mai: ad eccezione delle dissolvenze al nero, la cui funzione, come si è visto, è eminentemente narrativa, i passaggi da un luogo all'altro saranno sempre segnati da stacchi netti. Le dissolvenze incrociate della sequenza della ricognizione non sono un esempio contrario, poiché il loro valore è anzitutto temporale.

 

Se rifiutarsi di mostrare il transito da un luogo all'altro non è essenziale dal punto di vista narrativo - le lacune prodotte da questo comportamento sono, infatti, compensate dalla competenza narrativa dello spettatore -, lo è però dal punto di vista della esperienza dello spazio che esso veicola. Uno spazio costituito da luoghi i cui reciproci rapporti non sono percorsi, è uno spazio i cui settori sono tra loro irrelati. Non è dato sapere, per esempio, quale è la distanza tra il palazzo e il fronte. Il loro rapporto, infatti, è definibile solo in riferimento al Formicaio e in modo oltremodo vago: il fronte, cioè, è presumibilmente interposto tra Formicaio e palazzo.

 

Di più non è lecito dire. Nello stesso modo è difficile stabilire in che relazione si trovano, per esempio, i ridotti di Dax, Roget, Arnaud e quello in cui avviene la presentazione della strategia. Di essi si può solo dire - ma è un'evidente ovvietà - che appartengono al sistema trincea. Lo stesso vale per tutti i luoghi: dove si trova la stalla che è utilizzata come prigione rispetto al palazzo? Dove si trova realmente la corte che ospita l'ufficio di Dax e la locanda della sequenza finale? Ed entrando nel castello o palazzo che dir si voglia, dove si trovano la sala del processo, la sala del ricevimento, la biblioteca (?) in cui ha luogo il colloquio finale tra Dax e Broulard, e dove conducono le scale su cui si recita il duetto tra Dax e Mireau, dopo la richiesta di processo nei confronti dei tre soldati?

 

Quale spazio si genera allora in Paths of Glory? Da un lato l'azione dell'invisibile, che recide i movimenti della loro intenzionalità e li relega nella loro origine, chiude in via definitiva uno spazio, costringendo e imprigionando i personaggi al suo interno. Dall'altro questa forzata unità spaziale, non riesce a compattare gli ambienti di cui è composta, i quali di contro intrattengono tra loro posizioni indecidibili seppure palesemente interconnesse, se non addirittura contigue. Di uno spazio siffatto non è possibile alcuna mappatura, e, quindi, alcun sistema di riferimento: al suo interno, in definitiva, non è possibile orientarsi. 

 

A più riprese, la letteratura critica ha richiamato il «labirinto» come figura propria della spazialità kubrickiana. Paths of Glory ne dà un'esemplificazione assolutamente esatta, innanzitutto per la necessaria chiusura che uno spazio-labirinto non può non possedere. Come sottolinea Ruggero Eugeni «Il tratto saliente del labirinto è… la chiusura […] i personaggi sono impossibilitati a uscire dal labirinto «in orizzontale» muovendosi in avanti, indietro o di fianco. Ma sono anche impossibilitati a praticare la direzione verticale, a innalzarsi sul labirinto e a controllarne in tal modo l'andamento» (Ruggero Eugeni, 1995, p. 143).

 

Il labirinto, inoltre, si sviluppa attraverso la ripetizione di ambienti «…uguali (o apparentemente uguali) a se stessi all'infinito» (Ibidem, p. 138). Di conseguenza, il labirinto è «spazio svuotato, privato di punti di riferimento» (Ivi). La ripetizione dell'identico non manca in Paths of Glory e, naturalmente, riguarda in maniera precipua la trincea. Si pensi ai ridotti dei soldati: sono uno stesso modulo che si ripete, che si tratti del ridotto di Dax, di Roget oppure del ridotto in cui si svolge la riunione tra gli ufficiali.

 

La trincea, del resto, è essa stessa ripetizione di spazi uguali, di corridoi e cunicoli identici che si sviluppano, dal punto di vista di chi vi è dentro, quasi a rizoma, come suggeriscono quelle diramazioni appena accennate durante l'ispezione di Mireau. L'impossibilità di disporre gli ambienti in un ordine piano e chiaro, la loro reciproca "fluttuazione", si appaia negli effetti alla ripetizione di moduli identici, giacché anch'essa nega ab ovo la possibilità di un sistema di orientamento. Con Eugeni, quindi, il labirinto è "…la forma sensibile che esprime la perdita di controllo del soggetto… sullo spazio: il soggetto non riesce più a controllare le strutture spaziali… né di conseguenza a calcolare le proprie posizioni e propri percorsi al loro interno".

 

Giova notare, a questo punto, due, per così dire, coincidenze che confortano la tesi che qui si va sostenendo. Innanzitutto, lo storico Eric J. Leed osserva che la metafora del labirinto ricorre spesso nei resoconti dei combattenti per la sua idoneità "…a simboleggiare la natura frammentata, disintegrata e disgiuntiva del paesaggio in cui erano inseriti i combattenti della guerra di trincea" (Eric J. Leed, 1985, p. 109).

 

Con le parole di Charles Carrington, in trincea "È impossibile mantenere il senso dell'orientamento ed ogni passo costa una fatica immensa. Quando poi il sistema di trincee è stato squassato dalla battaglia, la confusione raggiunge il suo grado massimo [ e] un vecchio e tormentato campo di battaglia come quello della Somme, diventa infine un labirinto di trincea senza criterio alcuno" (Ibidem, p. 109). La testimonianza di Carrington è importante perché furono proprio le nuove tecnologie belliche che "…definirono una struttura fisica - il sistema di trincea - che assunse le sembianze di un mondo labirintico, in grado di dettare il comportamento, le relazioni sociali, la coscienza di sé del combattente" (Ibidem, p. 106).

 

In secondo luogo, si osservi che in Kubrick l'esperienza del labirinto - l'esperienza dello spazio come labirinto - è ottenuta soprattutto con carrelli a precedere o a seguire, che, seppure già utilizzati in maniera sporadica in The Killer's Kiss, ricevono una sistematizzazione stilistica e ideologica solo in Paths of Glory, poiché solo in questo film giungeranno ad esprimere, per dirla ancora una volta con Eugeni, quella voracità dello spazio, quel suo effetto di risucchio della figura umana che sarà tratto dominante della spazialità kubrickiana (Ruggero Eugeni, 1995,  p. 142).

 

La congiunzione di queste annotazioni porta ad affermare ancora una volta che Paths of Glory, in una maniera molto profonda, descrive non tanto una guerra in generale, quanto l'esperienza della guerra che si generò durante il primo conflitto mondiale. Se, poi, il labirinto, come figura sensibile che esprime l'esperienza di perdita di controllo sullo spazio, marcherà ogni film del regista statunitense, fino alla sua celebrazione in Shining - dove il labirinto non è ovviamente solo il gioco approntato per gli avventori dell’Overlook Hotel, ma è lo sviluppo dell’albergo stesso e dei corridoi percorsi da Danny - e Full metal Jacket con i prefabbricati che costituiscono i quartieri attraversati dai marines, significa che per Kubrick questa topos esprime qualcosa che tocca la modernità nel profondo, è, quindi, a tutti gli effetti, una struttura della soggettività moderna.

 

Il che, ancora, vuole dire che, per Kubrick, a partire dalla prima guerra mondiale si è operato un cambiamento nella storia dello spazio. Un indizio, testimonianza più flebile di una prova, ma anche più insidiosa, sorregge questa ipotesi: la mappa del Formicaio appesa ad una parete del ridotto di Dax. Associabile immediatamente alle due visioni della postazione tedesca attraverso una feritoia nella trincea prima, e il binocolo poi, quella mappa non richiama sul proprio orizzonte solo il conflitto tra rappresentazione e realtà, oppure, con Alonge, una visione della battaglia razionalmente e matematicamente costruibile (Giaime Alonge, 2001, pp. 209 sgg.), bensì, e in maniera più radicale, una concezione dello spazio che nella cartografia ha trovato la sua più felice espressione.

 

David Harvey osserva che la cartografia rinascimentale deve la sua espansione alla griglia tolemaica. Infatti "…l'importazione della mappa tolemaica da Alessandria a Firenze intorno al 1440 sembra aver avuto un ruolo fondamentale nella scoperta e nell'uso della prospettiva da parte del Rinascimento […] nell'ideare la griglia in cui situare i luoghi, Tolomeo aveva immaginato come il mondo sarebbe apparso a un occhio umano che lo vedesse dall'esterno" (David Harvey, 2002, p. 302).

 

La griglia tolemaica "…poneva un'immediata unità matematica. I luoghi più lontani potevano essere messi in relazione uno con l'altro per mezzo di coordinate immutabili, di modo che risultassero evidenti la loro distanza e i loro rapporti direzionali" (Ivi). Due sono le implicazioni: "In primo luogo, la capacità di vedere il globo come totalità conoscibile [ In secondo luogo,] si potevano applicare principi matematici all'intero problema della rappresentazione del globo su una superficie piana. Di conseguenza, sembrava che lo spazio, per quanto infinito, fosse conquistabile e limitabile ai fini dell'occupazione e dell'azione umana" (Ivi).

 

Nella concezione illuministica dello spazio, condizionata dalla meccanica newtoniana, la mappa diviene, nella critica di de Certau, uno "strumento totalizzante» […] La mappa è in effetti una forma di omogeneizzazione e di reificazione della ricca diversità degli itinerari spaziali e delle storie spaziali" (Ibidem, p. 309). Difatti, "La prospettiva e la cartografia basata su principi matematici ... ritenevano che lo spazio fosse astratto, omogeneo e universale nelle sue qualità, un quadro di riferimento stabile e conoscibile per il pensiero e l'azione [qualcosa di]  utilizzabile, di malleabile e... dominabile per mezzo dell'azione dell'uomo" (Ibidem, pp. 310- 311).

 

Ne è un esempio lampante la griglia a scacchiera che suddivide la Francia rivoluzionaria per determinare i dipartimenti della rappresentanza politica (Ibidem, p. 312 sgg.). È precisamente questa perfetta dominazione del mondo che viene polemicamente richiamata dalla mappa del territorio su cui si erge il Formicaio. Soprattutto è la testarda vigenza di questa modalità rappresentativa che contribuirà a generare l’esperienza labirintica dello spazio fornendovi, perlomeno l’idea di una unità.

 

Vi è, inoltre, un altro orizzonte che, seppure virato sulla dimensione della temporalità, contribuisce alla creazione dell'esperienza labirintica dello spazio. Come dimostra Stephen Kern, nel valico tra l'Ottocento e il Novecento, le dimensioni temporali subirono una importante modificazione. Fu soprattutto il presente ad uscirne profondamente modificato, giacché costruito secondo i vettori della simultaneità da un lato e del "presente addensato" (Stephen Kern, ©1988, pp. 87-115) dall'altro.

 

Se con "presente addensato", Kern intende affermare che nella riflessione di inizio Novecento il presente era avvertito come composto sia dalle percezioni immediate sia dalle ritenzioni dei momenti appena trascorsi e dalle protensioni dei momenti a-venire (Ibidem, pp. 106-107), in una dilatazione del presente da rendere difficile la sua limitazione, con la nozione di simultaneità lo storico afferma l'emergere di un "presente spazialmente dilatato". I due vettori del presente si congiungono nel seguente effetto: "Mentre la simultaneità estendeva spazialmente il presente, furono compiuti altri tentativi di allargare temporalmente il tradizionale presente filiforme, per includervi parte del passato e del futuro immediati" (Ibidem, p. 104).

 

Con il presente addensato, quindi, si va nella direzione di un presente che, almeno nella sua vocazione, aspirerebbe ad appaiarsi al presente infinito divino "…in cui tutto ciò che ci appare come sequenza è un tutto immutabile" (Ibidem, p. 109). Non è inutile richiamare l'esperienza di The killing. Il film, girato nel 1956, racconta la storia del progetto, della realizzazione e del fallimento di una rapina all'ippodromo. Come è noto, la narrazione non segue linearmente la vicenda, ma si sviluppa in un continuo andirivieni temporale, che trova la sua massima elaborazione nel racconto del giorno della rapina, dove il film segue la messa in atto del piano da parte di ciascun partecipante e, così, torna ogni volta indietro nel tempo rispetto al punto di non ritorno stabilito dalla settima corsa che parte alle 16.23.

 

Quello che Kubrick mette in scena non è solo una riflessione metalinguistica sul cinema come arte del tempo. Anche se, lo si dica a margine, il cinema stesso ha contribuito a creare quella egemonia del presente sulle altre dimensioni temporali. Da questo punto di vista, The Killing è a dir poco illuminante giacché espone in maniera sistematica la possibilità per la modernità di percorrere il tempo in tutte le sue direzioni, di riassemblarne i momenti a proprio piacimento.

 

The Killing è inoltre la denuncia di un sovvertimento della struttura temporale stessa. La possibilità di muoversi lungo le linee temporali, quindi lungo il passato e il futuro, spinge fuori del movimento del tempo il presente del narratore, che assurge così a unico signore del tempo.

 

E il presente di The Killing è innanzitutto la voce off, la voce della visione registica, della quale non si può affatto dire che «…non ha del tempo e del mondo una visione rettilinea: ne ha una spezzata, al tempo stesso caotica e regolata» (Bruno Fornara, 1998, p. 101). La voce della visione registica, di contro, ha del tempo moderno, del tempo che si è affacciato nel Novecento una visione assolutamente chiara, piana, lineare, disincantata: il tempo, l'unico tempo, è il presente, ormai dilatato oltre ogni misura fino a dominare il passato e il futuro, sui quali può scorrere quasi danzando.

 

Con la nozione di simultaneità, invece, si va nella direzione in cui nel presente i molteplici luoghi che compongono il mondo si danno in una abolizione delle distanze o, con le parole di David Harvey, in una compressione spazio-temporale (David Harvey, 2002, p. 310 e sgg). Ma questa chiamata a raccolta dei diversi spazi non si traduce in una loro apprensione totale: sperimentare eventi lontani attraverso la radiotelegrafia, per esempio, non garantisce una loro appropriata ubicazione. Si crea uno scollamento tra l'esperienza delle distanze e dei rapporti mediata dalla tecnologia e l'esperienza personale immancabilmente situata e quindi prospettica.

 

Da questo punto di vista, l'aereo abbattuto di Paths of Glory, i cui resti fumanti sono mostrati durante la sequenza della ricognizione nella Terra di nessuno, ha un valore assolutamente ironico. Eric J.Leed rileva come «Uno dei miti più significativi [della Grande Guerra] fu la prospettiva aerea - quella che veniva attribuita all'aviatore. La necessità di questo mito risiede precisamente nella frammentazione delle percezioni e delle finalità del soldato di linea [...]Una veduta aerea avrebbe ordinato gli angoli e le giravolte del labirinto in un tutto organico» (Eric J. Leed, 1979 , p. 179).

 

L'aereo kubrickiano, un aereo militare distrutto durante la guerra che lo innalzò a protagonista, ha un aspetto che ricorda l'affondamento del Titanic, avvenuto il 14 aprile del 1912 fra i banchi di ghiaccio del nord Atlantico (Stephen Kern, ©1988, p. 87). Come il Titanic affonda quando avrebbe dovuto radicare con forza le coordinate del nuovo mondo, vale a dire: la simultaneità raggiungibile anche con la velocità, che fu anche la causa del naufragio (Ibidem, p. 142), così l'aereo kubrickiano è un resto fumante proprio quando avrebbe dovuto portare al suo splendore l'abbattimento delle distanze attraverso l'apprensione a plongeé del mondo: da un punto di vista che metaforicamente annullerebbe ogni prospettiva.

 

Se questo è l'orizzonte richiamato, si comprende perché il labirinto, secondo Ruggero Eugeni, «... è la forma sensibile che esprime la perdita di controllo del soggetto sul tempo e lo spazio [Esso è] spazio svuotato, privato di punti di riferimento» (Ruggero Eugeni, 1995, p. 138). Il labirinto, in questa prospettiva, non è più solamente una concezione dello spazio che si affianca e, forse, sostituisce la concezione illuministica.

 

Esso, piuttosto, esprime l'angoscia che attanaglia il soggetto quando un'organizzazione spaziale del mondo, supposta vera fino ad allora, cade, deflagra, rovina. Soprattutto, mi sembra, lo spazio/labirinto è la migliore categoria - concetto nello stesso tempo logico e ontologico - per comprendere a fondo il rapporto inscindibile tra il soggetto e la nuova spazialità che andava ad imporsi senza che gli riuscisse di fronteggiarla e di dominarla adeguatamente.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Giaime Alonge, Cinema e guerra. Il film, la Grande Guerra e l'immaginario bellico del Novecento, Torino, Utet, 2001

Ruggero Eugeni, Invito al cinema di Kubrick, Milano, Mursia, 1995.

Bruno Fornara, Rapina a mano armata, in Stanley Kubrick, Garage. Cinema Autori Visioni, n°12, 1998.

David Harvey, The Condition of Postmodernity, Basil Blackwell, 1990, trad. it. di Maurizio Viezzi, La crisi della modernità, Milano, Net, 2002.

Stephen Kern, The culture of Time and Space 1880-1918, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1983, trad. It. Di Barnaba Maj, Il tempo e lo spazio La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, ©1988.

Eric J. Leed, Terra di nessuno. Combat & Identity in World War I, Cambridge, Cambridge University Press, 1979, trad.it. di Rinaldo Falconi, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, c1985.

Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica. Arte e artificio nell'uso delle parole. Retorica, stilistica, metrica, teoria della letteratura, Milano, Mondadori, 1995.

Jacques Méré, La Grande Guerra (1914-18), in Georges Duby (a cura), Histoire de la France, Librairie Laorusse, 1970, trad. it. di Francesco Saba Sardi, Storia della Francia, Vol. II: dal 1852 ai giorni nostri, Milano, Bompiani, 1987.

Jean François Sirinelli, Robert Vandebussche, Jean Vavasseur-Desperriers, La France de 1914 à nos Jours, Paris, 2000, trad. it. di Renato Riccardi, Storia della Francia del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2003.



 

 

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