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N. 36 - Dicembre 2010 (LXVII)

NOI CREDEVAMO
Intervista ad Antonio D’Alessandri sul film di Mario Martone

di Leila Tavi

 

In concorso alla 67° Mostra internazionale del cinema di Venezia è stato presentato il film di Mario Martone Noi credevamo, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti.

Il film narra la storia di tre ragazzi del Meridione, che diventano affiliati della Giovine Italia di Giuseppe Mazzini come conseguenza della violenta repressione borbonica dei moti del 1828.

Le vicende accadute a Domenico, Angelo e Salvatore, personaggi di finzione, ricalcano in verità i fatti storici legati al destino di tre cospiratori: Domenico Lopresti, Giuseppe Andrea Pieri, che partecipò all’attentato organizzato da Felice Orsini a Napoleone III del 14 gennaio 1858, e Antonio Sciambra.

Il regista ha voluto portare all’attenzione dello spettatore una sua riflessione sul rapporto fisiologico tra terrorismo e lotta per l’identità nazionale. Martone ha dichiarato di essere andato alla ricerca, attraverso il suo film, di quelle tracce che “una certa rappresentazione retorica del nostro Risorgimento ha finito per seppellire, privandoci di una prospettiva sul nostro passato evidentemente problematica, ma proprio per questo molto più viva e appassionante”.

InStoria commenta il film con Antonio D’Alessandri, esperto di storia del Risorgimento e di Storia dell’Europa centro-orientale, nonché docente di Storia della formazione degli Stati nazionali nel XX secolo presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi Roma Tre.

1. La nostra storiografia ha veramente rappresentato in modo distorto i fatti del Risorgimento?

 

No. La storiografia italiana sul Risorgimento, soprattutto nel secondo dopoguerra, ha prodotto numerose ricerche di alto profilo che hanno contribuito a leggere in modo equilibrato le vicende legate alla nascita dell’Italia unita. Da questo punto di vista, infatti, direi che il film diretto da Mario Martone è riuscito a tradurre in immagini i risultati di decenni di studi e ricerche sul Risorgimento. Altro discorso è quello delle celebrazioni ufficiali, della memoria collettiva, dei simboli e dei miti dell’Unità nazionale, questi sì dall’indubbio sapore retorico.


2. Conosce la biografia dei tre cospiratori a cui il film s’ispira? Ne può accennare i tratti salienti?


Com’è noto, i tre cospiratori protagonisti del film sono personaggi in cui si mescola finzione e realtà storica. Un esempio su tutti è Angelo, il cui personaggio trae spunto dalle vicende di Giovanni Andrea Pieri, uno degli attentatori alla vita di Napoleone III con Felice Orsini a Parigi nel 1858, episodio a cui nel film si dedica ampio spazio. Fra i tre Pieri è probabilmente il personaggio più noto ma nel complesso si tratta di figure poco conosciute, oserei dire quasi ignorate. Mi pare che ciò abbia permesso una maggiore libertà nella sceneggiatura consentendo di portare sullo schermo vicende inventate che però raccontano fatti realmente accaduti.


3. La principessa Cristina di Belgiojoso è rappresentata nel film come fervente patriota, paladina dei diritti delle donne e dell’istruzione del popolo. È una figura chiave all’inizio e alla conclusione del film, a cui è stata data più rilevanza della stessa figura di Mazzini. Perché secondo lei il regista ha operato questa scelta?


Il regista riesce a raccontare il Risorgimento italiano senza metterne in scena i principali protagonisti: Cavour, Vittorio Emanuele II, Pio IX, Garibaldi (la cui silhouette però, a differenza degli altri personaggi storici, appare solo per pochi secondi). Fa però eccezione Giuseppe Mazzini, interpretato da Toni Servillo. Credo che con Cristina di Belgiojoso si sia inteso portare agli occhi del pubblico una delle figure chiave della nostra storia e che non sempre ha ricevuto l’attenzione che avrebbe meritato. La costruzione dello Stato nazionale italiano fu anche il frutto dell’impegno e del sacrificio di molte donne, aristocratiche, come la Belgiojoso, ma anche borghesi e popolane. C’è da dire, tuttavia, che la principessa lombarda nel film è rappresentata più come “salonnière” che come fine intellettuale e studiosa, impegnata, al pari di tanti altri, nel dibattito culturale dell’Italia del Risorgimento.


4. Per contro Giuseppe Mazzini appare nel film come un uomo indeciso, timoroso di prendere una qualsiasi iniziativa d’azione. La descrizione del film è lontana dal racconto storico, quale delle due versioni è veritiera?


Quella di Mazzini è una figura straordinaria. Basta leggere un passo qualsiasi dei suoi numerosi scritti per percepirne il magnetismo e rimanerne affascinati. Su di lui sono state scritte un’infinità di pagine. Credo che il regista, legittimamente, abbia rappresentato il suo Mazzini o, meglio, la sua idea del Genovese. Ecco un esempio della difficoltà di confrontarsi, in un film di finzione, con un grande della storia. Nel Mazzini martoniano probabilmente qualche intento dissacratorio vi è stato. Tuttavia non va dimenticato che nella prima metà dell’Ottocento si era fatta strada l’idea che la guerra di popolo e l’insurrezione armata potevano davvero battere gli eserciti regolari e l’assolutismo monarchico. Era una convinzione molto diffusa, con tutte le conseguenze negative che essa comportò.


5. Concorda con l’amara conclusione del film per cui l’unità d’Italia nel primo periodo fu solo a vantaggio di pochi privilegiati?


Il tema è molto ampio e complesso. Non credo che sia possibile rispondere in modo univoco. È però vero che nella nuova Italia tanti ideali del movimento rivoluzionario fecero fatica ad affermarsi. Molti fra coloro che avevano rischiato la vita e patito il carcere, come il protagonista del film, Domenico, avvertirono un’amara delusione nei confronti del Paese che avevano contribuito a far nascere. Su questi aspetti è emblematica la figura di Crispi, anch’essa presente nel film.


6. La questione meridionale nel film è trattata con dolore e rabbia, quasi a voler sottolineare che il passaggio dai Borboni al governo dei Savoia non mutò de facto la condizione del popolo nel Meridione. È vero?


La questione meridionale, insieme ad altre, fu uno dei problemi maggiori con cui dovette misurarsi il nuovo Stato. Sappiamo che le soluzioni trovate non furono sempre adeguate. Bisogna però chiedersi che futuro potesse avere nell’Europa del tempo un Regno in piena crisi come era quello borbonico e per di più isolato sul piano internazionale. Mentre Cavour, nel cosiddetto decennio di preparazione, modernizzava il Piemonte, al Sud trionfava la reazione. Anche di questo si parla molto nel film, con il racconto dei lunghi anni passati in prigione dopo il 1849 da Domenico. Pur con tutte le contraddizioni che ne derivarono, va detto che l’unificazione fu un’importante occasione per modernizzare l’Italia.


7. Tra le figure minori del Risorgimento che compaiono nel film troviamo anche il rivoluzionario socialista polacco Stanislaw Worcell, legato a Mazzini. Potrebbe accennare all’importanza della lotta per l’indipendenza nell’Europa centro-orientale?


Il movimento nazionale italiano fu intimamente legato agli analoghi moti rivoluzionari nei Paesi dell’Europa centrale e orientale dove, come in Italia e in Germania, non esistevano ancora Stati nazionali. Tutta quell’area e le popolazioni che la abitavano erano sottomesse a tre grandi Imperi multinazionali: l’ottomano, il russo e l’asburgico. Nel corso del Risorgimento in molti cercarono di collegare la questione italiana a quella delle nazioni dell’Europa centro-orientale per unire le forze contro il nemico comune, come l’Austria ad esempio. Vorrei ricordare in particolare Mazzini, con il suo europeismo ante litteram, ma pure il moderato Cavour con i suoi disegni diplomatici volti a favorire l’unità italiana anche attraverso una riorganizzazione dell’assetto politico delle regioni al di là dell’Adriatico. Ciò attesta l’importanza del moto nazionale italiano e di quelli dell’Oriente europeo proprio nel loro carattere internazionale, non limitato a esperienze locali, bensì problema continentale.


 

 

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