N. 62 - Febbraio 2013 
                          
                          (XCIII)
																						Il pio Nicia
																						promotore della pace e protagonista della guerra 
																						di Paola Scollo
																			 
																			
																			
																			
																			Proveniente 
																			da 
																			una 
																			ricca 
																			famiglia 
																			aristocratica 
																			proprietaria 
																			di 
																			numerose 
																			miniere 
																			d’argento 
																			nel 
																			Laurion, 
																			Nicia 
																			è 
																			uno 
																			dei 
																			protagonisti 
																			della 
																			scena 
																			politica 
																			ateniese 
																			del 
																			V 
																			secolo. 
																			Collega 
																			di 
																			Pericle, 
																			riuscì 
																			a 
																			conseguire 
																			importanti 
																			vittorie 
																			durante 
																			la 
																			Guerra 
																			Archidamica.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Fu 
																			il 
																			principale 
																			artefice 
																			delle 
																			trattative 
																			di 
																			pace 
																			che 
																			conclusero 
																			la 
																			prima 
																			parte 
																			della 
																			guerra 
																			del 
																			Peloponneso. 
																			Plutarco 
																			gli 
																			ha 
																			dedicato 
																			una 
																			biografia 
																			in 
																			cui, 
																			nel 
																			solco 
																			dei 
																			giudizi 
																			tucididei, 
																			Nicia 
																			viene 
																			ritratto 
																			come 
																			un 
																			personaggio 
																			timoroso 
																			e 
																			superstizioso 
																			vittima 
																			di 
																			una 
																			sorte 
																			tragica 
																			e 
																			impietosa. 
																			Osserviamola 
																			puntualmente.
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Per 
																			introdurre 
																			il 
																			personaggio 
																			Plutarco 
																			si 
																			serve 
																			delle 
																			parole 
																			che 
																			su 
																			Nicia 
																			espresse 
																			Aristotele 
																			nella
																			
																			Costituzione 
																			degli 
																			Ateniesi 
																			(XXVIII): 
																			«Tre 
																			furono 
																			i 
																			migliori 
																			cittadini 
																			che 
																			ebbero 
																			benevolenza 
																			paterna 
																			e 
																			amicizia 
																			nei 
																			confronti 
																			del 
																			popolo, 
																			Nicia, 
																			figlio 
																			di 
																			Nicerato, 
																			Tucidide, 
																			figlio 
																			di 
																			Melesia, 
																			e 
																			Teramene, 
																			figlio 
																			di 
																			Agnone; 
																			[…] 
																			Nicia, 
																			più 
																			giovane, 
																			ebbe 
																			una 
																			certa 
																			rinomanza 
																			già 
																			quando 
																			Pericle 
																			era 
																			vivo, 
																			tanto 
																			che 
																			gli 
																			fu 
																			collega 
																			come 
																			stratego 
																			e 
																			spesso 
																			ebbe 
																			il 
																			comando 
																			da 
																			solo. 
																			Dopo 
																			la 
																			morte 
																			di 
																			Pericle 
																			fu 
																			promosso 
																			a 
																			posti 
																			di 
																			potere 
																			soprattutto 
																			da 
																			ricchi 
																			e 
																			notabili, 
																			che 
																			se 
																			ne 
																			facevano 
																			un 
																			baluardo 
																			contro 
																			la 
																			disgustosa 
																			audacia 
																			di 
																			Cleone 
																			e, 
																			ciononostante, 
																			ebbe 
																			la 
																			simpatia 
																			e il 
																			pieno 
																			appoggio 
																			del 
																			popolo». 
																			A 
																			partire 
																			da 
																			tale 
																			testimonianza 
																			emerge 
																			chiaramente 
																			il 
																			favore 
																			di 
																			cui 
																			Nicia 
																			godeva 
																			presso 
																			gli 
																			Ateniesi.
																			 
																			
																			
																			
																			Stando 
																			a 
																			Plutarco, 
																			le 
																			ragioni 
																			del 
																			successo 
																			di 
																			Nicia 
																			andavano 
																			ricercate 
																			nella 
																			dignità 
																			né 
																			austera 
																			né 
																			opprimente 
																			che, 
																			congiunta 
																			a 
																			timidezza, 
																			incuteva 
																			timore 
																			e 
																			soprattutto 
																			nella 
																			natura,
																			
																			physis, 
																			timorosa 
																			e 
																			pessimista 
																			che 
																			nell’attività 
																			politica 
																			appariva 
																			un 
																			atteggiamento 
																			democratico: 
																			«Per 
																			la 
																			massa 
																			infatti 
																			-spiega 
																			il 
																			biografo- 
																			è 
																			onore 
																			grandissimo 
																			non 
																			essere 
																			disprezzata 
																			dai 
																			potenti» 
																			(Plut.,
																			
																			Nic. 
																			II 
																			6).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			A 
																			differenza 
																			di 
																			Pericle, 
																			che 
																			si 
																			serviva 
																			delle 
																			notevoli 
																			capacità 
																			oratorie 
																			per 
																			acquistare 
																			il 
																			favore 
																			popolare, 
																			Nicia 
																			sfruttava 
																			la 
																			ricchezza 
																			economica, 
																			allestendo 
																			spettacoli 
																			teatrali 
																			e 
																			ginnici 
																			in 
																			modo 
																			tale 
																			da 
																			superare 
																			«per 
																			sfarzo 
																			e 
																			buon 
																			gusto 
																			i 
																			predecessori 
																			e 
																			tutti 
																			i 
																			contemporanei» 
																			(Nic. 
																			III 
																			2). 
																			Dietro 
																			tale 
																			atteggiamento 
																			Plutarco 
																			individua 
																			una 
																			forma 
																			di 
																			vanità 
																			finalizzata 
																			al 
																			conseguimento 
																			della 
																			gloria 
																			personale, 
																			anche 
																			se 
																			non 
																			esclude 
																			la 
																			prospettiva 
																			che 
																			tale 
																			liberalità 
																			fosse 
																			pure 
																			una 
																			conseguenza 
																			del 
																			sentimento 
																			religioso, 
																			«giacché 
																			era 
																			davvero 
																			uno 
																			di 
																			quelli 
																			che 
																			si 
																			spaventano 
																			di 
																			fronte 
																			al 
																			divino 
																			e 
																			incline 
																			alla 
																			superstizione» 
																			(Nic. 
																			IV 
																			1). 
																			Una 
																			conferma 
																			in 
																			tal 
																			senso 
																			giungerebbe 
																			poi 
																			dalle 
																			pagine 
																			delle
																			
																			Storie 
																			di 
																			Tucidide 
																			(VII 
																			50).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Riferisce 
																			a 
																			tal 
																			proposito 
																			Plutarco 
																			che 
																			in 
																			un 
																			dialogo 
																			di 
																			Pasifonte, 
																			seguace 
																			di 
																			Socrate, 
																			si 
																			trovava 
																			scritto 
																			che 
																			Nicia 
																			sacrificava 
																			quotidianamente 
																			agli 
																			dèi 
																			e 
																			consultava 
																			un 
																			indovino, 
																			che 
																			risiedeva 
																			nella 
																			sua 
																			stessa 
																			casa, 
																			sui 
																			suoi 
																			affari 
																			economici. 
																			Nicia 
																			possedeva 
																			numerose 
																			miniere 
																			d’argento 
																			nella 
																			zona 
																			del 
																			Laurion, 
																			presso 
																			Capo 
																			Sunio 
																			in 
																			Attica, 
																			e la 
																			ricchezza 
																			doveva 
																			costituire 
																			per 
																			lui 
																			perenne 
																			fonte 
																			di 
																			preoccupazione. 
																			In 
																			molti 
																			avanzavano 
																			richieste 
																			di 
																			elargizioni. 
																			E le 
																			ottenevano. 
																			Spiega 
																			infatti 
																			Plutarco 
																			che 
																			Nicia 
																			offriva 
																			denaro 
																			sia 
																			a 
																			chi 
																			era 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			nuocergli 
																			sia 
																			a 
																			quanti 
																			erano 
																			meritevoli 
																			dei 
																			suoi 
																			benefici 
																			poiché 
																			«la 
																			sua 
																			pusillanimità,
																			
																			deilía, 
																			era 
																			fonte 
																			di 
																			guadagno 
																			per 
																			i 
																			disonesti, 
																			come 
																			la 
																			sua 
																			generosità 
																			lo 
																			era 
																			per 
																			gli 
																			uomini 
																			dabbene» 
																			(Nic. 
																			IV 
																			3).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Nicia 
																			non 
																			pranzava 
																			mai 
																			con 
																			i 
																			suoi 
																			concittadini 
																			e 
																			non 
																			si 
																			intratteneva 
																			in 
																			conversazioni 
																			o 
																			svaghi. 
																			Inoltre, 
																			quando 
																			era 
																			in 
																			carica, 
																			era 
																			solito 
																			sostare 
																			all’interno 
																			della 
																			sede 
																			degli 
																			strateghi 
																			fino 
																			a 
																			tarda 
																			notte, 
																			essendo 
																			sempre 
																			il 
																			primo 
																			a 
																			giungere 
																			e 
																			l’ultimo 
																			ad 
																			andare 
																			via. 
																			Quando 
																			non 
																			si 
																			trovava 
																			ad 
																			assolvere 
																			incarichi 
																			pubblici, 
																			preferiva 
																			rimanere 
																			nella 
																			propria 
																			abitazione. 
																			Ma 
																			c’è 
																			di 
																			più. 
																			Era 
																			solito 
																			evitare 
																			i 
																			comandi 
																			militari 
																			particolarmente 
																			difficili 
																			e di 
																			lunga 
																			durata 
																			e, 
																			qualora 
																			gli 
																			venissero 
																			affidati, 
																			non 
																			attribuiva 
																			mai 
																			gli 
																			eventuali 
																			successi 
																			alla 
																			propria 
																			saggezza,
																			
																			sophía, 
																			capacità,
																			
																			dynamis, 
																			o 
																			valore,
																			
																			areté, 
																			ma 
																			alla 
																			sorte,
																			
																			tyche. 
																			In 
																			altre 
																			parole 
																			ricorreva 
																			alla 
																			componente 
																			divina,
																			
																			to 
																			theíon, 
																			per 
																			sottrarsi 
																			alle 
																			invidie 
																			generate 
																			dal 
																			prestigio. 
																			A 
																			conferma 
																			di 
																			ciò 
																			la 
																			totale 
																			estraneità 
																			ai 
																			principali 
																			disastri 
																			militari 
																			che 
																			si 
																			verificarono 
																			durante 
																			la 
																			prima 
																			fase 
																			della 
																			guerra 
																			del 
																			Peloponneso. 
																			Ricorda 
																			infine 
																			Plutarco 
																			che 
																			nella 
																			realizzazione 
																			di 
																			tale
																			
																			modus 
																			vivendi 
																			Nicia 
																			era 
																			sostenuto 
																			da 
																			Gerone, 
																			che 
																			«trattava 
																			segretamente 
																			con 
																			gli 
																			indovini 
																			per 
																			conto 
																			di 
																			Nicia 
																			e 
																			diffondeva 
																			fra 
																			la 
																			gente 
																			la 
																			voce 
																			della 
																			vita 
																			faticosa 
																			e 
																			travagliata 
																			che 
																			Nicia 
																			conduceva 
																			a 
																			causa 
																			degli 
																			affari 
																			cittadini; 
																			diceva 
																			perfino 
																			che 
																			anche 
																			quando 
																			faceva 
																			il 
																			bagno 
																			o 
																			mentre 
																			pranzava, 
																			gli 
																			capitava 
																			sempre 
																			qualche 
																			questione 
																			pubblica» 
																			(Nic. 
																			V 
																			4).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Nell’attività 
																			politica 
																			scopo 
																			precipuo 
																			di 
																			Nicia 
																			era 
																			quello 
																			di 
																			garantire 
																			alla
																			
																			polis 
																			di 
																			Atene 
																			pace 
																			e 
																			tranquillità. 
																			A 
																			conferma 
																			di 
																			ciò 
																			il 
																			suo
																			
																			modus 
																			agendi 
																			in 
																			seguito 
																			alla 
																			morte 
																			ad 
																			Anfipoli 
																			dei 
																			comandanti 
																			Cleone 
																			e 
																			Brasida, 
																			i 
																			più 
																			ostili 
																			alla 
																			stipulazione 
																			della 
																			pace 
																			in 
																			Grecia. 
																			Nicia 
																			si 
																			adoperò 
																			infatti 
																			per 
																			riconciliare 
																			Sparta 
																			e 
																			Atene, 
																			quindi 
																			per 
																			consolidare 
																			la 
																			propria 
																			fama. 
																			Risultato 
																			delle 
																			trattative 
																			fu 
																			la 
																			pace 
																			che 
																			gli 
																			valse 
																			grande 
																			fama 
																			in 
																			antitesi 
																			a 
																			Pericle. 
																			Scrive 
																			a 
																			tal 
																			proposito 
																			Plutarco: 
																			«La 
																			maggioranza 
																			giunse 
																			a 
																			ritenere 
																			di 
																			essersi 
																			liberata 
																			sicuramente 
																			dai 
																			mali 
																			e 
																			non 
																			si 
																			parlava 
																			che 
																			di 
																			Nicia 
																			come 
																			di 
																			un 
																			uomo 
																			amato 
																			dagli 
																			dèi, 
																			a 
																			cui 
																			la 
																			divinità 
																			aveva 
																			concesso, 
																			per 
																			la 
																			sua 
																			pietà,
																			
																			eusebeia, 
																			di 
																			dare 
																			il 
																			proprio 
																			nome 
																			al 
																			più 
																			grande 
																			e 
																			più 
																			bello 
																			dei 
																			beni. 
																			Perché 
																			davvero 
																			tutti 
																			ritenevano 
																			la 
																			pace 
																			opera 
																			di 
																			Nicia, 
																			come 
																			la 
																			guerra 
																			opera 
																			di 
																			Pericle: 
																			erano 
																			infatti 
																			convinti 
																			che 
																			questi 
																			avesse 
																			gettato 
																			i 
																			Greci 
																			in 
																			mezzo 
																			a 
																			gravi 
																			sciagure 
																			per 
																			futili 
																			motivi 
																			e 
																			che 
																			quello 
																			invece 
																			li 
																			avesse 
																			persuasi 
																			a 
																			dimenticare 
																			grandi 
																			dolori 
																			per 
																			divenire 
																			amici. 
																			Ecco 
																			la 
																			ragione 
																			per 
																			cui 
																			anche 
																			oggi 
																			quella 
																			pace 
																			è 
																			detta
																			
																			di 
																			Nicia» 
																			(Nic. 
																			IX 
																			8-9).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			La 
																			politica 
																			di 
																			distensione 
																			promossa 
																			da 
																			Nicia 
																			fu 
																			seriamente 
																			messa 
																			in 
																			difficoltà 
																			dall’ingresso 
																			sulla 
																			scena 
																			politica 
																			ateniese 
																			di 
																			Alcibiade, 
																			«che 
																			si 
																			oppose 
																			immediatamente 
																			alla 
																			pace 
																			e 
																			cercò 
																			di 
																			ostacolarla» 
																			(Nic. 
																			X 
																			3). 
																			Quando 
																			l’antagonismo 
																			tra 
																			i 
																			due 
																			raggiunse 
																			il 
																			culmine 
																			si 
																			venne 
																			all’ostracismo, 
																			«procedura 
																			che 
																			il 
																			popolo 
																			ateniese 
																			era 
																			solito 
																			istruire 
																			saltuariamente 
																			per 
																			condannare 
																			a 
																			dieci 
																			anni 
																			d’esilio 
																			-con 
																			un 
																			voto 
																			scritto 
																			su 
																			dei 
																			cocci- 
																			una 
																			persona 
																			che 
																			fosse 
																			sospettata 
																			in 
																			generale 
																			per 
																			la 
																			sua 
																			fama 
																			o 
																			invidiata 
																			per 
																			la 
																			sua 
																			ricchezza» 
																			(Nic. 
																			XI 
																			1).
																			 
																			
																			
																			
																			Molteplici 
																			erano 
																			i 
																			motivi 
																			di 
																			invidia 
																			nei 
																			confronti 
																			dell’uno 
																			e 
																			dell’altro. 
																			Come 
																			spiega 
																			Plutarco, 
																			Alcibiade 
																			era 
																			disprezzato 
																			per 
																			il 
																			tenore 
																			di 
																			vita 
																			ed 
																			era 
																			temuto 
																			per 
																			la 
																			tracotanza; 
																			di 
																			contro 
																			Nicia 
																			era 
																			invidiato 
																			per 
																			le 
																			ricchezze, 
																			per 
																			il 
																			contegno 
																			riservato 
																			e 
																			aristocratico 
																			e 
																			per 
																			essersi 
																			opposto 
																			in 
																			svariate 
																			occasioni 
																			ai 
																			desideri 
																			del 
																			popolo. 
																			Tuttavia, 
																			a 
																			dispetto 
																			di 
																			ogni 
																			previsione, 
																			entrambi 
																			riuscirono 
																			a 
																			sottrarsi 
																			al 
																			provvedimento 
																			punitivo, 
																			coalizzandosi 
																			affinché 
																			venisse 
																			piuttosto 
																			ostracizzato 
																			Iperbolo 
																			del 
																			demo 
																			di 
																			Peritede, 
																			«uomo 
																			non 
																			audace 
																			perché 
																			detenesse 
																			qualche 
																			potere, 
																			ma 
																			arrivato 
																			al 
																			potere 
																			perché 
																			audace 
																			e 
																			divenuto, 
																			per 
																			il 
																			credito 
																			di 
																			cui 
																			godeva 
																			in 
																			città, 
																			motivo 
																			di 
																			discredito 
																			per 
																			la 
																			città 
																			stessa» 
																			(Nic. 
																			XI 
																			3).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			«La 
																			fortuna 
																			è 
																			davvero 
																			qualcosa 
																			che 
																			sfugge 
																			al 
																			giudizio 
																			ed è 
																			inafferrabile 
																			dalla 
																			ragione»: 
																			è 
																			questo 
																			il 
																			giudizio 
																			conclusivo 
																			di 
																			Plutarco. 
																			Nell’immagine 
																			del 
																			biografo 
																			di 
																			Cheronea, 
																			sia 
																			che 
																			fosse 
																			risultato 
																			vincente 
																			sia 
																			che 
																			fosse 
																			risultato 
																			perdente 
																			dalla 
																			contrapposizione 
																			con 
																			Alcibiade 
																			Nicia 
																			avrebbe 
																			comunque 
																			ottenuto 
																			di 
																			vivere 
																			in 
																			tranquillità, 
																			conservando 
																			la 
																			fama 
																			di 
																			eccellente 
																			generale,
																			
																			áristos 
																			strategós. 
																			Altre 
																			vicende 
																			avrebbe 
																			predisposto 
																			la
																			
																			tyche 
																			per 
																			lui.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Nonostante 
																			la 
																			tenace 
																			opposizione, 
																			chiara 
																			manifestazione 
																			di 
																			onestà 
																			e 
																			saggezza, 
																			Nicia 
																			non 
																			riuscì 
																			a 
																			impedire 
																			la 
																			partenza 
																			della 
																			spedizione 
																			in 
																			Sicilia 
																			promossa 
																			da 
																			Alcibiade. 
																			Anzi 
																			venne 
																			eletto 
																			primo 
																			generale 
																			insieme 
																			ad 
																			Alcibiade 
																			e a 
																			Namaco, 
																			in 
																			quanto 
																			considerato 
																			il 
																			più 
																			adatto 
																			all’impresa 
																			sia 
																			per 
																			l’esperienza,
																			
																			empeiría, 
																			sia 
																			per 
																			la 
																			prudenza,
																			
																			asfaleia, 
																			dote 
																			fondamentale 
																			per 
																			contenere 
																			l’audacia 
																			di 
																			Alcibiade 
																			e la 
																			focosità 
																			di 
																			Lamaco.
																			 
																			
																			
																			
																			A 
																			capo 
																			della 
																			spedizione, 
																			Nicia 
																			con 
																			il 
																			proprio
																			
																			modus 
																			operandi 
																			all’insegna 
																			dell’indecisione 
																			e 
																			della 
																			prudenza 
																			indebolì 
																			il 
																			morale 
																			degli 
																			uomini, 
																			facendo 
																			sin 
																			da 
																			subito 
																			sprecare 
																			occasioni 
																			propizie 
																			per 
																			l’azione. 
																			Scrive 
																			a 
																			tal 
																			proposito 
																			Plutarco: 
																			«E 
																			quando 
																			poco 
																			dopo 
																			gli 
																			Ateniesi 
																			richiamarono 
																			in 
																			patria 
																			Alcibiade 
																			per 
																			il 
																			processo, 
																			Nicia, 
																			rimasto 
																			al 
																			comando, 
																			in 
																			teoria 
																			insieme 
																			con 
																			Lamaco, 
																			di 
																			fatto 
																			da 
																			solo, 
																			non 
																			cessò 
																			di 
																			indugiare, 
																			di 
																			incrociare 
																			le 
																			navi 
																			intorno 
																			all’isola 
																			o di 
																			discutere, 
																			finché 
																			l’entusiasmo 
																			dei 
																			soldati 
																			si 
																			affievolì 
																			e si 
																			placarono 
																			la 
																			costernazione 
																			e la 
																			paura 
																			che 
																			avevano 
																			invaso 
																			i 
																			nemici 
																			al 
																			primo 
																			apparire 
																			delle 
																			forze 
																			ateniesi» 
																			(Nic. 
																			XIV 
																			4).
																			 
																			
																			
																			
																			L’esclusiva 
																			eccellente 
																			azione 
																			strategica 
																			venne 
																			compiuta 
																			da 
																			Nicia 
																			nel 
																			corso 
																			dell’estate, 
																			quando 
																			riuscì 
																			a 
																			far 
																			uscire 
																			i 
																			nemici 
																			dalla 
																			città 
																			di 
																			Siracusa 
																			e a 
																			svuotarla 
																			di 
																			difensori 
																			mentre 
																			salpava 
																			da 
																			Catania 
																			e 
																			occupava 
																			i 
																			due 
																			porti, 
																			assicurandosi 
																			una 
																			posizione 
																			da 
																			cui 
																			sperava 
																			di 
																			combattere 
																			senza 
																			ostacoli. 
																			In 
																			tal 
																			modo 
																			generò 
																			timori 
																			tra 
																			i 
																			Siracusani, 
																			che 
																			per 
																			questa 
																			ragione 
																			elessero 
																			altri 
																			tre 
																			generali 
																			con 
																			pieni 
																			poteri 
																			da 
																			sostegno 
																			ai 
																			quindici 
																			già 
																			in 
																			carica.
																			 
																			
																			
																			
																			Ma 
																			anche 
																			in 
																			questa 
																			circostanza 
																			Nicia 
																			non 
																			fu 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			sfruttare 
																			a 
																			suo 
																			vantaggio 
																			la 
																			vittoria 
																			conseguita. 
																			Si 
																			ritirò 
																			infatti 
																			a 
																			Nasso, 
																			dove 
																			trascorse 
																			l’inverno 
																			con 
																			ingenti 
																			spese 
																			per 
																			un 
																			esercito 
																			così 
																			numeroso 
																			e 
																			con 
																			pochi 
																			risultati 
																			sul 
																			fronte 
																			di 
																			qualche 
																			città 
																			sicula 
																			che 
																			passava 
																			dalla 
																			sua 
																			parte. 
																			I 
																			Siracusani, 
																			riacquistato 
																			coraggio, 
																			si 
																			spinsero 
																			fino 
																			a 
																			Catania, 
																			devastarono 
																			la 
																			regione 
																			e 
																			incendiarono 
																			il 
																			campo 
																			ateniese. 
																			Scrive 
																			a 
																			tal 
																			proposito 
																			Plutarco 
																			che 
																			«di 
																			ciò 
																			tutti 
																			diedero 
																			la 
																			colpa 
																			a 
																			Nicia, 
																			che 
																			con 
																			il 
																			suo 
																			disquisire 
																			e 
																			indugiare 
																			e 
																			cautelarsi 
																			si 
																			era 
																			lasciato 
																			sfuggire 
																			il 
																			momento 
																			adatto 
																			per 
																			l’azione». 
																			D’altra 
																			parte 
																			però 
																			-prosegue 
																			Plutarco- 
																			nessuno 
																			avrebbe 
																			potuto 
																			biasimare 
																			il 
																			suo
																			
																			modus 
																			agendi 
																			perché 
																			«una 
																			volta 
																			mossosi 
																			era 
																			energico 
																			ed 
																			efficiente, 
																			ma 
																			era 
																			esitante 
																			e 
																			irresoluto 
																			a 
																			muoversi» 
																			(Nic. 
																			XV 
																			8).
																			 
																			
																			
																			
																			Morto 
																			Lamaco, 
																			Nicia 
																			fu 
																			l’unico 
																			generale 
																			a 
																			guidare 
																			la 
																			spedizione. 
																			Stremato 
																			dagli 
																			eventi, 
																			dovette 
																			ora 
																			contrastare 
																			Gilippo, 
																			che 
																			fece 
																			deporre 
																			le 
																			armi 
																			e 
																			inviò 
																			un 
																			ambasciatore 
																			agli 
																			Ateniesi 
																			annunciando 
																			che 
																			se 
																			avessero 
																			lasciato 
																			la 
																			Sicilia 
																			sarebbero 
																			rimasti 
																			immuni. 
																			Assediato 
																			sia 
																			per 
																			terra 
																			sia 
																			per 
																			mare, 
																			Nicia 
																			pregò 
																			gli 
																			Ateniesi 
																			di 
																			inviargli 
																			un 
																			altro 
																			esercito 
																			oppure 
																			di 
																			richiamare 
																			quello 
																			dalla 
																			Sicilia. 
																			In 
																			ogni 
																			caso 
																			chiedeva 
																			per 
																			sé 
																			l’esonero 
																			dal 
																			comando 
																			della 
																			spedizione 
																			a 
																			causa 
																			della 
																			sua 
																			malattia, 
																			la 
																			nefrosi, 
																			che 
																			da 
																			tempo 
																			lo 
																			tormentava.
																			 
																			
																			
																			
																			Nel 
																			frattempo 
																			Gilippo, 
																			con 
																			un’incursione 
																			improvvisa, 
																			occupò 
																			il 
																			Plemmirio, 
																			il 
																			promontorio 
																			che 
																			chiudeva 
																			il 
																			Porto 
																			Grande 
																			di 
																			Siracusa, 
																			precludendo 
																			a 
																			Nicia 
																			ogni 
																			possibile 
																			rifornimento. 
																			Gli 
																			Ateniesi 
																			subirono 
																			in 
																			questa 
																			circostanza 
																			una 
																			pesante 
																			sconfitta 
																			e 
																			non 
																			è 
																			difficile 
																			immaginare 
																			quale 
																			dovesse 
																			essere 
																			lo 
																			stato 
																			d’animo 
																			del 
																			comandante: 
																			«Un 
																			profondo 
																			scoramento 
																			dominava 
																			Nicia, 
																			che 
																			aveva 
																			avuto 
																			grossi 
																			insuccessi 
																			quando 
																			era 
																			solo 
																			al 
																			comando 
																			e 
																			ancora 
																			una 
																			volta 
																			falliva 
																			a 
																			causa 
																			dei 
																			suoi 
																			colleghi» 
																			(Nic. 
																			XX 
																			8).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Nell’ottobre 
																			del 
																			414 
																			Nicia 
																			dovette 
																			chiedere 
																			rinforzi. 
																			Consapevole 
																			della 
																			situazione, 
																			voleva 
																			evitare 
																			a 
																			tutti 
																			i 
																			costi 
																			una 
																			battaglia 
																			navale. 
																			Tuttavia, 
																			utilizzando 
																			come 
																			pretesto 
																			il 
																			prestigio 
																			di 
																			Atene, 
																			Menandro 
																			ed 
																			Eutidemo, 
																			al 
																			comando 
																			della 
																			spedizione, 
																			imposero 
																			la 
																			decisione 
																			della 
																			battaglia 
																			navale.
																			 
																			
																			
																			
																			Lo 
																			scontro 
																			navale, 
																			narrato 
																			da 
																			Tucidide 
																			(Storie 
																			VII 
																			39-41), 
																			si 
																			rivelò 
																			una 
																			vera 
																			e 
																			propria 
																			disfatta 
																			per 
																			gli 
																			Ateniesi. 
																			I 
																			Siracusani 
																			riuscirono 
																			a 
																			prevalere 
																			grazie 
																			allo 
																			stratagemma 
																			di 
																			Aristone. 
																			Riunirono 
																			sulla 
																			spiaggia 
																			numerosi 
																			venditori 
																			di 
																			cibarie 
																			e 
																			vettovaglie 
																			in 
																			modo 
																			tale 
																			che 
																			i 
																			marinai 
																			potessero 
																			mangiare 
																			vicino 
																			alle 
																			navi. 
																			In 
																			seguito 
																			indietreggiarono, 
																			facendo 
																			intendere 
																			agli 
																			Ateniesi 
																			di 
																			aver 
																			rinviato 
																			il 
																			conflitto. 
																			Infine 
																			tornarono 
																			improvvisamente 
																			indietro 
																			cogliendo 
																			gli 
																			Ateniesi 
																			di 
																			sorpresa 
																			e 
																			costringendoli 
																			ad 
																			accettare 
																			lo 
																			scontro.
																			 
																			
																			
																			
																			Nel 
																			luglio 
																			del 
																			413 
																			giunsero 
																			in 
																			Sicilia 
																			i 
																			rinforzi 
																			guidati 
																			da 
																			Demostene: 
																			settantatré 
																			navi 
																			da 
																			guerra 
																			con 
																			cinquemila 
																			opliti 
																			e 
																			almeno 
																			tremila 
																			lanciatori 
																			di 
																			giavellotto, 
																			arcieri 
																			e 
																			frombolieri. 
																			I 
																			Siracusani 
																			furono 
																			nuovamente 
																			in 
																			preda 
																			alla 
																			paura 
																			perché 
																			«i 
																			loro 
																			travagli 
																			non 
																			accennavano 
																			a 
																			finire 
																			e 
																			nemmeno 
																			ad 
																			allontanarsi 
																			e 
																			invano 
																			spendevano 
																			fatiche 
																			e 
																			vite 
																			umane» 
																			(Nic. 
																			XXI 
																			2). 
																			Nel 
																			campo 
																			ateniese 
																			il 
																			sollievo 
																			per 
																			le 
																			nuove 
																			forze 
																			non 
																			durò 
																			a 
																			lungo. 
																			Nicia 
																			infatti 
																			si 
																			opponeva 
																			alla 
																			proposta 
																			di 
																			Demostene 
																			di 
																			attaccare 
																			il 
																			nemico 
																			e di 
																			affrontare 
																			il 
																			rischio 
																			di 
																			una 
																			battaglia 
																			decisiva 
																			in 
																			modo 
																			tale 
																			da 
																			espugnare 
																			Siracusa 
																			o da 
																			ritornare 
																			in 
																			patria. 
																			Era 
																			convinto 
																			che 
																			i 
																			nemici 
																			ben 
																			presto 
																			sarebbero 
																			stati 
																			logorati 
																			dal 
																			bisogno 
																			per 
																			cui 
																			avrebbero 
																			scelto 
																			di 
																			avviare 
																			delle 
																			trattative.
																			 
																			
																			
																			
																			Ma 
																			tale 
																			invito 
																			alla 
																			prudenza 
																			venne 
																			interpretato 
																			dai 
																			colleghi 
																			come 
																			mancanza 
																			di 
																			audacia: 
																			«E 
																			così 
																			dissero 
																			che 
																			ritornava 
																			il 
																			suo 
																			atteggiamento 
																			-le 
																			incertezze, 
																			i 
																			ritardi, 
																			le 
																			analisi 
																			pedantesche 
																			per 
																			cui 
																			aveva 
																			sprecato 
																			l’occasione 
																			favorevole 
																			non 
																			attaccando 
																			subito 
																			i 
																			nemici, 
																			ma 
																			si 
																			era 
																			mostrato 
																			lento 
																			e 
																			disprezzabile- 
																			e si 
																			schierarono 
																			con 
																			Demostene: 
																			Nicia, 
																			seppur 
																			riluttante, 
																			fu 
																			costretto 
																			a 
																			cedere» 
																			(Nic. 
																			XXI 
																			6).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Demostene 
																			guidò 
																			le 
																			forze 
																			di 
																			terra 
																			in 
																			un 
																			attacco 
																			notturno 
																			dell’Epipole. 
																			In 
																			questa 
																			circostanza 
																			la 
																			scarsità 
																			di 
																			luce 
																			condusse 
																			gli 
																			Ateniesi 
																			al 
																			disastro. 
																			Vi 
																			furono 
																			duemila 
																			morti. 
																			Nicia, 
																			che 
																			attribuiva 
																			la 
																			responsabilità 
																			della 
																			disfatta 
																			alla 
																			dissennatezza 
																			di 
																			Demostene, 
																			non 
																			volle 
																			rientrare 
																			in 
																			patria 
																			perché 
																			nutriva 
																			profondi 
																			timori 
																			nei 
																			confronti 
																			dei 
																			suoi 
																			concittadini, 
																			a 
																			cui 
																			avrebbe 
																			dovuto 
																			rendere 
																			conto 
																			del 
																			proprio 
																			operato. 
																			Quando 
																			però 
																			sopraggiunse 
																			un’altra 
																			armata 
																			in 
																			soccorso 
																			dei 
																			Siracusani 
																			e si 
																			diffuse 
																			tra 
																			gli 
																			Ateniesi 
																			la 
																			malattia, 
																			fu 
																			costretto 
																			a 
																			ordinare 
																			ai 
																			soldati 
																			di 
																			tenersi 
																			pronti 
																			a 
																			salpare.
																			 
																			
																			
																			
																			La 
																			situazione 
																			degenerò 
																			a 
																			causa 
																			di 
																			un’eclissi 
																			di 
																			luna 
																			che, 
																			stando 
																			al 
																			racconto 
																			di 
																			Tucidide 
																			(Storie 
																			VII 
																			50), 
																			si 
																			verificò 
																			il 
																			27 
																			agosto 
																			del 
																			413 
																			e 
																			che 
																			suscitò 
																			grande 
																			terrore 
																			sia 
																			in 
																			Nicia 
																			sia 
																			in 
																			quanti 
																			altri 
																			per 
																			ignoranza 
																			o 
																			per 
																			superstizione 
																			si 
																			lasciavano 
																			impressionare 
																			da 
																			tali 
																			fenomeni. 
																			In 
																			tale 
																			circostanza 
																			il 
																			comandante 
																			ateniese 
																			si 
																			trovava 
																			da 
																			solo 
																			e 
																			non 
																			poteva 
																			disporre 
																			dell’aiuto 
																			del 
																			suo 
																			indovino 
																			personale 
																			Stilbide, 
																			morto 
																			qualche 
																			tempo 
																			prima. 
																			Filocoro, 
																			uno 
																			dei 
																			più 
																			noti 
																			attidografi 
																			del 
																			IV 
																			secolo 
																			a.C., 
																			ha 
																			mostrato 
																			che 
																			per 
																			i 
																			fuggitivi 
																			tale 
																			presagio 
																			è in 
																			realtà 
																			propizio 
																			«poiché 
																			le 
																			azioni 
																			che 
																			si 
																			compiono 
																			con 
																			paura 
																			hanno 
																			bisogno 
																			di 
																			essere 
																			celate 
																			e la 
																			luce 
																			è 
																			loro 
																			nemica» 
																			(Nic. 
																			XXIII 
																			8).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Come 
																			ricorda 
																			Plutarco, 
																			lo 
																			scrittore 
																			ateniese 
																			Autoclide 
																			negli
																			
																			Esegetici 
																			consigliava 
																			di 
																			osservare 
																			tre 
																			giorni 
																			di 
																			cautela 
																			per 
																			i 
																			presagi 
																			relativi 
																			al 
																			sole 
																			e 
																			alla 
																			luna, 
																			ma 
																			Nicia 
																			invitò 
																			ad 
																			attendere 
																			un’intera 
																			lunazione 
																			«come 
																			se 
																			non 
																			avesse 
																			visto 
																			la 
																			luna 
																			riprendere 
																			subito 
																			il 
																			suo 
																			splendore 
																			appena 
																			uscita 
																			dalla 
																			zona 
																			d’ombra 
																			determinata 
																			dalla 
																			terra» 
																			(Nic. 
																			XXIII 
																			9).
																			
																			
																			
																			Mentre 
																			Nicia 
																			era 
																			intento 
																			a 
																			compiere 
																			sacrifici 
																			e a 
																			consultare 
																			indovini, 
																			i 
																			Siracusani 
																			passarono 
																			all’attacco: 
																			con 
																			la 
																			fanteria 
																			assediarono 
																			l’accampamento 
																			e il 
																			muro 
																			ateniese 
																			mentre 
																			con 
																			le 
																			navi 
																			accerchiarono 
																			il 
																			porto. 
																			Risultarono 
																			ancora 
																			una 
																			volta 
																			vincitori 
																			nello 
																			scontro 
																			navale. 
																			Di 
																			fronte 
																			alla 
																			drammatica 
																			situazione, 
																			i 
																			soldati 
																			ateniesi 
																			iniziarono 
																			a 
																			chiedere 
																			agli 
																			strateghi 
																			di 
																			avviare 
																			la 
																			ritirata 
																			via 
																			terra, 
																			dato 
																			che 
																			il 
																			porto 
																			era 
																			stato 
																			bloccato. 
																			Ma 
																			Nicia 
																			non 
																			si 
																			lasciò 
																			persuadere 
																			e di 
																			contro 
																			fece 
																			imbarcare 
																			i 
																			fanti 
																			migliori 
																			e i 
																			più 
																			robusti 
																			lanciatori 
																			di 
																			giavellotti 
																			su 
																			centodieci 
																			triremi, 
																			dispose 
																			i 
																			restanti 
																			soldati 
																			lungo 
																			il 
																			mare, 
																			abbandonando 
																			l’accampamento 
																			principale 
																			e la 
																			zona 
																			di 
																			muro 
																			che 
																			toccava 
																			il 
																			tempio 
																			di 
																			Eracle.
																			 
																			
																			
																			
																			Nell’immagine 
																			di 
																			Plutarco 
																			quella 
																			che 
																			ne 
																			scaturì 
																			fu 
																			la 
																			battaglia 
																			navale 
																			«più 
																			grande 
																			e 
																			violenta 
																			mai 
																			combattuta» 
																			(Nic. 
																			XXV 
																			2). 
																			Uno 
																			scontro 
																			che 
																			recò 
																			vittime 
																			in 
																			entrambi 
																			gli 
																			schieramenti. 
																			«Al 
																			momento 
																			della 
																			rotta 
																			e 
																			della 
																			rovina 
																			totale 
																			agli 
																			Ateniesi 
																			era 
																			ormai 
																			preclusa 
																			la 
																			fuga 
																			per 
																			mare 
																			e 
																			vedendo, 
																			d’altra 
																			parte, 
																			che 
																			anche 
																			mettersi 
																			in 
																			salvo 
																			via 
																			terra 
																			era 
																			arduo, 
																			non 
																			opposero 
																			più 
																			resistenza 
																			ai 
																			nemici 
																			che 
																			si 
																			accostavano 
																			alle 
																			loro 
																			navi 
																			per 
																			rimorchiarle 
																			e 
																			non 
																			chiesero 
																			neppure 
																			di 
																			raccogliere 
																			i 
																			loro 
																			morti 
																			[…]» 
																			(Nic. 
																			XXV 
																			5).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Nei 
																			paragrafi 
																			successivi 
																			la 
																			narrazione 
																			di 
																			Plutarco 
																			si 
																			focalizza 
																			sulla 
																			situazione 
																			del 
																			campo 
																			ateniese 
																			e 
																			sulla 
																			sorte 
																			ingiusta 
																			spettata 
																			a 
																			Nicia, 
																			uomo 
																			pio 
																			e 
																			devoto 
																			agli 
																			dèi. 
																			Una 
																			narrazione 
																			intensa 
																			volta 
																			a 
																			esaltare 
																			il 
																			dramma 
																			interiore 
																			di 
																			un 
																			comandante 
																			che 
																			assiste 
																			alla 
																			disfatta 
																			del 
																			proprio 
																			esercito, 
																			ma 
																			soprattutto 
																			di 
																			un 
																			uomo 
																			ammalato 
																			e 
																			abbandonato 
																			da 
																			tutti: 
																			«Fra 
																			gli 
																			spettacoli 
																			terribili 
																			che 
																			offriva 
																			il 
																			campo 
																			ateniese 
																			nessuno 
																			era 
																			più 
																			penoso 
																			di 
																			quello 
																			di 
																			Nicia, 
																			distrutto 
																			dalla 
																			malattia, 
																			ridotto, 
																			nonostante 
																			il 
																			suo 
																			grado, 
																			alla 
																			pura 
																			sussistenza 
																			e al 
																			minimo 
																			delle 
																			risorse 
																			di 
																			cui 
																			il 
																			suo 
																			corpo 
																			malato 
																			aveva 
																			tanto 
																			bisogno, 
																			e 
																			tuttavia 
																			attivo 
																			malgrado 
																			la 
																			debolezza 
																			e 
																			resistente 
																			alle 
																			fatiche 
																			a 
																			cui 
																			molti 
																			soldati 
																			sani 
																			a 
																			stento 
																			reggevano, 
																			mentre 
																			era 
																			chiaro 
																			a 
																			tutti 
																			che 
																			sopportava 
																			le 
																			sofferenze 
																			non 
																			per 
																			se 
																			stesso 
																			né 
																			per 
																			attaccamento 
																			alla 
																			vita, 
																			ma 
																			piuttosto 
																			a 
																			causa 
																			delle 
																			truppe 
																			non 
																			abbandonava 
																			le 
																			speranze» 
																			(Nic. 
																			XXVI 
																			4).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Un 
																			dramma 
																			interiore 
																			che 
																			traeva 
																			origine 
																			dall’odioso 
																			confronto 
																			tra 
																			la 
																			vergogna 
																			e il 
																			disonore 
																			della 
																			spedizione 
																			con 
																			la 
																			grandezza 
																			e la 
																			gloria 
																			dei 
																			successi 
																			prospettati. 
																			I 
																			soldati 
																			d’altra 
																			parte 
																			si 
																			convincevano 
																			che 
																			tali 
																			sofferenze 
																			fossero 
																			ingiuste 
																			e 
																			disperavano 
																			dell’aiuto 
																			divino, 
																			«constatando 
																			che 
																			un 
																			uomo 
																			così 
																			pio,
																			
																			theophiles, 
																			e 
																			così 
																			spesso 
																			magnificamente 
																			liberale 
																			nel 
																			culto 
																			degli 
																			dèi 
																			non 
																			subiva 
																			una 
																			sorte 
																			migliore 
																			di 
																			quella 
																			dei 
																			peggiori 
																			vigliacchi 
																			del 
																			suo 
																			esercito» 
																			(Nic. 
																			XXVI 
																			6).
																			 
																			
																			
																			
																			Malgrado 
																			la 
																			situazione, 
																			Nicia 
																			si 
																			sforzava 
																			di 
																			infondere 
																			coraggio 
																			e di 
																			mostrare 
																			attraverso 
																			l’espressione 
																			del 
																			volto 
																			e la 
																			gentilezza 
																			dei 
																			modi 
																			di 
																			essere 
																			superiore 
																			alle 
																			sventure. 
																			Durante 
																			gli 
																			otto 
																			giorni 
																			di 
																			marcia 
																			riuscì 
																			a 
																			mantenere 
																			inalterate 
																			le 
																			forze 
																			fino 
																			a 
																			quando 
																			però 
																			Demostene 
																			non 
																			venne 
																			catturato 
																			dai 
																			nemici 
																			(Nic. 
																			XXVII). 
																			Decise 
																			allora 
																			di 
																			chiedere 
																			una 
																			tregua. 
																			Lo 
																			spartano 
																			Gilippo 
																			si 
																			oppose.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Nicia 
																			riuscì 
																			ad 
																			avanzare 
																			sotto 
																			i 
																			colpi 
																			dei 
																			nemici 
																			fino 
																			al 
																			fiume 
																			Asinaro: 
																			«Là 
																			gli 
																			Ateniesi 
																			in 
																			parte 
																			furono 
																			scaraventati 
																			nella 
																			corrente 
																			dall’aggressione 
																			congiunta 
																			del 
																			nemico, 
																			in 
																			parte, 
																			prevenendola, 
																			si 
																			gettarono 
																			nel 
																			fiume 
																			per 
																			la 
																			sete. 
																			E 
																			qui 
																			ebbe 
																			luogo 
																			un’enorme 
																			e 
																			selvaggia 
																			strage 
																			di 
																			soldati, 
																			che 
																			venivano 
																			massacrati 
																			mentre 
																			bevevano» 
																			(Nic. 
																			XXVII 
																			5). 
																			Pare 
																			che 
																			Nicia, 
																			rivolgendosi 
																			a 
																			Gilippo, 
																			abbia 
																			detto: 
																			«Dal 
																			momento 
																			che 
																			avete 
																			vinto, 
																			abbiate 
																			pietà 
																			non 
																			certo 
																			di 
																			me, 
																			che 
																			a 
																			tanti 
																			successi 
																			devo 
																			un 
																			nome 
																			famoso, 
																			ma 
																			degli 
																			altri 
																			Ateniesi, 
																			ricordandovi 
																			che 
																			la 
																			sorte 
																			della 
																			guerra 
																			è 
																			comune 
																			e di 
																			essa 
																			gli 
																			Ateniesi 
																			hanno 
																			usato 
																			con 
																			moderazione 
																			e 
																			mitezza, 
																			quando 
																			era 
																			in 
																			vantaggio 
																			nei 
																			vostri 
																			confronti» 
																			(Nic. 
																			XXVII 
																			5).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			A 
																			queste 
																			parole 
																			Gilippo 
																			rialzò 
																			Nicia, 
																			lo 
																			confortò 
																			e 
																			diede 
																			ordine 
																			di 
																			catturare 
																			vivi 
																			gli 
																			altri. 
																			Successivamente, 
																			nel 
																			corso 
																			di 
																			un’assemblea 
																			generale, 
																			il 
																			capo 
																			democratico 
																			siracusano 
																			Euricle 
																			propose 
																			di 
																			consacrare 
																			la 
																			data 
																			dell’anniversario 
																			della 
																			cattura 
																			di 
																			Nicia 
																			e di 
																			chiamare
																			
																			Asinaria, 
																			dal 
																			nome 
																			del 
																			fiume, 
																			tale 
																			celebrazione. 
																			Ricorreva 
																			il 
																			ventiseiesimo 
																			giorno 
																			del 
																			mese 
																			Carneo, 
																			chiamato 
																			dagli 
																			Ateniesi
																			
																			Metagitnione, 
																			corrispondente 
																			a 
																			luglio-agosto. 
																			Infine 
																			propose 
																			di 
																			vendere 
																			come 
																			schiavi 
																			i 
																			servi 
																			e 
																			tutti 
																			gli 
																			alleati 
																			degli 
																			Ateniesi, 
																			di 
																			gettare 
																			gli 
																			Ateniesi 
																			e 
																			gli 
																			alleati 
																			siciliani 
																			nelle 
																			Latomie, 
																			cave 
																			trasformate 
																			in 
																			prigione, 
																			fatta 
																			eccezione 
																			per 
																			i 
																			generali 
																			che 
																			dovevano 
																			essere 
																			condannati 
																			a 
																			morte.
																			 
																			
																			
																			
																			Infine 
																			Plutarco 
																			riporta 
																			la 
																			notizia 
																			di 
																			Timeo 
																			secondo 
																			cui 
																			Demostene 
																			e 
																			Nicia 
																			non 
																			caddero 
																			per 
																			mano 
																			dei 
																			Siracusani: 
																			prima 
																			ancora 
																			che 
																			l’assemblea 
																			indetta 
																			da 
																			Euricle 
																			venisse 
																			sciolta, 
																			entrambi 
																			si 
																			uccisero 
																			con 
																			la 
																			connivenza 
																			di 
																			una 
																			delle 
																			guardie. 
																			I 
																			loro 
																			cadaveri 
																			furono 
																			gettati 
																			alle 
																			porte 
																			della 
																			città, 
																			dove 
																			giacquero 
																			alla 
																			vista 
																			di 
																			coloro 
																			che 
																			godevano 
																			di 
																			quel 
																			macabro 
																			spettacolo. 
																			Ad 
																			Atene 
																			«a 
																			stento 
																			si 
																			credette 
																			che 
																			Nicia 
																			avesse 
																			subito 
																			quelle 
																			sventure 
																			che 
																			aveva 
																			tante 
																			volte 
																			predetto 
																			agli 
																			Ateniesi» 
																			(Nic. 
																			XXX 
																			3).
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Si 
																			trattava 
																			di 
																			una 
																			morte 
																			disonorevole 
																			nell’immagine 
																			di 
																			Plutarco, 
																			perché 
																			Nicia 
																			per 
																			una 
																			vergognosa 
																			e 
																			ingloriosa 
																			speranza 
																			di 
																			salvezza 
																			si 
																			era 
																			gettato 
																			ai 
																			piedi 
																			del 
																			nemico. 
																			Differente 
																			è la 
																			valutazione 
																			di 
																			Tucidide 
																			che 
																			scrive: 
																			«Egli, 
																			fra 
																			i 
																			Greci 
																			del 
																			mio 
																			tempo, 
																			fu 
																			meno 
																			di 
																			ogni 
																			altro 
																			degno 
																			di 
																			tale 
																			sciagura: 
																			tutta 
																			la 
																			vita 
																			di 
																			lui 
																			fu 
																			un 
																			virtuoso 
																			esercizio 
																			di 
																			giustizia». 
																			Questo 
																			commento 
																			ben 
																			sintetizza 
																			la 
																			parabola 
																			discendente 
																			di 
																			un 
																			politico 
																			giusto 
																			e 
																			onesto, 
																			prudente 
																			e 
																			accorto, 
																			di 
																			un 
																			personaggio 
																			ispiratore 
																			e 
																			sostenitore 
																			della 
																			pace, 
																			protagonista 
																			suo 
																			malgrado 
																			della 
																			Guerra 
																			del 
																			Peloponneso, 
																			di 
																			un 
																			uomo 
																			pio 
																			e 
																			devoto 
																			degli 
																			dèi 
																			vittima 
																			di 
																			una 
																			avversa
																			
																			tyche 
																			e 
																			dell’invidia 
																			dei 
																			suoi 
																			concittadini.
																			
																			
																			
																			 
																			
																			 
																			
																			
																			Riferimenti 
																			bibliografici:
																			 
																			
																			
																			H. 
																			Bengtson,
																			
																			Einführung 
																			in 
																			die 
																			alte 
																			Geschichte, 
																			München 
																			1977,
																			
																			trad. 
																			it. 
																			Bologna 
																			1990.
																			
																			
																			H. 
																			Bengtson,
																			
																			Griechische 
																			Geschichte: 
																			von 
																			den 
																			Anfängen 
																			bis 
																			in 
																			die 
																			römische 
																			Kaiserzeit, 
																			München 
																			1977,
																			
																			trad. 
																			it.
																			
																			
																			Bologna 
																			1989.
																			
																			
																			T. 
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																			Duff,
																			
																			Plutarch’s 
																			Lives, 
																			Exploring 
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																			and 
																			Vice,
																			
																			Oxford 
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																			D. 
																			Manetti 
																			(ed.), 
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																			Vita 
																			di 
																			Nicia 
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																			Crasso,
																			
																			Milano 
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																			C.B.R. 
																			Pelling,
																			
																			Plutarch’s 
																			Methods 
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																			work 
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																			Roman 
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																			«The 
																			Journal 
																			of 
																			Hellenic 
																			Studies» 
																			XCIX 
																			(1979),
																			
																			
																			pp.
																			
																			
																			74-96.
																							
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			