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N. 62 - Febbraio 2013 (XCIII)

Il net criticism nella storia del web 2.0
Prospettive della rivoluzione digitale

di Vincenzo Grienti

 

Nella storia del web il periodo che va dalla fine del 2008 agli inizi del 2013 sarà ricordato per l’intenso dibattito intellettuale attorno al web 2.0, cioè alla seconda fase di Internet caratterizzata dall’avvento dei social network come Facebook, Twitter e YouTube.

 

Se gli anni Novanta hanno segnato l’inizio della diffusione popolare di Internet, la seconda metà del Duemila ha visto la nascita di correnti culturali che, superato il momento dell’entusiasmo incondizionato verso il nuovo mondo del web, hanno preferito intraprendere percorsi critici nei confronti della Rete.

 

Così, a studiosi come Derrick De Kerchove, discepolo di Marshall McLuhan, e Nicolas Negroponte, si sono affiancati, e per certi versi contrapposti gli esponenti del net criticism, una corrente secondo la quale qualcosa “è cominciato ad andare storto nella rivoluzione digitale”.

 

Affermazione quest’ultima riconducibile a Jaron Lanier, autore di un libro molto interessante dal titolo You are not a gadget (tradotto in Italia con il titolo Tu non sei un gadget).

 

Lanier spiega che “il World Wide Web è stato inondato da una fiumana di tecnologie di pessimo livello talvolta etichettate come Web 2.0. Questa ideologia promuove una libertà radicale, ma paradossalmente si tratta di una libertà riservata più alle macchine che alle persone. Eppure se ne sente parlare come di cultura open. Commenti anonimi sui blog, video vacui che cercano di essere spiritosi e mash-up dilettanteschi: cose che possono sembrare solo banali e inoffensive, ma che nel loro insieme, in quanto pratica diffusa di comunicazione frammentaria e impersonale, hanno depauperato l'interazione fra le persone”.

 

Per Lanier e per altri guru del frammentato universo dei social network è stato inevitabile essere etichettati come “pentiti del web” da giornalisti ed esperti, ma anche da molti addetti ai lavori.

 

È così che tra il 2010 e il 2013, studiosi come Sherry Turkle, autrice di Alone Togheter (Basic Books), Andrew Keen, autore di Dilettanti.com (edito in Italia da De Agostini), Nicholas Carr, autore di Internet ci rende stupidi? (Raffaello Cortina) e Geert Lovink, che ha firmato Zero Comments (Bruno Mondadori) sono stati inquadrati assieme a tanti altri come “i delusi di Internet”. Proprio Geert Lovink, alla fine del 2012, ha pubblicato un libro dal titolo Ossessioni Collettive (Egea, 2012).

 

In una recente intervista a un quotidiano italiano ha dichiarato:“Mi piace l’idea che la tecnologia ci assista a livello informale in modo tale che possiamo spingerla da parte al momento supremo, chiudere gli smartphone e avere degli incontri reali. Ma questo richiede addestramento e saggezza”. (L’intellettuale sarà virtuale. Intervista a Geert Lovink, tra i più importanti studiosi della cultura web, T.Numerico, L’Unità del 7 novembre p.19).

 

Una sottolineatura che mette in evidenza come la Rete può essere considerata un vero e proprio campo di battaglia che vede tanti protagonisti in corsa per la conquista dell’utente.

 

Un esponente da annoverare senza dubbio tra le file dei critici del web 2.0 è stato Todd Gitlin, professore di sociologia e giornalismo alla Columbia University, che potrebbe essere considerato quasi un precursore del net criticism. Nel 2003, infatti, ha scritto un saggio dal titolo Sommersi dai media (edizione italiana a cura di Milly Buonanno, Etas 2003) dove spiega come in una società che si crede la più libera da sempre, “trascorrere il tempo con i media è l’uso principale a cui abbiamo destinato la nostra libertà, scrive Gitlin.

 

Crediamo di poter scegliere, perché possediamo telecomandi, abbonamenti alle tv via cavo, walkman e lettori di cd, collegamenti a Internet e cellulari. In realtà ci immergiamo sempre più a fondo nel torrente mediatico che scorre a grande velocità, e incoraggia la distrazione, le emozioni usa e getta, il disimpegno”.

 

E in Italia? Più che parlare di “pentiti” o di “delusi” si potrebbe semplicemente dire che in questo ampio e fluido dibattito tra entusiasti e critici del web 2.0 sono emerse correnti più moderate orientate a fare appello al buon senso e alla necessità di educare alle nuove tecnologie.

 

Tra questi Paolo Landi, docente in comunicazione all'Università di Design e Arte Iuav di Venezia, che in un pamphlet dal titolo Impigliati nella rete (Bompiani, 2007) smonta, a volte con ironia, quei luoghi comuni sul Web del tipo: la velocità (sbalorditiva), l'onnipotenza (il mondo ai nostri piedi), la democrazia (tutti possono dire ciò che pensano), i libri e i giornali (moriranno, resisteranno?), la scuola (sostituita da Wikipedia), i soldi (facili).

 

Fabio Metitieri, informatico e giornalista, ha scritto Il grande inganno del Web 2.0 (editori Laterza, 2009) in cui parla di una “ideologia del Web 2.0” dove non c’è spazio per gli intermediari dell’informazione.

 

Al suo posto la swarm intelligence, ossia “la saggezza che emerge all’interno di una folla in modo automagico” spiega l’autore utilizzando il termine inglese automagically per parlare “dei sogni che a volte gli utenti ripongono nel software, dimenticandosi della sua innata stupidità”.

 

La nascita di correnti culturali critiche o moderate contrapposte a quelle degli entusiasti del web 2.0 mette in evidenza che qualcosa sta cambiando nella storia della Rete.

 

Di fatto, la riflessione e il dibattito attorno alle nuove tecnologie non possono che fare bene soprattutto ai fruitori finali, cioè ai navigatori-utenti, coloro che usano Internet per lavoro, per il tempo libero, per lo studio.

 

La presenza di differenti correnti culturali stimola la persona umana a interrogarsi sul bisogno di leggere attentamente le avvertenze e le modalità d’uso prima di tuffarsi nel mare magnum del web.



 

 

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