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N. 83 - Novembre 2014 (CXIV)

L’Italia che affrontò la GRANDE Guerra
LA STAMPA NAZIONALE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

IN MOSTRA Al Museo "Nello Cassata"
di Serafina Nicolosi

 

1914-2014 - Sono trascorsi cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale e la straordinaria rilevanza storica di un conflitto che sconvolse gli equilibri geo-politici europei e medio orientali, si propagò con dimensioni planetarie e provocò la morte di milioni di uomini è stata solennemente celebrata in varie parti d’Italia e del mondo.

 

In omaggio a questo importante anniversario, una mostra dei quotidiani e della stampa periodica dell’epoca è stata inaugurata, lo scorso luglio, presso il Museo Etnostorico Nello Cassata (Barcellona Pozzo di Gotto – Messina), e sarà visitabile fino alla fine di dicembre.

 

La stessa collezione di documenti è comunque parte integrante dell’emeroteca del museo, e rimane perciò aperta al pubblico e disponibile per la consultazione in maniera permanente.

 

L’esposizione offre una ricca e variegata galleria di testi ed immagini che con la loro vivida eloquenza descrivono gli eventi bellici, politici e di costume di quei terribili anni e, soprattutto, permettono di leggere i pensieri e gli stati d’animo di chi li visse e commentò.

 

Sfogliando le pagine ingiallite di note ed autorevoli testate dell’epoca si ha, pertanto, la sensazione di compiere un suggestivo viaggio nella storia, ricavando un quadro completo delle motivazioni politiche e spinte ideologiche che indussero il nostro Paese ad entrare in guerra, della retorica bellica che descriveva con toni eroici ed encomiastici le imprese dei soldati al fronte, dei valori e sentimenti che animarono un popolo protagonista e spettatore al contempo.

 

Gli ideali politici…

 

“Lucido e sereno […] severo e composto […] dignitoso e documentato”: così un articolo de L’Illustrazione Italiana (13 giugno 1915) definisce il discorso pronunciato dal primo ministro Antonio Salandra in Campidoglio per motivare l’uscita dell’Italia dalla Triplice Alleanza (un patto difensivo siglato con Germania e Austria nel 1882, che imponeva la neutralità nel caso in cui uno dei firmatari fosse indotto a dichiarare guerra) e l’ingresso nel conflitto a fianco della Triplice Intesa (composta da Gran Bretagna, Francia e Russia), in risposta alle feroci accuse di slealtà e scelleratezza formulate dal cancelliere tedesco Bethmann-Hollweg.

 

“Dove è dunque il tradimento, dove l’iniquità, dove la sorpresa – chiedeva Salandra durante il suo vibrante ed appassionato intervento – se, dopo nove mesi di sforzi vani per arrivare ad un’intesa onorevole la quale riconoscesse in equa misura i nostri diritti e tutelasse i nostri interessi, noi riprendemmo la nostra libertà d’azione e provvedemmo come l’interesse della Patria ci consigliava?”.

 

Secondo il racconto fatto dal primo ministro italiano, la Triplice Alleanza aveva costretto l’Italia ad una condizione, non più accettabile, di subordinazione diplomatica nei confronti di Germania ed Austria, e continuava per di più a negarle la restituzione delle cosiddette terre irredente. La mutata collocazione nel panorama delle alleanze internazionali doveva, pertanto, essere letta come un atto di necessità politica, di orgoglio patriottico e, in definitiva, di “buon diritto”.

 

In un quadro generale che, almeno su un piano propagandistico cui parte del discorso dello stesso Salandra si attiene, vedeva il tentativo di affermazione degli ideali di libertà e sovranità nazionale contrapporsi alla pretesa di egemonia ed alle spinte espansionistiche degli Imperi Centrali, l’Italia si sentiva investita del ruolo “tremendo e gravoso” di portare a termine il progetto di unificazione concepito dagli “eroi del Risorgimento”.

 

Il Patto di Londra del 26 aprile 1915 aveva infatti stabilito che il nostro Paese, in cambio del suo impegno a partecipare alla guerra in qualità di alleata della Triplice Intesa, avrebbe ottenuto l’annessione di Trentino, Tirolo meridionale, Venezia Giulia, Istria (esclusa Fiume), una parte della Dalmazia, Valona in Albania, ed il riconoscimento della sovranità sulla Libia e le isole del Dodecaneso.

 

Si sarebbe, cioè, finalmente portato a termine quel processo di costruzione dell’unità territoriale, politica e culturale per cui tanti uomini avevano lottato durante il secolo precedente, negli anni 1848-1849, 1859, 1860, 1866 e 1870.

 

Alle parole orgogliose ed accorate di Salandra fanno eco quelle della rivista settimanale La guerra italiana (4 luglio 1915) che, descrivendo i risultati raggiunti nel primo mese di mobilitazione militare, in un paragrafo estremamente significativo spiega: “La coscienza nazionale, veramente nazionale, di tutta la penisola è stata, fino a venti anni fa – fino a pochi mesi fa, affermano alcuni – una aspirazione, una speranza di poche anime illuminate.

 

Solo una grande prova come la guerra poteva mostrare quanta strada avevano fatto le idee dei precursori: la prova è stata tentata, il popolo si è rivelato superbamente. Il lavoro di un cinquantennio di sforzi, che parevano spersi in un terreno morto, ha dato i frutti più belli e più sani: l’unità morale è compiuta, gli italiani hanno una coscienza sola, l’Italia è davvero e finalmente una grande nazione”.

 

Altrettanto esplicativa della correlazione ideologica tra il Risorgimento italiano e la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale intessuta da politici, intellettuali e giornalisti interventisti è, d’altra parte, un’immagine raffigurata su un numero de La Domenica del Corriere (suppl. illustrato del Corriere della Sera, 28 ottobre-4 novembre 1917).

 

Qui un giovane ferito sul fronte siede a dialogare con anziani che hanno combattuto le guerre d’Indipendenza, mentre la didascalia sottostante recita: “Tra due epopee. Un valoroso del 1917 narra la guerra di oggi ai superstiti delle guerre d’Indipendenza” (fig. 1).

 

 

… la vita sul fronte…

 

I resoconti delle operazioni sul fronte, condotte nell’Italia nord-orientale lungo le frontiere alpine ed il corso del fiume Isonzo, mettono in luce il valore dei soldati esaltandone entusiasmo, coraggio, prestanza fisica ed ottimo stato di salute, ordine e disciplina.

 

L’enfasi di titoli quali “Le magnifiche virtù delle nostre truppe”, “Episodi memorabili” e “Combattenti d’Italia: gli aneddoti eroici della nostra guerra”, introduce a racconti altrettanto sentiti, fieri ed intrisi di eroismo patriottico e spirito di sacrificio votato al bene comune. Uno stralcio de La Domenica del Corriere (26 Agosto-2 Settembre 1917), che narra la conquista di “tutte le fortissime linee nemiche sul Carso, fra il Vipparco e Monte Corsich” e l’occupazione di “Rubbia, S. Martino e il vasto pianoro di Doberdò”, così descrive l’impeto del nostro esercito: “superbamente belli di fierezza indomita e di slancio ardimentoso, i nostri fanti si gettano furibondi, compatti contro il potente groviglio delle difese austriache”.

 

Lessico e toni analoghi ritroviamo nella rappresentazione della premiazione di due Alpini con medaglie d’argento, il sottotenente Ciocchino ed il caporal maggiore Vico, riportata da un comunicato ufficiale del governo del 3 giugno 1915, che il già menzionato numero de L’Illustrazione Italiana cita testualmente. Esso parla di “altissimo spirito di tutte le truppe” che “si conducono ovunque magnificamente; vanno al fuoco con coraggio sereno, con sapiente tenacia, con impeccabile perizia, con slancio e disciplina. Ufficiali e soldati danno prova di un ardore lodevolissimo e si battono con entusiasmo, affrontando lietamente disagi e fatiche; si mostrano, insomma, degnissimi della fiducia in essi riposta dal Re e dalla Patria”.

 

Temi ricorrenti sono poi quelli del rapporto di collaborazione, cordialità ed affiatamento tra generali e soldati e della perfetta organizzazione delle truppe e dell’apparato, di approvvigionamento ed assistenza sanitaria, che le segue e ne supporta gli sforzi, le azioni, l’impresa.

 

Persino il re Vittorio Emanuele III è definito come “un semplice soldato, più vivo, più instancabile di tutti gli altri soldati. Avvolto nell’ampio mantello, gira senza posa proprio là dove si combatte e si muore: i soldati lo vedono mentre gli obici gli scoppiano vicinissimo, a qualche passo”. Egli divide il pasto con gli uomini del suo esercito, li incita alla lotta e rivolge parole di conforto ed elogio ai feriti (La guerra italiana, num. cit.).

 

Le descrizioni geografiche e strategiche delle linee di combattimento sono corredate da foto e disegni che ritraggono, da una parte, i luoghi ed i paesaggi degli scontri e, dall’altra, la vita del fronte nei suoi diversi aspetti e sotto varie prospettive: dalla lotta in trincea alla premiazione di soldati valorosi; dal trasporto dell’artiglieria nella neve ed attraverso le alture con le funi agli aerei e mezzi blindati, nuovi strumenti di una guerra definita “modernissima”; dagli uffici di un comando d’armata, in cui si programma un’operazione, alla Messa celebrata al campo.

 

… i sentimenti familiari e la partecipazione civile

 

Ma il potere comunicativo delle immagini non viene utilizzato solo per riprodurre scenari di battaglia, bensì anche per rievocare la sfera degli affetti familiari ed il sentimento di abnegazione con cui i soldati ed i loro cari sopportano il distacco ed il rischio di non rivedersi mai più, in nome di un ideale comune, di una necessità di ordine superiore. In questo caso, le didascalie che accompagnano le riproduzioni non hanno carattere descrittivo e riportano, piuttosto, le parole pronunciate dai personaggi, caricandosi di una commovente intensità espressiva.

 

Una madre saluta il figlio, chiamato alle armi, che sta per andar via, e gli dice: “Parti tranquillo, figlio mio, non piango. Piangerei se ti sapessi vile”, (La Domenica del Corriere, 18-25 novembre 1917, fig. 2).

 

 

Un soldato, prima di lanciarsi all’assalto, affida i suoi pensieri ad un compagno: “Se non torno, di’ a mia madre che ho dato la vita con gioia per l’amore d’Italia, perché il barbaro non calpesti il nostro suolo, perché sia risparmiato un infame servaggio alle nostre donne, ai nostri vecchi, ai nostri figli”, (La Domenica del Corriere, 16-17 dicembre 1917, fig. 3).

 

 

Due bambini, aiutati dalla loro mamma, scrivono una lettera di Natale al papà impegnato sul fronte: “Caro papà, sarebbe triste il Natale senza di te, se non sapessimo che tu sei lontano, soldato, per difendere la nostra diletta Patria, per salvare noi tutti dai barbari, per preparare a noi piccini un avvenire libero, per lasciarci un passato che non faccia arrossire. E perciò non siamo tristi, siamo fieri del nostro papà”, (La Domenica del Corriere, 23-30 dicembre 1917, fig. 4).

 

 

Ritorna, dunque, il tema della difesa della libertà dalle arroganti pretese egemoniche ed espansionistiche del nemico, già presente nel discorso di Salandra e, prendendo in prestito una struttura compositiva propria dei testi letterari, la Ringkomposition (composizione ad anello), il nostro percorso, compiuto attraverso voci, volti ed eventi della nostra storia, si conclude con gli stessi elementi concettuali e lessicali con cui è iniziato. Sintomo, questo, della coerenza ed univocità argomentativa con cui, anche attraverso la stampa, venne costruito il consenso intorno alla guerra.

 

D’altra parte, un significativo articolo di Luigi Einaudi, pubblicato sul Corriere della Sera (6 giugno 1915), richiama l’attenzione proprio sull’impegno con cui la società civile deve rispondere agli sforzi compiuti dall’esercito e dal Governo e, elaborando delle interessanti riflessioni sulla “capacità italiana di volere” rivelata dai progressi economici compiuti dal Paese durante l’ultimo trentennio e dalla preparazione con cui esso dimostra di poter sostenere la partecipazione ad una guerra tanto impegnativa, scrive: “Noi sappiamo come cosa certa che l’esercito è magnificamente organizzato, che nulla è stato risparmiato per renderlo uno strumento efficace e potente delle azioni volute dai suoi capi. Affinché alla organizzazione bellica risponda l’organizzazione civile basta che ognuno abbia la volontà fermissima di fare il proprio dovere. [...] La nostra capacità di volere sia rivolta soltanto a mantenere in perfetto stato di efficienza il meccanismo economico, affinché esso dia un rendimento sincrono ed integratore del meccanismo bellico. [...] Conservando la fiducia in noi stessi, di cui noi oggi diamo una così lieta prova, noi avremo compiuto la migliore e più efficace opera di organizzazione. Fiducia vuol dire attendere alle proprie occupazioni; vuol dire attendervi con raddoppiato zelo; vuol dire compiere quel lavoro che è un anello degli infiniti lavori di cui vive la intiera comunanza sociale; vuol dire quindi collaborare nel miglior modo possibile al raggiungimento del fine, che solo brilla dinanzi ai nostri occhi. [...] In questi primi tempi della guerra abbiamo saputo tenere i nervi tranquilli ed abbiamo seguitato a lavorare. Continuiamo così, crescendo via via i nostri sforzi, a mano a mano che cresce lo sforzo militare; ed avremo compiuto il nostro ufficio verso la Patria”.

 

Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis (“la storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità”, Cicerone, De Oratore, II.9): questa celebre definizione delle illustri funzioni della storia, benché citata molto frequentemente, sembra spesso non riscontrare altrettanta fortuna nella sua effettiva applicazione alla realtà.

 

Benché dal nostro passato provengano insegnamenti estremamente attuali, rari sono infatti i casi in cui essi vengono tenuti in considerazione, indicati come esempio e costituiscano fonte di ispirazione ed orientamento per affrontare le nuove sfide – morali, politiche, economiche e sociali – cui oggi siamo chiamati.

 

In una generale condizione di sfiducia nelle istituzioni, motivato discredito di attori ed apparati politici, scoraggiamento rispetto alla possibilità di superare una persistente e logorante crisi economica, contrapposizioni e tensioni sociali sempre più profonde ed evidenti, spinte secessioniste espresse a vari livelli sia in Italia che in Europa, ricordare la coesione, il coraggio e la forza di volontà con cui i nostri predecessori affrontarono le privazioni provocate dall’immane tragedia di una guerra mondiale può fornire fecondi spunti di riflessione.

 

È per questo che le pagine della mostra in oggetto, per quanto datate ad un secolo fa ed ormai ingiallite dal tempo, sono molto più vicine ai quotidiani problemi del nostro presente di quanto ciascuno di noi possa immaginare.



 

 

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