N. 71 - Novembre 2013 
                          
                          (CII)
																						LA MORTE SUB FLORE DI FEDERICO II DI SVEVIA
																						tra storia e leggenda
																						di Andrea Zito
																			 
																			
																			
																			“Stupor 
																			mundi”, 
																			“Meraviglia 
																			del 
																			mondo”.
																			
																			è 
																			con 
																			questo 
																			appellativo 
																			che 
																			è 
																			universalmente 
																			noto 
																			Federico 
																			II 
																			Hohenstaufen, 
																			duca 
																			di 
																			Svevia 
																			e 
																			Imperatore 
																			del 
																			Sacro 
																			Romano 
																			Impero 
																			(1194-1250). 
																			Ed è 
																			facile 
																			capirne 
																			il 
																			perché: 
																			la 
																			storia 
																			ci 
																			ha 
																			trasmesso 
																			il 
																			ritratto 
																			di 
																			un 
																			sovrano 
																			tenace, 
																			illuminato, 
																			grande 
																			patrocinatore 
																			delle 
																			lettere 
																			e 
																			delle 
																			arti, 
																			letterato 
																			egli 
																			stesso.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			trattato 
																			“De 
																			arte 
																			venandi 
																			cum 
																			avibus” 
																			sulla 
																			caccia 
																			col 
																			falcone 
																			(di 
																			cui 
																			era 
																			esperto) 
																			è 
																			l’esempio 
																			più 
																			famoso, 
																			ma 
																			non 
																			l’unico, 
																			della 
																			sua 
																			produzione 
																			letteraria. 
																			Per 
																			non 
																			parlare 
																			dell’aura 
																			di 
																			mecenatismo 
																			che 
																			lo 
																			caratterizzò 
																			a 
																			partire 
																			dal 
																			1220, 
																			anno 
																			in 
																			cui 
																			stabilì 
																			la 
																			sua 
																			corte 
																			a 
																			Palermo 
																			all’interno 
																			del 
																			Palazzo 
																			dei 
																			Normanni, 
																			presso 
																			cui 
																			fiorì 
																			la 
																			Scuola 
																			Siciliana, 
																			movimento 
																			filosofico 
																			culturale 
																			di 
																			grande 
																			importanza 
																			per 
																			la 
																			storia 
																			delle 
																			Patrie 
																			Lettere: 
																			fu 
																			infatti 
																			in 
																			seno 
																			ad 
																			essa, 
																			e 
																			grazie 
																			al 
																			patronato 
																			di 
																			Federico, 
																			che 
																			si 
																			sviluppò 
																			la 
																			prima 
																			forma 
																			di 
																			poesia 
																			volgare 
																			in 
																			Italia 
																			(in 
																			lingua 
																			siciliana), 
																			quasi 
																			un 
																			secolo 
																			prima 
																			di 
																			Dante 
																			e 
																			dell’affermarsi 
																			del 
																			volgare 
																			toscano 
																			come 
																			lingua 
																			letteraria 
																			“nazionale”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Di 
																			indubbia 
																			importanza, 
																			poi, 
																			l’apporto 
																			dato 
																			dal 
																			sovrano 
																			all’evoluzione 
																			legislativa 
																			della 
																			cosa 
																			pubblica 
																			in 
																			senso 
																			moderno, 
																			grazie 
																			alle 
																			famose
																			
																			Constitutiones 
																			Augustales 
																			o 
																			Costituzioni 
																			di 
																			Melfi 
																			(1231), 
																			autorevole 
																			raccolta 
																			normativa 
																			fondata 
																			sul 
																			diritto 
																			romano 
																			e 
																			normanno 
																			con 
																			cui 
																			Federico 
																			mirava 
																			a 
																			disciplinare 
																			in 
																			modo 
																			illuminato 
																			tutti 
																			gli 
																			aspetti 
																			dello 
																			Stato 
																			(giustizia, 
																			attività 
																			amministrativa, 
																			diritto 
																			privato, 
																			sanità, 
																			economia), 
																			benché 
																			con 
																			finalità 
																			esplicitamente 
																			centralizzatrici, 
																			a 
																			scapito 
																			dei 
																			nobili 
																			e 
																			della 
																			Chiesa.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Un 
																			provvedimento 
																			talmente 
																			importante 
																			che 
																			molti 
																			lo 
																			hanno 
																			affiancato 
																			alla 
																			precedente 
																			codificazione 
																			di 
																			Giustiniano, 
																			quel
																			
																			Corpus 
																			Iuris 
																			Civilis 
																			(527-565) 
																			a 
																			cui 
																			tanto 
																			deve 
																			il 
																			diritto 
																			comune 
																			moderno.
																			 
																			
																			
																			Ecco 
																			perché 
																			“Meraviglia 
																			del 
																			mondo”. 
																			Ma a 
																			questo 
																			appellativo 
																			se 
																			ne 
																			affianca 
																			un 
																			altro, 
																			meno 
																			noto 
																			ma 
																			altrettanto 
																			significativo: 
																			“Puer 
																			Apuliae”, 
																			ossia 
																			“Fanciullo” 
																			o 
																			“Figlio 
																			di 
																			Puglia”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Pare 
																			che 
																			l’origine 
																			di 
																			questo 
																			nomignolo 
																			fosse 
																			dispregiativa, 
																			e 
																			non 
																			fosse 
																			altro 
																			che 
																			il 
																			modo 
																			con 
																			cui, 
																			fin 
																			dall’epoca 
																			della 
																			lotta 
																			per 
																			il 
																			titolo 
																			imperiale 
																			contro 
																			Ottone 
																			IV 
																			di 
																			Brunswick 
																			(1175-1218), 
																			veniva 
																			sdegnosamente 
																			apostrofato 
																			dai 
																			suoi 
																			avversari, 
																			quei 
																			principi 
																			tedeschi 
																			e in 
																			seguito 
																			quei 
																			Comuni 
																			del 
																			Nord 
																			Italia 
																			riuniti 
																			nella 
																			Lega 
																			Lombarda, 
																			che 
																			mai 
																			riconobbero 
																			la 
																			sua 
																			autorità 
																			e 
																			con 
																			cui 
																			guerreggiò 
																			per 
																			anni: 
																			ad 
																			indicare, 
																			insomma, 
																			un 
																			sovrano 
																			più 
																			legato 
																			all’arretrato 
																			e 
																			povero 
																			“Mezzogiorno” 
																			che 
																			ai 
																			ricchi 
																			e 
																			potenti 
																			territori 
																			del 
																			Nord, 
																			sua 
																			terra 
																			d’origine.
																			 
																			
																			
																			In 
																			ogni 
																			caso, 
																			è 
																			chiaro 
																			che 
																			l’attributo 
																			di 
																			“Fanciullo 
																			di 
																			Puglia” 
																			sottolinea 
																			un 
																			legame 
																			indissolubile 
																			che 
																			legò 
																			per 
																			tutta 
																			la 
																			vita 
																			lo 
																			Svevo 
																			alla 
																			Regione. 
																			Un 
																			legame 
																			che 
																			si 
																			evince 
																			dai 
																			numerosi 
																			interventi 
																			da 
																			lui 
																			concepiti 
																			in 
																			diverse 
																			cittadine 
																			pugliesi: 
																			dalla 
																			rifondazione 
																			e 
																			risistemazione 
																			architettonico-urbanistica 
																			di 
																			diversi 
																			centri 
																			abitati 
																			(tra 
																			i 
																			tanti 
																			Lucera, 
																			Altamura, 
																			Foggia, 
																			Trani, 
																			Barletta, 
																			Bari), 
																			alla 
																			costruzione 
																			di 
																			castelli 
																			ad 
																			uso 
																			civile 
																			o 
																			militare, 
																			su 
																			fondazioni 
																			preesistenti 
																			o 
																			edificati 
																			ex 
																			novo, 
																			il 
																			più 
																			noto 
																			dei 
																			quali 
																			è 
																			Castel 
																			del 
																			Monte, 
																			in 
																			provincia 
																			di 
																			Andria, 
																			completato 
																			nel 
																			1240 
																			e 
																			riconosciuto 
																			come 
																			Monumento 
																			Nazionale 
																			d’Italia 
																			nel 
																			1936 
																			e 
																			Patrimonio 
																			dell’Umanità 
																			dall’Unesco 
																			nel 
																			1996; 
																			ma 
																			ad 
																			esso 
																			se 
																			ne 
																			affiancano 
																			molti 
																			altri, 
																			tra 
																			cui 
																			il 
																			Castello 
																			di 
																			Bari 
																			così 
																			come 
																			quello 
																			di 
																			Gioia 
																			del 
																			Colle, 
																			di 
																			Oria, 
																			di 
																			Monte 
																			Sant’Angelo, 
																			di 
																			Trani 
																			e di 
																			Barletta, 
																			tutti 
																			sorti 
																			su 
																			precedenti 
																			fondazioni 
																			normanne, 
																			il 
																			Palazzo 
																			Imperiale 
																			di 
																			Foggia 
																			e 
																			quello 
																			di 
																			Lucera, 
																			entrambi 
																			fatti 
																			appositamente 
																			costruire 
																			dal
																			
																			Puer 
																			Apuliae 
																			a 
																			propria 
																			residenza.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma 
																			vi è 
																			un 
																			sito, 
																			tra 
																			tutti, 
																			che 
																			merita 
																			una 
																			speciale 
																			attenzione, 
																			poco 
																			noto 
																			ai 
																			più 
																			ma 
																			di 
																			ragguardevole 
																			importanza, 
																			se 
																			non 
																			altro 
																			perché 
																			è 
																			stato 
																			l’ultimo 
																			luogo 
																			in 
																			cui 
																			ha 
																			risieduto 
																			l’Imperatore 
																			e 
																			che 
																			l’ha 
																			visto 
																			morire: 
																			stiamo 
																			parlando 
																			del 
																			borgo 
																			di 
																			Castel 
																			Fiorentino, 
																			che 
																			sorge 
																			a 
																			circa 
																			13 
																			km a 
																			nord 
																			di 
																			Lucera 
																			e a 
																			9 km 
																			a 
																			sud 
																			di 
																			Torremaggiore 
																			(comune 
																			del 
																			cui 
																			territorio 
																			il 
																			sito 
																			fa 
																			parte), 
																			nell’entroterra 
																			foggiano. 
																			O, 
																			per 
																			meglio 
																			dire, 
																			sorgeva: 
																			quello 
																			che 
																			un 
																			tempo 
																			fu 
																			un 
																			importante 
																			avamposto 
																			militare 
																			bizantino, 
																			poi 
																			contea 
																			normanna, 
																			demanio 
																			svevo, 
																			feudo 
																			angioino 
																			e 
																			persino 
																			sede 
																			vescovile, 
																			oggi 
																			è 
																			ridotto 
																			a 
																			poco 
																			più 
																			che 
																			un 
																			pugno 
																			di 
																			ruderi.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			viaggiatore 
																			distratto, 
																			percorrendo 
																			le 
																			innumerevoli 
																			stradine 
																			che 
																			attraversano 
																			l’immensa 
																			Capitanata, 
																			dovrà 
																			aguzzare 
																			notevolmente 
																			la 
																			vista 
																			per 
																			individuarli, 
																			su 
																			un’altura 
																			raggiungibile 
																			esclusivamente 
																			a 
																			piedi: 
																			meglio 
																			studiarsi 
																			preventivamente 
																			l’esatta 
																			collocazione 
																			del 
																			sito, 
																			con 
																			l’aiuto 
																			del 
																			GPS 
																			o di 
																			internet, 
																			prima 
																			di 
																			intraprendere 
																			il 
																			viaggio.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nota 
																			anche 
																			come 
																			“Torre 
																			Fiorentina”, 
																			la 
																			storia 
																			della 
																			cittadina 
																			è 
																			nota 
																			fin 
																			dall’ 
																			XI 
																			sec., 
																			grazie 
																			alla 
																			testimonianza 
																			dello 
																			storico 
																			medievale 
																			Leone 
																			Ostiense 
																			(1046-1115), 
																			vescovo 
																			di 
																			Ostia 
																			e 
																			Velletri 
																			e 
																			bibliotecario 
																			dell’abbazia 
																			di 
																			Montecassino.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nella 
																			sua
																			
																			Chronica 
																			monasterii 
																			Casinensis (II, 
																			51) 
																			viene 
																			infatti 
																			citata 
																			tra 
																			gli 
																			avamposti 
																			fondati, 
																			tra 
																			il 
																			1018 
																			e il 
																			1040, 
																			dal 
																			catapano 
																			(generale 
																			bizantino) 
																			Basilio 
																			Boioannes 
																			lungo 
																			i 
																			confini 
																			del 
																			Principato 
																			di 
																			Benevento, 
																			per 
																			difendere 
																			il 
																			territorio 
																			dalle 
																			incursioni 
																			longobarde 
																			(da 
																			nord) 
																			e 
																			arabe 
																			(da 
																			sud).
																			 
																			
																			
																			
																			Florentinum 
																			divenne 
																			ben 
																			presto 
																			sede 
																			vescovile 
																			(1058). 
																			Numerosi 
																			atti 
																			privati 
																			del 
																			XIII 
																			sec. 
																			ci 
																			tramandano 
																			l’immagine 
																			di 
																			una 
																			cittadina 
																			popolosa, 
																			con 
																			artigiani, 
																			contadini, 
																			notai, 
																			qualche 
																			giudice, 
																			una 
																			cattedrale 
																			e 
																			almeno 
																			sei 
																			chiese.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Lo 
																			sviluppo 
																			urbanistico, 
																			confermato 
																			da 
																			scavi 
																			archeologici 
																			condotti 
																			tra 
																			il 
																			1982 
																			e il 
																			1992 
																			dall’ 
																			Università 
																			di 
																			Bari 
																			e 
																			dall'Ecole 
																			française 
																			di 
																			Roma, 
																			procedette 
																			lungo 
																			una 
																			grande 
																			via 
																			longitudinale 
																			(detta 
																			“magna 
																			platea”), 
																			attraversata 
																			perpendicolarmente 
																			da 
																			vie 
																			più 
																			piccole, 
																			secondo 
																			lo 
																			schema 
																			tipico 
																			delle 
																			neo-fondazioni 
																			bizantine 
																			nel 
																			territorio 
																			della 
																			Capitanata.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ben 
																			presto, 
																			con 
																			l’avvicendarsi 
																			dei 
																			dominatori, 
																			il 
																			corredo 
																			urbanistico 
																			fu 
																			arricchito 
																			da 
																			un 
																			Castello 
																			Normanno 
																			e da 
																			un 
																			sobborgo 
																			ad 
																			est 
																			(detto 
																			“Carunculum”), 
																			finché 
																			intorno 
																			al 
																			1230 
																			Federico 
																			II, 
																			nell’ambito 
																			della 
																			sua 
																			politica 
																			di
																			
																			renovatio 
																			urbanistica 
																			che 
																			coinvolse 
																			diversi 
																			centri 
																			pugliesi, 
																			secondo 
																			l’ipotesi 
																			più 
																			accreditata 
																			decise 
																			di 
																			sopraedificare 
																			sull’originale 
																			Castello 
																			Normanno 
																			una 
																			“Domus 
																			solaciorum”, 
																			cioè 
																			una 
																			residenza 
																			di 
																			svago 
																			presso 
																			cui 
																			dedicarsi, 
																			lontano 
																			dai 
																			campi 
																			di 
																			battaglia, 
																			al 
																			riposo 
																			e 
																			alla 
																			caccia. 
																			Ciò 
																			dimostra 
																			la 
																			perdita 
																			del 
																			ruolo 
																			di 
																			avamposto 
																			militare 
																			precedentemente 
																			ricoperto 
																			da
																			
																			Florentinum, 
																			ormai 
																			ben 
																			protetto 
																			da 
																			altri 
																			presidi 
																			periferici.
																			 
																			
																			
																			Venuta 
																			alla 
																			luce 
																			durante 
																			gli 
																			scavi 
																			degli 
																			anni 
																			’80 
																			del 
																			Novecento 
																			nella 
																			parte 
																			più 
																			elevata 
																			del 
																			sito, 
																			la
																			
																			Domus 
																			era 
																			senza 
																			dubbio 
																			un 
																			edificio 
																			maestoso, 
																			innestato 
																			su 
																			precedenti 
																			fondazioni 
																			e 
																			quasi 
																			certamente 
																			rimaneggiato 
																			in 
																			seguito, 
																			in 
																			età 
																			angioina. 
																			A 
																			pianta 
																			rettangolare, 
																			era 
																			lungo 
																			20 
																			metri 
																			e 
																			largo 
																			19, 
																			con 
																			una 
																			superficie 
																			complessiva 
																			di 
																			274 
																			metri 
																			quadri. 
																			Il 
																			tutto 
																			protetto 
																			da 
																			muri 
																			spessi 
																			1 
																			metro 
																			e 
																			mezzo.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			L’opulenza 
																			della 
																			residenza 
																			è 
																			testimoniata 
																			dal 
																			ritrovamento 
																			di 
																			resti 
																			di 
																			capitelli 
																			e 
																			colonne 
																			finemente 
																			lavorati, 
																			archi 
																			a 
																			sesto 
																			acuto 
																			e 
																			vetrate 
																			di 
																			tipo 
																			policromo, 
																			segno 
																			della 
																			perizia 
																			profusa 
																			dalle 
																			maestranze 
																			nell’ornare 
																			gli 
																			interni 
																			del 
																			Palazzo 
																			di 
																			un 
																			sovrano 
																			così 
																			tanto 
																			sensibile 
																			alle 
																			arti. 
																			Oltre 
																			la
																			
																			Domus, 
																			degni 
																			di 
																			nota 
																			sono 
																			i 
																			resti 
																			della 
																			Cattedrale, 
																			a 
																			sud 
																			della 
																			strada 
																			maestra, 
																			a 
																			una 
																			sola 
																			navata 
																			intitolata 
																			a 
																			San 
																			Michele 
																			Arcangelo, 
																			di 
																			cui 
																			restano 
																			le 
																			fondamenta 
																			(fino 
																			all’Ottocento 
																			resti 
																			rilevanti 
																			erano 
																			ancora 
																			visibili, 
																			come 
																			testimonia 
																			un’incisione 
																			del 
																			1844) 
																			.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			E 
																			nella 
																			zona 
																			più 
																			ad 
																			est, 
																			al 
																			confine 
																			con 
																			quello 
																			che 
																			era 
																			il 
																			sobborgo, 
																			si 
																			erge 
																			ancora 
																			oggi 
																			la 
																			Torre, 
																			a 
																			base 
																			piramidale 
																			tronca, 
																			sorretta 
																			da 
																			un 
																			arco 
																			interno 
																			a 
																			sesto 
																			acuto 
																			e da 
																			mura 
																			poderose. 
																			L’unico 
																			edificio 
																			che 
																			ha 
																			resistito 
																			in 
																			piedi, 
																			seppur 
																			precariamente, 
																			allo 
																			scorrere 
																			dei 
																			secoli. 
																			Il 
																			degrado 
																			del 
																			centro 
																			urbano 
																			iniziò 
																			subito 
																			dopo 
																			la 
																			morte 
																			di 
																			Federico 
																			II: 
																			nel 
																			1255, 
																			papa 
																			Alessandro 
																			IV 
																			(1199-1261) 
																			volle 
																			punire 
																			la 
																			fedeltà 
																			del 
																			borgo 
																			agli 
																			Svevi, 
																			sferrando 
																			un 
																			attacco 
																			che 
																			lo 
																			distrusse 
																			per 
																			buona 
																			parte.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Sotto 
																			gli 
																			Angioini, 
																			che 
																			lo 
																			ricostruirono 
																			per 
																			fini 
																			militari, 
																			il 
																			sito 
																			conobbe 
																			un’illusoria 
																			rinascita: 
																			dal 
																			1300 
																			riprese 
																			l’irrefrenato 
																			declino, 
																			tra 
																			espoliazioni 
																			(tra 
																			cui 
																			un’enorme 
																			lastra 
																			di 
																			marmo, 
																			che 
																			si 
																			credeva 
																			tavolo 
																			da 
																			mensa 
																			dell’Imperatore 
																			e 
																			che 
																			oggi 
																			costituisce 
																			l’altare 
																			maggiore 
																			della 
																			Cattedrale 
																			di 
																			Lucera), 
																			saccheggi, 
																			abbandoni. 
																			Le 
																			ultime 
																			tracce 
																			di 
																			una 
																			qualche 
																			forma 
																			di 
																			attività 
																			abitativa 
																			risalgono 
																			agli 
																			inizi 
																			del 
																			1600.
																			 
																			
																			
																			Tornando 
																			alla
																			
																			Domus, 
																			è 
																			proprio 
																			qui 
																			che 
																			il 
																			“Fanciullo 
																			di 
																			Puglia” 
																			esalò 
																			il 
																			suo 
																			ultimo 
																			respiro. 
																			E lo 
																			stato 
																			di 
																			rudere 
																			segnato 
																			dal 
																			tempo 
																			in 
																			cui 
																			versa 
																			il 
																			luogo 
																			non 
																			fa 
																			altro 
																			che 
																			aumentare 
																			l’alone 
																			di 
																			leggenda 
																			e di 
																			mistero 
																			legato 
																			alla 
																			sua 
																			morte.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			cronista 
																			Saba 
																			Malaspina, 
																			vescovo 
																			di 
																			Mileto, 
																			verso 
																			la 
																			fine 
																			del 
																			1200 
																			nella 
																			sua 
																			Rerum 
																			Sicularum Historia 
																			racconta 
																			di 
																			come 
																			Michele 
																			Scoto 
																			(1175-1236), 
																			astrologo 
																			scozzese 
																			attivo 
																			alla 
																			corte 
																			dell’Imperatore, 
																			in 
																			gioventù 
																			gli 
																			avesse 
																			predetto 
																			che 
																			sarebbe 
																			morto 
																			“sub 
																			flore 
																			apud portam 
																			ferream”, 
																			cioè 
																			in 
																			un 
																			luogo 
																			dal 
																			nome 
																			di 
																			“fiore”, 
																			davanti 
																			ad 
																			una 
																			porta 
																			di 
																			ferro. 
																			Spaventato, 
																			Federico 
																			cercò 
																			da 
																			quel 
																			momento 
																			di 
																			evitare 
																			di 
																			sostare 
																			in 
																			tutti 
																			i 
																			luoghi 
																			il 
																			cui 
																			nome 
																			contenesse 
																			quella 
																			parola 
																			o da 
																			essa 
																			derivasse, 
																			come 
																			Firenze.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma 
																			trovandosi 
																			un 
																			giorno 
																			di 
																			novembre 
																			del 
																			1250 
																			nella 
																			Capitanata, 
																			durante 
																			una 
																			battuta 
																			di 
																			caccia 
																			venne 
																			colto 
																			da 
																			un 
																			fortissimo 
																			attacco 
																			di 
																			dissenteria 
																			(lo 
																			stesso 
																			male 
																			che 
																			aveva 
																			colpito 
																			a 
																			morte 
																			il 
																			giovane 
																			padre 
																			Enrico), 
																			talmente 
																			violento 
																			da 
																			che 
																			impedire 
																			alle 
																			sue 
																			guardie 
																			di 
																			ricondurlo 
																			al 
																			Palazzo 
																			Imperiale 
																			di 
																			Foggia, 
																			troppo 
																			distante, 
																			ripiegando 
																			sulla 
																			più 
																			vicina
																			
																			Florentinum.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			Malaspina 
																			racconta 
																			che, 
																			ridestandosi 
																			temporaneamente 
																			dal 
																			deliquio 
																			dovuto 
																			alle 
																			febbri, 
																			il
																			
																			Puer 
																			chiese 
																			alle 
																			guardie 
																			dove 
																			si 
																			trovasse 
																			e, 
																			sentendo 
																			il 
																			nome 
																			del 
																			luogo, 
																			e 
																			scoprendo 
																			che 
																			il 
																			suo 
																			letto 
																			era 
																			collocato 
																			di 
																			fronte 
																			a 
																			una 
																			vecchia 
																			porta 
																			dai 
																			battenti 
																			di 
																			ferro 
																			che 
																			risultava 
																			murata 
																			ma 
																			che 
																			originariamente 
																			conduceva 
																			alla 
																			Torre, 
																			capì 
																			che 
																			la 
																			profezia 
																			si 
																			stava 
																			compiendo, 
																			e 
																			pare 
																			esclamasse: 
																			“Questo 
																			è il 
																			luogo 
																			della 
																			fine 
																			che 
																			mi è 
																			stata 
																			predetta. 
																			Sia 
																			Fatta 
																			la 
																			volontà 
																			di 
																			Dio”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Poche 
																			settimane 
																			dopo, 
																			le 
																			sue 
																			condizioni 
																			peggiorarono, 
																			e 
																			dopo 
																			aver 
																			chiesto 
																			di 
																			indossare 
																			la 
																			tonaca 
																			dei 
																			cistercensi 
																			del 
																			terzo 
																			ordine, 
																			di 
																			cui 
																			faceva 
																			parte, 
																			chiese 
																			di 
																			essere 
																			riaccolto 
																			nel 
																			seno 
																			della 
																			Chiesa: 
																			lui 
																			che, 
																			nella 
																			sua 
																			vita, 
																			era 
																			stato 
																			scomunicato 
																			ben 
																			due 
																			volte.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Confessatosi, 
																			ricevuta 
																			l’estrema 
																			unzione, 
																			spirò. 
																			Era 
																			il 
																			13 
																			dicembre 
																			1250. 
																			Il 
																			racconto 
																			della 
																			profezia 
																			lo 
																			ritroviamo 
																			in 
																			diverse 
																			fonti, 
																			con 
																			alcune 
																			varianti 
																			(per 
																			esempio, 
																			al 
																			posto 
																			di 
																			Scoto 
																			troviamo 
																			una 
																			imprecisata 
																			“sibilla” 
																			come 
																			autrice 
																			dell’oracolo 
																			funesto); 
																			ripreso, 
																			tra 
																			gli 
																			altri, 
																			anche 
																			dal 
																			cronista 
																			fiorentino 
																			Giovanni 
																			Villani 
																			(1276-1348), 
																			che 
																			nella 
																			sua 
																			Nuova 
																			Cronica 
																			(1308-1348) 
																			sostituisce 
																			la 
																			malattia, 
																			come 
																			causa 
																			di 
																			morte 
																			di 
																			Federico, 
																			con 
																			l’omicidio: 
																			sarebbe 
																			stato 
																			soffocato 
																			nel 
																			sonno 
																			dal 
																			figlio 
																			Manfredi 
																			(1232-1266), 
																			accecato 
																			dalla 
																			fame 
																			di 
																			potere.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			leggenda 
																			di 
																			Manfredi 
																			patricida 
																			ebbe 
																			molto 
																			seguito 
																			durante 
																			il 
																			Medioevo 
																			(testimoniata 
																			anche 
																			da 
																			una 
																			raffigurazione 
																			miniata 
																			dell’epoca), 
																			seppur 
																			non 
																			storicamente 
																			provata. 
																			Rimane 
																			però 
																			certo 
																			il 
																			luogo 
																			della 
																			morte 
																			del 
																			sovrano: 
																			esigue 
																			vestigia 
																			che 
																			oggi, 
																			al 
																			visitatore 
																			poco 
																			documentato, 
																			potrebbero 
																			sembrare 
																			non 
																			troppo 
																			diverse 
																			da 
																			qualunque 
																			altro 
																			sito 
																			di 
																			anonime 
																			rovine, 
																			ma i 
																			cui 
																			ruderi 
																			testimoniano 
																			il 
																			trapasso 
																			di 
																			un 
																			personaggio 
																			che 
																			ha 
																			fatto 
																			la 
																			storia 
																			del 
																			Mezzogiorno 
																			d’Italia.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Una 
																			stele 
																			ottagonale, 
																			posta 
																			in 
																			loco 
																			il 
																			13 
																			dicembre 
																			2000 
																			per 
																			celebrare 
																			i 
																			750 
																			anni 
																			dalla 
																			morte 
																			del 
																			“Fanciullo 
																			di 
																			Puglia”, 
																			lo 
																			ricorda 
																			così: 
																			“In 
																			quel 
																			tempo 
																			morì 
																			Federico, 
																			il 
																			più 
																			grande 
																			tra 
																			i 
																			Principi 
																			della 
																			Terra, 
																			stupore 
																			del 
																			mondo 
																			e 
																			meraviglioso 
																			innovatore” 
																			(Matteo 
																			da 
																			Parigi, 
																			cronista 
																			inglese, 
																			1200-1259).
																			
																			 
																			 
																			
																			
																			Riferimenti 
																			bibliografici:
																			 
																			
																			
																			Eberhard 
																			Horst, 
																			Federico 
																			II 
																			di 
																			Svevia, 
																			collana 
																			I 
																			Protagonisti 
																			in 
																			allegato 
																			con 
																			Famiglia 
																			Cristiana,
																			
																			edizioni 
																			San 
																			Paolo, 
																			Milano 
																			2003
																			
																			
																			Antonino 
																			De 
																			Stefano, 
																			Fridericus, 
																			Puer 
																			Apuliae, 
																			in 
																			Archivio 
																			Storico 
																			Pugliese, Bari, 
																			Società 
																			di 
																			Storia 
																			Patria 
																			per 
																			la 
																			Puglia 
																			– 
																			Fascicolo 
																			I
																			
																			(Il 
																			convegno 
																			Federiciano 
																			di 
																			Foggia) a. 
																			IV, 
																			1951, 
																			pp. 
																			23-30
																			
																			
																			Arthur 
																			Haseloff, Architettura 
																			sveva 
																			nell'Italia 
																			meridionale, 
																			a 
																			cura 
																			di 
																			Maria 
																			Stella 
																			Calò 
																			Mariani,
																			
																			Adda 
																			editore, 
																			Bari 
																			1992
																			
																			
																			AA 
																			VV,
																			
																			Fiorentino: 
																			campagne 
																			di 
																			scavo 
																			1984-1985
																			
																			in
																			
																			
																			Quaderni 
																			di 
																			archeologia 
																			e 
																			storia 
																			dell'arte 
																			in 
																			Capitanata 
																			Vol. 
																			3, a 
																			cura 
																			dell’Università 
																			di 
																			Bari, 
																			Congedo 
																			editore, 
																			Galatina 
																			1987
																			
																			
																			Pasquale 
																			Natella, 
																			Contributo 
																			a 
																			Carunclo, 
																			in 
																			La 
																			Capitanata, 
																			Rassegna 
																			di 
																			vita 
																			e di 
																			studi 
																			della 
																			Provincia 
																			di 
																			Foggia,
																			
																			Anno 
																			– 
																			XXIII 
																			(1986), 
																			parte 
																			I, 
																			pp 
																			143-146
																			
																			
																			Saba 
																			Malaspina, Rerum 
																			Sicularum 
																			libri 
																			VI,
																			
																			in 
																			R.I.S. 
																			(Rerum 
																			Italicarum 
																			Scriptores), 
																			VIII, 
																			a 
																			cura 
																			di 
																			Ludovico 
																			Muratori, 
																			1726
																			
																			
																			
																			Giovanni 
																			Villani, Nuova 
																			Cronica,
																			
																			a 
																			cura 
																			di 
																			G. 
																			Porta, 
																			I-III, 
																			Parma 
																			1990-1991: 
																			I, 
																			pp. 
																			331-332 
																			(VII, 
																			41)
																			
																			
																			P. 
																			Beck 
																			- 
																			M.S. 
																			Calò 
																			Mariani 
																			- C. 
																			Laganara 
																			Fabiano 
																			- 
																			J.M. 
																			Martin 
																			- F. 
																			Piponnier, Cinq 
																			ans 
																			de 
																			recherches 
																			archéologiques 
																			à 
																			Fiorentino,
																			
																			in "Mélanges 
																			de 
																			l'École 
																			Française 
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																			101, 
																			Roma 
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																			pp. 
																			641-699 
																			
																			
																			J.M. 
																			Martin 
																			- G. 
																			Noyé, La 
																			Capitanata 
																			nella 
																			storia 
																			del 
																			Mezzogiorno 
																			medievale,
																			
																			in 
																			Società 
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																			Storia 
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																			per 
																			la 
																			Puglia. 
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																			ricerche, 
																			IX, 
																			Bari 
																			1991, 
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																			pp. 
																			161-200
																			
																			
																			Pasquale 
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																			Federico 
																			II e 
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																			Capitanata, 
																			in 
																			La 
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																			Rassegna 
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																			e di 
																			studi 
																			della 
																			Provincia 
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																			Foggia,
																			
																			Anno 
																			XXXII-XXXIII 
																			(1995-1996), 
																			pp 
																			15-41
																			
																			
																			J.M. 
																			Martin,
																			
																			Castelfiorentino,
																			
																			in
																			
																			Federiciana 
																			(2005), 
																			Enciclopedia 
																			Treccani
																							
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			