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N. 71 - Novembre 2013 (CII)

LA MORTE SUB FLORE DI FEDERICO II DI SVEVIA
tra storia e leggenda

di Andrea Zito

 

“Stupor mundi”, “Meraviglia del mondo”. è con questo appellativo che è universalmente noto Federico II Hohenstaufen, duca di Svevia e Imperatore del Sacro Romano Impero (1194-1250). Ed è facile capirne il perché: la storia ci ha trasmesso il ritratto di un sovrano tenace, illuminato, grande patrocinatore delle lettere e delle arti, letterato egli stesso.

 

Il trattato “De arte venandi cum avibus” sulla caccia col falcone (di cui era esperto) è l’esempio più famoso, ma non l’unico, della sua produzione letteraria. Per non parlare dell’aura di mecenatismo che lo caratterizzò a partire dal 1220, anno in cui stabilì la sua corte a Palermo all’interno del Palazzo dei Normanni, presso cui fiorì la Scuola Siciliana, movimento filosofico culturale di grande importanza per la storia delle Patrie Lettere: fu infatti in seno ad essa, e grazie al patronato di Federico, che si sviluppò la prima forma di poesia volgare in Italia (in lingua siciliana), quasi un secolo prima di Dante e dell’affermarsi del volgare toscano come lingua letteraria “nazionale”.

 

Di indubbia importanza, poi, l’apporto dato dal sovrano all’evoluzione legislativa della cosa pubblica in senso moderno, grazie alle famose Constitutiones Augustales o Costituzioni di Melfi (1231), autorevole raccolta normativa fondata sul diritto romano e normanno con cui Federico mirava a disciplinare in modo illuminato tutti gli aspetti dello Stato (giustizia, attività amministrativa, diritto privato, sanità, economia), benché con finalità esplicitamente centralizzatrici, a scapito dei nobili e della Chiesa.

 

Un provvedimento talmente importante che molti lo hanno affiancato alla precedente codificazione di Giustiniano, quel Corpus Iuris Civilis (527-565) a cui tanto deve il diritto comune moderno.

 

Ecco perché “Meraviglia del mondo”. Ma a questo appellativo se ne affianca un altro, meno noto ma altrettanto significativo: “Puer Apuliae”, ossia “Fanciullo” o “Figlio di Puglia”.

 

Pare che l’origine di questo nomignolo fosse dispregiativa, e non fosse altro che il modo con cui, fin dall’epoca della lotta per il titolo imperiale contro Ottone IV di Brunswick (1175-1218), veniva sdegnosamente apostrofato dai suoi avversari, quei principi tedeschi e in seguito quei Comuni del Nord Italia riuniti nella Lega Lombarda, che mai riconobbero la sua autorità e con cui guerreggiò per anni: ad indicare, insomma, un sovrano più legato all’arretrato e povero “Mezzogiorno” che ai ricchi e potenti territori del Nord, sua terra d’origine.

 

In ogni caso, è chiaro che l’attributo di “Fanciullo di Puglia” sottolinea un legame indissolubile che legò per tutta la vita lo Svevo alla Regione. Un legame che si evince dai numerosi interventi da lui concepiti in diverse cittadine pugliesi: dalla rifondazione e risistemazione architettonico-urbanistica di diversi centri abitati (tra i tanti Lucera, Altamura, Foggia, Trani, Barletta, Bari), alla costruzione di castelli ad uso civile o militare, su fondazioni preesistenti o edificati ex novo, il più noto dei quali è Castel del Monte, in provincia di Andria, completato nel 1240 e riconosciuto come Monumento Nazionale d’Italia nel 1936 e Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1996; ma ad esso se ne affiancano molti altri, tra cui il Castello di Bari così come quello di Gioia del Colle, di Oria, di Monte Sant’Angelo, di Trani e di Barletta, tutti sorti su precedenti fondazioni normanne, il Palazzo Imperiale di Foggia e quello di Lucera, entrambi fatti appositamente costruire dal Puer Apuliae a propria residenza.

 

Ma vi è un sito, tra tutti, che merita una speciale attenzione, poco noto ai più ma di ragguardevole importanza, se non altro perché è stato l’ultimo luogo in cui ha risieduto l’Imperatore e che l’ha visto morire: stiamo parlando del borgo di Castel Fiorentino, che sorge a circa 13 km a nord di Lucera e a 9 km a sud di Torremaggiore (comune del cui territorio il sito fa parte), nell’entroterra foggiano. O, per meglio dire, sorgeva: quello che un tempo fu un importante avamposto militare bizantino, poi contea normanna, demanio svevo, feudo angioino e persino sede vescovile, oggi è ridotto a poco più che un pugno di ruderi.

 

Il viaggiatore distratto, percorrendo le innumerevoli stradine che attraversano l’immensa Capitanata, dovrà aguzzare notevolmente la vista per individuarli, su un’altura raggiungibile esclusivamente a piedi: meglio studiarsi preventivamente l’esatta collocazione del sito, con l’aiuto del GPS o di internet, prima di intraprendere il viaggio.

 

Nota anche come “Torre Fiorentina”, la storia della cittadina è nota fin dall’ XI sec., grazie alla testimonianza dello storico medievale Leone Ostiense (1046-1115), vescovo di Ostia e Velletri e bibliotecario dell’abbazia di Montecassino.

 

Nella sua Chronica monasterii Casinensis (II, 51) viene infatti citata tra gli avamposti fondati, tra il 1018 e il 1040, dal catapano (generale bizantino) Basilio Boioannes lungo i confini del Principato di Benevento, per difendere il territorio dalle incursioni longobarde (da nord) e arabe (da sud).

 

Florentinum divenne ben presto sede vescovile (1058). Numerosi atti privati del XIII sec. ci tramandano l’immagine di una cittadina popolosa, con artigiani, contadini, notai, qualche giudice, una cattedrale e almeno sei chiese.

 

Lo sviluppo urbanistico, confermato da scavi archeologici condotti tra il 1982 e il 1992 dall’ Università di Bari e dall'Ecole française di Roma, procedette lungo una grande via longitudinale (detta “magna platea”), attraversata perpendicolarmente da vie più piccole, secondo lo schema tipico delle neo-fondazioni bizantine nel territorio della Capitanata.

 

Ben presto, con l’avvicendarsi dei dominatori, il corredo urbanistico fu arricchito da un Castello Normanno e da un sobborgo ad est (detto “Carunculum”), finché intorno al 1230 Federico II, nell’ambito della sua politica di renovatio urbanistica che coinvolse diversi centri pugliesi, secondo l’ipotesi più accreditata decise di sopraedificare sull’originale Castello Normanno una “Domus solaciorum”, cioè una residenza di svago presso cui dedicarsi, lontano dai campi di battaglia, al riposo e alla caccia. Ciò dimostra la perdita del ruolo di avamposto militare precedentemente ricoperto da Florentinum, ormai ben protetto da altri presidi periferici.

 

Venuta alla luce durante gli scavi degli anni ’80 del Novecento nella parte più elevata del sito, la Domus era senza dubbio un edificio maestoso, innestato su precedenti fondazioni e quasi certamente rimaneggiato in seguito, in età angioina. A pianta rettangolare, era lungo 20 metri e largo 19, con una superficie complessiva di 274 metri quadri. Il tutto protetto da muri spessi 1 metro e mezzo.

 

L’opulenza della residenza è testimoniata dal ritrovamento di resti di capitelli e colonne finemente lavorati, archi a sesto acuto e vetrate di tipo policromo, segno della perizia profusa dalle maestranze nell’ornare gli interni del Palazzo di un sovrano così tanto sensibile alle arti. Oltre la Domus, degni di nota sono i resti della Cattedrale, a sud della strada maestra, a una sola navata intitolata a San Michele Arcangelo, di cui restano le fondamenta (fino all’Ottocento resti rilevanti erano ancora visibili, come testimonia un’incisione del 1844) .

 

E nella zona più ad est, al confine con quello che era il sobborgo, si erge ancora oggi la Torre, a base piramidale tronca, sorretta da un arco interno a sesto acuto e da mura poderose. L’unico edificio che ha resistito in piedi, seppur precariamente, allo scorrere dei secoli. Il degrado del centro urbano iniziò subito dopo la morte di Federico II: nel 1255, papa Alessandro IV (1199-1261) volle punire la fedeltà del borgo agli Svevi, sferrando un attacco che lo distrusse per buona parte.

 

Sotto gli Angioini, che lo ricostruirono per fini militari, il sito conobbe un’illusoria rinascita: dal 1300 riprese l’irrefrenato declino, tra espoliazioni (tra cui un’enorme lastra di marmo, che si credeva tavolo da mensa dell’Imperatore e che oggi costituisce l’altare maggiore della Cattedrale di Lucera), saccheggi, abbandoni. Le ultime tracce di una qualche forma di attività abitativa risalgono agli inizi del 1600.

 

Tornando alla Domus, è proprio qui che il “Fanciullo di Puglia” esalò il suo ultimo respiro. E lo stato di rudere segnato dal tempo in cui versa il luogo non fa altro che aumentare l’alone di leggenda e di mistero legato alla sua morte.

 

Il cronista Saba Malaspina, vescovo di Mileto, verso la fine del 1200 nella sua Rerum Sicularum Historia racconta di come Michele Scoto (1175-1236), astrologo scozzese attivo alla corte dell’Imperatore, in gioventù gli avesse predetto che sarebbe morto “sub flore apud portam ferream”, cioè in un luogo dal nome di “fiore”, davanti ad una porta di ferro. Spaventato, Federico cercò da quel momento di evitare di sostare in tutti i luoghi il cui nome contenesse quella parola o da essa derivasse, come Firenze.

 

Ma trovandosi un giorno di novembre del 1250 nella Capitanata, durante una battuta di caccia venne colto da un fortissimo attacco di dissenteria (lo stesso male che aveva colpito a morte il giovane padre Enrico), talmente violento da che impedire alle sue guardie di ricondurlo al Palazzo Imperiale di Foggia, troppo distante, ripiegando sulla più vicina Florentinum.

 

Il Malaspina racconta che, ridestandosi temporaneamente dal deliquio dovuto alle febbri, il Puer chiese alle guardie dove si trovasse e, sentendo il nome del luogo, e scoprendo che il suo letto era collocato di fronte a una vecchia porta dai battenti di ferro che risultava murata ma che originariamente conduceva alla Torre, capì che la profezia si stava compiendo, e pare esclamasse: “Questo è il luogo della fine che mi è stata predetta. Sia Fatta la volontà di Dio”.

 

Poche settimane dopo, le sue condizioni peggiorarono, e dopo aver chiesto di indossare la tonaca dei cistercensi del terzo ordine, di cui faceva parte, chiese di essere riaccolto nel seno della Chiesa: lui che, nella sua vita, era stato scomunicato ben due volte.

 

Confessatosi, ricevuta l’estrema unzione, spirò. Era il 13 dicembre 1250. Il racconto della profezia lo ritroviamo in diverse fonti, con alcune varianti (per esempio, al posto di Scoto troviamo una imprecisata “sibilla” come autrice dell’oracolo funesto); ripreso, tra gli altri, anche dal cronista fiorentino Giovanni Villani (1276-1348), che nella sua Nuova Cronica (1308-1348) sostituisce la malattia, come causa di morte di Federico, con l’omicidio: sarebbe stato soffocato nel sonno dal figlio Manfredi (1232-1266), accecato dalla fame di potere.

 

La leggenda di Manfredi patricida ebbe molto seguito durante il Medioevo (testimoniata anche da una raffigurazione miniata dell’epoca), seppur non storicamente provata. Rimane però certo il luogo della morte del sovrano: esigue vestigia che oggi, al visitatore poco documentato, potrebbero sembrare non troppo diverse da qualunque altro sito di anonime rovine, ma i cui ruderi testimoniano il trapasso di un personaggio che ha fatto la storia del Mezzogiorno d’Italia.

 

Una stele ottagonale, posta in loco il 13 dicembre 2000 per celebrare i 750 anni dalla morte del “Fanciullo di Puglia”, lo ricorda così: “In quel tempo morì Federico, il più grande tra i Principi della Terra, stupore del mondo e meraviglioso innovatore” (Matteo da Parigi, cronista inglese, 1200-1259).

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Eberhard Horst, Federico II di Svevia, collana I Protagonisti in allegato con Famiglia Cristiana, edizioni San Paolo, Milano 2003

Antonino De Stefano, Fridericus, Puer Apuliae, in Archivio Storico Pugliese, Bari, Società di Storia Patria per la Puglia – Fascicolo I (Il convegno Federiciano di Foggia) a. IV, 1951, pp. 23-30

Arthur Haseloff, Architettura sveva nell'Italia meridionale, a cura di Maria Stella Calò Mariani, Adda editore, Bari 1992

AA VV, Fiorentino: campagne di scavo 1984-1985 in Quaderni di archeologia e storia dell'arte in Capitanata Vol. 3, a cura dell’Università di Bari, Congedo editore, Galatina 1987

Pasquale Natella, Contributo a Carunclo, in La Capitanata, Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia, Anno – XXIII (1986), parte I, pp 143-146

Saba Malaspina, Rerum Sicularum libri VI, in R.I.S. (Rerum Italicarum Scriptores), VIII, a cura di Ludovico Muratori, 1726

Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, I-III, Parma 1990-1991: I, pp. 331-332 (VII, 41)

P. Beck - M.S. Calò Mariani - C. Laganara Fabiano - J.M. Martin - F. Piponnier, Cinq ans de recherches archéologiques à Fiorentino, in "Mélanges de l'École Française de Rome. Moyen Âge", 101, Roma 1989, pp. 641-699 

J.M. Martin - G. Noyé, La Capitanata nella storia del Mezzogiorno medievale, in Società di Storia Patria per la Puglia. Studi e ricerche, IX, Bari 1991, in partic. pp. 161-200

Pasquale Corsi, Federico II e la Capitanata, in La Capitanata, Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia, Anno XXXII-XXXIII (1995-1996), pp 15-41

J.M. Martin, Castelfiorentino, in Federiciana (2005), Enciclopedia Treccani



 

 

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