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storia & sport


N. 65 - Maggio 2013 (XCVI)

Monica Seles
campionessa vittima di un destino avverso

di Francesco Agostini

 

A volte, nello sport, accadono cose incredibili. Eventi che, a livello razionale, sono difficilmente comprensibili ma che, sfortunatamente, accadono. Uno di questi eventi riguarda la carriera di una delle giocatrici di tennis più promettenti e di talento della storia, Monica Seles. La Seles nasce nel 1973 a Novi Sad, da famiglia jugoslava, e già a cinque anni il padre nota in lei uno straordinario talento per il tennis.

 

Precoce, anzi, precocissima: talmente talentuosa da vincere il primo torneo a nove anni, per poi conquistarne un altro a dodici, a Miami. Qui è notata da Nick Bollettieri che convince l’intera famiglia a trasferirsi negli U.S.A. Qualche anno più tardi, Monika prenderà la cittadinanza statunitense e cambierà il suo nome in un più anglofono Monica.

 

A soli sedici anni entra nel torneo WTA e già a Houston vince il primo torneo della sua carriera professionistica, battendo in finale niente meno che Chris Evert, che dirà a fine gara: «ShÈs the next», ossia «Lei è la prossima», pronosticando una carriera luminosa per la bambina prodigio.

 

Quegli anni sono teatro di scontri feroci con una campionessa del calibro di Steffi Graf che, essendo di quattro anni più grande, ha maggiore esperienza negli Slam e può vantare nella sua bacheca personale diversi trofei già vinti.

 

La scalata di Monica però è inarrestabile: in pochi anni vince tre Australian Open, tre Roland Garros, due US Open e, nel 1991, arriva in finale a Wimbledon. La sua è un’ascesa anche mediatica, oltre che sportiva.

 

La giovane età e il particolare stile di gioco ne fanno immediatamente un’icona del tennis. La Seles, infatti, è mancina e doppiamente bimane perché, oltre al rovescio, possiede anche il dritto bimane che conferisce ai suoi colpi particolare potenza e profondità.

 

Ogni palla, poi, è accompagnata da urli violenti e aggressivi che inibiscono le avversarie, tramortendole. Tutto fila liscio fino al 30 aprile 1993, al torneo di Amburgo, quando la Seles sta giocando i quarti di finale contro Magdalena Maleeva.

 

Dal pubblico si alza un uomo, Günther Parche, che ferisce la giovane tennista piantandole la lama di un coltello appena sotto la spalla sinistra. La ferita non è profonda, solo un centimetro e mezzo, ma basta per annientarla psicologicamente.

 

L’aggressore, un mitomane ossessionato da Steffi Graf, intendeva togliere di mezzo la Seles per permettere alla sua beniamina di riconquistare il primo posto nel ranking mondiale. Una volta eliminata la Seles, la Graf avrebbe potuto regnare incontrastata per diversi anni ancora.

 

Günther Parche nella sua deposizione disse: «Ad Amburgo mi decisi dopo tre giorni di appostamenti, nel momento che mi parve più propizio. Non l’ho colpita con tutta la mia forza, perché non volevo ucciderla, ma solo ferirla. Non sarebbe mai più stata in classifica davanti alla mia Steffi».

 

La Seles, da questo episodio, non si riprenderà più. Se prima dell’attentato il torneo WTA per lei era stato un gioco, da quel momento in poi prese coscienza di molte cose cui prima non aveva mai dato importanza, data l’estrema precocità del suo ingresso nel circuito.

 

Un esempio fu il cinismo delle sue colleghe che in blocco (a eccezione di Gabriela Sabatini) rifiutarono la proposta della WTA di bloccare il posto n. 1 del ranking mondiale in attesa del ritorno della Seles. Ad aggravare una situazione già di per sé grave fu la malattia del padre. Proprio in quegli anni gli fu diagnosticato un carcinoma alla prostata che da lì a cinque anni lo avrebbe condotto alla morte.

 

Monica impiegò due anni per tornare sul campo e, quando lo fece, si rese conto di non essere più la stessa. Riuscì comunque nel 1996 a vincere il suo ultimo torneo dello Slam, l’Australian Open, l’unico e il solo del post attentato. Per il resto, le sue vittorie si spalmarono su trofei minori, anche se nel 2000 riuscì a vincere gli Internazionali d’Italia.

 

Nel 2008 si ritirò ufficialmente, dando l’addio alle competizioni. Come sarebbe proseguita la sua carriera se quell’attentato non ci fosse mai stato? Purtroppo, non ci è dato saperlo.



 

 

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