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N. 24 - Maggio 2007

LA MONETAZIONE ‘D’IMPERO’ E ‘D’ALLEANZA’ DI CROTONE

Le monete ‘di scambio’ (o ‘monetine’) – parte IV

di Antonio Montesanti

 

Il fenomeno del doppio rilievo diviene anche più imponente quando la città si rende conto di voler allargare il proprio commercio, anche negli strati bassi della società che, con la prima rivolta antipitagorica, aveva alzato la sua voce contro la rigida oligarchia dei filosofi.

 

Gli oboli, dioboli e trioboli, definiti dal Mele “monetine”, vengono immessi sul mercato destinati ad ‘agganciare’ lo statere di Crotone, più leggero, ai più pesanti stateri corinzi ed euboico-attici e quindi alla circolazione monetaria in tutta una serie di centri italioti (Reggio), sicelioti (Himera, Agrigento, Siracusa, Zancle-Messana) ed addirittura ellenici (Corinto, Atene).

 

Lo statere di Crotone è una tridracma di 8,10 g., la dracma di conseguenza è di 2,70 g., il peso dei trioboli è di 1,20 g. ca., con forti variazioni, dei dioboli di 0,80g. ca., degli oboli circa 0,40 g. ca., dell’unico emiobolo conosciuto di 0,35g (il triobolo di 1,35 g. e il diobolo di 0,90 e l’obolo di 0,45 g.).

 

Si tratta, di frazioni minori dello statere, come detto, a doppio rilievo, caratterizzate dal fatto di avere al dritto il simbolo di Crotone e al rovescio tipi che normalmente non sono associati alla città. I tipi del rovescio, in tutti i casi, sono mutuati da altre realtà greche, magnogreche e siciliane.

 

Per stabilire una sorta di cronologia relativa si fa riferimento ai due diversi tipi di tripodi (v. supra), anche se è nettamente superiore il primo tipo c.d a.; mentre i simboli o le iscrizioni sono presenti tutti sul rovescio.

 

Sul rovescio appaiono i i tipi del pegaso, protome di pegaso, seppia, civetta, lepre, granchio, gallo, secondo lo schema qui di seguito:

 

TIPO

NOMINALE

DRITTO

ROVESCIO

ISCRIZIONI O SIMBOLI

 

MUTUAZIONE

CRONOLOGIA

Pegaso

1-Triobolo

2-Diobolo

Tripode tipo a

1-Pegaso

2-Protome di Pegaso

Q

··

Corinto

1^ metà V sec. a.C.

 

Seppia

1-Triobolo

Tripode tipo a, rar. simbol.: Trampoliere

 opp.

Tripode tipo b

Polpo

-

Siracusa

V sec. a.C.

 

Civetta

1-Triobolo

Tripode tipo a

Civetta

QPO

 

Atene

-

 

Lepre

1-Diobolo

Tripode tipo a

Tripode tipo b

Lepre

··

Regio e/o

Messana

 

Post 480 a.C.

 

Granchio

1-Triobolo

2-Obolo

Tripode tipo a,

con serpenti

tra i piedi

Granchio

QPO (retr.)

QPO

Agrigento

fine VI – inizi V sec. a.C.

 

Gallo

1-Triobolo

Tripode tipo a

Gallo

Ú ÚÙ

Himera

Ante 480 a.C.

 

Ruota

1-Obolo

2-Emiobolo

Tripode tipo a

Ruota a 4 raggi

-

Taranto

490-480 a.C., opp.

470-460 a.C.

 

Il profilo cronologico che se ne ricava è il seguente: già prima del 480 a.C. e forse alla fine del V sec. a.C. sono databili le serie del granchio e del gallo, mentre a dopo il 480 a.C.  invece le serie della lepre e della ruota; sono attribuibili senza particolari delimitazioni cronologiche le serie del pegaso e della seppia, quest’ultima serie sembra protrarsi ancora nel IV sec. a.C.

 

In un quadro molto generico possiamo riferire la serie della civetta, che però non può essere datata. Nel corso della prima metà del V sec. a.C., lo statere e le dracme di Crotone sono piuttosto normali come il tipo del rovescio dove appare il solito treppiedi incuso, o più raramente un’aquila o un elmo incuso.

 

Invece le monete divisionarie non solo sono tipi a rilievo, ma ancora si ispirano a tipi di monete ben conosciuti. Il Pegaso e il Q sono improntati sulle dracme corinzie della prima metà del V sec. a.C., mentre la protome, dal triobolo e diobolo corinzi. Il polpo, o seppia, figura su una litra di Siracusa emessa in occasioni differenti nel corso del V sec. a.C.

 

Il fatto particolare è che la litra non è battuta sullo stesso piede del triobolo crotoniate. Gli altri simboli richiamano le altre città come la lepre i tipi delle città dello Stretto dopo il 480 a.C. Il gallo è una fedele copia dell’emissione di Imera, che fu interrotta quando la città cadde nelle mani di Terone d’Agrigento, quindi sono antecedenti al 480 a.C.

 

Il fenomeno dell’imitazione dei tipi si ripeterà anche nel corso del V e IV sec. a.C. con le monete di bronzo che riprenderanno, quasi totalmente, i tipi sopra descritti. Da un quadro così sfocato possiamo dedurne una cronologia più precisa: queste frazioni vengono coniate a partire da un periodo anteriore al 483 a.C. (gallo di Imera) fino a dopo il 466/5 a.C. (seppia di Siracusa), l’età degli esemplari con la lepre (Reggio e Messana) si pone tra il 480 e il 461 a.C. e quelli con il granchio d’Agrigento si pongono a dopo il 472 a.C.

 

Queste frazioni sarebbero, dunque, “...state create come strumento di equiparazione di valori tra gli stateri di Crotone, appartenenti al sistema ponderale c.d. acheo ridotto (g. 8,1 ca.), e quelli di altre città”. Il Kraay prosegue col dire che le monete divisionarie dovevano avere probabilmente usi differenti come il fornire una moneta di pagamento al commercio del dettaglio e del piccolo mercato; il cambiare le monete di grosso taglio e darle per le mercanzie di piccolo valore; il quadramento di una grossa somma.

 

Anche se è difficile immaginare che le “monetine” avessero lo scopo di gestire la compravendita al minuto, cosa che come sappiamo avvenne per la prima volta con Pericle (Plut., V. Per. 16, 4.).

 

Le divisionarie con il pegaso sono di gran lunga le più comuni, e risulta che Crotone abbia utilizzato, ribattendole, anche stateri di Corinto e monete provenienti dalla Sicilia. La ragione è probabilmente cronologica: lo statere di Crotone non era direttamente convertibile in monete dei principali sistemi in uso in Sicilia ma le suddivisioni portano dei tipi strani.

 

In Sicilia il sistema ‘calcidese’, basato su una dramma di 5,70 g., in uso nelle colonie prima del 480 a.C., verrà sostituito da Siracusa che impone il sistema ‘euboico-attico’, basato su un tetradramma di 17,40 g. adottato ‘in maniera forzosa’ da Agrigento, Messene e Catana, mentre due stateri crotoniati pesavano 16,2 g.

 

Quindi s’intuisce facilmente, dai tipi del rovescio, che questo piede indica il ruolo primordiale di queste monete, cioè di servire al cambio di monete straniere più che al commercio interno del territorio controllato di Crotone dove questo tipo di monete divisionarie erano accettate probabilmente, come monete di ‘credito’ e perciò portavano il segno del valore.

 

Un breve calcolo toglie ogni dubbio sull’integrazione delle monetine riguardo piedi più ‘pesanti’:

 

La relazione tra Atene e Crotone è stabilita dal seguente rapporto:

 

Crotone

Atene

 

2  x  8,1 g. ca = 16, 2 g. ca   +  1,25 g. ca     =         17,45 g. ca

 

Mentre quella tra Corinto e Crotone, più complessa, ci chiarisce la complessità – e quindi la moltitudine - dei rapporti e degli scambi:

 

Corinto

 

Crotone

 

6 dracme (2 stateri)

=

6 dracme (2 stateri) + triobolo

 

4 dracme

=

4 dracme + diobolo

 

2 dracme

=

2 dracme + obolo

 

All’inizio del V sec a.C. molte città siceliote (part. Agrigento, Gela e Selinunte), emettono grandi quantità di didracme che si prestano ad essere, e come tali lo furono, ribattute spesso in Italia del Sud. Ma nel corso del secolo le stesse città siceliote, seguono l’esempio di Siracusa abbandonano le didracme e coniando tetradrammi. A questo punto queste non si prestano più allo scopo di Crotone, e da questo momento vengono utilizzate solo le monete di Corinto.

 

Verso la metà del V sec. a.C. Crotone sembra subire una eclissi economica, tanto che non sembra più coniare monete: le sole monete di Corinto vengono utilizzate per questo scopo. L’assenza di monete corinzie segna il crollo delle emissioni, il commercio con la Sicilia si arresta improvvisamente a vantaggio, nella seconda metà del secolo, di Metaponto e Taranto.

 

Insomma quella che compì Crotone dopo la vittoria su Sibari fu solo una immensa opera di integrazione nel sistema di commercio vigente, dettata da determinate necessità; tutte le città d’imitazione monetaria da cui Crotone copiò i tipi, prima del 480 a.C., con la sola esclusione di Himera, adoperavano il sistema ‘euboico-attico’.

 

Tutta questa ingegnosa macchina voleva dire “dotare lo statere di Crotone di una possibilità di circolazione extra-cittadina”, che si era dovuta attrezzare alla meno peggio per poter reggere il confronto con le altre potenze commerciali e acquistare l’eredità della rivale sconfitta.

 

Insieme alla fama aveva ereditato da Sibari un ruolo fondamentale di dominio economico, che doveva soddisfare le numerosissime esigenze presenti in all’epoca; quel ruolo svolto così bene da Sibari, la quale aveva dalla sua la copertura della più ricca Mileto, adesso metteva a dura prova lo stato crotoniate che tentava di porsi a livello delle grandi città.

 

Purtroppo, soprattutto per la storia magnogreca, la città lacinia non ci riuscirà a reggere il confronto col passato e col suo presente, per molto tempo, prova ne saranno testimoni elementi come la guerra contro Locri, la scomparsa delle monete d’impero (quasi immediata) e di quelle di alleanza (nell’arco di 50 anni ca.), e infine le rivolte interne.

 

Due sono le questioni che attanagliano l’avvicendarsi storico-economico delle due potenze: a) per quale motivo Crotone non si adegua al sistema euboico-attico per il proprio commercio e ricorre ad un sistema forse più impegnativo, più difficile da capire, insomma, più complesso; b) come mai una città come Sibari non aveva avuto bisogno di un sistema simile per regolare i suoi commerci.

 

Gli studiosi ritengono che quello di Sibari fu tuttavia un sistema monetale basato solo sulla circolazione interna o ‘binaria’ (Sibari-Mileto) oppure che Crotone non fu degnata dalle altre città dello stesso trattamento che era stato riservato a Sibari e fu costretta a far valere ogni grammo del proprio argento.

 

Rivolte e ricostruzioni

 

La tirannide di Clinia ed il barcollamento dello stato Crotoniate

 

Un passo di Dionigi di Alicarnasso (Dion. Al. XX  fr.7) chiarisce tramite l’innesto di un nuovo elemento la situazione della città del Lacinio, nei primi decenni del V sec. a.C., tirando in ballo la tirannide di un tal Clinia. Questo ‘tiranno’ oltre a macchiarsi dell’accusa di stragi ed espulsioni di aristocratici, è accusato, di aver “privato della libertà le città”.

 

L’autore parla di città al plurale e non della sola cittadina sede del movimento pitagorico. La tirannide di Clinia, nata da una sorta d’insurrezione, avrebbe provocato l’incendio dei sinedri pitagorici, ma viste le colpe attribuite agli adepti dalla tradizione, avrebbe innescato la ribellione in tutte le città all’epoca, sotto il controllo di Crotone.

 

Non dissimile da quella di Telys sibarita, sembra la tirannide di Clinia che pur apportando danni ingenti all’intero Impero, non riesce ad attecchire più di tanto. Del tutto diversa è la tirannide di Cilone che si scagli contro i pitagorici e basa la sua forza su una eteria nobiliare.

 

Giustino e in Diogene Laerzio narrano di 300 iuvenes pitagorici legati da reciproco giuramento, che corrispondono chiaramente ai 300 allievi di Pitagora che secondo Diogene Laerzio conferivano al regime crotoniate un carattere quasi aristocratico (Diog. Laert., VIII 1, 3).

 

Dobbiamo aggiungere un’altra notizia, ossia che dopo la vittoria sulla sua antagonista, Crotone ricadde completamente alla truphé prepitagorica, che portò, probabilmente al serpeggiare di malumori interni nei confronti dell’aristocrazia regnante (Tim., FGrHist 566 F44=Athen., XII 22, 522a).

 

Il riferimento è al lusso sfrenato della classe dominante, aristocratica, come risulta dall’esempio datoci proprio dalla fonte medesima: il supremo magistrato vestito di porpora, incoronato d’oro ed indossante i calzari bianchi. Ci troviamo di fronte ad una  forma di demonizzazione della figura della persona da parte del partito opposto che intravede nella risoluzione per abbattere tale problema il ricorso alla tirannide di origine popolare.

 

Clinia priva dunque le poleis della loro libertà, raccoglie i fuggiaschi da ogni luogo, manomette gli schiavi e fa uccidere o manda in esilio i cittadini più ragguardevoli. Accadeva in Crotone ciò che pochi decenni prima era accaduto a Sibari con Telys (Dion. Hal. XX 7, 1).

 

In ogni caso la notizia più interessante, al fine del nostro discorso, riguarda il fatto che si parli di poleis, ricordando che Crotone si era imposta, nel periodo successivo all’annessione del territorio della città antagonista, su un territorio assai vasto dove sorgevano vari centri abitati.

 

La tirannide si deve riconoscere come un evento antioligarchico della società cotoniate che non ha nulla che vedere con la rivolta di Cilone, frustrato a causa della sua non ammissione al circolo pitagorico, tanto da divenirne implacabile avversario, verso il 510 a.C. (o 476 a.C. ?) con il suo stuolo di amici (Diod. X 11, 1).

 

La accesa tirannide di Clinia, pur provocando un limite di rottura, di indebolimento dell’intero sistema cittadino e provocando la ribellione delle città soggette, non riuscì ad eliminare l’oligarchia pitagorica che resistette a tale sbalzo almeno all’interno della città. Ben altro rilievo ebbe la rivolta in numerose città sotto il controllo crotoniate che portò, come dice Polibio, all’incendio di numerose sedi pitagoriche (Polyb., II 39, 1-3).

 

Ciò appare evidente nel periodo immediatamente successivo a Clinia, quando non attenderanno a mostrarsi gli effetti delle rivolte: a Crotone crolla l’oligarchia pitagorica che aveva ripreso il potere. Su questo periodo decisamente confuso postrivoluzionario, Polibio ci ha lasciato uno dei più importanti passi riguardanti la storia della Magna Grecia, riportando che dopo l’incendio dei sinedri pitagorici per riassemblare la situazione, ormai nel caos più totale, i Crotoniati si rivolsero agli Achei come giudici, e le città di Sibari, Crotone e Caulonia, imitando l’organizzazione politica achea, fondarono il santuario e la lega Acheo-italiota, incentrata attorno al culto di Zeus Homarios, dove avevano luogo le riunioni federali ed i consigli di Lega (Polyb. II 39, 6; cfr. anche Strab. VIII 7, 1, 384C), questa sorta con fini più difensivi che offensivi.

 

La cronologia di questa lega è molto discussa. La presenza in essa dei Sibariti ha fatto pensare a Sibari sul Traente, infatti il nome dei Sibariti non scompare con la distruzione della città ad opera dei Crotoniati. Anche se salendo di qualche anno si potrà arrivare a pensare a Sibari, Crotone e Caulonia (Polyb. II 39, 6) si siano unite subito dopo il 472 a.C., forse per reagire all’azione di Reggio in favore di Taranto, ritrovando l’unità spezzata dal primo movimento antipitagorico di cui è traccia Diodoro (Diod. XI 48: mancato intervento di Polizelo nel 476 a.C. in favore di Sibari).

 

Dopotutto la rigidità delle istituzioni pitagoree non aveva fatto in modo che le loro posizioni cambiassero in seguito al ‘campanello d’allarme’ che si era manifestato nel sussulto cliniano.

 

Al passo polibiano, alla rivolta tirannidea cliniana, si aggancia il discusso passo del De vita Pythagorica di Giamblico (par. 248 sgg.), sulla fine del pitagorismo in Magna Grecia e quindi sulla seconda rivolta.

 

“Vi furono coloro i quali facevano guerra, erano ostili a questi uomini e perciò ci fu una congiura contro di essi. Che dunque in assenza di Pitagora avvenisse la congiura (èpiboulé), tutti sono d’accordo, differiscono però riguardo all’occasione dell’assenza di Pitagora...”.

 

Abbiamo tre tipi di interpretazioni riguardo la rivolta:

A. La strage avviene a Crotone e vede implicati i pitagorici di Crotone (Dicearco e Timeo in Porph., VP 56 e in Justin.  XX 4).

B. La strage avviene a Crotone, ma i Pitagorici implicati nella strage sono di tutte le città della Magna Grecia nelle quali è diffuso il movimento pitagorico (Aristox. apud Jamblic., De vita Pyth. 249-250).

C. Avvengono stragi in tutte le città della Magna Grecia in cui sono implicati i pitagorici al potere (Polyb. II 39).

 

In ogni caso la rivolta viene indicata come unica, un’onda di sussulti e disordini, che investe varie città ma è individuabile come una rivolta.

 

I pitagorici dovevano essere i rappresentanti del potere nelle medesime città sotto dell’Impero, una specie, se non addirittura un vera e propria exarcheia, e se storicamente riconosciamo la presenza di un Subariton exarcos, probabilmente doveva esistere un Temesaion exarcos o un Kauloniaton exarcos.

 

Il problema dei sinedri pitagorici che sono dati alle fiamme ed in particolare della loro tradizione è vista dal Musti come l’incendio ‘unico’, ossia una non distinzione di tutti gli incendi, cioè un continuum, un prototipo che si ripete: il Maestro, il gruppo eletto, incendio in cui perdono la vita alcuni pitagorici. Non essendoci riscontri cronologici esterni, non è possibile ricostruire un quadro storico completo, anche se pur minimo; il mosaico non è scindibile, c’è una agglutinazione ‘totale’ dei tre eventi.

 

La crisi del pitagorismo crotoniate, valutata come spia della crisi della potenza della stessa città, giunge alla vigilia del 453 a.C., se se ne considera prova la fondazione della nuova Sibari da parte di un Tessalo, malvista da Crotone, o dopo il 448 a.C., se si considera prova di una perdurante potenza crotoniate il fatto che appunto la nuova Sibari non durò oltre questa data, quando i Crotoniati la distrussero (Diod. XI 90, 3; XII 10, 2-3).

 

Con la fine del regime oligarchico pitagorico a Crotone e con la fuga dei suoi adepti nelle città italiote, non ancora toccate da rivolte popolari, inizia il processo di disgregazione dell’impero crotoniate in Italia meridionale.

 

Locri

 

L’influenza lacinia si riflette nel carattere già primordiale aristocratico della legislazione distintivo della sua struttura politica e sociale, evidente dall’esistenza di un consiglio di 1000 membri, ai quali spettava determinare le linee della politica interna ed estera e verificare l’operato dei magistrati (Polyb., XII 16, 10-11). Il parallelo con Crotone e Reggio non ci sfugge, e se volessimo estenderlo avremmo un ottimo paragone in Agrigento (Empedocl., 31 A 1, 66 Diels-Kranz10=Tim., FGrHist 566 F 2=Diog. Laert., VIII 66). Ciò conferma ancora l’esistenza di caratteri identici o per lo meno simili, nelle costituzioni oligarchiche italiote in un periodo ancora arcaico.

 

Elea

 

Ad Elea, retta in questo periodo dai filosofi pitagorici Parmenide e Zenone, si crea un certo legame con il mondo politico e culturale crotoniate (Strab., VI 1, 1, 257). Le leggi dei filosofi-legislatori vengono elogiate e a loro si riconosce il merito di aver permesso un’ottima difesa della città contro Poseidoniati e Lucani addirittura di aver procacciato la vittoria, benché Elea fosse inferiore per mezzi, per estensione territoriale e popolazione.

 

Le lotte con i Poseidoniati sono anteriori a quelle con i Lucani, come è dimostrato che nella seconda metà del V sec. a.C., gli eleati cominciarono a stendere sui monti circostanti una serie di fortificazioni antilucane, di queste non doveva essercene, stato bisogno negli anni precedenti, essendo l’economia di Elea basata solo su un’economia marittima, la quale non richiedeva né espansioni né allacciamenti territoriali troppo intensi con l’interno. Le fortificazioni si resero necessarie, in seguito al movimento delle popolazioni e delle tribù indigene dalle zone montane verso il mare. Invece la rivalità con Poseidonia può ben datarsi prima della metà del V sec. a.C., quando l’attività commerciale eleate sul mar Tirreno non doveva risultare gradita ai mercanti poseidoniati, per ragioni di concorrenza.

 

Ad Elea non si può dubitare della storicità della tirannide, così come la si voglia chiamare, o mettere in dubbio la presenza del tiranno, in rapporto con la scoperta della congiura di Zenone. Come per Crotone, nel già esaminato caso di Clinia, anche per Elea le fonti pongono concordemente una tirannide al tempo di Zenone, ora chiamato Nearco, ora Diomedonte, ora Demilo, ed in un caso certamente anacronistico Dioniso, talora è lasciato anonimo. (Heraclid. Lemb., FGrHist, III, p. 169 fr. 7 = Diog. Laert., IX 26; Diod., X 18, 1-3; Val. Max., III 3 ext.; Philostrat., Vita Apoll. Tyan., 7, 2; Clem. Alex., Strom., IV 57; Suda, s.v. Zenon 77; Plut., Adv. Col., 32, 1126 d; De garrul, 8, 505 d; De Stoic. rep., 37, 1051 c; Nemes., De nat. Hom., 30, 125; P.G., XL, coll. 720-721; Cic., Tusc.disp., II 52.

 

Reggio

 

Per Reggio invece il regime oligarchico è scardinato nel 494 a.C. dalla tirannide di Anassilao, protrattasi con i suoi figli sotto la reggenza di Micito, fino al 461 a.C. Il rovesciamento della tirannide avvenne in seguito ad un moto di liberazione non precisato nei dettagli, ma da ricondurre ad una probabile ripresa vittoriosa delle forze oligarchiche che diedero vita ad un regime più moderato. Se Reggio che accolse probabilmente il maggior numero di esuli negli anni di poco successivi al 461 a.C., si dovrà concludere che l’oligarchia riprese il sopravvento, tanto da offrire riparo sicuro ad un buon numero di pitagorici cacciati da Crotone nel 455 a.C. (Aristoxen., fr. 18 Wehrli2 = FGrHist., II, p. 274 fr. 11 = Iambl., De vita Pythag., 251 Nauck ).

 

Si osserverà che se per Elea, abbiamo l’attestazione dei pitagorei Parmenide e Zenone, legati per lo meno idealmente all’epicentro sinedrio, in due città apparentemente non toccate dall’assimilazione crotoniate, Reggio e Locri, comunque esistevano dei regimi oligarchici con cariche, istituzioni e schematismi assimilabili facilmente alla Crotone post-sibaritica, e di conseguenza a precise istituzioni pitagoree.

 

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