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N. 79 - Luglio 2014 (CX)

MICHAEL CHANG
IL PIONIERE DELLA BANANA

di Francesco Agostini

 

Cosa ha portato a diventare numero due del ranking mondiale un giocatore tecnicamente nella media come Michael Chang?

 

Riducendo in maniera semplicistica la questione potremmo dire tre fattori fondamentali: la sua cieca determinazione, un repertorio uniforme di colpi non eccezionali ma molto efficaci e l’uso sfrenato (e pionieristico) delle banane. Ma andiamo con ordine.

 

Michael Chang nasce a Hoboken, nel New Jersey, il ventidue febbraio del 1972 e i suoi evidenti tratti asiatici tradiscono l’origine di Taiwan dei genitori, trasferitisi negli Stati Uniti d’America per motivi di studio. Asiatico sì, ma solo nei tratti somatici; Chang è in tutto e per tutto un americano e come tale segue il tipico percorso agonistico statunitense che lo porta in giovanissima età a entrare nel tennis professionistico.

 

Quando lo fa è il 1988, ha solo sedici anni ma la sua fama di ragazzo prodigio lo accompagna già da qualche tempo, aiutato anche da un allenatore d’esperienza come José Higueras.

 

Perché è diventato già così famoso? In effetti, la domanda sorge piuttosto spontanea. Chang non è alto ma, anzi, con i suoi 175 centimetri si posiziona ben al di sotto della media dei tennisti.

 

Anche il suo gioco non è particolarmente brillante: è un tennis di regolarità, difensivo, che ha l’obiettivo più di non sbagliare e attendere l’errore dell’avversario piuttosto che di tirare dei vincenti.

 

Non è un Edberg o un Becker, tanto per intenderci. Ma ha una particolarità che lo contraddistingue da tutti quanti e che lo rende unico: l’intelligenza e la caparbietà. Chang sa aspettare il momento giusto, non va mai in campo senza avere una tattica ben precisa in mente e, soprattutto sa far saltare i nervi all’avversario prendendosi tutto il tempo necessario (e anche qualcosina in più) nei cambi di campo, oppure chiamando il fisioterapista anche per cose di poco conto.

 

L’intento, nemmeno troppo celato, è quello di spezzare il ritmo del tennista che ha di fronte.

 

Con tutta questa serie di ottime premesse, la fama del giocatore statunitense esplose nel 1989 al Roland Garros, il torneo dello slam che si gioca sulla terra rossa parigina.

 

Qui, per la prima volta, viene immortalata la sua abituale consuetudine di consumare un pezzettino di banana al cambio campo, con la semplice motivazione di reintegrare sali minerali e potassio al fine di evitare i crampi.

 

La pratica, che oggi è diffusissima (basta vedere la quantità industriale di banane di cui si rifornisce il tennista canadese Milos Raonic a ogni suo incontro) fu definita all’epoca persino “rivoluzionaria” e Michael Chang ne fu l’indiscusso pioniere.

 

Proprio qui, in terra parigina, è rimasto nella storia l’ottavo di finale contro il campione cecoslovacco Ivan Lendl, autentico mostro sacro del tennis e plurivincitore del Roland Garros.

 

Al quinto set, sul 4-3 per Chang, il giovane americano decise di non effettuare un servizio classico, con palla lanciata in alto e colpita in aria verso il basso ma di effettuarne uno “da sotto”, una sorta di semplice dritto al volo.

 

Lendl, sorpreso per il colpo a dir poco bizzarro, fu costretto a precipitarsi in avanti e sulla successiva risposta Chang lo fulminò con un dritto lungolinea.

 

Ma non finì qua e un altro colpo di scena accadde nel finale, al match point per l’americano. Lendl si apprestò a colpire la seconda palla di servizio e Chang, in risposta, si posizionò a ridosso del quadrante della battuta.

 

Se Lendl avesse servito una seconda normale, sicuramente non ci sarebbe stato scampo per lui ma le cose andarono nel modo più imprevisto: Lendl, il freddo calcolatore cecoslovacco abituato a vincere da molti anni, s’innervosì e fece doppio fallo consegnando la vittoria al suo giovane rivale. Fu un colpo a sorpresa per tutti gli appassionati di tennis.

 

Superato quello scoglio, Chang si impose su Agénor, Česnokov e in finale sconfisse un campione conclamato come Stefan Edberg in cinque combattutissimi set.

 

E così a soli diciassette anni e tre mesi, lo statunitense divenne il più giovane tennista ad aggiudicarsi il Roland Garros e salì prepotentemente alla ribalta del tennis mondiale come una delle più promettenti promesse delle nuove leve.

 

Tutto sembrava preludere a una sfolgorante carriera; purtroppo non sarà così. Un po’ per via dell’emergere di campioni tecnicamente più dotati di lui come Sampras e Agassi, un po’ a causa del suo gioco così logorante da un punto di vista fisico che Chang si mantenne sempre a buoni livelli (e i trentaquattro trofei vinti in carriera sono un più che rispettabile biglietto da visita) ma non riuscì più a conquistare uno Slam.

 

È innegabile, però, che quella memorabile cavalcata al torneo parigino forse, per quanto fu combattuta e sofferta, valga almeno come quattro o cinque Slam; un momento mitico che ha segnato una deviazione da una vittoria annunciata di un papabile campione per dar spazio a un giovane outsider.

 

Chang, quell’anno, rivoluzionò tutto: dai pronostici, al servizio, alle banane.



 

 

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