N. 83 - Novembre 2014 
                          
                          (CXIV)
																						Melencolia I
																						Sull’incisione di Albrecht Dürer – parte i
																						di Federica Campanelli
																			 
																			
																			
																			Nell’antica 
																			teoria 
																			umorale 
																			dei 
																			quattro 
																			temperamenti 
																			la
																			
																			melanconia
																			
																			è lo 
																			stato 
																			patologico 
																			dovuto 
																			al 
																			dominio 
																			dell’atra 
																			bilis, 
																			la 
																			fredda 
																			e 
																			secca 
																			“bile 
																			nera”, 
																			sugli 
																			altri 
																			umori 
																			attivi 
																			nell’uomo 
																			(bile 
																			gialla, 
																			flegma 
																			e 
																			sangue). 
																			Secondo 
																			la 
																			mitologia 
																			astrale 
																			classica, 
																			la 
																			personalità 
																			melanconica 
																			era 
																			governata 
																			da 
																			Saturno, 
																			l’archetipo 
																			planetario 
																			più 
																			alto 
																			e 
																			remoto, 
																			tanto 
																			da 
																			definire
																			
																			saturnina 
																			quella 
																			maledetta 
																			indole 
																			geniale 
																			– 
																			combattuta 
																			tra 
																			“mal 
																			di 
																			vivere” 
																			e 
																			fervido 
																			intelletto 
																			– 
																			tipica 
																			di 
																			artisti 
																			e 
																			pensatori.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			dottrina 
																			dei 
																			quattro 
																			umori, 
																			sviluppatasi 
																			con 
																			l’intenzione 
																			d’individuare 
																			quegli 
																			attributi 
																			essenziali 
																			ai 
																			quali 
																			relazionare 
																			la 
																			complessa 
																			fisiologia 
																			umana, 
																			si 
																			fa 
																			risalire 
																			convenzionalmente 
																			tra 
																			V e 
																			IV 
																			secolo 
																			a.C. 
																			con 
																			il 
																			trattato
																			
																			De 
																			Natura 
																			Hominis 
																			attribuito 
																			a 
																			Ippocrate 
																			di 
																			Kos 
																			(460 
																			a.C.-370 
																			a.C. 
																			ca.)
																			
																			o al 
																			suo 
																			discepolo
																			
																			Polibo
																			
																			(IV 
																			a.C.). 
																			È il 
																			fortunato 
																			esito 
																			dell’accorpamento 
																			in 
																			un’unica 
																			metodica 
																			trattazione 
																			della 
																			teoria 
																			dei 
																			quattro 
																			elementi 
																			formulata 
																			dal 
																			medico 
																			e 
																			filosofo 
																			siceliota
																			
																			Empedocle 
																			(V 
																			a.C.) 
																			– 
																			che 
																			contemplava 
																			le 
																			quattro 
																			“radici” 
																			aria, 
																			acqua, 
																			terra 
																			e 
																			fuoco 
																			come 
																			entità 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			determinare 
																			il 
																			giusto 
																			carattere 
																			umano 
																			in 
																			virtù 
																			della 
																			loro 
																			perfetta 
																			combinazione 
																			– 
																			con 
																			la 
																			più 
																			antica 
																			medicina 
																			pitagorica 
																			fondata 
																			sulla 
																			nozione 
																			alcmeoniana 
																			di 
																			isonomia 
																			tra 
																			le
																			
																			δυνάμεις 
																			(“forze”, 
																			“virtù”) 
																			dell’uomo. 
																			Per 
																			tale 
																			principio 
																			salute 
																			e 
																			malattia 
																			altro 
																			non 
																			sono 
																			che, 
																			rispettivamente, 
																			l’espressione 
																			dell’equilibrio 
																			tra 
																			le 
																			diverse 
																			qualità 
																			(non 
																			ancora 
																			numericamente 
																			stabilite) 
																			e la
																			
																			μοναρχία 
																			(“monarchia”, 
																			“predominio”) 
																			di 
																			una 
																			sola 
																			di 
																			esse.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Tra 
																			le 
																			innumerevoli 
																			rappresentazioni 
																			della 
																			tipologia 
																			melanconica, 
																			il 
																			complesso 
																			modello 
																			proposto 
																			da
																			
																			Albrecht 
																			Dürer 
																			(1471 
																			- 
																			1528) 
																			all’inizio 
																			del 
																			Cinquecento 
																			è 
																			senz’altro 
																			tra 
																			i 
																			prototipi 
																			più 
																			fortunati. 
																			A 
																			dispetto 
																			della 
																			sua 
																			parziale 
																			imperscrutabilità,
																			
																			l’opera 
																			del 
																			genio 
																			tedesco 
																			è 
																			probabilmente 
																			il 
																			più 
																			menzionato 
																			ed 
																			evocativo 
																			ritratto 
																			dello
																			
																			status 
																			melancholicus.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			successo 
																			dell’impianto 
																			iconologico 
																			düreriano 
																			risiede 
																			nell’evoluzione 
																			interpretativa, 
																			verificatasi 
																			in 
																			ambito 
																			umanistico, 
																			del 
																			temperamento 
																			melanconico 
																			che 
																			da 
																			condizione 
																			umana 
																			puramente 
																			morbosa, 
																			descritta 
																			dalle 
																			dottrine 
																			mediche 
																			e 
																			astronomiche 
																			vigenti 
																			fino 
																			a 
																			quel 
																			momento, 
																			diviene 
																			moderno 
																			attributo 
																			del 
																			genio 
																			creativo: 
																			quell’esclusivo 
																			stato 
																			di 
																			sofferenza 
																			generatrice 
																			delle 
																			migliori 
																			qualità 
																			intellettive 
																			dell’uomo.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			L’Umanesimo 
																			glorifica 
																			un 
																			modello 
																			che, 
																			seppur 
																			già 
																			presente 
																			in 
																			antichità, 
																			aveva 
																			subito 
																			nel 
																			tempo 
																			una 
																			graduale 
																			retrocessione 
																			fino 
																			a 
																			confondersi 
																			del 
																			tutto 
																			con 
																			la 
																			concezione 
																			medievale 
																			di 
																			“contemplazione 
																			divinatoria”, 
																			unicamente 
																			finalizzata 
																			a 
																			stabilire 
																			un 
																			qualche 
																			rapporto 
																			di 
																			subordinazione 
																			a 
																			Dio. 
																			«[...] 
																			ti 
																			ho 
																			cercato, 
																			per 
																			contemplare 
																			la 
																			tua 
																			potenza 
																			e la 
																			tua 
																			gloria. 
																			Poiché 
																			la 
																			tua 
																			grazia 
																			vale 
																			più 
																			della 
																			vita,
																			
																			le mie labbra diranno la tua lode. Così ti benedirò finché 
																			io 
																			viva, 
																			nel 
																			tuo 
																			nome 
																			alzerò 
																			le 
																			mie 
																			mani. 
																			Mi 
																			sazierò 
																			come 
																			a 
																			lauto 
																			convito 
																			e 
																			con 
																			voci 
																			di 
																			gioia 
																			ti 
																			loderà 
																			la 
																			mia 
																			bocca. 
																			Quando 
																			nel 
																			mio 
																			giaciglio 
																			di 
																			te 
																			mi 
																			ricordo 
																			e 
																			penso 
																			a te 
																			nelle 
																			veglie 
																			notturne 
																			[...]» 
																			(Salmo Di Davide, quando dimorava nel deserto 
																			di 
																			Giuda 
																			62, 
																			2-7).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nell’ideale 
																			umanistico, 
																			invece, 
																			la 
																			sovranità 
																			spetta 
																			all’Uomo 
																			e 
																			solo 
																			nella 
																			“vita 
																			speculativa” 
																			egli 
																			potrà 
																			esercitare 
																			il 
																			suo 
																			potere 
																			intellettivo. 
																			La 
																			rinnovata 
																			nozione 
																			di 
																			melanconia 
																			come 
																			“furore 
																			divino” 
																			del 
																			genio 
																			e 
																			“dono 
																			singolare” 
																			riservato 
																			a 
																			uomini 
																			eccezionali, 
																			è 
																			particolarmente 
																			esaltata 
																			dal 
																			filosofo 
																			fiorentino
																			
																			Marsilio 
																			Ficino
																			
																			(1433-1499) 
																			nell’opera
																			
																			De 
																			triplici
																			
																			vita
																			
																			(1489) 
																			in 
																			cui 
																			si 
																			dedica 
																			al 
																			riconoscimento 
																			dei 
																			sintomi 
																			e 
																			alla 
																			terapia 
																			dell’indole 
																			saturnina 
																			(che 
																			egli 
																			stesso 
																			sentiva 
																			propria). 
																			Dunque 
																			Ficino 
																			riabilita 
																			in 
																			pieno 
																			anche 
																			la 
																			figura 
																			di 
																			Saturno 
																			poiché 
																			tradizionalmente 
																			la 
																			melanconia 
																			dipende 
																			da 
																			esso 
																			e in 
																			effetti 
																			nessun’altra 
																			entità 
																			mitologica 
																			poteva 
																			esprimere 
																			così 
																			compiutamente 
																			la 
																			connaturata 
																			bipolarità 
																			del 
																			temperamento 
																			melanconico.
																			
																			 
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			
																			Melencolia 
																			I 
																			è 
																			un’opera 
																			incisoria 
																			eseguita 
																			a 
																			bulino 
																			nel 
																			1514: 
																			lo 
																			stesso 
																			autore 
																			apporta 
																			l’anno 
																			di 
																			realizzazione 
																			sull’angolo 
																			destro 
																			del 
																			quadro, 
																			sopra 
																			il 
																			proprio 
																			monogramma.
																			
																			
																			
																			
																			In 
																			fase 
																			progettuale, 
																			nel 
																			definire 
																			uno 
																			studio 
																			per 
																			il 
																			putto, 
																			Dürer 
																			annota: 
																			«La 
																			chiave 
																			significa 
																			potere, 
																			la 
																			borsa 
																			ricchezza». 
																			L’avarizia 
																			si 
																			manifesta 
																			già 
																			tra 
																			gli 
																			attributi 
																			del 
																			tipo 
																			melanconico 
																			nella 
																			trattatistica 
																			umorale 
																			tardo 
																			antica. 
																			Ricchezza, 
																			abbondanza 
																			e 
																			conseguentemente 
																			avarizia, 
																			sono 
																			infatti 
																			caratteri 
																			assunti 
																			dal 
																			grande 
																			vecchio
																			
																			Kronos-Saturno, 
																			la 
																			romana 
																			divinità 
																			agricola 
																			custode 
																			dell’erario, 
																			sovrano 
																			dei 
																			Titani 
																			durante 
																			la 
																			gloriosa 
																			Età 
																			dell’Oro. 
																			A 
																			nulla 
																			gli 
																			valse 
																			divorare 
																			i 
																			propri 
																			figli 
																			per 
																			affanno 
																			di 
																			potere: 
																			destituito 
																			con 
																			l’inganno 
																			dall’ultimogenito 
																			Zeus-Giove, 
																			il 
																			re 
																			titano 
																			– 
																			che 
																			a 
																			sua 
																			volta 
																			aveva 
																			conquistato 
																			il 
																			trono 
																			con 
																			brutalità 
																			evirando 
																			il 
																			padre 
																			Urano 
																			– fu 
																			condannato 
																			a 
																			perdere 
																			tutto 
																			(Esiodo,
																			
																			Teogonia, 
																			453-491; 
																			Ovidio,
																			
																			Fasti, 
																			IV, 
																			197-207). 
																			La 
																			dualità 
																			di 
																			Kronos 
																			(vittima 
																			e 
																			carnefice, 
																			creatore 
																			e al 
																			contempo 
																			distruttore, 
																			fautore 
																			della 
																			prosperità 
																			primigenia 
																			e 
																			divinità 
																			sofferente 
																			perché 
																			privata 
																			del 
																			suo 
																			regno), 
																			si 
																			rispecchia 
																			nella 
																			tipologia 
																			caratteriale 
																			del 
																			melanconico, 
																			così 
																			solitario 
																			e 
																			intimamente 
																			contraddittorio. 
																			I 
																			simboli 
																			“borsa” 
																			e 
																			“chiavi” 
																			compaiono 
																			come 
																			attributi 
																			iconografici 
																			specifici 
																			della 
																			Melanconia 
																			nell’opera 
																			di 
																			Dürer 
																			perché 
																			connessi 
																			a 
																			Saturno 
																			e 
																			alla 
																			personificazione 
																			dell’Avaritia.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			disegno
																			
																			Donna 
																			seduta
																			
																			(1514), 
																			uno 
																			studio 
																			a 
																			penna 
																			per 
																			la
																			
																			Melencolia 
																			I, 
																			Dürer 
																			ritrae 
																			una 
																			donna 
																			dallo 
																			sguardo 
																			basso 
																			e 
																			dolente, 
																			priva 
																			di 
																			ornamenti, 
																			con 
																			entrambe 
																			le 
																			braccia 
																			pigramente 
																			poggiate 
																			sulle 
																			gambe. Una 
																			composizione 
																			che 
																			si 
																			discosta 
																			parecchio 
																			dall’incisone 
																			definitiva. 
																			Manca 
																			infatti 
																			un elemento 
																			tutt’altro 
																			che 
																			accessorio 
																			dell’indole 
																			melanconica 
																			e 
																			già 
																			presente 
																			in 
																			alcune 
																			antiche 
																			figurazioni 
																			del 
																			dio Kronos: 
																			il 
																			capo 
																			chino 
																			sorretto 
																			dalla 
																			mano, 
																			la 
																			tipica 
																			posa 
																			che 
																			evoca 
																			uno 
																			stato 
																			d’afflizione 
																			ma 
																			anche 
																			di 
																			riflessione, 
																			riconducibile 
																			immediatamente 
																			al 
																			processo 
																			creativo. 
																			Un 
																			gesto 
																			in 
																			grado 
																			di 
																			materializzare 
																			la 
																			tormentata 
																			e 
																			alterna 
																			esistenza 
																			del 
																			melanconico.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Se 
																			nello 
																			studio 
																			preliminare 
																			Dürer 
																			rappresenta 
																			il 
																			“morbo” 
																			piuttosto 
																			che 
																			il 
																			“dono” 
																			della 
																			melanconia, 
																			nell’opera 
																			conclusa 
																			egli 
																			recupera 
																			e 
																			fissa 
																			nel 
																			suo 
																			modello 
																			iconografico 
																			quel 
																			gesto 
																			di 
																			cui 
																			si 
																			era 
																			perso, 
																			specie 
																			in 
																			periodo 
																			medievale, 
																			il 
																			legame 
																			diretto 
																			con 
																			la 
																			mitografia 
																			relativa 
																			a 
																			Kronos-Saturno
																			
																			comparendo 
																			solo 
																			in 
																			qualche 
																			riproduzione 
																			di 
																			individui 
																			sofferenti 
																			o in 
																			contemplazione 
																			divinatoria.
																							
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			