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N. 40 - Aprile 2011 (LXXI)

IL PRINCIPE PERFETTO DI FRATE ANTONIO DE GUEVARA
Il “personaggio” MARCO AURELIO

di Valentina Riccio

 

La lettura più eclatante dell’immagine di Marco Aurelio nel corso dell’età rinascimentale (e forse la più famosa) è senza dubbio costituita dall’opera di un chierico spagnolo, frate Antonio de Guevara, vescovo di Mondoñedo, che scelse l’imperatore-filosofo come protagonista di alcune sue importanti produzioni; egli anticipò così l’editio princeps dei Pensieri (1559), un insieme di aforismi elaborati dall’imperatore, grazie ai quali egli mantenne viva la sua moralità stoica durante le guerre marcomanniche.

 

L’operato di Guevara si collocava nel contesto della Spagna di poco successiva alla Reconquista: l’unità nazionale, la nascita dello stato centralizzato, l’apertura verso le influenze della rivoluzione religiosa e la recente scoperta del Nuovo Mondo sono i fatti che avevano segnato principalmente quel vivace ambito.

 

Guevara visse tra il 1480 ed il 1544; fu membro di una illustre famiglia spagnola originaria della provincia di Alaba e, dopo la morte della regina Isabella di Castiglia, nel 1518 scelse di entrare in un convento di frati francescani. Da quel momento si avviò agli studi di grammatica, logica e filosofia.

 

L’apprendimento delle discipline filosofiche si rivelò per lui utile ad una nuova interpretazione delle Sacre Scritture effettuata, appunto, attraverso l’ottica della filosofia antica. In quegli anni si dedicò alla stesura del Libro Aureo di Marco Aurelio (1524), un’opera consistente che segnò il suo stile letterario e la sua futura vita da predicatore e storiografo alla corte di Carlo V, in cui approdò nell’estate del 1523.

 

Durante quell’esperienza ebbe occasione di redigere una seconda opera, più importante della precedente, intitolata Libro del emperador Marco Aurelio con el relox de principes (1529): la lunghezza della composizione e lo stile più elevato inducono a pensare che la seconda opera costituisca uno sviluppo e un arricchimento rispetto alla prima, anche se entrambe risultano essere in gran parte frutto della fantasia dell’autore.

 

Naturalmente i due scritti non costituirono le sole produzioni di Guevara, il quale impiegò anche la sua attività all’interno dell’Inquisizione Spagnola e, una volta alla corte di Carlo V, si dedicò alla stesura di una biografia dell’imperatore.

 

Tuttavia, non è possibile asserire che nel corso della sua vita egli avesse realizzato opere più importanti di quelle aventi come protagonista Marco Aurelio; non a caso, proprio attraverso quegli scritti Guevara conquistò la sua notorietà.

 

Nella prefazione al Libro Aureo, Guevara stesso afferma di aver composto un prodotto storiografico, ovvero un’opera storica compilata perseguendo la redazione della cronaca imperiale. La pubblicazione dell’opera, infatti, lo rese un autore celebre ancora prima della sua nomina a vescovo; tuttavia, il suo maggior successo fu determinato dal Relox de principes, attraverso il quale Guevara espose un’ideologia che potrebbe aver influenzato efficacemente la posizione di Carlo V.

 

La presenza di Guevara e della sua produzione, infatti, provocarono alla corte dell’imperatore un interesse per il passato, tanto che ciò, unitamente all’enorme diffusione del libro, contribuì a far risorgere Marco Aurelio dall’ombra.

 

La storia dei due libri è intimamente connessa dalla scelta del medesimo personaggio: nel corso del secolo precedente, infatti, le biografie dei principi avevano avuto un valore particolare, tanto che nel mondo spagnolo erano stati rievocati imperatori ispanici come Traiano e Adriano. La scelta di Guevara cadde su Marco Aurelio, un imperatore che, secondo A. Redondo, fino ad allora era stato dimenticato.

 

Tuttavia, è noto che nel primo Cinquecento le pubblicazioni relative alla storia romana fossero già numerose; va considerato, inoltre, che dal 1475 venne divulgata anche la biografia di Marco contenuta nella Storia Augusta, testo che Guevara dimostrò di conoscere nell’esordio del Libro Aureo. Il chierico, dunque, conobbe le origini di Marco che, seppur nato a Roma, apparteneva ad una famiglia spagnola, e ciò costituì un elemento aggiuntivo per motivarne la scelta.

 

Rispetto ad altri imperatori romani, inoltre, Marco possedeva una certa struttura morale, era un saggio, un filosofo: questi elementi costituirono la chiave di volta tramite la quale Guevara poté porsi come intermediario tra lo stoicismo ed il cristianesimo del XVI secolo.

 

L’immaginazione condusse Guevara alla produzione del Libro Aureo, il quale era caratterizzato da una struttura che venne richiamata anche dall’opera successiva: una prima parte comprendeva una biografia verosimile dell’imperatore romano, ed era seguita da una seconda parte contenente numerose lettere apocrife del suo passato (tutte quante frutto dell’invenzione dell’autore), attraverso le quali Guevara esaltava le qualità morali dell’imperatore romano: la grandezza d’animo, il senso di giustizia e di clemenza, il continuo pensiero al benessere dello stato, l’amore per gli studi.

 

L’interpretazione del personaggio da parte del chierico spagnolo fa sì che egli lo rappresenti attraverso una serie di passaggi retorici fittizi e sentenze, tutte quante ricche di contenuti morali, così come morale è il proposito di esemplarità che sta dietro la costruzione dell’opera: a partire da alcune informazioni tratte dalla Storia Augusta, Guevara immagina la vita dell’imperatore in quanto uomo, marito e padre di famiglia. Questo tipo di lettura, dunque, vede il nostro sotto un duplice aspetto: da un lato, il monarca esemplare; dall’altro, l’uomo che vive la vita di famiglia con affetti e sentimenti concreti.

 

La verità umana del personaggio non fa altro che avvicinarlo al lettore, determinando così il successo dell’opera e aprendo le porte a quello che sarà il romanzo. Tuttavia, vi è chi, come Bayle, ha visto in Guevara un falsario ed ha letto nell’opera uno scempio ai danni della metodologia storica. Si deve considerare, tuttavia, che lo scopo di Guevara non era certamente quello di realizzare un’opera storica, e ciò risulta ammissibile anche per il fatto che la sua epoca peccava di fonti, ragion per cui non era ancora stato elaborato un metodo storiografico vero e proprio; l’epoca in cui visse Bayle godeva, invece, di una più ampia sistematicità nell’ambito degli studi.

 

È preferibile, perciò, la lettura effettuata dallo storico contemporaneo C. Ginzburg: egli, infatti, riconosce che il chierico spagnolo aveva mescolato storia e immaginazione, e ciò preclude necessariamente l’intento di ricerca di una verità storica, ma lascia ampio spazio al fatto che il vescovo spagnolo intendesse far credere al suo pubblico che i suoi documenti erano reali.

 

Nel prologo dell’opera Guevara aveva dichiarato apertamente il suo intento di ricomporre una verità storica, in quanto, a suo dire, nella città di Valencia non era presente alcuno scritto di Marco Aurelio e, perciò, il chierico spagnolo si propose di diffondere quella dottrina moralmente preziosa presentando le testimonianze della sua eccellenza. L’ambizione di Guevara sembrava voler andare oltre la pochezza di informazioni riportate dai contemporanei dell’imperatore; inoltre, sembrava voler comporre un trattato su come deve essere un imperatore senza la vanità o la presunzione di chi, prima di lui, aveva già eseguito un simile lavoro. Tutti questi dettagli non fanno che giustificare l’inevitabile legittimazione di storicità che l’autore avrebbe dovuto guadagnare attraverso la sua opera per risultare credibile.

 

La finalità “educativa” di Guevara si cela sotto le vesti del personaggio di Marco Aurelio, utile al suo autore per criticare aspramente gli orrori della conquista spagnola da parte di Carlo V. Questa possibile lettura può essere legata al fatto che Marco incarnasse il corretto esempio dell’uomo in grado di dominare le proprie passioni, poiché l’intento dell’autore è quello di delineare il corretto modo di vivere. Il Marco Aurelio di Guevara, però, non corrisponde esattamente a quello rivelatosi nei Pensieri: l’autore, ovviamente, non conosceva tutti gli scritti di Marco ma (a giudicare dalla struttura delle lettere da lui impostate) poteva essere venuto a conoscenza di parte della corrispondenza tra l’imperatore ed il suo maestro Frontone. Nonostante ciò, Guevara esaspera alcuni aspetti di Marco, rendendolo autore di numerose lettere d’amore, di riflessioni sulla passione amorosa e sul dolore.

 

Il Libro Aureo diverrà caro al suo autore anche per via dell’apprezzamento interno della società aristocratica (sin dalla prima edizione pubblicata a Siviglia nel 1528) tanto che, come si è detto, l’imperatore romano comparirà anche nelle opere successive. Le edizioni spagnole del testo furono pubblicate anche a Roma e a Venezia tra il 1531 ed il 1532, e la stampa del Libro Aureo nel 1600 era ormai seconda solo alla Bibbia: contava, infatti, più di trenta edizioni spagnole e varie traduzioni, tra le quali apparve anche quella italiana nel 1542, spinta anche dal crescente interesse nei confronti dell’autore, che nel 1536 si era presentato al fianco di Carlo V durante il suo trionfale ingresso a Roma.

 

Il Relox de principes, invece, si proponeva una finalità più elevata rispetto all’opera precedente, poiché lo scopo non era soltanto quello di trattare di un regno e di un monarca, ma anche di consigliare il sovrano attraverso lezioni insegnate dalla storia.

Questo nuovo testo fu concepito in modo da incorporare in gran parte i contenuti del Libro Aureo, arricchendoli con nuovo materiale: l’autore, infatti, dichiara di aver ricevuto da Firenze un manoscritto di Marco Aurelio e di averlo tradotto, ma gli studiosi sono concordi nell’affermare che si tratti di un’attestazione falsa con il solo scopo di suffragare maggiormente i contenuti dell’opera.

 

 Anche il prologo riprende in parte quello dell’opera precedente, ma allude con maggior evidenza all’intenzione di condurre Carlo V a comportarsi come un vero principe cristiano (va ricordato, infatti, che Guevara cerca di compiere una sintesi tra i precetti cristiani e lo stoicismo, dottrina che effettivamente si presta al collegamento attraverso l’insegnamento delle sue virtù). Inoltre, l’opera si proporrebbe anche di mostrare all’imperatore come deve reggere e governare; quest’ultimo intento, a mio parere, è meno riuscito da parte dell’autore, evidentemente poco esperto in politica.

 

Tuttavia, continua a proporre Marco Aurelio come un modello da imitare non per le sue credenze ma per i suoi atti virtuosi; inoltre, nonostante il testo si rivolga a Carlo V, il modello di Marco risulta tale da poter essere facilmente compatibile con un pubblico molto più vasto.

 

L’opera, pubblicata per la prima volta a Valladolid nel 1529, ottenne il medesimo rapido successo di quella precedente. Il contenuto è diviso in tre parti: la prima intende dimostrare che per essere un buon principe è necessario essere un buon cristiano; la seconda è finalizzata a indicare al sovrano il modo con cui deve comportarsi nei confronti della moglie e dei figli; la terza espone come il sovrano deve governare. Secondo A. Redondo, questa tripartizione sarebbe un’esponente di tutta la tradizione di questo genere di scritti in cui un autore si propone anche di esprimere la propria morale politica: nel caso di specie, per Guevara la società era organizzata e gerarchizzata secondo un ordine stabilito da Dio e di certo la sua ideologia non era confacente con quella del Marco Aurelio che oggi è conosciuto, il quale si proclamava cittadino del mondo.

 

In sostanza, la vita di Marco costituisce un vero e proprio exemplum sul quale l’imperatore Carlo V avrebbe dovuto ragionare, nella prospettiva di una visione temporale profondamente modificata dalla scoperta del Nuovo Mondo. Questo cambiamento ha ispirato la metafora della repubblica come orologio, che ha potenzialmente la possibilità di guardare a differenti domani.

 

I due capolavori di Guevara hanno reso popolare la figura di Marco Aurelio come personalità del principe ideale, come il miglior esempio di persecutore delle antiche virtù tra tutta l’ampia rosa di imperatori romani. La sua vita ed i suoi scritti – anche se frutto dell’invenzione di Guevara – forniscono al lettore elevati canoni di comportamento non solo per gli uomini al potere, ma per tutti gli uomini in generale. Si evidenziano, inoltre, i tratti peculiari del messaggio politico comunicato attraverso Marco Aurelio, in particolar modo in riferimento al primato della giustizia per il benessere dello stato, e alla preoccupazione del principe di verificare costantemente che la giustizia venga mantenuta.

 

La figura di Marco si definisce tutta su una dimensione politica e, soprattutto, morale, tanto da incarnare, per l’ambito imperiale, i concetti di regalità principesca e virtù personale che dovevano essere propri anche di Carlo V. Il Marco Aurelio da imitare, dunque, è sia filosofo sia principe potente. Egli è presentato come un personaggio che narra di sé in senso autobiografico per mezzo delle numerose lettere che gli sono attribuite; il lettore è perciò coinvolto in una narrazione per la maggior parte scritta in prima persona, in cui spesso si aprono flashback sulle esperienze giovanili dell’imperatore, si sviluppano ragionamenti, si esaltano gli studi.

 

Tutto il fittizio percorso intellettuale di Marco sembra essere segnato da un’intima maturazione del personaggio, che non si presenta come un sapiente risoluto, ma che matura la sua conoscenza nel corso di ragionamenti ampiamente sviluppati nelle sue epistole ad amici, parenti e maestri. Si tratta di un Marco Aurelio fortemente razionale, che estrapola cautamente la conoscenza analizzando nel profondo le esperienze positive e quelle negative, per insegnare a se stesso da dove provengono il bene e il male. Nel confronto con i suoi interlocutori, Marco diventa progressivamente maestro, si misura con essi adducendo le proprie argomentazioni con metodo e suffragandole attraverso le proprie esperienze.

 

Si evince il profilo di un imperatore saggio che vuole circondarsi di persone sagge, di un uomo privo di paure soprattutto nei confronti della morte, di un maestro pronto a confrontarsi con i suoi maestri. Attraverso la sapienza il principe prende coscienza di se stesso, e da ciò scaturisce la prudenza, virtù che conduce alla beatitudine e rende l’uomo nobile: la filosofia genera la sapienza, e da quest’ultima viene la felicità, ragione per la quale ognuno dovrebbe aspirare ad essere come Marco.

 

La medesima considerazione positiva di Guevara su Marco Aurelio aveva già preso corpo nell’importante trattato machiavelliano, di poco precedente. Ne Il Principe (1513) Niccolò Machiavelli fece alcuni riferimenti al nostro esprimendo le sue valutazioni con un arguto pragmatismo assente in Guevara, e con una prospettiva distaccata rispetto all’idea di proporre un solo ed unico personaggio a modello. Nella sua esposizione, Machiavelli dedica il trattato per Lorenzo il Magnifico alla politica pura, nella quale ritiene di dover concentrare i principi e le massime che un governante dovrebbe tenere sempre presenti al fine di conquistare, mantenere e difendere il principato.

 

È evidente che a Machiavelli non potesse sfuggire l’esempio di alcuni imperatori romani, tra i quali non può che comparire Marco, per il suo particolare approccio verso la gestione del principato. Va chiarito, però, che la condotta dell’imperatore non corrispondeva, certamente, al modello auspicato da Machiavelli, il quale, tuttavia, riconobbe che in Marco il senso del dovere per il bene dello stato costituì la fortuna per il suo popolo. Il giudizio nei confronti dell’imperatore fu positivo riguardo al suo rapporto con l’esercito e con il popolo, ai quali non doveva nulla, poiché la sua scelta per una successione ereditaria avrebbe tenuto lontani sia eventuali disordini nell’esercito, sia potenziali sollevazioni popolari; Marco Aurelio, dunque, guadagnò la considerazione di buon principe proprio per questo motivo, in aggiunta al fatto che sacrificò il suo impegno solo per l’interesse verso lo stato.

 

Machiavelli, dunque, ha il merito di riconoscere anche in quale tipo di contesto operarono alcuni imperatori, e proprio attraverso di esso giustifica l’impossibilità per i successori di imitare Marco; tale aspetto fu trascurato da tutta la storiografia sino, appunto, a Machiavelli. Guevara, evidentemente, non ebbe modo di leggere l’opera del filosofo-politico fiorentino, oppure, preso dalla necessità di presentare Marco come il principe perfetto, non si curò di tale particolare.

 

Nonostante Guevara non possedesse alcuna edizione dei Pensieri, egli riuscì a cogliere alcuni aspetti importanti e caratteristici della personalità di Marco, e forse ad interpretare anche i suoi desideri. Certamente, l’imperatore presentato dal vescovo spagnolo non corrisponde a quello reale, spesso risentito dai contrasti tra la dottrina stoica e la posizione di potere che non amava, ma che era in suo dovere condurre.

 

La medesima presentazione del personaggio è percettibile anche in un’altra opera attribuita a Guevara, ma di cui non si conosce molto. Si tratta di un testo di cui venne pubblicata un’edizione italiana nel 1549, ampliata rispetto ad una precedente edizione spagnola, questa volta redatta con un taglio maggiormente biografico; lo stile e l’immagine che vengono presentati del nostro, tuttavia, non cambiano la versione condivisa dalle due opere più famose.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bayle P., Dictionnaire historique et critique, Rotterdam 1720 (voce Guevara – Antonio de)

Ferrari M. – Navoni M., Nuove ricerche su codici in scrittura latina dell’Ambrosiana. Atti del Convegno, Milano 6-7 ottobre 2005, Milano 2007, 299

Firpo L., Il Principe di Niccolò Machiavelli, Torino 1972

Ginzburg C., Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, Milano 1998

Guevara A., Libro Aureo de Marco Aurelio emperador: segunda vez en este reyno de Valencia imprimido con nuevas y maravillosas adiciones, recido y mejorado, Valencia 1532

Guevara A., Libro Aureo di Marco Aurelio imperatore, ed. it. Roma 1542

Guevara A., Libro di Marco Aurelio con l’horologio de’ principi, ed. it. Venetia 1581 Monti E., Marc’Aurelio imperatore del dovere, Milano 1988

Guevara A., Vita, gesti, costumi, discorsi, lettere di Marco Aurelio imperatore, sapientissimo filosofo e oratore eloquentissimo: con l’aggiunta di molte cose che nello Spagnuolo non erano, e delle cose Spagnuole che mancano nella tradottione Italiana, ed. it. Venetia 1549

Lino P. – Canedo G., Las obras de Fray Antonio de Guevara, «Archivio Ibero-Americano» VI, 22-23, 1946, 449

Mezzatesta M. P., Marcus Aurelius, Fray Antonio de Guevara, and the ideal of the perfect prince in the Sixteenth Century, «The Art Bulletin», LXVI, 1984, 620 - 633

Redondo A., Antonio de Guevara et l’Espagne de son temps. De la carrière officielle aux ouvres politico-morales, Genève 1976



 

 

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