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N. 82 - Ottobre 2014 (CXIII)

Angels of revolution

IL Marc'Aurelio del Futuro ad Aleksej Fedorchenko
di Leila Tavi

 

Ambientato nel 1934 nel nord dell'Unione Sovietica, il film di Fedorčenko narra la rivolta delle minoranze etniche indigene dei Nenet (o Samoiedi) e degli Ostiachi, che guidate dai loro sciamani, si opposero alla diffusione della cultura e delle tradizioni russe nelle loro terre.

 

La storia è ispirata a fatti realmente accaduti, nonché a un precedente film russo del 2008 dal titolo Сага о Хантах (The Khanty Saga), che è tratto, a sua volta, dal romanzo del 2002 Божья матерь в кровавых снегах (Our Lady in the blood-splattered snow) dello scrittore d’origine ostiaca Yeremey Aypin.

 

Nel film di Federčenko cinque giovani intellettuali e artisti uomini, appartenenti all’elite sovietica e capeggiati dall’indomabile e aristocratica Polina Schneider, eroina della Rivoluzione d’Ottobre e fervente credente comunista, si recano nella foresta vergine che si sviluppa attorno al fiume siberiano Ob per fondare un centro culturale russo-sovietico nella cittadina di Kazym, dall’omonimo affluente dell’Ob, che scorre nella parte nordoccidentale del Bassopiano Siberiano Occidentale.

 

Il nome del villaggio è tristemente noto nella storia russa per la rivolta del 1931-1934, la Казымское восстание, che fu una reazione violenta alla collettivizzazione e alla sovietizzazione di massa, che a Kazym era rappresentata dal centro culturale e dalle attività di propaganda del regime ostile alle pratiche animistiche dei due popoli.

 

Il regista russo, considerato dalla critica come «fantantropologo», in Angely Revolucij (Angels of Revolution) interpreta tale ribellione come il fallito tentativo nell’URSS degli anni Trenta del secolo XX di riconciliare le due anime culturali russe: quella ancestrale del paganesimo e quella utopistica, legata alle correnti artistiche sviluppatesi in Unione Sovietica negli anni successivi alla rivoluzione del 1917.

 

L’occasione per la spedizione del gruppo di intellettuali sovietici è rappresentata dai festeggiamenti del diciassettesimo anno dalla rivoluzione, il progetto di edificazione nella taiga sulle sponde del fiume Amnja, a sua volta affluente del Kazym, prevedeva la costruzione di un centro culturale, di una scuola, di un ospedale, di un ambulatorio veterinario e un museo

 

Nel film, oltre alla costruzione del centro culturale, gli esploratori agit-prop intendono regalare ai nativi un giro in mongolfiera, per dimostrare loro che il cielo è libero da divinità e rappresenta uno spazio da conquistare, per costruire un anello urbano intorno alla Terra.

 

La sfida al cielo è espressione di teomachia, di fiducia nel progresso e quindi nell’evoluzione delle società irrazionali, che utopicamente il sostrato culturale della rivoluzione voleva far evolvere in società perfette e areligiose. Tale evoluzione sarebbe dovuta avvenire attraverso la scienza, in grado di liberare storicamente, pacificamente e razionalmente dalla natura tali popoli ignari della bellezza e della giustezza del comunismo.

 

Il gruppo di intellettuali cerca il dialogo con lo sciamano del villaggio, immedesimandosi e cercando di comprendere i riti pagani della terra chiamata dai suoi abitanti «Terra del gomito felino», poiché rappresenta una delle tante incarnazioni di Kasum imi-, che nella lingua degli Ostiachi significa «donna Kazym», la dea venerata dagli Ostiachi del fiume Kazym, figlia di Numi Turum, la divinità maschile principale in lingua vogula, venerata dagli abitanti delle terre bagnate dal fiume Ob.

 

La dea Kasum imi-, dai Mansi (o Voguli) come Kasum nai ekva, si manifesta o in forma di sabbia o in forma di gatto, quasi sempre di colore nero; da questa ultima forma di materializzazione della divinità deriva la denominazione geografica di «Terra del gomito felino».

 

I cinque artisti metropolitani, ovvero un compositore, uno sculture, un regista di teatro, un architetto costruttivista e un regista cinematografico di grido, per ognuno dei quali Federčenko fa un piccolo excursus all’inizio del film, subiscono in un certo senso il fascino dell’irrazionalità dei riti pagani e ne interpretano le loro divinità in una sorta di catartica liberazione dal mito naturale, rimpiazzato dal mito utopico, con Paulina nei panni della dea Kasum imi- come perfetta sintesi della bellezza naturale e intellettuale.

 

Le antiche divinità impediscono però agli Ostiachi e ai Nenci della Foresta qualsiasi forma di contatto con i Russi, di conseguenza il tentativo dei giovani intellettuali di insegnare la lingua russa ai bambini è considerato un affronto alle divinità che va punito con la morte.

 

In realtà la scolarizzazione fu forzata in tutta la regione e ai bambini fu impedito di esprimersi nella loro lingua madre, mentre nei villaggi fu vietato professare le religioni animiste; l’intera operazione culturale aveva come scopo ultimo collettivizzare i nativi e trasformarli in comunità facilmente manipolabili e asservite.

 

Nel film vediamo come gli intellettuali portino specchi e una macchina da cucire per far familiarizzare gli abitanti del luogo con la loro immagine e con il progresso; dopo l’esecuzione capitale degli intellettuali gli specchi sono utilizzati come strumento per amplificare i misteri della foresta, perfettamente integrati nell’ambiente naturale e la macchina da cucire diventa un mero elemento ornamentale davanti a una tenda.

 

La conciliazione pacifica delle due anime russe fallisce, così l’Armata rossa arriva a Kazym per massacrare i ribelli, i cui gli sciamani sono additati come kulaki e nemici della rivoluzione, perché ancora fedeli al bieco clientelismo in voga ai tempi degli zar, quando i capi spirituali dei villaggi ai confini dell’impero godevano di vantaggi e privilegi concessi dal sovrano in cambio di fedeltà alla corona.

 

Il sacrificio dei sei russi arrivati pacificamente a Kazym, rappresenta per i nativi un rito religioso, il pory, inferto come naturale conseguenza per i sei di aver infranto la regola che imponeva il divieto per qualsiasi donna di mettere piede sull’isola sacra nel mezzo del lago Num-to.

 

Secondo fonti ufficiali, il sacrificio umano non era diffuso tra le minoranze etniche dei fiumi Ob e Kazym neanche nei secoli precedenti, mentre lo era quello di animali domestici, in particolar modo delle renne e dei cavalli, utilizzati per il traino.

 

Tale rito sacrificale fu largamente diffuso durante la colonizzazione sovietica come segno di ostilità nei confronti degli indesiderati ospiti; i repentini e violenti cambiamenti economici e sociali imposti dai Sovietici ai nativi non fecero altro che intensificare tali pratiche sacrificali, tanto che nelle aree comprese tra i fiumi Kazym e Sosva furono organizzati negli anni precedenti alla ribellione del 1934 centinaia di animali furono uccisi.

 

In tal senso il sacrificio religioso può essere interpretato come una risposta politica a un problema estremo di sopravvivenza di un popolo ancestrale e delle sue tradizioni, espresso in modo provocatorio nei confronti di una società, quella russa, che attraverso l’ideologia sovietica, cercava di evitare di affrontare la questione religiosa a priori.



 

 

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