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N. 46 - Ottobre 2011 (LXXVII)

Una piccola, grande storia di mare
sull'oceano a bordo della Mac Diarmid

di Roberto Polleri

 

La “Mac Diarmid” era un brigantino a palo, dotato di tre alberi con scafo in acciaio, per ben 1.622 tonnellate di stazza. Viene varata il 16 ottobre 1883 dal cantiere dell'Armatore Mac Millan di Dumbarton in Scozia il quale dopo tre anni di navigazione la rivende all'Armatore Michele Amoroso, italiano, che ne affidava il comando al Capitano Cremonini.


Tra i suoi viaggi, nel 1886 la nave veniva registrata a San Francisco (USA) con carico di grano per Queenstown, in Australia. Alla morte dell'armatore Amoroso, gli eredi vendettero il bastimento a George Karran di Castletown (Isola di Man). Nel 1907, il bastimento era partito da Newcastle (Australia) per il Cile, dove incappava in una violenta tempesta che lo disalberava. La nave raggiungeva fortunosamente Auckland in Nuova Zelanda, dove rimaneva abbandonata per due anni finché l'Armatore Capitano Giuseppe Mortola di Camogli, detto "Sanrocchin", probabilmente per la sua origine dalla frazione di San Rocco della cittadina ligure, il quale intuiva che l’acquisto della nave poteva essere un buon affare e diveniva quindi proprietario della “Mac Diarmid” per la cifra di circa 2.400 sterline inglesi, pari a circa 56.000 lire, al cambio del 1909 che indicativamente potrebbero essere attuali 200.000 euro.

 

Il Capitano Giuseppe Mortola era il maggior armatore italiano di navi a vela di tutti i tempi: era proprietario di venticinque grandi navi e di una trentina di vascelli minori oltre alle quote in altre società di navigazione ed alle numerose carature possedute nei vascelli di diverse famiglie di armatori di Camogli. Acquistato il Mac Diarmid, il "Sanrocchin" lo faceva riarmare e dal 1910 il bastimento riprendeva a navigare ancora proficuamente. Nel 1914 partiva da Marsiglia per Rio de Janeiro in Brasile, con carico generale.


Da li, proseguiva in zavorra, ovvero riempiendo le stive di acqua di mare per stabilizzare la navigazione, in direzione Newcastle (Australia) dove caricava per il Cile da dove proseguiva poi per le Isole del Guano, quali Lobos de Afuera dove caricava il guano, ovvero escrementi di uccelli marini, utilizzato in Europa sia come potente fertilizzante sia come base da cui estrarre il salnitro, elemento necessario alla creazione di polvere da sparo.


La Mac Diarmid sopravvive alla Grande Guerra, al termine della quale fu venduto alla famiglia Dufour di Genova i quali lo utilizzeranno esclusivamente per trasportare sale di Cadice ai saladeros argentini ritornando a Genova con estratto di “quebracho”, una sostanza ricca di tannino utile per la concia delle pelli.


La carriera della nave si conclude nel 1926 a Genova, dove viene disarmato e rimane al molo Duca degli Abruzzi sino al 5 dicembre 1928 quando viene rimorchiato a Savona per essere demolito.


E' uno dei rari casi in cui una nave, nonostante il passaggio a diversi proprietari, non ha mai cambiato il suo nome nei 45 anni di vita e di navigazione.


Il viaggio


La nave lascia il porto di Genova diretta verso l’Uruguay il 23 luglio, già in assenza di vento, con rotta verso ovest per lo stretto di Gibilterra. Dopo circa un mese di navigazione, il bastimento arriva in dirittura delle isole di Madera, Comore e Capoverde, al largo della costa africana all’altezza del Segenal, senza problemi di sorta. E’ il 14 agosto. Da quel giorno in poi, per circa un mese la nave si trova in balia del vento e della pioggia, ci vorrà un altro mese per superare la linea equatoriale, quando la fatica e le avversità iniziano a provare l’intero equipaggio. Eppure il peggio deve ancora arrivare: a fine settembre, il 27 per l’esattezza la nave si trova al largo del golfo della Giunea, zona a forte rischio per la presenza di pirati, dove il bastimento deve navigare a sufficiente distanza dalla costa per scongiurare attacchi.

 

L’evento più importante di tutto il viaggio è il temporale del 30 settembre. Mare e vento spezzano gli alberi principali e danneggiano seriamente la “Mac Diarmid”. Due mesi di mare e danni all’apparenza tali da far presagire un imminente naufragio. Nonostante i danni, gli uomini stremati e la scarsezza di cibo ed acqua, la nave prosegue la sua rotta verso il Brasile, che in data 8 ottobre è a circa 100 miglia di distanza. Anche qui, però una nuova tempesta sembra dare il colpo di grazia al brigantino. Nuovi danni allo scafo ed al morale degli uomini che vedono ormai vicina la fine. Ottanta giorni in mezzo al mare ed il porto che appare lontano ed irraggiungibile. Nonostante tutto si procede tra i flutti, e si arriva così al 23 ottobre, all’alba del terzo mese trascorso a bordo, quando di nuovo la violenza del mare e del vento segnano profondamente la nave. Una parte della coperta viene sradicata dalla forza della natura. Mancano ormai solo 700 miglia da Montevideo, destinazione dell’imbarcazione.

 

In tre giorni di vento buono e di mare calmo si potrebbe giungere in porto, ma con la nave così provata dalle intemperie anche il minimo spostamento diventa una fatica enorme per lei e per chi la conduce. Adesso si sta toccando davvero il fondo. A bordo manca tutto, cibo, acqua ma soprattutto la speranza di vedere ancora terra. Per fortuna il vento cambia, i danni sono rattoppati alla meglio con ciò che si ha a bordo e la nave fa rotta verso l’Uruguay.

 

è l’alba del 3 novembre quando l’urlo liberatorio “Terra! Terra!” risuona sulla tolda e riaccende gli animi dei marinai. Alle 14.00 del 4 novembre 1924, dopo 105 giorni di navigazione, la “Mac Diarmid” tocca il molo di Montevideo. L’equipaggio è interamente salvo anche se decisamente prostrato dall’incredibile viaggio. Eppure, la forza d’animo dei marinai e la forza quasi magica sprigionata dalla “misteriosa Mac Diarmid”, come la definirà Rinaldo, che nonostante le avversità riesce comunque a raggiungere la propria destinazione. A terra, le maestranze si stupiscono dell’arrivo del bastimento che davano per naufragato nell’oceano per il così lungo tempo trascorso dalla partenza.


L’autore della lettera


Rinaldo Pistarino era nato a Voltri il 23 agosto 1905. Aveva solo quindici anni quando scappa da casa con un piccolo fagottino sulle spalle diretto verso il porto di Genova pronto per imbarcarsi e assecondare la sua grande passione per il mare e la navigazione. Giunto su uno dei moli, viene riconosciuto da un amico di famiglia che ne intuisce la fuga e, prendendolo letteralmente per il colletto lo carica a forza su una delle carrozze dirette verso il ponente genovese, affidandolo al cocchiere e pregando quest’ultimo di tenerlo d’occhio fino all’arrivo nella sua abitazione dove poi di persona si sarebbe sincerato del suo rientro. Il primo tentativo di diventare marinaio finiva così un po’ miseramente...

 

Eppure, era solo questione di tempo. La sua voglia di partire lo avrebbe condotto in mare aperto a vivere tutto ciò che abbiamo letto nelle sue parole. La sua passione per il mare terminerà solo quando l’incontro con la sua futura moglie lo porterà a decidere di trovare un lavoro sulla terraferma. Il “buon marinaio” è morto a Voltri il 24 maggio 1989.

La lettera

Montevideo, 18 dicembre 1924.

Carissimo Fratello,


vuoi tu dunque conoscere le avventure mie e di questo lungo viaggio? Ebbene, il tuo desiderio in certo qual modo sarà esaudito, ne avrei da raccontarti e forse più che sufficiente sono i particolari, per poter compilare un vero romanzo di avventure e a te farà molto piacere leggere questa mia, dato che sei sempre stato un po’ amante delle avventure più strane e più soddisfazione proverai pensando che chi scrive è tuo fratello, tuo fratello che ha intrapreso un viaggio non privo di emozioni,ma che ora tutto è tornato alla tranquillità.


Immagina si parte dal cantiere il mattino del 23 luglio con poco vento, alla sera siamo già in bonaccia completa e di questa ne abbiamo per tre giorni, siamo sempre in vista della costa spagnola, ma ecco che al quarto giorno una leggera brezza da nord ovest ci fa filare verso questa immensa pianura senza fine e piena di misteri e dopo qualche giorno di questo buon vento si entra, per così dire, nella zona della brezza costante (vento che scende da nord est) questo vento è buonissimo per noi, dato che è in poppa e dovrebbe accompagnarci quasi all’Equatore, per poi prendere l’altra brezza da sud est e quest’ultima dovrebbe accompagnarci sino all’altra parte per poi navigare alla ventura e con venti diversi fino alla meta, ma ecco, che come invece sentirai, tutto il previsto è andato a vuoto.


Entrati che siamo nella prima brezza cioè quella da nord est che ci fa filare e delizioso è il navigare con si buon vento e così si arriva al 17 agosto, durante questo frattempo siamo passati al largo di qualche isola.


Il 6 agosto l’isola di Madera, l’11 agosto le Comore, il 14 l’isola di Capoverde che si trova al 13° di latitudine a nord, tutte però invisibili ad occhio nudo.


Ed eccoci al 17 agosto, dopo aver navigato per circa un mese senza incidenti di sorta, si comincia e potrei paragonare che da oggi non si naviga più come cristiani ma da vere bestie.


Eccoci al primo temporale, vento forte da prua, pioggia e mare grosso, si tenta di bordeggiare ma il tempaccio non ci permette, ora devo spiegarti in gergo marinaresco certe manovre, non potendo altrimenti ci mettiamo alla trinca dopo che la furia del vento ci asportò qualche vela dopo vari giorni il vento si rinforza e pare che dica voglio vincere io, infatti qualche altro disastro succede.


Questo ventaccio dopo aver soffiato a volontà ci regala un po’ di calma, ma ci rimane ancora i colpi di mare i quali non ci assicurano di stare in coperta, sempre piove, siamo al 14 settembre, ossia da 52 giorni che siamo in mare e da 27 che siamo sotto una pioggia continua e che non si vede il sole. La notte dal 14 al 15 settembre altro vento forte di prua e di questo ne abbiamo per qualche giorno ancora e ti confesso che noi tutti siamo quasi esausti, forse già troppo siamo stati provati da questi elementi, eppure non è ancora finita.


Finalmente eccoci al 18 settembre e abbiamo un po’ di calma. Ora ti spiego brevemente che cos’è questo ammassamento di vento furioso e continuo.


Il suo nome è Munson e proviene dall’Oceano Indiano attraversa l’Africa Equatoriale e con impeto di forza si butta nell’Atlantico tra il 13° di latitudine nord e l’Equatore e si perde poi credo nella Cordigliera delle Ande, la sua durata in generale è di sei mesi fra i quali ha 53 giorni e 16 ore di maggior violenza, e questo massimo si sente in detta posizione dal 10 di agosto al 20 ottobre circa.


Ora siamo al 15 settembre, si sta tirando un lungo bordeggio con prua verso la costa africana, oggi stesso si taglia l’Equatore, ossia si lascia l’emisfero nord per inoltrarsi all’emisfero sud onde ci attendono altri disastri.


Il caldo si fa sentire ed è insopportabile da 45 a 50 gradi ma grazie ai continui piovaschi, che sono per noi un vero sollievo, del Munson più nessuna traccia, ormai abbiamo oltrepassato la sua zona devastatrice e siamo nella continua bonaccia equatoriale.
Al 27 settembre siamo vicini al Golfo della Guinea, con calma di vento e corrente forte che ci spinge sempre più nel golfo, questo è un po’ pericoloso dato che è frequentato da piroghe di indigeni della Guinea i quali assaltano depredandoli i bastimenti che per disgrazia trovansi in questi paraggi, ma grazie a un po’ di brezza la quale ci da modo di allargarci alquanto da questo brutto posto.


Il 28 settembre, un po’ di vento buono ci fa guadagnare cammino, ma eccoci al 30 altra giornataccia, alle 4 pare si navighi con il vento in poppa, questo in un batter d’occhio cambia e di poppa si gira e si ferma di prua, tutto questo succede senza che nessuno se ne avveda, così che le vele invece di essere gonfie alla buona, ossia come si vorrebbe dire in gergo marinaresco, si rigonfiano al rovescio, in modo che i due alberi delle vele quadre, trinchetto e maestra, oscillano e si teme da un momento all’altro abbiano a cascare in mare,intanto si sentono scricchiolii di cavi che si spezzano, griglie del sartiame che come la grandine cadono in coperta, vele che si strappano completamente e se ne vanno con il vento, ma nemmeno qui ci diamo per vinti, non è ancora trascorso un minuto dall’ira di tutto ciò, che si sente una voce gridare con tutta la forza, coraggio e sangue freddo, è la voce del comandante che grida dando gli ordini più opportuni, lascio a te immaginare il momento che si sta passando, sembriamo matti furiosi, ma ognuno ha il suo compito, il suo dovere da compiere e con sangue freddo riusciamo per vero miracolo ad evitare una vera catastrofe, bastavano pochi minuti e poi addio Mac Diarmid e i suoi uomini, nota che tutto questo è successo in pochi minuti.


Questo temporale del 30 settembre era infortunale e come abbiamo appreso al nostro arrivo a Montevideo perì con il suo equipaggio una nave tedesca proveniente dall’Europa e diretta come noi a Montevideo e un piroscafo inglese, tutti e due naufragarono proprio il 30 settembre.


All’indomani il vento cessa e si ritorna alla bonaccia, dopo nuovamente vento e si rifà cammino, tanto che il 7 ottobre siamo già vicini alla costa del Brasile, il giorno 8 siamo a 100 miglia e qua subito di gira di bordo e nuovamente al largo.


Eccoci alla notte fra 8 e 9 ottobre una altro disastro che merita di essere spiegato a parte.
Il suo nome è Pampero, la sua origine credo nasca dal Messico, poi con velocità e forza incalcolabile scende verso l’America Meridionale seguendo la Cordigliera delle Ande, fino alla Terra del Fuoco, ossia al Capo Diurno, colà le montagne fanno specie di gomito in modo che questo vento è obbligato a buttarsi in Atlantico e ritorna indietro per via mare, con una forza tale che ora sentirai.


Dunque siamo alla notte tra 8 e 9 ottobre, il vento soffia tanto forte e con una potenza tale che buona parte delle vele viene asportata, i colpi di mare devastano tutto ciò che trovano in coperta, dopo qualche giorno vento e mare prendono forza con un aspetto tale che non sappiamo proprio a che Santo votarci per raccomandarci, sono circa 80 giorni che siamo in mare, si avrebbe bisogno di un po’ di riposo, il giorno dell’arrivo è ancora lontano, anzi per dirti il vero e per dirti tutto ora aspettiamo con rassegnazione da un momento all’altro il fatale momento.


La nave sembra non abbia più la forza di resistere, è un vero disastro perché prima il velaccio poi trinchetto e parrocchetto, dell’albero di trinchetto, velaccio gabbia e maestra dell’albero maestro tutto è stato asportato dal vento, non contento di questo, la forza del mare e del vento provocano la rottura di due stralli, cavi d’acciaio abbastanza grossi e un paterazzo della grossezza del braccio di un uomo, per questo l’albero maestro minaccia di cascare, ma grazie ad un tentativo ancora si riesce provvisoriamente a riparare.


Il 16 ottobre abbiamo un po’ di calma, e così via fino al 22, in questo giorno ecco un’altra volta il Pampero e con altra violenza che ci mette in serio pericolo, specie per certe manovre che dobbiamo fare in coperta vere montagne d’acqua si rovesciano in coperta, con una violenza tale che si vede la fine.


All’alba del 23 un’ondata più potente stacca dalla salda imperniatura circa 10 metri di bordo al lato sinistro della prora, non ci batte pure contro il boccaporto di maestra arrecando altri danni, siamo a circa 700 miglia da Montevideo ci basterebbero tre giorni di vento buono per coprire questa distanza ed essere a salvamento ma invece no, l’infuriare del vento e del mare non ci permettono nemmeno di stare alla trinca, così che si è obbligati ad appoggiare e perdere il cammino, che sudore di sangue ci costò e così in questa corsa vertiginosa, pensa con una vela sola si passano le 18 miglia all’ora e si va verso il Capo di Buona Speranza, la punta estrema dell’Africa, qua abbiamo un altro disastro, il pennone gabbia spezza i cavi di sostegno e pericola di cascarci in coperta ma anche qui si riesce a riparare, siamo al 25 ottobre, il vento sembra concederci un po’ di calma, ma Dio mio quale disastro si presenta.


I viveri cominciano a scarseggiare, quindi mano alla cinghia, ogni giorno stringo sempre di più e l’indizio di buon vento e dell’arrivo non si presenta. Gli scarafaggi diventano il nostro cibo. Ormai ogni speranza è per noi perduta, da 100 giorni siamo tra cielo ed acqua.


Eccoci al 29 ottobre, abbiamo un po’ di vento a favore, questo si rinfresca sempre più se continuasse così ora si fila verso quella terra che porta il nome di America.


Ecco il buon vento salvatore continua anche oggi.


Siamo al 1 novembre a 500 miglia da Montevideo, all’alba del 3 vediamo in lontananza terra e tutti a una voce si grida Terra! Terra! Non ci speravamo proprio più, seppur sfiniti e malconci la speranza si riaccende in ognuno di noi.


Verso sera siamo in vista dell’Isola Flores, all’alba del 4 avvistiamo l’Isola dei Lovi e alle 2 pomeridiane si giunge nella rada di Montevideo finalmente!
La nave, dico io, misteriosa Mac Diarmid.


Appena arrivati è venuto un rimorchiatore portandoci viveri e notizie, infatti ci siamo sentiti dire che ormai non ci aspettavano più e che una S. Messa era stata celebrata in nostro suffragio, tanto più che qualche giorno prima una nave tedesca completamente disalberata causa una forte pamperada. Sul giornale (La Stampa) venne pubblicato un articolo sul temporale che infierì da queste parti e venne pure segnalata la perdita di qualche veliero.


Anche i nostri cari ormai non avevano più speranze di poterci rivedere, così appena giunti a Montevideo il nostro capitano ha mandato subito un telegramma alla compagnia e questa tempestivamente avvisò le nostre famiglie tranquillizzandole.
Potevamo proprio dire di essere stati fortunati.


E qui finisce il mio racconto che ormai non è che un ricordo.
(Mai paura buon marinaio)


Rinaldo



 

 

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