.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

.

antica


N. 85 - Gennaio 2015 (CXVI)

LEGIONE CONTRO FALANGE
MACCHINE DA GUERRA A CONFRONTO

di Massimo Manzo

 

Sono state le armate più temute del mondo antico, tanto da seminare il terrore ogni volta che apparivano all’orizzonte. Avvolte da un mitico alone di invincibilità, per secoli la falange macedone e la legione romana hanno dominato la storia militare, rivoluzionando la dimensione tattica e strategica della guerra nell’antichità. Ma quali furono i segreti che permisero alla loro fama di sopravvivere ancora oggi? Per comprendere il successo di queste micidiali macchine belliche occorre ripercorrere le tappe che hanno portato alla loro creazione, scandite da brillanti intuizioni, incredibili vittorie, ma anche da marce indietro e cocenti disfatte.

 

Dall’oplita classico al falangita macedone. La nascita della falange macedone è legata al genio militare del sovrano Filippo II, che grazie a essa riuscì a trasformare la Macedonia da piccolo regno semibarbaro a vera e propria superpotenza militare, al punto da sottomettere in soli vent’anni la galassia delle poleis greche, dosando sapientemente forza bruta e finezza diplomatica. L’opera di Filippo fu poi perfezionata dal figlio Alessandro, il quale la portò agli estremi confini del mondo, facendone la spina dorsale delle sue immense conquiste asiatiche.

 

Diretto antenato dell’invenzione del macedone è il modello di combattimento in uso presso le città – stato greche a partire dall’VIII secolo a.C., basato sull’utilizzo della fanteria oplitica in formazione compatta. Armato di lancia e del pesante scudo rotondo (oplon), oltre che di una corta spada in caso di combattimento corpo a corpo, l’oplita indossa elmo, corazza e schinieri di bronzo. La forza degli eserciti delle poleis classiche non sta però nella furia combattiva del singolo, bensì nel coordinamento di tutti i fanti, i quali riescono, una volta serrati i ranghi (di solito per otto file di profondità) a impattare come un unico blocco il nemico frontalmente, scompaginandone le fila.

 

.

Bronzetto raffigurante oplita classica

 

Gli scontri tra eserciti greci durante il periodo classico dovevano curiosamente assomigliare alle moderne mischie nelle partite di rugby, in cui vince la squadra che “spinge di più”, spezzando la resistenza dell’avversario e riuscendo a rimanere coesa. «Imposta all’intero mondo mediterraneo dall’ineludibile confronto con la cultura greca, la falange successivamente si evolve; in modo diverso, tuttavia, in Occidente rispetto all’Oriente. I primi mutamenti apparvero, naturalmente, all’interno del mondo greco. Dal IV secolo in poi, infatti, l’Ellade fu costretta a confrontarsi con forme di guerra sempre nuove» conferma il professore di storia romana Giovanni Brizzi nel suo saggio Il Guerriero, l’Oplita, il Legionario – gli eserciti nel mondo classico (Il Mulino).

 

In effetti, una prima importante evoluzione della falange classica avviene proprio in nella prima metà del IV secolo a opera dei generali tebani Epaminonda e Pelopida, i quali, introducendo il cosiddetto “schieramento obliquo” e variando la profondità dei ranghi rinforzando enormemente l’ala sinistra, arrivano a sgominare persino il famigerato esercito spartano nella celebre battaglia di Leuttra (371 a.C.).

 

Incudine e martello. Prigioniero a Tebe quando era ancora un giovanissimo principe, Filippo parte dall’esempio dei generali tebani, che ha osservato in azione durante la cattività, per plasmare, una volta salito al trono di Macedonia, la sua personale macchina da guerra.

 

Per far ciò forma un esercito nazionale di specialisti che addestra intensamente per tutto l’anno (e non solo per alcuni mesi, come invece avveniva nelle armate cittadine greche). Dal punto di vista tattico, aumenta ancora di più la coesione dei ranghi, che infoltisce ulteriormente moltiplicando la profondità delle file e trasformando lo schieramento in un blocco invalicabile. A differenza degli opliti classici, però, i falangiti non si proteggono con pesanti armature (indossano solo un elmo e gli schinieri) né imbracciano l’ingombrante oplon, ma appoggiano sulla spalla uno scudo di appena 60 centimetri.

 

La loro arma principale è invece la sarissa, una micidiale lancia lunga intorno ai cinque metri (almeno il doppio di quella tradizionale), che impugnano a due mani. «È proprio l’uso di questo strumento che rivoluziona l’arte della guerra così come essa è stata concepita fino a ora: più che dal piccolo scudo rotondo, la miglior difesa è offerta, infatti, proprio dalla picca, il lungo braccio con cui il falangita tiene a distanza il nemico. Da arma di offesa l’asta del fante si muta così in incomparabile strumento difensivo: mentre le sarisse del centro e della retroguardia, levate in alto, valgono a ridurre di molto la forza d’impatto delle frecce e di giavellotti, quelle delle prime cinque file vengono proiettate in avanti, simili agli aculei di un istrice; e come gli aculei di un istrice, alzano, oltre il fronte stesso della falange, una barriera impenetrabile di punte, su cui sono destinati a infrangersi tutti gli attacchi» sottolinea Brizzi.

 

.

Uno dei quadrati della falange macedone

 

Tra i falangiti, chiamati anche pezeteri, esistono reparti speciali, come per esempio gli ipaspisti (portatori di scudo) armati come i vecchi opliti e schierati ai fianchi dalla falange con il compito di proteggerla da eventuali accerchiamenti. A completare l’esercito di Filippo, oltre ai peltasti, fanti leggeri e veloci incaricati di scagliare dardi e giavellotti contro i nemici, c’è poi la temutissima cavalleria, composta dagli hetairoi (o compagni del re, nobili macedoni divisi in otto squadroni da 300 uomini) e da abili cavalieri Peoni, Tessali e Traci.

 

Il perfetto coordinamento tra fanteria e cavalleria, perfezionato nelle campagne di Alessandro contro gli sterminati eserciti persiani, rende le armate macedoni praticamente imbattibili: «l’impiego della falange, nelle mani di Alessandro almeno, deve essere paragonato a quello di un’incudine piuttosto che di un martello; e proprio la resistenza incrollabile dei suoi massicci quadrati, capaci di spezzare l’impeto del nemico, permetterà ai cavalieri di sferrare il loro risolutivo colpo di maglio. Se le fanterie macedoni sapranno resistere alla pressione avversaria, a risolvere lo scontro saranno le forze d’élite: la cavalleria pesante degli hetairoi, al comando dello stesso sovrano, e quella leggera, dopo avere sgominato le forze montate del nemico poste di fronte a loro, ne distruggeranno senza fatica il centro, immobilizzato dal blocco monolitico della falange».

 

I folgoranti trionfi di Filippo a Cheronea (338 a.C.) e di Alessandro a Isso e Gaugamela (333 e 331 a.C.) danno presto prova dell’efficacia di tali schemi tattici, inaugurando nuova era della storia militare antica dominata dalla falange.

 

.

Lo schema tattico dell'incudine e del martello

 

La Roma delle origini. Al suo affacciarsi sulla scena della Storia, quando è ancora una piccola città – stato del centro Italia, Roma mutua in toto il modello militare greco, armando i suoi soldati alla stregua degli opliti classici. La prima riforma organica delle sue istituzioni militari si deve al re Servio Tullio (in carica dal 578 al 535 a.C.), che le organizzò legandole al nuovo ordinamento sociale da lui ideato, rigidamente strutturato in base al censo.

 

La popolazione fu così divisa in classi, a loro volta ripartite in centurie (ovvero unità di cento uomini). Ogni classe doveva fornire un certo numero di centurie, dunque di armati, alla res publica, contribuendo alla difesa dello stato. Il principio era semplice: i cittadini con maggiori disponibilità economiche, e quindi in grado di pagarsi l’armamento, formavano l’ossatura dell’esercito romano. La prima classe forniva infatti ben 80 centurie, la seconda, la terza e la quarta 20, la quinta 30, mentre il ricco ceto degli equites forniva 18 centurie di cavalieri.

 

La prima linea è formata da cittadini della prima classe, armati di lancia, spada, scudo rotondo e vestiti di pesanti armature, elmo e schinieri; i componenti della seconda sono forniti di un armamento quasi uguale, ma essendo sprovvisti di corazza hanno sostituito allo scudo rotondo uno scudo oblungo, che gli dà maggiore protezione (così come gli uomini della terza, che però fanno a meno anche degli schinieri); le ultime due classi hanno invece solo armi da lancio (giavellotti, fionde o semplicemente sassi).

 

È questa, in sintesi, la legione delle origini, per mezzo della quale gli agguerriti abitanti dell’Urbe cominciano la loro avventura espansionistica nella penisola italiana.

 

Il cammino della legione. Nonostante all’inizio la legione assomigli molto alla falange greca classica, nel corso del tempo essa si evolve in maniera totalmente opposta rispetto a quest’ultima, privilegiando una formazione di gran lunga più flessibile di quella oplitica. Si tratta di una scelta dettata dalle circostanze, che portano i Romani a scontrarsi con popolazioni che evitano di dar battaglia in campo aperto, attuando nei loro confronti insidiose azioni di guerriglia.

 

Ed è proprio per fronteggiare al meglio le fatali imboscate dei Sanniti, antico popolo stanziato tra il Molise, l’Abruzzo e la Campania, che la legione comincia a strutturarsi in manipoli, unità agili e rapide, in grado di combattere efficacemente anche in terreni impervi. La legione manipolare di cui ci parla lo storico Polibio nel III secolo a.C. si aggira intorno ai 4000 uomini, suddivisi a scaglioni in base all’esperienza e all’armamento. I più giovani sono i velites, usati come schermagliatori all’inizio della battaglia e armati alla leggera; seguono gli hastati, i principes e infine i triarii.

 

Rispetto ai tempi di Servio Tullio, ora l’armamento è cambiato: gli hastati e i principes, infatti, non usano più la lancia ma il pilum, un pesante giavellotto ideato in modo da non poter essere riutilizzato dal nemico una volta lanciato. Dopo aver scagliato i pila i legionari passano direttamente al corpo a corpo impugnando il gladium, una corta spada a doppio taglio di origine iberica, e proteggendosi con lo scutum dalla forma allungata, il quale ha ormai interamente sostituito lo scudo rotondo delle origini. I triarii, invece, agguerriti veterani chiamati a intervenire quando lo scontro sembra volgere al peggio, continuano ad avere la lancia e a schierarsi in formazione compatta.

«Articolata in profondità su tre linee successive – hastati, principes e triarii – la fanteria pesante legionaria è divisa in trenta manipoli, dieci per ogni scaglione. A loro volta, questi reparti sono disposti in quincunce, a scacchiera, così che le unità della prima fila siano separate l’un l’altra da uno spazio pari a quello occupato dal fronte dei manipoli stessi; mentre quelle degli scaglioni successivi si dispongono in corrispondenza dei varchi lasciati nelle linee che li precedono. La funzione degli hastati e dei principes è marcatamente offensiva, e un simile accorgimento permette loro di alternarsi in prima linea o a sostenersi a vicenda durante l’attacco, colmando i vuoti delle file che li precedono».

 

Se le loro cariche falliscono entrano in gioco i triarii in funzione difensiva, per permettere al resto dello schieramento di riorganizzarsi e ritornare all’attacco.

 

Le intuizioni scipioniche. Durante tutto il periodo repubblicano Roma sfida nemici di ogni tipo, affermandosi come la principale potenza del mondo mediterraneo. Ma è il confronto con Cartagine e con il genio di Annibale a segnare il vero punto di svolta politico e militare di questo processo egemonico.

 

A salvare l’Urbe dalla furia del condottiero punico è un giovane Scipione, passato non a caso alla Storia con il soprannome di “Africano”. È lui che rivoluziona l’approccio tattico tradizionale, proprio osservando le manovre con cui Annibale ha sgominato i Romani sul lago Trasimeno (217 a.C.) a Canne (215 a.C.). Le innovazioni scipioniche, oltre a potenziare l’addestramento della truppa e a migliorare la qualità dei comandanti, sfruttano al massimo la cavalleria, rendendola fondamentale in battaglia. Nondimeno, Scipione abbandonò l’ultimo residuo di formazione chiusa adottato dai triarii rendendoli, insieme ai principes, la chiave per avvolgere il nemico in una morsa mortale. «Scipione aveva compreso, come per la loro stessa natura, le legioni costituissero lo strumento più adatto a eseguire sul campo la manovra avvolgente, purché si insegnasse alla fanteria di linea romana che, al momento giusto, si poteva combinare il ripiegamento di uno dei loro scaglioni con l’avanzamento improvviso sui lati degli altri due, incolonnati e operanti non più per singoli reparti, ma per contingenti interi. Principes e triarii non erano più un’appendice della prima linea, ma erano organizzate come unità tattiche indipendenti, capaci di agire con tutte o una parte soltanto delle forze riunite», precisa ancora Brizzi nel suo saggio.

 

.

Legionari romani repubblicani (bassorilievo del II secolo a.C.)

 

Svanito il pericolo cartaginese le legioni romane non incontreranno mai più rivali all’altezza, ma al contrario continueranno per secoli a far leva sui loro punti di forza, come la mobilità, la ferrea disciplina dei soldati e l’utilizzo di avanzatissime macchine da guerra per vincere qualsiasi resistenza, pur subendo ulteriori cambiamenti per tutta l’epoca imperiale.

 

Legione vs falange, un confronto possibile? Per gli storici antichi e moderni è difficile non cedere alla tentazione di giudicare quale, tra falange macedone e legione romana, sia stata la macchina da guerra “superiore”. Anche se esse si scontrarono più volte dalla fine del III secolo a.C., a detta di molti un giudizio del genere ha poco senso, dato che si tratta di formazioni tattiche le quali conobbero evoluzioni (e involuzioni) continue, oltre a essersi sviluppate per esigenze diverse.

 

La prima volta che le legioni affrontarono in battaglia la falange, guidata dal re dell’Epiro Pirro, furono sconfitte, anche se inflissero al nemico tali perdite da fagli perdere la guerra. Ma in quel caso si trattava di una legione che ancora non aveva conosciuto le riforme scipioniche.

 

Al contrario, nelle battaglie di Cinoscefale (197 a.C.) e Pidna (168 a.C.), durante le guerre macedoniche, la legione prevalse facilmente sulla falange approfittando della propria mobilità, immensamente maggiore. In questi scontri, però, lo schieramento macedone non era più quello dei tempi d’oro di Filippo e Alessandro. La falange ellenistica aveva infatti compiuto una notevole marcia indietro dal punto di vista tattico, eliminando quasi totalmente il peso della cavalleria (che invece era fondamentale in precedenza), allungando in modo ancora più consistente la sarissa e moltiplicando eccessivamente la profondità delle file. Insomma, quel minimo di mobilità che Alessandro le aveva donato fu completamente dimenticato dai suoi successori. Già limitata per sua natura a combattere su terreni pianeggianti al fine di rimanere coesa, la falange dei regni ellenistici ha dunque perso la capacità di effettuare la manovra avvolgente e impatta i nemici solo frontalmente. Dall’altro lato, la flessibilità è il vero punto di forza della legione. Essa può combattere su qualunque terreno e adattarsi molto meglio alle imprevedibili circostanze di qualsiasi guerra.

 

Possiamo solo immaginare come sarebbe andata se fosse stato Alessandro a sfidarla, ma una cosa è certa: nessuna istituzione umana è eterna. E anche la legione conoscerà, dopo i secoli di gloria, la via del declino.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.