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N. 92 - Agosto 2015 (CXXIII)

RICORDANDO Le Corbusier, l’architetto che previde il futuro
parte I - dalla Grecia a Olivetti

di Enzo Bentivoglio

 

Il 27 agosto 1965 il mare della Costa Azzurra cullò per l’ultima volta l’architetto che aveva cercato di dare una risposta urbanistica e architettonica e di vivibilità per nuove città, come Parigi, Barcellona, Rio de Janeiro, Algeri, ecc. previste di milioni di abitanti e quindi percorse da un crescente incremento del traffico veicolare, attraverso affascinanti soluzioni delle quali gli esperti degli Stati Uniti, già dalla prima proposta, furono entusiasti.

 

 

L’architetto e l’artista che tutto “armonizzò” e “monumentalizzò”, con una sua regola, Le Modulor, di reciproche proporzioni, forme e organizzazione di funzioni, una villa prima e poco meno di venti anni dopo – idea sostenuta dal ministro alla ricostruzione Claudius Petit – a Marsiglia, una “Unité” di abitazione (realizzata una di cinque), per oltre mille persone, al fine di risolvere, dopo la guerra, l’esigenze abitative: accanto a lui per questi grandi progetti André Wogensky.

 

Colui che aveva saputo dare una risposta architettonica alla complessa organizzazione sociale della capitale Chandigarh dello stato islamico del Punjab; l’esperto professionista che condivise il suggerimento di un giovane di studio nel dare risposta strutturale alla su esplosiva idea del padiglione Philips per l’Expo di Bruxelles; l’uomo che interpretò e propose per Venezia le varie qualità ambiental/spaziali, per i tre diversi stadi di un degente in ospedale.

 

Il laico mistico che incontrò il favore della più alta gerarchia cardinalizia e del forte pensiero religioso e di critica artistica del frate domenicano Couturier per il cui Ordine realizzò, nella essenzialità del béton bru e con la “simbolica” presenza” dei colori, in particolare nella cappella, il convento de La Tourette, ove quella sera del 27 agosto fu deposto il suo corpo tratto dal mare.

 

 

Il figlio a cui, contemporaneamente a orizzonti e panorami, emerse il ricordo della madre e da ciò la sublime e sofisticata architettura “artigianale” della cappella di Notre-Dame du-Haut a Ronchamp.

 

Un corpo che trovava sollievo nel suo essenziale “cabanon” meno di dieci metri quadrati) a Roquebrune - Cap Martin, e che trovò riposo, accanto alla moglie, sotto i “modesti” volumi “puri” di una piccola tomba che con i suoi colori nell’epigrafe si staglia contro l’azzurro del mare e del cielo.

 

Charles- Eduard Jeanneret (Le Corbusier) nasce tra le montagne della Svizzera, a Chaux-de-Fonds ove ha la prima formazione artistica che gli permette di essere premiato all’Esposizione Internazionale di Torino del 1902 per il cesello di una cassa di orologio ove, cesellati al bulino, si fondono elementi geometrici con quelli naturalistici: oggetto che di frequente evocherà ricordando che il bulino è uno strumento “féroce”, simbolo di una retta via, “chemin de loyauté, d’honnêteté”.

 

Giovane di venti anni è nella vivace e eccitante Vienna ancora avvolta dal ricordo dei suoni dei valzer di Strauss, ma ove ascolta le opere dirette da Malher; percepisce la Vienna di Klimt e Schiele e di Freud; lavora nello studio di Hoffmann, uno degli architetti della “Secessione”, incontra Loos, l’autore di “Ornamento e Delitto” il propugnatore del Raumplan (casa con la spazialità interna sfalsata su vari livelli). Dal l’incontro con Tony Garnier e con le sue proposte di una Cité Industrielle derivano le idee urbanistiche e “sociali”.

 

 

François Hennebique ha mostrato le potenzialità costruttive di béton armé la cui essenza spesso resta celate da mascheramenti decorativi; Auguste Perret le ha messe in evidenza in sobrie architetture: Le Corbusier si immerge negli attinenti calcoli strutturali.

 

Un autonomo e individuale viaggio di “scoperta” per sette mesi, a 24 anni, trasporta Charles-Eduard da Praga a Atene e qui dall’osservazione della perfezione dalle grandi masse ai dettagli dell’antichità greca la “scoperta” dei valori emanati dal “gioco sapiente dei volumi puri sotto la luce”: i veloci schizzi, in quelli che saranno i suoi caratteristici carnets che l’accompagneranno per tutta la vita memorizzano le sensazioni e le “letture”; i sapienti scatti fotografici fisseranno luci sui fatti monumentali e le ombre da questi proiettate; Le Corbusier si convince che “La Mediterranée (è) la reine des formes et de lumière. La lumière et l’espace.

 

Poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale è l’incontro con il testo dell’architetto statunitense Frank Lloyd Wright, illustrante le sue opere, che costituirà sì riferimento, ma divenendo, un decennio dopo, “confronto “ alternativo, tutto ancorato ai fermenti culturali e artistici europei, in particolare francesi, in una atmosfera, contemporaneamente “nordica e mediterranea”: con il suo Vers une architecture, Le Corbusier enuncia i suoi principi fondamentali, variamente da lui applicati e a cui parzialmente resterà “fedele” nel corso dei successivi decenni.

Numerosissimi sono i libri e i saggi pubblicati da Le Corbusier, in una continua e serrata propugnazione delle sue idee e esposizione delle sue opere: a parte i testi monografici, è ai sette volumi della Œvre Complète, editi a partire dal 1929, che Corbu affiderà la trasmissione del suo messaggio architettonico; messaggio di cui se ne percepisce la prima suggestione inventiva, la formulazione, la evoluzione progettuale grafica e dei plastici e la documentazione fotografica di quanto realizzato.

 

 

Dalle espressioni “tecniche-artistiche” di Le Corbusier, in tutte le sue valenze, dalla piccola scala alla grandissima, (permane il messaggio di Van der Velde che “Corbu ne l’oubliat pas” perché da lui considerato, lo “apôtre d’une estétique fonctionelle et d’une «forme pure»“); infinitamente numerosi sono gli stilemi derivati da quelle espressioni e le giustificazioni progettuali, in particolare quelle, per lo più deleterie e bieche, in ambito urbanistico. Tante “Ronchamp”, tante “Unité”, tanti pezzi di “La Tourette” e di Chandigarh”, tante “Unité”, hanno consumato grafite e inchiostro - idee per qualsivoglia luogo e situazioni ambientali-sociali – di architetti privi di una loro autonoma “originalità” di pensiero e espressione.

 

Non vanno dimenticate mai quelle frasi (queste le due ricorrenti lettere scritte nei progetti tramite le mascherine traforate): “La recherce patiente; yeux que non voient pas; la main ouverte pour donner”. L’espressione grafica e materica di quest’ultima è assunta a simbolo di valenza universale così come il grafico che esprime il sorgere e il tramontare del sole “ammonimento” alla considerazione di quel ritmo entro il quale vi è lo svolgere del la vita umana.

 

Si è visto all’origine un Le Corbusier tutto in “bianco” poi in “béton bru” che si esalta e smorza la sua forza nei tocchi dei colori da lui eletti della gamma del rosso, del bleu, del giallo, tratti dalla tavolozza col marchio della tigre: quei colori che poi, dall’ultima dimora, si confronteranno con il cielo e il mare della “Costa Azzurra”.

 

Mentre il “cabanon” è la dimostrazione della capacità di efficienza per le necessità essenziali di corpo e spirito – seppur temporanee - di una coppia (quella costituita per 37 anni da Corbu e da sua moglie Yvonne), “l’ange gardien du foyer”: una capannuccia in legno di 3,66 per 3,66 metri, immersa nella natura, rifugio prima della coppia poi nella solitudine, durante i mesi di agosto e settembre. Il suo famosissimo disegno della sagoma dell’uomo (anche questa è divenuta uno stilema) che la si staglia su di una grande finestra vetrata al di la della quale forme evocatrici un paesaggio vegetale trasmette – d’avanguardia e sempre attuale, nei fondamenti, dal 1937 – uno dei fondamentali messaggi architettonico-esistenziale di Le Corbusier: «1° - Un uomo in piedi su un pavimento staccato dal suolo; 2° - È davanti a una finestra che può evolvere la sua forma e la sua superficie fino diventare una “parete di vetro”, fino a occupare tutta una parete della stanza; questa finestra o parete di vetro sarà orientata secondo l’opportunità di esporla più o meno al sole ( regione temperata o tropicale, ecc); 3°- Davanti a lui grandi distese di spazio; 4°- Sotto di lui fronde d’alberi e prati; 5°- Sopra di lui un soffitto impermeabilizzato; 6°- La porta dell’alloggio si apre su una strada. Non è una strada di città giardino. È una “strada interna”. Questa strada può non essere sul suolo, può essere per aria. Questo alloggio può non essere sul suolo: il suolo lo destiniamo ad altre utilizzazioni; questo alloggio può essere a 5 metri sul suolo, a 10 metri, a 20 metri, a 40 metri; 7°- Tutti gli alloggi si dispongono l’uno accanto all’altro, lungo la strada interna [quaranta anni dopo ci sarà la sovraeccitata emulazione di Corviale a Roma!];  8° - Tutti gli alloggi si dispongono uno sopra l’altro, nello spazio libero che non costa niente, in altezza verso il cielo».

 

 

Per quanto riguarda l’esteriore immagine architettonica un deciso segno rosso, tracciato nel 1930, cassa le espressioni del passato ricordando,oggettivamente, che queste erano “vivants et magnifiques à leur origine, ici ne sont plus che des cadavres”.

 

Nel 1962 Le Corbusier, Corbu, come gli amici lo chiamavano, ebbe a dichiarare che “Si je suis aujourd’hui un architecte possible, c’est que ma formation n’a pas été celle d’un architecte”.

 

 

L’Italia deve non dimenticare il rimpianto che di Le Corbusier abbia perso due occasioni eccezionali, la prima, l’Ospedale di Venezia, per mancanza di “coraggio” degli enti decisionali, la seconda il Centro dei calcoli elettronici Olivetti a Rho per l’improvvisa morte in treno di Adriano, proprio mentre si recava dall’amico Corbu, conosciuto già dal 1933; ambedue riconosciuti quali uomini “ modestes” e “timides”.

 

 

La complessa e innovativa progettazione del padiglione di Bruxelles, il Poème eletronique composto da Edgard Varèse che si diffondeva all’interno mentre le immagini della “contemporaneità”, dal bambino a Godzilla scorrevano sulle vele e l’occasione del progetto per Rho, fecero presagire a Le Corbusier che stava proponendosi un nuovo modo d’espressione scaturito dalla nascente scienza informatica che, originata dai calcolatori elettronici, era messaggera di una “nouvelle civilisation”.



 

 

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